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Italia
in prima fila
LIBANO DEL
DOPOGUERRA: A CHI LA RESA DEI CONTI?
Fallita
la “rivoluzione dei cedri”, le provocazioni dinamitarde, l’invasione
israeliana, colonialisti e proconsolati ricominciano daccapo
14/02/2007
Subita la sconfitta a nome di tutto
l’Occidente in piena ola di revanche colonialista, Israele e i suoi
complici, intimi o dalemianamente “equivicini”, come è equivicino un
leone a un ghepardo e a una gazzella, hanno ricominciato da dove erano
stati interrotti: dal terrorismo. Il 14 febbraio 2005, con la
supertecnologica bomba che aveva polverizzato il boss libanese Rafiq
Hariri e il suo seguito, Israele e gli Usa avevano inteso innescare
quella “rivoluzione dei cedri” che, sul modello delle destabilizzazioni
finanziate dalla succursale Cia, NED (National
Endowment for Democracy), in Serbia, Ucraina, Georgia e
fallite in Venezuela e in Uzbekistan, avrebbe dovuto, a forza di pogrom
confessionali, bloccare l’avanzata demografica e politica delle
formazioni scite e di sinistra e restaurare quell’avamposto libanese del
dominio euro-israelo-statunitense, funzionale al progetto neocon del
“Nuovo Medio Oriente”. Dopo che questo complotto è stato sventato dalla
risposta di massa, sebbene sostenuto da una ONU che aveva incaricato
delle indagini un magistrato tedesco, Detmer Mehlis, già noto per la
sua vicinanza alla Cia e del tutto squalificato da testimoni
antisiriani pagati dagli Hariri ma poi ravvedutisi, si è passati alla
maniere forti. Ed è stato l’assalto dei 33 giorni. Fallito anche quello,
le forze coalizzate di Israele, dei neocolonialisti europei travestiti
da Unifil e degli Usa, tentano di recuperare il terreno perduto tornando
al vecchio schema del terrorismo interno. L’uccisione, il 21 novembre
2006, dopo una serie di altri misteriosi attentati omicidi in varie
direzioni, di Pierre Gemayel, ministro nel governo fantoccio di Fuad
Sinora, capo della Falange, figlio dell’ex-presidente Amin Gemayel,
insediato dagli israeliani nel 1982 e nipote del fondatore di quel
partito neonazista, Pierre, avrebbe dovuto scatenare quel conflitto
interconfessionale – cristiani maroniti di destra, movimento “Futuro”
del clan Hariri, Drusi del feudatario Jumblatt, da una parte, Hezbollah,
Amal, nasseriani e cristiani patrioti del Generale Michel Aoun,
dall’altra – che non era scaturito dall’uccisione di Hariri e
dall’aggressione israeliana. L’ennesimo complotto antinazionale, al
quale guardano con vorace speranza, oltre a israeliani e statunitensi, i
circoli dirigenti francesi, tedeschi e italiani, è nuovamente bloccato
dalla reazione popolare, questa volta di dimensioni senza precedenti,
imbattibile. Due milioni di hezbollah, affiancati dagli alleati delle
sinistre, vale a dire metà della popolazione del Libano, affollano la
piazza centrale “ dei martiri” e assediano l’illegittimo governo
Siniora sulle alture del Gran Serraglio. E’ come se in Italia, contro
l’occupazione statunitense di Vicenza, arrivassero in piazza 24 milioni
di italiani. Quale governo reggerebbe non spalleggiato dalla VI Flotta?
Dal 1. dicembre 2006 a tutto gennaio dura il blocco. Alle forze occulte
dello stragismo non rimane che riprendere, a forza di attentati contro
civili, la strategia della tensione, tanto famigliare agli italiani Ma
il leader Hezbollah, Nasrallah, neanche stavolta cade nella
provocazione: Ne potranno ammazzare
mille di noi, ma non spareremo mai contro i fratelli libanesi.
La legittima e logica richiesta delle
opposizioni è neanche un cambio di maggioranza, ma un governo di unità
nazionale in vista di nuove elezioni, giustificate, anzi esatte, dalla
mutata situazione demografica e politica. La richiesta è chiaramente
nell’interesse del paese alla luce del fatto che sono state le masse
popolari guidate dall’opposizione a difendere, nella totale inerzia
dello Stato (anzi, nella sua complicità. Vedi il blocco dei rifornimenti
di armi ai resistenti bloccati da Sinora durante il conflitto), il paese
dalla rinnovata aggressione israeliana, e anche considerando lo stato di
drammatica emergenza in cui si trova un paese totalmente da ricostruire
e da riavviare a una normale vita politica, economica, sociale. Di
fronte a una richiesta basata su incontestabili fondamenta democratiche
e razionali, oltre a tutto sostenuta in piazza e con scioperi generali
dalla maggioranza della popolazione, il regime e i suoi sponsor
internazionali non hanno che la consueta risposta delinquenziale. A metà
febbraio riprendono gli attentati terroristici, questa volta rivolti,
all’irachena, contro civili uccisi nel mucchio, preferibilmente nel
settore cristiano, ovvia provocazione e tentativo di sobillare la
società cristiana e di richiamare all’ovile i cristiani schieratisi con
le opposizioni patriottiche, creando nel loro immaginario l’immagine di
un mondo musulmano inconciliabile, terrorista e barbarico. Succede
intorno alla nuova mobilitazione di massa che la coalizione di destra,
“14 marzo”, allestisce per contrastare la fortissima pressione del
seguito di Hezbollah e dei suoi alleati. Il confronto è tra due milioni
di libanesi che chiedono unità e sovranità nazionale e alcune centinaia
di migliaia di “governativi” che, istigati dai nemici del paese, si
affannano a rinnovare una guerra civile in cui la forza delle alleanze
internazionali e l’armamento fornito alle milizie di destra dagli Usa
possano prevalere sulla volontà di massa dello schieramento patriottico.
La partita resta aperta.
Un governo incostituzionale, ma legittimo per Bush, Chirac, Merkel,
Ratzinger, D’Alema, Prodi, salmerie varie
Intanto i governanti del centrosinistra
italiano continuano a sprofondarsi in riconoscimenti al “legittimo
governo libanese”. Al punto che, quando Sinora nella conferenza “Parigi
3”, nel febbraio 2007, rimedia qualcosa come 8 miliardi di dollari dai
paesi donatori, D’Alema non si perita di proclamare che tali aiuti
(prestiti) andranno esclusivamente al governo Sinora, implicando che se
Hezbollah dovesse arrivare al potere, il Libano farebbe la fine della
Palestina governata da Hamas: neanche un tozzo di pane. Ma è legittimo
l’attuale governo libanese? Sarebbe una buona domanda da porre da parte
di qualcuno di quella categoria che in Italia insiste a definirsi “di
giornalisti”. Se l’è posta – e ha risposto correttamente – il solo
Stefano Chiarini. Da quando lo abbiamo perduto, neanche “il manifesto”
se la pone più. Nel 1932, sotto mandato francese, si fece un censimento
dal quale risultarono maggioritari i cristiani e minoritari gli sciti e
i sanniti. Fu l’ultimo censimento. Da allora governanti e mallevadori
esteri si guardarono bene dal rifarlo. Neanche settant’anni dopo quando
erano arrivati 400.000 “ospiti” sunniti palestinesi e la bilancia
demografica si era ampiamente spostata verso la prolifica maggioranza
musulmana e, particolarmente, scita calcolata in un 70%. Già questo dato
avrebbe dovuto far rivedere una costituzione che i francesi avevano
ritagliato sulla misura della classe proconsolare borghese e feudale. Ma
a rendere del tutto illegittimo l’attuale governo libanese concorrono
fattori ancora più concreti. Gli accordi di Taif che nel 1992 posero
fine a 17 anni di guerra civile, avevano prodotto una normativa per la
quale ogni governo del paese avrebbe dovuto includere le rappresentanze
– per quanto, secondo l’antica costituzione, inique numericamente ai
danni degli sciti – di tutte le componenti etnico-confessionali. Quando,
all’indomani dell’aggressione israeliana, il gruppo Hariri-Siniora, più
capibastone sunniti e drusi, risolse di votare a favore sia di un
tribunale Onu sull’assassinio Hariri, a evidente condizionamento
imperialista, che avrebbe dovuto rilanciare la già screditata pista
siriana per creare la giustificazione a una guerra a Damasco, sia di un
piano economico ultraliberista imposto dai paesi “donatori” e dagli
organismi internazionali con la previsione della privatizzazione di ogni
servizio pubblico e garanzie di svendita ai
prestatori-investitori-ricostruttori multinazionali, l’opposizione
parlamentare si oppose. Anche perché con l’adozione dei precetti di
Parigi, ricattatoriamente imposti in cambio dei crediti, si sarebbe
rafforzata la polarizzazione tra un piccolo settore del paese
ricchissimo e tutto il resto ridotto a ulteriore povertà ed
emarginazione. E si sarebbe predisposta una perpetua insolvibilità dello
Stato, alla maniera con cui si sistemano i paesi del Terzo Mondo retti
dal Fondo Monetario Internazionale. Vedendosi del tutto ignorata da chi
si accingeva a collaborare a nuovi conflitti e alla riduzione del paese
alla mercè dell’FMI, della Banca Mondiale, del neocon Wolfowitz e dei
capitalisti predatori europei, l’opposizione ritira la sua
rappresentanza dal governo e dal parlamento. Si dimettono i ministri
hezbollah, quelli di Amal e quello del generale Aoun. A quel punto il
governo è costituzionalmente illegittimo. Ma si manifesta in piena luce
la schizofrenia dei nostri governanti e relativa opposizione di
centrodestra quando, avendo rifiutato di relazionarsi con il governo
legittimo palestinese di Hamas, democraticissimamente eletto (non come
in Occidente…), insistono per riconoscere e appoggiare invece
l’illegittimo governo libanese. Chi parla di due pesi e due misure?
Neutrali verso tutti, ma un po’ più neutrali verso gli uni
Con tutto ciò, in Italia le sinistre
continuano ad affiancare D’Alema e Prodi nel loro sostegno al governo
Sinora e a sostenere il ruolo pacificatore delle “forze di
interposizione” Unifil, ora sotto comando del Gen. Graziano (riecheggia
sinistro un Graziani maresciallo:
nomen omen?), veterano nientemeno che dell’Afghanistan
“pacificato”. E insistono a giurare sulla “neutralità” del contingente
italiano. Ma l’equazione non torna. Davanti ad alleati intimi come gli
Usa e Israele, legati all’Italia da patti e contratti militari, ora
anche all’interno della Nato, che non fanno che ripetere la necessità di
eliminare i “terroristi” di Hamas e a sostenere a spada tratta il Karzai
libanese, Siniora , abbiamo un governo, un presidente del Consiglio e un
ministro degli esteri, corredati del loro seguito fintosinistro, che non
divergono di un millimetro dal solco tracciato da Washington e Tel Aviv.
Si ricorderà l’estrema umiliazione nazionale di quel Romano Prodi che,
beccato fuorionda da un veloce cameraman, in privato si sprofonda
davanti ai secchi ordini del capo israeliano. Olmert gli ingiunge di
esternare tre cose alla successiva conferenza stampa, conclusiva della
sua visita in Italia: ribadire che la questione palestinese è solo una
questione umanitaria (come quella del Kosovo e dell’Iraq. n.d.r.); non
parlare di profughi palestinesi (cioè di cinque milioni su otto e
mezzo); affermare il carattere ebraico dello Stato di Israele. Mezz’ora
dopo, belando, il nostro capo del governo ripete esattamente quelle
cose, come fossero sue, compresa l’aberrante riconoscimento, per la
verità farfugliato con visibile imbarazzo, del carattere razzista, cioè
ebraico, di uno Stato in cui il 20% della popolazione è araba e dalle
cui terre è stato cacciato oltre metà del popolo palestinese.
Contendendo poi ai francesi il ruolo del secondo violino nella sinfonia
del Nuovo Medio Oriente, con scelta di stile berlusconiano da Bucarest,
Prodi inietta nel già martoriato corpo del Bel Paese l’ukaze “seconda
base Usa a Vicenza”, con tanto di 173. Divisione aerotrasportata pronta
ad avventarsi su qualsiasi obiettivo-canaglia che la
psicopatia criminalis
occidentale gli vorrà indicare.
Così, mentre ci si flagella con
imposizioni demenziali e del tutte strumentali, tipo appendersi al
collo, negli aeroporti, buste trasparenti con dentro la novalgina e il
callifugo, e ci si impongono telecamere onnipresenti e tintinnar di
manette generale a difesa dal terrorista dietro l’angolo, si regala al
compare di genocidi una base che, a rigor di vulgata terroristica tanto
bushiana quanto manifestaiola, non potrebbe non costituire per eventuali
nemici bersaglio privilegiato, o causa di altri bersagli, in mezzo ai
nostri corpi e alle nostre case. Conclusione: Bush, Olmert e Chirac, i
tre grandi in commedia, si venderebbero madre e figli pur di mantenere
in piedi Fuad Siniora, garante della ricolonizzazione e della
“normalizzazione” dei territori contigui, e pur di liquidare Hezbollah e
alleati. Come succede in Iraq, a confessioni invertite, con i sunniti,
cuore della Resistenza. Il succedaneo di seconda classe dei Tre Grandi,
ascaro italico sempre volenteroso purchè lo accompagnino le vivandiere
Ong, si professa neutrale e pacificatore, ma abbracciato al grande
partner, gli fa condurre la danza di Vicenza, Camp Darby, Sigonella,
Taranto, Aviano, Verona, Nato, Sardegna tutta e del trattato di
collaborazione militare con Israele.
Come si può soltanto immaginare che alle
professioni di neutralità, e quindi di divergenza netta dai maestri di
ballo, si possa dar credito? Il sillogismo è il solito: gli Usa e
Israele sono nemici di Hezbollah, noi siamo amici di Usa e Israele,
Hezbollah è nostro nemico. Ora deve succedere solo questo. A forza di
complotti destabilizzatori, provocazioni attribuite all’opposizione (e
Israele ha già incominciato penetrando, impunito da Unifil, in
territorio libanese e “trovandovi” ordigni Hezbollah dei tempi della
guerra, ma definiti “ di adesso”, sorvolando e tentando di rapire
dirigenti Hezbollah), attentati terroristici assegnati un po’ siriani e
un po’ agli iraniani, il governo delle destre, incoraggiato dalla
“comunità internazionale”, proclama un qualche stato d’emergenza e
chiama in soccorso alla “legalità istituzionale e costituzionale”, oltre
ai nuovissimi pretoriani del premier, addestrati e armati dagli Usa,
cioè dall’armiere e protettore dell’invasore storico, il contingente
Unifil, invocando la risoluzione 1701 che impone il disarmo di Hezbollah
e dei palestinesi. Date le premesse della nostra classica “equidistanza”
tra leone e gazzella (quando mai siamo stati dalla parte della
gazzella?), possiamo immaginare cosa faranno i nostri Arditi Incursori
in baschetto blu. Se riusciranno ad aprirsi la strada verso Siria e Iraq
e magari domani verso l’Arabia Saudita, in fibrillazione sunnita per il
dilagare irano-scita, è parecchio dubbio.
Non è in dubbio, invece, un bagno di
sangue, giustificato con la schematizzazione applicata dalla
corporazione dei sicofanti mediatici dei “filosiriani” contro gli
“antisiriani”, contrapposizione del tutto deformante e irrealistica
visto che si tratta della più classica delle lotti di classe. Come in
tutti gli scenari di guerra e nei relativi riflessi sulle politiche
interne di repressione e militarizzazione. I collaudi sono in corso in
Iraq e a Gaza. Prolungherebbe l’attesa per la miriade di Ong che,
ancora non sazie del pasto kosovaro a base di bordelli e traffico di
donne, bambini e organi, si erano prenotate per il banchetto libanese.
Ne parla con benevolenza umanitaria Giuliana Sgrena del “manifesto”. Le
vorrei ricordare quello striscione, appeso da libanesi che tutto hanno
capito nella zona delle grandi banche internazionali:
“Non uccideteci, non aiutateci”!
Intanto tecnici e scienziati del Comitato Europeo sul Rischio
Radiazioni, analizzati campioni di terra prelevati dai crateri delle
bombe israeliane a Khiam e altrove, rivelano “uranio radioattivo
proveniente da un nuovo tipo sperimentale di arma utilizzato dagli
israeliani”. Come in Iraq, in Jugoslavia, in Somalia (e attorno ai
poligoni sardi), si deve continuare a morire per secoli. Popoli di
troppo.
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