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Ipocrisia: legge
fondante dell’Ordine Mondiale
I PARADOSSI
DELL’IMPERIALISMO, L’IMPERIALISMO DEI PARADOSSI
12/07/2007
E’ questa una macchina mostruosa
che
schiaccia e livella…
Certo io resisterò.
(Antonio Gramsci)
L’arte del paradosso nell’era della
criminalità politica organizzata
Subito subito
un esempio, particolarmente abbagliante e che a me da anni sfrucuglia
accanitamente la bile. Se ti capitasse di dire a una pupetta davanti
all’asilo “bella bambina”, non avresti neppure bisogno di avere la
torva bazza del papa, ideale per un film di John Carpenter, perché il
primo psicopatico chiamasse il 113 urlando al pedofilo! Al tempo
stesso, non passi dieci minuti davanti al telesupermercato che quel
troiaio ti spara qualche manifestazione di corruzione, anche peggiore,
di bambini-imbonitori, genitori assenzienti, manovrati dal Mulino
Bianco, da Kinder e dalla velina che ti si mostra nuda in foto quando
aveva sei anni. Tolleranza zero, fino alla demenza, nel primo caso,
tolleranza ad libitum
nel secondo.
Per chi non
l’avesse ancora capito, è con il paradosso che l’ipocrisia della
criminalità organizzata governante riesce ad imbrigliare gli spiriti
avversi e marcare di sé lo
Zeitgeist, spirito del tempo. Si sono addirittura inventati
una neolingua, dove le cose significano il loro contrario. Riflettete
a cosa significa oggi “sicurezza”, o “riformismo”, o “pace”, o
“democrazia” rispetto a trent’anni fa! Succede nel Nord del mondo,
dalle nostre parti. Non certo là dove il paradosso è stato
disintegrato da stermini di massa sveglia-popolo, nazione araba, mondo
musulmano, America afro-indio-latina. Lì è più arduo fregarli. Sono
stati sgamati. E coloro che si fanno fregare, Abu Mazen, Siniora, Al
Maliki, Karzai, non è innocente, gli cascano in grembo “ricche
briciole”. Ossimoro? Mica tanto, se pensi ai dollari intascati in
lunghe carriere di servi del signore e boia dei propri popoli.
Guardate quel Mohammed Dahlan, fiduciario dei genocidi, coniglio in
fuga da Gaza, ma anche da un palazzo che Cia e Mossad avevano arredato
con marmi rosa di Carrara e vasi Ming. Ricordate quel Ahmed Chalabi,
fiduciario Cia in Iraq, oggi a capo della rapina Usa del petrolio
iracheno, che ai suoi 22 anni di carcere per truffa, furto, bancarotta
fraudolenta, ha potuto sostituire un reddito di 67mila euro al mese.
Da noi, poi, il paradosso di una Chiesa che succhia sangue e oro da
duemila anni e manda quattro gonzi a fare i poveri fraticelli tra i
succhiati, ha fatto dell’ipocrisia l’articolo uno di una Costituzione
nazionale ovviamente mai scritta, ma vincolante.in eterno. Legge
fondante lacerata appena cinque volte nella storia degli stanziali
della Penisola, con Spartaco e Giuliano l’Apostata, da Giordano Bruno
a tutto il Rinascimento, da Mazzini e Garibaldi a tutto il
Risorgimento, dalle Brigate Garibaldi a tutta la Guerra di
Liberazione, dal ’68 a tutto il ’77. Punto e basta. La Vandea è
sistematicamente tornata, grazie sempre all’appoggio di quelli in
Vaticano. Da quel momento, la storia si è stabilizzata alla Fukuyama,
con il concorso degli eterni paradossisti. Ne citiamo un paio
dell’ultima stagione, più impudichi di tutti: Adriano Sofri per la
stagione del nostro diletto e Fausto Bertinotti per quella del nostro
sconforto. Due Dahlan nostrani. Quanto a Prodi, per la sua militanza
in questa accolita è già stato insignito dai suoi comandanti
dell’onorificenza dell’ “Ordine al Gran Merito dei palafrenieri
imperiali Petain, Karzai e Al Maliki”.
Un cristiano sequestrato – milioni
di musulmani sequestrati? Uno a zero per noi.
Andiamo sul
concreto. Avete visto che cosa si è scatenato intorno al rapimento del
missionario cattolico Giancarlo Bossi che cercava di far passare lo
stivale del papa anche sui musulmani delle Filippine? Gigantografie
dal Campidoglio, veglie, manifestazioni, cortei, accorati tg a
profusione, novene, rosari, cerimonie per il cristiano sequestrato.
Sequestrato da chi, a proposito? Da Abu Sayyaf, subappalto
dell’appalto della Cia, Al Qaida, comparso nell’arcipelago non appena
gli Usa hanno fatto partire anche lì un
Enduring Freedom, con
oltre 3000 dei loro marines, per una “guerra al terrorismo” che doveva
far fuori il Movimento di Liberazione Moro, guerriglia antica,
nazionalmarxista, genuina. Ad Abu Sayyaf il ruolo che la Cia e il
Mossad assegnano ai provocatori delle loro aggressioni-repressioni.
Naturalmente il “manifesto”, succube degli slogan del Pentagono, con
tale Fusto Della Porta, annebbia i cervelli dei suoi lettori buttando
tutto insieme, Fronte di Liberazione Moro, riconosciuta e
rispettabilissima guerriglia contro i corrotti ed autoritari regimi
sub-yankee di Manila e i provocatori Cia di Abu ayyaf, descritti come
“le principali forze indipendentiste del paese e la loro locale
filiale di Al Qaida, per una volta unite nella lotta”. Bugiardo e
ignorante, se non peggio.Torniamo al povero “Padre Bossi in mano ad Al
Qaida” (“La Repubblica”), titolone corredato dal solito Renzo Guolo,
un Magdi Allam in sedicesimo, incaricato dal cardinale Ezio Mauro e
dal pontefice massimo, Eugenio Scalfari, a porre l’abominevole
sequestro degli stragisti dell’11/9 (sempre quelli, inetti a Londra e
Glasgow, ma del tutto invincibili dappertutto) nel giusto contesto.
Nel caso, quello di un vittimismo cristiano, copiato pari pari da
quello trionfante israeliano, atto a occultare lo tsunami islamofobico
ed antiarabo rigurgitato da Ground
Zero. Una fobia antislamica riattizzata, dopo secoli di
sonno, dai briganti washingtoniani dell’11/9, con il concorso del
monopolio mediatico, dei vari “buonisti” alla Sgrena e Forti del
“manifesto” e dei portavoce sionisti germogliati negli anni della
putrefazione liquidazionista del PRC nel tabloid-scandalo
“Liberazione” di Piero Sionetti. Un contesto per grulli, facilissimo a
rovesciarsi nel suo contrario. Pratica salvifica, alla quale né il
“manifesto”, né quasi nessun sinistro istituzionale indulgono onde
fare uscire gli eventi dallo stereotipo del senso comune innaffiato
dalle centrali dell’intossicazione. Eppure per rimettere nel contesto
il papa, e al suo posto, che per me sarebbe quello dell’esilio perenne
alla Mecca, basterebbe fare la somma delle sue virulenze bizantine
antislamiche (alla vigilia del salto israeliano addosso al Libano) e
dei suoi anatemi (estate 2007) contro tutti i cristiani non obbedienti
alle invenzioni surreali del Concilio di Nicea e seguenti: ortodossi
importuni, protestanti di schifo, ebrei da esorcizzare con la messa
latina? Per la democrazia e i diritti umani Ratzinger è vivo e lotta
insieme a noi.
Cosa non si fa per lo scontro di
civiltà
Il
convertitore padre Bossi è la punta dell’iceberg
(scusate l’anglicismo, sembro uno dei vernacolari della Rete). L’iceberg
sta nell’Artide, o nell’Antartide, che sono invece una campagna
planetaria sulla tragedia dei cristiani perseguitati e trucidati da
qui ai confini del mondo. Allarmi al color rosso su “persecuzioni,
minacce, cristiani che rischiano la vita”, corredati di mappe che
illustrano alla mano di punti rossi quanto di orribile succede o
incombe ai cristiani dei cinque continenti, dall’India all’Iraq, dal
Sudan (ovvio: i padri comboniani, con il grimaldello del Darfur,
devono riconsegnare il paese, con tanto di uranio e petrolio, ai suoi
colonizzatori) all’Arabia Saudita, dalla Cina (altra preda da
destabilizzare) al Pachistan, dallo Zimbabwe (e vuoi non infilarci il
“terrorista”, espropriatore di terre dei bianchi, Mugabe?) al
Bangladesh… E risaltano fuori, oltre all’inevitabile vescovo Oscar
Romero del San Salvador che si rigira nella tomba per essere usato
per tale campagna, don Santoro di Trebisonda, Suor Cazzaniga di Timor
Est, Padre Mantovani di Uganda…. Peccato non possano includere, perché
morta nel suo letto, quella Teresa di Calcutta che faceva marcire i
malati nei tuguri senza anestetici (“il dolore ti avvicina a Cristo”),
faceva vacanze con i dittatori centroamericani e si curava in cliniche
svizzere con i soldi degli squartatori dei propri popoli Somoza e
Duvalier, destabilizzava la Jugoslavia per conto di Clinton e faceva
lingua in bocca con Reagan contro l’aborto e il divorzio. Insomma, la
Chiesa è tornata quella ristretta nelle catacombe, i martiri cristiani
rigurgitano dalle fiamme di Nerone fino agli abomini di Al Qaida. Di
quelli iracheni, paradosso dei paradossi, nessuno dice che vengono
massacrati dai poteri installati da noialtri occidentali, mentre il
governo che garantiva il rispetto, la prosperità e libertà di culto a
loro come a tutti, è stato satanizzato fino alla fine dei tempi.
Dell’India si scrive inorriditi “cristiani nel mirino, è guerra alle
conversioni, rischia il carcere chi fa proselitismo”. Avete letto
bene: rischia. E pure
quella è invenzione. Mentre il nostro Abu Omar è andato un bel
po’oltre il rischio, in piena Milano: cattura, sequestro,
deportazione, Aviano, Egitto, tortura. Qui abbiamo una cupola
colonial-ecclesiastica, con tutti i suoi corifei del potere “laico”,
dalla quale sono piovute per secoli tempeste di fuoco che hanno
incenerito milioni di donne e di innocenti lungo ogni parallelo, ma
che impone all’opinione pubblica – all’interno della strategia della
paura onnipresente e ininterrotta, funzionale allo “scontro di
civiltà” e alla riduzione in schiavitù delle masse - il dramma di
un
prete sotto sequestro della jihad
(leggi Cia e affini). Dall’altra, ecco un’opinione pubblica
del tutto accecata di fronte alla realtà di
decine di milioni
di musulmani sequestrati dalla
vera guerra santa, quella del capitale: quattro milioni di
palestinesi, loro governo incluso, 20 milioni di iracheni che prima
della loro naqba erano
26, visto che due milioni e mezzo li hanno ammazzati dal 1991 e altri
quattro li hanno sbattuti nel deserto. Tolleranza zero, nel primo
caso, tolleranza ad libitum
nel secondo. Dicesi anche il metodo dei “due pesi e due misure”.
Insomma paradosso, figlio dell’ipocrisia, madre sempre incinta.
Olmert premier d’Italia…
Restando dalle
parti della decima piaga biblica, eccovi un altro bel paradosso
dettato dall’ipocrisia da podio dei nostri governanti. Ed è un
paradosso che, modestamente, nel mio documentario “Gaza, Baghdad,
Beirut: delitto e castigo” è bell’e squadernato. Come volevasi
dimostrare. In Israele, a casa del puparo in seconda (o in prima?)
dell’anonima omicidi occidentale, l’italiano capo del governo di una
“repubblica sovrana” ripete a bacchetta (essendo la bacchetta la
minaccia di qualche deflagrazione operata dal reparto Al Qaida del
Mossad a Milano o Genova) ciò che il capo del governo del paese ospite
gli intima. L’aveva già fatto, come dimostrato da un perfido fuorionda
di Blob, nella conferenza stampa di fine visita di Olmert a Roma:
carta bianca a Israele su tutto e natura inestinguibilmente ebraica
dello Stato, così sacralizzato come Stato dell’apartheid. Forza
internazionale di mercenari del colonialismo a Gaza, per evitare a
Tsahal altre brutte figure
tipo Hezbollah e completare il genocidio (24 palestinesi sofferenti,
di ritorno da trattamento clinico in Egitto, fatti morire di stenti
tra altre migliaia bloccati nel deserto del Sinai cui, al valico di
Rafah, si nega il ritorno). Riconferma del memorandum militare che
sancisce la collaborazione italiana alla pulizia etnica dei
palestinesi (e altri arabi presto) tramite gingilli per la guerra ABC,
come le armi chimiche ed elettromagnetiche che già hanno sminuzzato un
po’ di “terroristi” in Libano. Perfetta fratellanza sotto il comune
“scudo spaziale” Usa che permette di salvaguardarci da onirici missili
nordcoreani, o persiani, polverizzando tutti i “mori” meglio che a
Poitiers o Lepanto. ”L’Iran non deve avere assolutamente nessuna
capacità nucleare”, mentre le quattrocento bombe atomiche di Israele,
il suo rifiuto di ogni trattato di messa al bando e di ogni
controllo, la sua persecuzione dell’eroico e indomabile Mordechai
Vanunu, sono le merendine che si consumano al tè con Tzipi Livni,
signora degli esteri dalle zanne passatele da Madeleine Albright.
…e Prodi, con garzoni vari,
portinaio di Israele
E, per
arrivare all’empireo del paradosso, ecco la precisazione che ogni
singolo abitante del Libano si attendeva dall’agosto 2006: nuove
regole d’ingaggio che permettano alla “forza di pace” di meglio
difendere dagli agnelli della mezzaluna il lupo mannaro con la stella
di Davide e completare l’opera di ingollamento del Libano non riuscita
né con la “rivoluzione dei cedri (con innesti di stelle di Davide), né
con l’invasione, né con l’invenzione decimapalestinesi dei consueti
ascari Al Qaida. Quell’Al Qaida che il sempre più zerbinato Abu Mazen
vorrebbe surrealisticamente individuare tra le file di Hamas, quando è
stato Hamas a scoprire e sventare l’invenzione di cellule binladesche
progettate da Dahlan su direttiva di Tel Aviv. A proposito, è sfuggito
al nostro premier, ma anche al “manifesto”, quel documento ufficiale
che ci racconta la carriera di Shaker Al Absi, da manutengolo contras
in Nicaragua a capo dei jihadisti di Fatah al Islam, nel loro covo di
Nahr el Bared? Come faceva a non sfuggirgli, dal momento che la
meritoria opera di provocazione di costui, stipendiato dal clan Hariri,
permette di radere al suolo un campo profughi palestinese la dove, a
Tripoli, gli Usa progettano una megabase, tipo
Bondsteel in Kosovo, per
il loro Nuovo Medioriente bantustanizzato? Prodi soluzione di
continuità con Berlusconi? Eccovi un paradosso da sghignazzo omerico.
Ma il paradosso supremo – campioni in carica Mario Pirani di
“Repubblica” e Adriano Sofri di postriboli vari – resta quello della
“difesa di Israele”. Una “difesa” costata oltre 5000 civili
palestinesi uccisi dall’inizio dell’Intifada (un terzo minorenni), 400
ammazzati nelle ultime incursioni, decine di bimbetti legati a scudo
umano sui blindati (perché taci
Human Rights Watch, perché sei diretta dai lobbisti ebraici
Kenneth Roth e Sarah Leah Whitson?), 2.700 palestinesi nel 2006
sequestrati e incarcerati senza processo sugli 11mila complessivi, di
cui 368 bambini, milioni cacciati, migliaia di case e di terreni
distrutti.
Basta con la pace, la guerra si fa
meglio con i diritti umani
A proposito di
organizzazioni dei diritti umani, è per intestarsi questi ultimi che
Flavio Lotti s’è venduta la pace. La sua sedicente Tavola della Pace
ora fa marce Perugia-Assisi non più per la pace (e come si fa, dopo
aver lubrificato le vie afgane ai carri italiani?), ma per il
passpartout colonialista dei “diritti umani”. Glielo deve avere
suggerito il marciatore per la pace D’Alema. Bel paradosso vivente
sono anche la nominata Human
Rights Watch e Amnesty
International (la quale ultima, ricordatevi sempre, avallò
la megabufala dei bambini kuweitiani strappati dalle incubatrici per
mano della soldataglia irachena!) che, non avendo tralasciato di
bombardarci anche con il taglio delle unghie fatto da Saddam a qualche
spia, ora sprofondano in un silenzio liturgico di fronte alle
mattanze dell’Iraq post-“liberazione”. E mettiamoci anche il solito
“manifesto”, quello senza Stefano Chiarini, quando, intitolandosi
“giornale comunista”, scivola nella fogna del collaborazionismo usando
il termine “terroristi” per chi resiste in Palestina, Iraq o
Afghanistan, o accreditando senza il battito di un ciglio una
puttanata trasparente come i veli di Cicciolina quale è quella dei
“medici mediorientali”, infiltrati dalla superspektra Al Qaida, ma che
non sanno usare i telefonini per far saltare autobombe-giocattolo
piene di chiodi. Ma Osama un po’ di Semtex dai depositi Cia, Mossad,
MI5, o SIS non glielo poteva fornire? E tutti quei jihadisti
addestrati da Cia e SIS per la bisogna della guerra globale al
terrorismo in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, dove sono. In pensione a
Miami?
Il contributo di Rossanda
Ma nel
“manifesto” si ode ogni tanto da molto in alto anche la voce della
“ragazza del secolo scorso”, quella del “Mose a Venezia è un’ottima
soluzione”, quella della difesa indefessa del misirizzi Sofri e
dell’assoluta autenticità delle BR. Dalla lettera, grottesca fino al
paradosso, visto il destinatario, che dieci ministri degli esteri
europei – compreso l’angioletto sterminatore della Jugoslavia, D’Alema
- hanno inviato al neo-mediatore nel Medioriente, Tony Blair, dandogli
consigli e augurando successo a colui che della regione ha sventrato
buona parte, Rossanda ha tratto lo spunto per aggiungere danno a quel
danno che da sempre causa quando si occupa di Palestina. Rasentando
vertigini dadaiste, suppone che nel manutengolo dell’apparato
militarindustriale possa manifestarsi “una voglia di riscatto”. Come
se, poi, stesse a lui e non ai suoi mandatari genocidi! Capisce,
Rossanda, che “gli israeliani si sentono minacciati”, visto, forse,
che dopo avergli lanciato le bocce di sette guerre d’aggressione
(quella del 1967 la maestra a pensare la attribuisce a Nasser, mentre
“Levi Eshkol la voleva evitare”!!!) e di sessant’anni di sterminio
biologico ed economico, qualche palestinese ancora si ostina a restare
in piedi. E poi giù con tutti i cliché cari alla lobby ebraica. Fu
Haniyeh di Hamas a fare un colpo di Stato contro il legittimo, seppure
assai Quisling, Abu Mazen (che, Rossanda, faceva forse bene a voler
liquidare Hamas e ogni resistenza per conto dei suoi noti padrini?).
Perché l’islamismo si diffonde in tutto il Medioriente? Ma perché fa
le scuole e gli ospedali, giura Rpossanda, mica anche perché resiste
in armi e in massa! E, infine, a coronamento
politically correct
dell’inversione delle verità, “né l’una né l’altra delle due nazioni
sa più staccarsi dal suo fondamentalismo identitario”. Qui la vestale
del “manifesto” raggiunge il sublime del proprio equilibrismo
squilibrato (paradosso!): tutti uguali, uno Stato razzista, guerresco,
stragista ed infanticida, traghettato nella comunità umana solo grazie
alla complicità del colonialismo e della destra internazionale
(seppure camuffata da sinistra), uguale a chi se ne difende. Completa
l’agiografia sionista l’affermazione che quella è “la sola terra che
gli ebrei abbiano sentita sicura da quasi due millenni” e, dunque,
poverini, chi li può rimbrottare se tale sicurezza preservano oggi a
costo di fare peggio di coloro che li hanno fatti sentire insicuri?
Per finire in
bellezza, Rossanda butta a mare, pur auspicandolo, lo Stato unico,
binazionale, democratico, “per diverse generazioni”, cioè
ad infinitum. Mentre
chiunque non sia intossicato da sirene sioniste sa che resta l’unica
opzione decente e realistica, ma che l’oscena manovra di Oslo ha
voluto sostituirla con un Israele nucleare in perpetua espansione e
qualche ghetto-lager ai palestinesi che insistono a volersi fare
estinguere a casa loro. Complimenti “ragazza del secolo scorso”. Forse
nel secolo nuovo non hai più molto da dire. O forse sì, se ti
pronunciassi a favore di quella soluzione che ha magnificamente
risolto l’analoga apartheid, anche se meno genocida, in Sudafrica: il
boicottaggio da anni proposto, ora rilanciato alla grande dagli
scienziati, accademici e giornalisti britannici e vero strumento per
la liberazione dei palestinesi e degli ebrei dallo Stato sionista. Ci
vorranno dieci, vent’anni? Tranquilli, i palestinesi resisteranno,
alla faccia dei loro Abunotti.
I bushiani hanno fatto l’11/9? E
allora viva la guerra globale preventiva. Sofri rivoluzionario? E
allora che copra i crimini di D’Amato.
Nell’era
dell’individualismo più menefreghista della storia umana, non potevano
mancare i paradossi singoli, quelli determinati da un’accuratamente
coltivata schizofrenia personale. Facciamo una rapida selezione da
fiore a fiore. Del vate manifestino abbiamo già detto. C’è quel
ministro del governo neoatlantico e bushista di Sarkozy, Christine
Boutin, che da un lato vola con il suo capo all’intervento in Sudan e
in Libano con la “guerra globale permanente contro il terrorismo” e,
dall’altro, accredita quelle nostre
voces clamantes in deserto
che raccontano come quella guerra sia partita da un attentato dell’11
settembre allestito da Bush. Formidabile, no, come espressione del
paradosso predica bene, ma razzola male. E Dahlan, il capobastone di
Gaza, incaricato da Arafat della sicurezza, di cui un documento
desecretato rivela che faceva a gara con gli israeliani per chi
potesse meglio far fuori Arafat? O, tornando a casa nostra e al
principe del voltagabbanismo sessantottino, Adriano Sofri. Vindice,
prima, della lotta all’ultima verità sui crimini del capitalismo e
della borghesia, promotore dei disvelamenti della “Strage di Stato”, e
poi spadaccino irrefrenabile a difesa delle bugie capitaliste sulle
guerre “umanitarie” e per la “democrazia”. Un Sofri testè restituito
agli affetti domiciliari e famigliari, in aggiunta a quelli già
assicurati dai posti di comando Usraeliani, del quale si viene a
sapere ora che, contattato dall’ineffabile terrorista Federico Umberto
D’Amato, capo del famigerato Ufficio Affari Riservati, perché si
acconciasse a eliminare un intero gruppo di dirigenti dei Nuclei
Armati Proletari, tenne quest’enormità per sé, non si sognò di
denunciare il mandante della strage e ne prese a parlare solo
trentatre anni dopo sulla velina Cia “Il Foglio”. Del resto, puzza di
marcio mi soffuse le narici fin dal 1972, quando, direttore del
quotidiano “Lotta Continua”, vedevo Sofri fraternizzare in tipografia
– e fuori – con tale Robbi Cunningham, proprietario della tipografia,
ma anche agente Cia e figlio del capostazione a Roma che era anche il
rappresentante della destra repubblicana Usa. Paradosso che vai,
paradosso che Sofri.
Paradossi riciclati e i loro
concerti
Il paradosso,
scheletro che sorregge il corpaccione dell’ipocrisia, assume a volte
dimensioni planetarie. Avete visto cosa ha combinato quell’Al Gore,
alla spasmodica ricerca di un rilancio dall’oscurità, con i concerti
circumglobali, di meridiano in meridiano, degli zombie dalle
impolverate glorie musicali? Quell’Al Gore, oggi venerato condottiero
mondiale della lotta ai mutamenti climatici, che scondizolava sotto il
tavolo su cui Clinton stendeva i piani dei massacri jugoslavi.
Quell’Al Gore che mi ricordo, col suo bel cane, a Kyoto, quando una
sparuta truppetta di delegati oceanici in procinto di andar sott’acqua
e di altri paesi consapevoli sostava con noi giornalisti davanti al
conclave dei Grandi, in attesa di quanto il sopravvenuto
vicepresidente Usa avrebbe concesso. Stavo grattandone il pastore
tedesco, quando Gore emerse dal vertice, vincente come Marcantonio dal
Senato. L’intemerato ambientalista eseguì il mandato dell’élite che lo
aveva inviato: un tetto, almeno un tettino, alle emissioni degli Stati
Uniti, responsabili del 25% dell’inquinamento globale? Ma neanche per
sogno! E dove andrebbe a finire il nostro
life style? Diamo
piuttosto addosso a quei burini di sottosviluppati che pretendono
addirittura di farsi delle fabbriche. Quanto a tutti gli altri, cazzi
loro. La nostra parola d’ordine è una sola: vaffanculo Kyoto!
“Una cura rock
per il pianeta che brucia” titola il “manifesto”. Paradossino: quello
che i cantanti climatizzanti e climatizzati hanno prodotto di
inquinamento con i loro voli privati, le loro installazioni e i loro
trasporti colossal, il movimento di veicoli del pubblico, l’energia
elettrica e la carta consumata in cretinerie musicali e redazionali
nei media, deve aver prodotto qualche picco nel diagramma che viaggia
verso la fine della specie. Ma che fa, Al Gore, come pian piano tutto
il capitalismo non ottuso e come ancora qualche superstite dello
sviluppismo staliniano, fa l’ambientalista ora che al disastro
climatico si è pensato di porre rimedio con ulteriore sviluppo, con
nuovi giganteschi profitti, con un altro lasso di vita a un sistema
rinnovato nelle tecnologie, ma confermato nelle sue forme
neoprotocapitaliste e neoschiaviste, finalizzate al profitto.Vedrete
quante bufale e quanto precariato nel nome della salvezza del pianeta!
Ma lo sa, Al Gore, che la sua - e dell’attendente D’Alema - guerra
alla Jugoslavia provocò nel giro di 78 giorni, a forza di raid,
colonne di carri, flotte di navi, devastazioni chimiche, distruzione
di ecosistemi, tanto effetto serra quanto ne produce in un anno il
traffico in tutto il mondo? E, allora, la guerra all’Iraq che dura da
quattro anni e dovrebbe durarne venti? Non dovresti, caro Al,
occuparti per prima cosa della fine di quell’aggressione e di tutti i
colonialismi dei tuoi psicolabili colleghi d’èlite che ora contano di
continuare a galleggiare su mari di sangue e sudore grazie a qualche
trovata environment friendly
(i vernacolari sanno di che parlo), come magari gli agrocombustibili
clima friendly (i
vernacolari capiscono) che nutrono auto ecologiche anziché popoli
antiecologicamente in eccesso?
La storia di
Patacca Aid
Che patacche
questi concerti epocali, finalizzati a calmierare i gonzi della
preoccupazione! Non hanno mai combinato niente, tranne spuntare l
‘arma dell’incazzatura per qualche po’. Il Live Aid per l’Africa del
1985 che ha introdotto il dissesto finale del continente e
l’abbattimento delle residue barriere nazionali all’ingresso
predatorio dei vampiri della materie prime. Basta pensare agli
accordi-capestro che dai loro covi di Bruxelles i morti viventi
europei vorrebbero ora infliggere all’Africa. Basta pensare al Live 8,
in concomitanza con il G8 stermina -Terzo Mondo di Scozia, nel 2005,
le cui nefandezze furono sepolte insieme alle vittime dei
politicamente ben mirati attentati all’
Underground londinese. E
il Farm Aid, in difesa dei sovvenzionatissimi contadini Usa, e il Self
Aid, antidisoccupazione, che aprì l’era della disoccupazione a
singhiozzo perpetua, e il concerto di
Amnesty del ’90 per i
diritti umani, come equamente difesi si è detto sopra. Mentre non tira
aria per un concerto per la sopravvivenza dei palestinesi, o iracheni,
o afgani, si ventila il maxiconcerto per il Darfur, già preceduto da
marce e assembramenti di star
di varia credulità, imbecillità, complicità e in cui, ci
scommetto il suo pizzo, vedremo sdottoreggiare alla grande Flavio
Lotti. Si tratta pur sempre dei suoi “diritti umani” da salvaguardare
con qualche sterminio armato. E dispiace per l’inconsulto
testimonial per il Darfur,
George Clooney, che, pure, di cose egregie ne aveva fatte ultimamente,
come quando in Siriana,
rispondendo alla criminalizzazione hollywoodiana di arabi e
musulmani, tratteggia le delinquenziali brighe imperialiste in
Medioriente e guarda con commozione e partecipazione ai due ragazzi
che, su un motoscafo, s’immolano contro un mostro di guerra
statunitense. Senza pronunciare il termine “terroristi”, e neanche
“kamikaze”.
Paradosso di ferro in siringa di
melassa
Figlio
prediletto di quella madre sempre incinta, il Veltronadosso (crasi di
Veltroni e paradosso, se non si fosse capito), batrace ammollato negli
stagni dell’eterno ritorno, con quattro occhi allo Stato di polizia e
una strizzatine alle sue prossime vittime, sostiene il referendum del
solito Segni scanna-pluralismo, quello che vorrebbe dare ai vincitori,
anche solo del 20% , una maggioranza di 350 seggi, facendo l’Erode per
tutti gli altri. Ma non lo firma. Un autentico prestidigitatore del
paradosso, questo capofila dei sindaci d’ordine cofferatiani! I
referendari, intanto, offrono una scintillante opportunità di mettersi
in luce, ovviamente col pensiero alla categoria dei futuri votanti:
25-35 anni, bella presenza,
professionale, disponibile, intraprendente, abbigliamento da definire
(maglietta Veltroni?)
cercasi promoter per raccolta firme referendum, otto ore di lavoro, 50
euro netti al giorno, 1.050 euro per 21 giorni, se ti interessa chiama
il numero… Ma Veltrusconi riesce anche a fare di peggio.
Prendendo la testa dei falsi e bugiardi piagnoni sui giovani
sterminati dalle pensioni dei vecchi, sulla “Repubblica” lancia un
appello agli anziani per un “patto generazionale” che in realtà è il
tentativo di innescare una guerra tra le generazioni. Generazioni da
far fuori l’una e l’altra, per le spanzate di tavola e di potere di
tutti i veltrusconi del mondo. Dopo la guerra, nei secoli collaudata,
tra poveri, quella tra confessioni, quella tra civilizzati e selvaggi,
quella tra terroni e polentoni, quella tra etnie, ecco un’altra astuta
trovata di questi cinici figli di Messalina e del capitale.
Appropriatamente affianca Veltroni, come da anni in ogni girello a
360° gradi, la ballerina del Briatore malindiano, Melandri. Di quel
prestigioso gestore di macchine e night d’appuntamento da Gran Premio
che, solleticato da tanto esempio, ora scende in politica pronunciando
la formula magica: viva lo scalone, pensione a ottant’anni e boia chi
molla! E non dovrebbe provocarvi stupore che, lungo le scalinate del
Campidoglio, sfilino pupattole di lusso con indosso la “maglietta
Veltroni” che Gattinoni ha ideato per le “donne di potere”,
nientemeno: lamé d’oro e, ricamato con scintillanti
pailettes, il volto, per
l’occasione rassodato, del batrace.
I care, per quelli che se
la possono fare, ovviamente. Lo stesso Veltroni ha poi invitato le
plebi del mondo, per le quali tanto
he cares,
a procedere alla mostra di Valentino, all’Ara Pacis, dove
potranno impiegare il proprio salario di un anno per assicurarsi un
paio di “mocassini Veltroni” di coccodrillo.
Paradossi sottili come mannaie
Paradossi di
un “dottor sottile” tanto sottile da provocare una pandemia di stizza
da Palermo a Islamabad quando, con raffinata sottigliezza, assegna le
botte alle donne alla “tradizione siculo-pachistana”. Come si fa a
dubitare che il sottile Giuliano Amato non sia davvero la rottura
della continuità con il Berlusconi della “macelleria cilena” a Genova?
Solo perchè, anche se un po’ paradossalmente per un “centrosinistra”,
è stato lui, socialista sottile, premier fino a due mesi prima, a
mettere in piedi l’apparato degennaresco che ha sospeso l’ordine
democratico al G8, massacrando, aggiustando prove e taroccando
documenti? Epperò non è forse lui che, a seguire, vaticinando da mane
a sera minacce terroristiche ed eversive e costringendoci a rintanarci
per la paura nelle nostre tane di talpe solitarie, fa bastonare dalle
sue forze d’ordine tutti i non convinti
antipolitici:
ambientalisti, migranti, operai, pensionati, studenti,
pacifisti-non-alla-Flavio-Lotti? La qual cosa crea un
ambience incoraggiante
per manipoli di vigili-rambo, dotati di armi da guerra e karatè,
reclute di caramba, polizia, finanza, estratte preferibilmente dai
reggimenti con i labari littori nelle camerate, che si sono fatti
onore seviziando musulmani, nonché per squadracce di Fasci che
spaccano teste ai concerti e dove capita. Squadracce di squadristi,
covati anch’essi in quel ventre sempre incinto e che consentono di
dire alla destra fascistizzante che, più a destra, esiste una destra
fascistizzante (ovviamente speculare alla sinistra antagonista). Tutto
fa brodo per lo Stato di polizia planetario prossimo venturo, come
dimostra, a partire dal Patriot
Act, legge contagiosa quanto altre mai, anche la
Guantanamo tedesca al G8 di Heiligendamm, o la
banlieu della
racaille di Sarkozy, o la
Gran Bretagna normalizzata dagli autoattentati, dove si possono
incarcerare bambini di dodici anni e detenere sul sospetto per mesi
chi ti pare.
Salviamo il clima, roviniamo il
clima
Non so se
irriti di più le mucose gastriche il paradosso dei terroristi che
sterminano vittime chiamate terroristi, o quello che vede il popolo
bue degli antipolitici di Palazzo, dei media e dei farlocchi esplodere
in ovazioni all’apoteosi della devastazione planetaria ulteriormente
agevolata dalla presentazione della nuova “Cinquecento”. Se ne sono
riempite paginate di giornali e messe cantate televisive,
parlamentari, presidenziali. Dice nientemeno che il “manifesto”:
“Abbiamo provato la macchina senza età”. Peccato che il gingillino da
rifilarsi ai senza-trasporto di tutto il mondo – 5 milioni entro tre
anni - contribuirà a segnare la fine della nostra, di età. Solo
qualche ora prima, non se ne era ancora asciugato l’inchiostro, gli
stessi commessi viaggiatori politico-mediatici avevano levate
strepitanti geremiadi sullo sfascio del pianeta causa, tra l’altro, il
sovraccarico di trasporto privato. Alla Fiat che gliene cale? Anziché
dedicare due minuti alla ricerca di ecoauto, magari ad acqua, o,
meglio, a confortevoli carrozze ferroviarie, ti rifilano come nuova
una vettura che più vecchia come il cucco e più antiecologica non si
può. Sono i “miracoli” di Marchionne.
Giovani da
sottrarre a padri sanguisughe
Il fondo
dell’ipocrisia, lo raggiungono, nelle cloache dell’underground
politico ed etico, tutti coloro che nei giorni di prim’estate 2007 si
sono strappati i capelli sull’infelice destino di milioni di giovani
che verranno ridotti alla fame dalla voracità dei pensionati. Quelli
cui abbiamo accennato quando abbiamo messo le mani nella fanghiglia
veltruscona. Pensionati parassiti, si rampogna, che, scoperto come la
copertura per le pensioni ci fosse ed ampia nei decenni, si rifiutano
di morire di fame, visto che, oltrettutto, i famosi giovani ridotti a
variabile dei ghiribizzi del sistema, sono loro, i vecchi, a
mantenerli fino ai trent’anni e oltre. Con grande soddisfazione di
Padoa Schioppa e dei padroni dei contratti a termine. Sfilava,
lacrimando per i giovani, il fior fiore dei generati dalla madre
sempre incinta: Montezemolo, Padoa Schioppa, D’Alema (che però avrebbe
preferito bombardare), la coppia Prodi-Berlusconi, Veltroni (che,
però, fedele al suo doppio, ai pensionati riserva buffetti e ai
giovani concertini), Bersani, Rutelli, Draghi, accademici fronzuti,
sottopancia della tuttologia, tutti agli ordini di Bruxelles, della
BCE, del FMI, dell’Ocse e di altri organismi democraticamente eletti e
rappresentanti fedeli dell’interesse collettivo. Padri e figli della
stessa schiatta che anni fa, con bugiarderie e piagnistei identici,
ci fregò, insieme ai gioielli di famiglia regalati dai ricettatori
Draghi, Prodi e Amato al padrino estero, la scala mobile, c’impoverì
col contributivo, ci fottè il TFR, ci bloccò la contrattazione
nazionale e aziendale, s’inventò una guerra ai giovani chiamata
precariato e ne fece la chiave di volta del risorto (in perfetta
sintonia politica con la messa latina del compare tedesco)
protocapitalismo. Poveri giovani, gli stessi che vengono ricondotti
alla famosa moderazione dalle botte e torture poliziesche quando si
azzardano di obiettare allo spianamento del paese e della vita in nome
degli interessi di chi si nutre di esseri umani e di ambiente. Gli
stessi che vengono criminalizzati se fumano uno spinello anziché
avvelenarsi con hamburger pieni di cacca, o se giracchiano per la
città dopo il coprifuoco, anziché andare in Riviera col SUV o, sempre
a la page, al Pub con
la “Nuova 500”. Poveri giovani derubati dai vecchi della pensione che
sarebbe stata garantita da una vita di salari di fame, dieci anni di
disoccupazione, altri venti di lavoricchi a termine e gli ultimi
cinque o – domani, chissà – dieci, quindici, di espulsione dal mercato
per “far posto ai giovani”, la generazione successiva da gabbare.
Paradosso? Ma no, non offriamo forse ai giovani, al prezzo di una
macchina da Gran Premio, una rombante Cinquecento? E’ quanto hanno
capito ed apprezzato alcuni giovani fighetti che, al grido di
battaglia del commissario Ue, Almunia, e dei veltrusconi del PD, si
sono inquadrati per marciare a sostegno dello scalone pensionistico
fin sotto le finestre dei sindacati. A chiedere che collaborino alla
loro sodomizzazione (come se ce ne fosse bisogno!). E pensare che
hanno in uggia il Gay Pride.
Altro paradosso. Vogliamo scommettere che si trattava proprio di
quelli assunti per il referendum:
25-35 anni, bella presenza, disponibile… 50 euro al giorno…
Cosa non si farebbe per 50 euro al giorno! Questi
sotto-vice-portaborse sono sicuramente stati impalmati da
Veltruschioppa con il seducente miraggio delle ricorrenze analogiche:
dalla marcia dei quarantamila della Fiat a quella dei veltruschioppini.
I 40mila buttarono in vacca dieci anni di avanzate proletarie e
riguadagnarono un ottimale tasso di profitto ad Agnelli e agnellini? E
così farete anche voi e vi se ne renderà merito, gli dissero. Solo
che la marcia di Padoa Schioppa, Veltroni e picciotti vari, è riuscita
a metterne in fila appena 14. Forse non tutto è perduto.
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