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LIBERAZIONE ? (Secondo)
03/03/2004
In Rai non misi più piede, dopo 16 anni,
a partire dal 24 marzo 1999, inizio dei bombardamenti sulla Jugoslavia
e dello sfascio imperialista di quel paese. Diversamente dai vari
trombettieri al TG3 dell’infame menzogna dell’”Intervento
umanitario”, Botteri, Della Volpe, Fichera, Bonavolontà, Scardova, con
annessi conduttori del tg, mi ero documentato e avevo potuto
constatare che la RAI e il TG3, già immeritatamente definito Telekabul,
avevano assunto in pieno il ruolo di disinformatori e intossicatori,
proprio di tutti gli altri media al servizio della guerra Nato.
Constatazione che poi ho potuto ampiamente confermare e rafforzare
recandomi subito in Jugoslavia e diventando testimone oculare
dell’immane architettura di inganni (dittatura, pulizia etnica, fosse
comuni, lager, massacri, nazionalismo serbo, Sebrenica, Racak,
Sarajevo) costruita da chi non aveva altri obiettivi che quello di
frantumare una nazione di popoli e confessioni convissuti in pace per
70 anni e che avevano anche costruito un buon segmento di socialismo,
e di aprirsi la strada verso le regioni petrolifere e oppiacee
dell’Asia centrale. Qualche indicazione di questo tradimento
dell’etica giornalistica l’avevo già avuto, fin da quando il direttore
Alessandro Curzi si sperticò in elogi per tale Filippo Landi (oggi
appropriatamente corrispondente da Gerusalemme) che aveva raccontato
sul TG3 la “gloriosa guerra di liberazione della Croazia cattolica e
woytiliana contro i comunisti mangiabambini jugoslavi e serbi. Ma
sapete com’è, uno si illude, pazienta, spera finchè può, anche perché
tutte le alternative erano chiaramente peggiori.
Da “Liberazione”, organo del PRC, fui
cacciato nel maggio del 2003 per aver scritto che i processati e
condannati a Cuba non erano per niente “intellettuali dissidenti” e
“minoranze represse”, bensì, come fu poi ampiamente provato,
terroristi mercenari al soldo degli USA, attori di un’ampia e
sanguinosa campagna di attentati terroristici che avrebbe dovuto
provocare l’aggressione statunitense all’isola. In effetti, mi avevano
già messo a pochi centimetri dalla porta per non aver cantato la
canzone del padrone a proposito del “criminale nazionalista” Milosevic,
del “terrorismo” palestinese, di molte faccende irachene e, tutto
sommato, della lotta di liberazione che spetta di diritto a classi e
popoli oppressi e sfruttati. Già incombevano le trombe del giudizio
universale di comunisti e rivoluzionari: la non violenza.
Ma se non mi avessero cacciato come
neanche la McDonald’s nei confronti di uno schiavetto che ha fatto
cadere un hamburger, ebbene oggi me ne sarei andato io. La misura
risulta colma, pur essendo stata già di dimensioni iperboliche per le
cateratte “nuoviste” che vi si erano precipitate a partire dall’ultimo
congresso del PCR. Molti hanno parlato di una mutazione a dir poco
genetica del partito, che avrebbe dovuto rifondare il comunismo, in
direzione di una formazione dal profilo indistinto, vagamente buonista
e migliorista, al meglio saragattianamente socialdemocratica,
rigorosamente disarmata, senza neanche un ciotoletto in mano,
figurarsi un pugno chiuso, anzi a mani giunte, UEista e sicuramente
compatibile con lo stato di cose esistente, tanto da ambire al governo
dell’esistente. Un esistente notoriamente guerresco, violento assai -
quello sì! - e confindustriale, con incarnazioni come D’Alema, Amato,
Rutelli, Mastella, Fassino e con sue espressioni intellettuali quali
Revelli, Bobbio, Negri, o Imma Barbarossa (chi era costei?)
La goccia estrema del traboccamento di
un vaso dal vino rosso andato in aceto è stato il trattamento
riservato dal “giornale comunista” all’apocalisse imperialista
eurostatunitense (sì anche di quell’Europa alle cui regole il nuovo
Partito della Sinistra Europea di Bertinotti e altri panda deve e
vuole conformarsi)inflitta al disgraziato popolo di Haiti. Popolo di
schiavi neri della prima rivoluzione latinoamericana, popolo mille
volte invaso dai barbari del Nord, affidato a sgherri del Nord altro
che Saddam, liberatosi ancora una volta e ”democraticamente” con un
presidente dei poveri (ma i nazisti non dimenticano). D’accordo,
s’erano già superati tutti i limiti del veritiero e del giusto in
tante occasioni contingenti e su tante questioni di principio,
dimostrando una subalternità da carta carbone al sistema di
disinformazione, mistificazione e menzogna sistemica del dominio più
reazionario e feroce dai tempi della Controriforma. Dell’offensiva
imperialista. “Liberazione” ha via via accettato passivamente tutti i
paradigmi fondamentali. Basta pensare alla demonizzazione dei nemici
da abbattere, da Milosevic a Castro, dai russi in Cecenia a Saddam,
in ciò agevolando oggettivamente, nonostante pigolii di critica sul
metodo, tutte le aggressioni, le stragi, le distruzioni, le
devastazioni, gli squartamenti. Oppure, peggio ancora, si pensi alla
dicotomia, definita “spirale”, di guerra e terrorismo, intrinsecamente
in linea con la furbata israelo-anglo-italo-statunitense della “guerra
necessitata dall’esistenza del terrorismo” (ovviamente islamico: è
dove stanno i musulmani che stanno gli idrocarburi e la massima parte
degli stupefacenti), che ha poi imposto lo scandaloso silenzio sulle
scoperte di investigatori imparziali di mezzo mondo e soprattutto
negli USA circa le vere responsabilità dell’11 settembre, alibi
sine qua non della guerra
preventiva e permanente, molto preventivamente programmata.
Aver chiuso con ogni forza gli occhi
(come ad altissimo livello di partito si è fatto in un Seminario su
terrorismo e guerra quando ho citato le incongruenze e falsità delle
versioni ufficiali, documentate da fonti assolutamente attendibili, le
mille prove di un terrore programmato nel ventre del mostro
imperialista) davanti alle spaventose verità che vanno emergendo
sulle Torri Gemelle: è questo il fatto più grave e imperdonabile.
Accettando che la guerra si fa contro terroristi che buttano giù
grattacieli, colpiscono il cuore militare della nazione e ammazzano
migliaia di innocenti, e che il terrorismo è a sua volta una risposta
alla guerra imperialista, non si fa che lubrificare gli ingranaggi
dello sterminio, della riconquista coloniale, degli sterminii in
massa, dell’assoggettamento dei popoli del mondo a un groviglio in
neonazisti, integralisti cristiani, multinazionalisti antinazionalisti
(nel caso degli altri) ed espansionisti, vessilliferi del complesso
militar-industriale. Ne consegue l’incapacità - o rifiuto – di
analizzare i meccanismi del dominio e di opporvisi. La buona fede in
questa oggettiva amicizia per il giaguaro è messa poi in discussione
dall’assalto alla biologia, alla storia, alla decenza, al buonsenso e
al futuro degli oppressi attraverso un violentissimo bombardamento di
non violenze estese ad assunto universale e assoluto. Ne consegue
anche una coltellata alla schiena a interi popoli che resistono con la
forza, come giustizia, diritto ed etica comandano, alla barbarie
genocide dell’aggressore, in Iraq, Palestina, Cuba, domani Venezuela,
Brasile, e chissà quali altri popoli che, già solo per dignità, si
sollevano in armi contro i cavalieri dell’apocalisse (e loro
palafrenieri “non violenti”). Tutti terroristi, per “Liberazione” e
guai se si azzarda un’”Intifada fino alla vittoria”. Oltre a tutto
striderebbe con l’acquiescienza del giornale al ricatto sionista e
della comunità ebraica in Italia dell’anatema di “antisemitismo” con
cui si impiccano i critici del sionismo razzista e colonialista e chi
guarda con maggiore preoccupazione ai ben più credibili rigurgiti
razzisti e antisemiti nei confronti di arabi e immigrati vari in
Europa.
L’epitome di tutto questo sta nella
gestione dell’affaire Haiti
da parte di “Liberazione” e nel confronto con quella di un giornale,
peraltro spesso non impeccabile, come “Il Manifesto”. Oggi, 3 marzo,
ancora in pagina molto interna, da roba secondaria, il “giornale
comunista” balbetta finalmente qualcosa su un “colpetto di stato” di
Washington e rettifica leggermente, per merito di Daniele Zaccaria,
una linea di vergognosa subalternità all’informazione golpista. Forse
perché non si poteva più far finta di niente dopo che “Il Manifesto”
aveva dedicato la prima e poi un’intera pagina interna alla feroce
aggressione statunitense, con tanto di biografie di quelli che
“Liberazione” chiama i capi degli “insorti”, o dei “ribelli” e che
invece risultano ergastolani, massacratori al servizio prima dei
dittatori Duvalier, e poi della controrivoluzione pagata e istruita
dalla Cia (gangster usciti da scuole militari USA come lo stragista
narcotrafficante Guy Philippe, i serial killer tonton macoute
Jean-Pierre Baptiste, Louis-Jodel Chamblain, Emmanuel Constant). Ma
per tutto il tempo in cui si è dipanata l’infiltrazione degli sgherri
USA da Santo Domingo e che si è messo a ferro e fuoco un paese che non
si poteva più tollerare governato da chi provava a sollevare la sorte
del 90% di miserabili schiacciati sotto il tallone dei latifondisti
filo-USA e a disobbedire, per quanto possibile nei morsi della fame,
ai diktat degli amerikani FMI e BM, per tutti quei giorni quel tabloid
ha dedicato all’ennesimo crimine latinoamericano USA – del tutto
paragonabile all’uccisione dell’Iraq o della Palestina - un quarto di
una sua paginetta, in fondo al giornale politico, mantenendo
un’equidistanza degna dell’ANSA tra la versione che sparlava di un
Aristide (unico presidente democraticamente eletto) “corrotto e
repressivo”, anche un po’ matto, e quella che attribuiva a Washington
un qualche ruolo nel “colpetto” di Stato. Lo stupro di Haiti è del
tutto assimilabile a quello che gli USA stanno da tempo programmando
per Cuba. Anche allora si vorrà riservare uno spazio marginale
all’evento, magari deplorando la resistenza armata del popolo?
Aristide aveva sciolto l’esercito. A Cuba c’è invece l’esercito
rivoluzionario e il generale Francisco Gonzales, detto “Pancho”, un
veterano della rivoluzione, compagno del Che, vicecomandante nel
Secondo Frente di Raul Castro, che oggi cura coltivazione biologiche e
energie rinnovabili nella Sierra Maestra (e quindi, non essendo
diventato un brutale detentore del potere, smentisce l’insensato
assunto del fine che viene corrotto dai mezzi), mi disse una volta:
“Siamo vivi perché siamo armati”. E il cielo sa quanto ha ragione,
alla faccia del disarmatore unilaterale Marco Revelli.
Tutto questo è indegno e insopportabile
per chi compra quel tabloid credendo di trovarvi un’informazione
alternativa, non subalterna e quindi veritiera. Dovrebbe esserlo
ancora di più per chi ci lavora. Un qualche Comitato di Redazione ha
forse sollevato un’obiezione, magari solo un sopracciglio, per come è
stato minimizzata e praticamente nascosta la zampata imperialista nel
“cortile di casa”? Si è forse trattato, da parte dell’esperta
condirettrice Gagliardi, dell’ennesima
captatio benevolentiae del
partner D’Alema, - avete visto il cinguettio tra Bertinotti e il
compagno opusdeista e inciucista al Costanzo sciò? - uno dei più
validi demolitori delle istanze di liberazione latinoamericane, a
partire da quella venezuelana, dove l’ex-premier si è schierato in
toto accanto all’oligarchia fascista e contro la rivoluzione
bolivariana? Vedi il giornale dei
golpisti italiani di Caracas “La Voce d’Italia”)? Avete
visto come ieri, ennesimo giorno della brigantesca invasione di Haiti
da parte di terroristi mercenari in mimetica da ribelle e in divisa da
marine o parà francese, il veleno delle sbagliate corrispondenze sul
colpo di Stato USA abbia potuto infettare perfino un disegnatore
astuto e acuto come Apicella (che, pure, da anglofobo l’avrebbe potuta
sapere più lunga). La sua vignetta raffigura una mamma palestinese
con figlio, nella casa a Jenin distrutta dagli israeliani, angosciati
e ansiosi davanti a uno schermo tv che racconta come a Haiti si sia
verificato un “pronto intervento di truppe francesi e americane”. Il
titolo in alto dice nientemeno: “Sognando Haiti”! Avete capito? I
palestinesi, a cui è negato l’intervento di truppe “di pace” che li
salvino dal caos, devono “sognare” una Haiti dove quell’intervento
invece c’è stato!
Si misurino, alla luce di questa
indifendibile caduta politica e, addirittura, professionale, le
posizione del giornale (certamente non farina esclusiva del sacco di
Curzi, Gagliardi e subalterni) su violenza e non violenza (esce un
libro definito “dibattito” in cui su 50 interventi 40 sono di parte
non violenta), sull’11/9, sulla bontà degli interventi ONU (ONU reduce
dall’avallo di Haiti, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, embargo
e mille altre mostruosità imperialiste), sulla falsa contrapposizione
tra “conservatori” iraniani e “progressisti” borghesi con la bandiera
a stelle e strisce, sui “ribelli” ceceni di Al Qaida (cioè Cia), amici
di Pannella e di Sofri, e “massacratori” russi, sul “terrorismo”
palestinese o iracheno. Mai un dubbio – diffusissimo nella sinistra
mondiale - che certe stragi di sciiti o certi scambi di bombe tra
moschee sunnite e sciite possano essere riferiti alla palese
strategia israelo-statunitense di provocare una guerra civile che
disintegri il grande paese disobbediente, o che certe bombe a Istanbul
possano voler punire una Turchia altamente offensiva per aver proibito
l’uso delle basi, il passaggio delle truppe USA e l’invio delle
proprie in Iraq, eccetera, eccetera, eccetera: dopotutto la storia
insegna – a noi, non a “Liberazione” – che Washington ha praticato il
terrorismo come pretesto per tutte le sue guerre. Infine, è mai
possibile accreditare un’autonomia antimperialista a quell’Al Qaida
che dalla Cia è stata creata e la Cia ha servito in Bosnia, in Kosovo,
ancora oggi in Macedonia, Algeria, Filippine, ovunque agli ordini e
negli interessi dei guerrafondai di Washington?
Chiediamoci: “Liberazione” c’è o ci fa?
Se c’è, va chiusa. Se ci fa, merita una delle infinite
“trasformazioni”, “innovazioni”, “cambiamenti” di cui “l’altro mondo
possibile” tracima quotidianamente. Parafrasando un’orrenda
sgrammaticatura del segretario del PRC (un verbo intransitivo stuprato
in transitivo), subito ripetuta ad
libitum, come consuetudine, da mille pennaioli e oratori
del seguito, lanciamo un appello: nei confronti del giornale è ora di
agire la critica
rivoluzionaria.
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