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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

AL LUPO IL PELO GLIELO STRAPPANO E IL VIZIO  GLIELO AFFIBBIANO

Arma non letale numero 1: l’omologazione degli informatori alle infinocchiature imperialiste. Dai “diritti umani” ai “mostri sanguinari”(e meno male che ci sono i Cobas)

 

17/06/2006

 

La Rai, Bernocchi e gli altri

C’è stata un’assemblea alla Casa delle Culture, Roma, nella quale, rispetto alle centinaia di partecipanti che meritava, c’erano 35 persone. Si parlava, all’ombra dell’ondivago nuovo governo Prodi, di guerra, truppe italiane e nuove armi e si proiettavano filmati di Rai News 24, alla presenza degli autori. Uno, piuttosto raffazzonato, nel quale si denunciava la produzione militare di una ditta di Colleferro e si illustravano gli effetti delle bombe a grappolo anche sue (insistentemente da tutti chiamate cluster bombs, con i soliti accenti indecifrabili degli italiani negati all’anglofonia) alla luce delle attività dell’ospedale di “Emergency” in Kurdistan. E qui osservo che non ho mai capito perché il valoroso Gino Strada non operi a Baghdad o Falluja, piuttosto che in una regione da 15 anni pacificata e normalizzata sotto controllo Usa e israeliano. E mi sovviene anche l’arguta domanda posta al chirurgo in un dibattito universitario, su come mai in Sudan, dove le malattie endemiche e sterminatrici sono quelle classiche africane – malaria, tbc, gastriti, e tutti i derivati della denutrizione e deigienizzazione – impianti un costoso centro cardiochirurgico ad alta specializzazione, utile essenzialmente alle élite colesterolose e a pochi altri. L’altro reportage, ad opera dei miei antichi colleghi al Tg3 Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta (costituivamo un gruppetto di eterodossi maltollerati già ai tempi della “Telekabul” di Sandro Curzi), parlava delle nuove armi ad energia messe in campo dai terminator occupanti, a perfezionamento dell’apocalisse di atrocità già in corso, collaudati su corpi iracheni in vista di un impiego privilegiato su manifestanti e riottosi interni al mondo capitalista.

 

Nei successivi interventi, a volte ambiguamente pacifisti, salvo per la precisa messa in mora del governo unionista, con i suoi protagonisti reiteranti guerrafondai, da parte di Franco Ottaviano (Casa delle Culture) e, soprattutto, per le parole rigorose rispetto allo sbraco “sinistro” generale, di Piero Bernocchi (Cobas). Davanti a chi ciancia, con la spada di D’Alema sul capo, di “governo amico”, e chi tenta di annidarsi negli interstizi del sistema avallando l’autenticità della megaimpostura “Al Qaida nemico globale degli Usa”, è il caso di dire “meno male che ci rimangono i Cobas”. Bernocchi, escludendo qualsiasi sconto al governo del “fuori dall’Iraq, mo’ vediamo, ma  alla grande dentro all’Afghanistan”, ha proposto un presidio-assedio ai cerchiobottisti del parlamento (uno per tutti, lo sprovveduto bastonaserbi Ramon Mantovani, bertinottista, che pigola di “discussioni ancora da farsi  in vista di mediazioni e accordi”). Vista la devastazione di un movimento pacifista in buona parte privo di armi strategiche e zeppo di retropensieri, non sorprende la previsione di Piero: “saremo in pochi”. Ma infileremo il dito nella piaga a nome della maggioranza antiguerra del paese, siamo cartina di tornasole, bastano poche mani per sbattere nella bratta  le orecchie di non-violenti-salvo-in-Afghanistan e violenti-ma-con-l’Onu, come il tavoliere d’anticamera Flavio Lotti e  poltronieri “filopalestinesi”, ma devoti a un Campidoglio con stella di Davide, tipo sinistrina del quartierino. Come dopo la contromarcia dei mille antimilitaristi del 2 giugno, ci resta il valore aggiunto di poterci guardare allo specchio con più soddisfazione di molti altri. Dopotutto, quanti erano quelli che iniziarono l’unità d’Italia? (Di Bernocchi vedi anche l’ineccepibile intervento sul “manifesto” del 17/6/06).

Al lupo, al lupo!

Torrealta ha dichiarato di ritenere il New York Times, giornale d’elite segnato da mille sputtanamenti filo-nazisionisti, il golden standard (riferimento aureo) del giornalismo. Una sua collega ha ripetuto la giaculatoria del Saddam “gassatore dei curdi a Halabja”. Peccato per giornalisti che, pure, hanno fatto lavoro di rottura. E qui entrano in ballo cappuccetto rosso e il lupo cattivo. Questa autentica mistificazione finalizzata alla conservazione di autoritarismi feroci, da noi di ascendenza giudaico-cristiana, modulata in letteratura dai fratelli Grimm, è il paradigma di tutte le imposture di potere basate sul rovesciamento dei ruoli. Al lupo, cui gli umani hanno progressivamente rapinato lo spazio vitale, toccavano, come a Milosevic, a Saddam, a Fidel, a Ho Ci Min, a tutti i renitenti al colonialismo e al padrone, le stigmate del cattivo. Alla fanciulla, con la mantellina rossa, la parte del subalterno da domare inibendogli a tutti i costi l’incontro – e l’accoppiamento - con l’altro (maschio). Madre e nonna, in linea gerarchica depositarie del potere, se la passano l’una all’altra perché le obbedisca, serva e nutra e poi maturi a loro immagine e somiglianza e a perpetuazione del sistema. Cappuccetto deve attraversare il bosco (il mondo esterno, pubblico), ma rigorosamente senza deviare dall’unica retta via, da nonna a mamma. Guai ad inoltrarsi, da sola, nell’ignoto che giustamente l’attira. Guai a sperimentare una iniziazione autonoma e non guidata e controllata. C’è il lupo, il sesso, l’albero della conoscenza: minaccia, paura. E se poi, come Eva, cede alla vita, alla verità e alla libertà ed entra nel bosco, ecco che il lupo, vittima ma ribelle non domato, trasmutato dalle due donne in carne-fice (terrorista), divora la nonna e, quindi, la nipote, (insomma trombano), sovvertendo l’esistente: rivoluzione. Infine, spunta il cacciatore (lo Stato borghese armato) che squarcia il lupo eversore, ricupera la bambina e, ahinoi, la nonna e ristabilisce  l’ordine…matriarcale. In un mondo a dominanza agropastorale, dove un lupo, escluso e diffamato, costretto in spazi sempre più ristretti, sopravvive prendendosi pecore e polli dell’invasore occupante, la sua mostrificazione a fini di soluzione finale era un vero balsamo su eventuali, fastidiosi ritorni di coscienza. E così una valorosa e vincente resistenza di popolo, allestita e guidata da una dirigenza che a tutti gli effetti costituisce il legittimo Stato iracheno aggredito, viene degradata in terrorismo e, non bastando, se ne crea un’altra al proprio servizio che confermi l’assunto a forza di stragi orribili, peggio di quelle mai attuate neppure dai nazisti. Interessante vedere come, oltre i dissensi iniziali tra potenze sull’aggressione all’Iraq, sia bastato l’attimo fuggente per ricompattare l’intero mondo occidentale su metodi totalitari interni e obiettivi bellici colonialisti: “terrorismo islamico”, Iran, Siria, Libano, Sudan, l’”asse del male” latinoamericano (con il davvero maleodorante D’Alema che assicura ai terroristi di Stato Usa tutto il suo appoggio contro Fidel, Chavez e Morales).

“L’uomo degli americani”

E come si farebbe senza i “lupi” Castro, Chavez e Morales a scatenare i propri terroristi e ascari, prima, ed eserciti, poi, a recupero del “cortile di casa? E come si potrebbe continuare a sterminare gli arabi e recuperare quei territori strappati al colonialismo senza i “lupi” Hamas, Saddam e Assad? Come si sarebbero potuti affidare a propri fiduciari in regimi fascistizzanti, mafiosi o narcotrafficanti le parti più interessanti dei Balcani, senza il “lupo” Slobo? E l’Iran e il Sudan, come se ne potrebbero spezzare le reni e soffiare le risorse senza i “lupi”Ahamadinejad e Omar el Bashir? La tattica è vecchia come il dio ebraico che satanizzava serpenti e femmine (salvo poi rimatriarchizzare i suoi dipendenti con la vergine Maria e con la Mater Ecclesia). E così la nostra povera collega della Rai ripete a pappagallo la bufala di Halabja, incurante delle smentite arrivate da altissimi livelli (tra le altre, quella di Stephen Pellettiere, sul New York Times del 31 gennaio 2003, capoanalista Cia del conflitto Iraq-Iran) che tutti attribuiscono la strage da gas all’esercito iraniano, intenzionato a colpire la guarnigione irachena di Halabja, esercito che fu il solo a impiegare gas nervino in quel conflitto, mentre l’Iraq ne era privo secondo tutte le intelligences del mondo (per la verità su Halabja vedi anche: www.informationclearinghouse.info/article1779.htm). E così si perpetua, pigramente e collusamene, l’invenzione di un Saddam “alleato degli Usa e da questi armato”, quando basterebbe un’occhiata all’indagine del SIPRI (Stockholm Peace Research Institute, il più prestigioso del mondo per le armi) che rileva, tra il 1980 e il 2003 un 57% di forniture sovietiche e russe di armi all’Iraq, un 13% francesi, 12% dalla Cina, altre robette dai paesi dell’Est europeo  e ben l’1% (uno!) dagli Usa! Bell’ alleato! Alleato fidato, visto che negli anni della guerra tra Iraq e Iran ha mandato il proprio sodale sionista a bombardare il reattore civile iracheno e a rifornire di istruttori e piloti gli scarsi iraniani e visto che il Congresso Usa non ha mai stanziato un dollaro per l’Iraq e però milioni di dollari all’Iran ogni anno dal 1980 alla fine della guerra (vedi atti del Congresso)! Non chiedo neanche alla non proprio innocente collega di informarsi su cos’era l’Iraq di Saddam in termini di consenso, giustizia sociale, progresso industriale, economico, sanitario, culturale, emancipazione totale delle donne, insomma di diritti umani veri. Le chiedo, però, se pensa davvero che un regime tirannico e universalmente odiato potrebbe aver prodotto una resistenza di popolo, con centinaia di migliaia di combattenti “saddamisti” (dato dei comandi Usa) che, per quanto gli squadroni della morte Usa-Iran, siano chiamati al Qaida o milizie scito-curde, abbiano tentato di pervertirne l’immagine, ha inflitto agli Usa la più grave sconfitta dal tempo del Vietnam, politica prima ancora che militare?  E qui alle tre scimmiette del nostro giornalismo offro una chicca: il consigliere dell’ambasciatore Usa in Iraq per le questioni di “sicurezza” si chiama James Steele. Vale a dire che il colonello Steele sovrintende alle operazioni di sfoltimento demografico degli squadroni della morte facenti capo al ministro degli interni Jabr. Chi è Steele?  Steele era il superiore di Luis Posada Carriles, massimo terrorista in America Latina alle dipendenze della Cia. Secondo una denuncia del membro del Congresso Tennis J. Kucinich, esistono documenti che rivelano come Posada abbia fatto sistematicamente rapporto a Steele sui propri attentati, compreso l’abbattimento di un Dc-3 in Nicaragua e come Steele sia stato responsabile in El Salvador delle operazioni dei famigerati Contras contro la popolazione nicaraguense e i suoi dirigenti. 

 

Abbasso la memoria, da Belgrado a Baghdad

Prima di sposare la criminalizzazione gestita dalle apposite agenzie, a questi ripetitori dovrebbe interessare conoscere un tantino il contesto, anche quello di una società che solo grazie alla sua struttura tribale e dei capoclan ha potuto gestirsi e difendere coesione e spazi di autonomia sotto il millenario dominio di lontani imperi. Pretendere, su questo sfondo storico-antropologico e anche alla luce di un assedio spietato iniziato fin dalla rivoluzione indipendentista e sociale del 1958, l’immediata adesione alla nostra, del resto abbastanza fetida, democrazia borghese “rappresentativa”, non è che arroganza eurocentrica. Data la caratura attuale della classe politica e del suo clone giornalistico, è illusorio aspettarsi approfondimenti del genere. Ma almeno un minimo di memoria, sì perdio, per non farsi invischiare il cervello dalle esalazioni fanghigliose della guerra psicologica imperialista. Uno sguardo, anche distratto, sulle colossali operazioni di disinformazione che hanno preceduto e accompagnato guerre, efferatezze, terrore padronali, dal lupo in poi, dovrebbe essere il minimo della deontologia, anche per i più pigri e distratti. Si pensi a quello che, nonostante tutte le compiacenze, proprio non ha potuto essere spazzato sotto il tappeto. I massacri clionton-dalemiani dei civili negli ospedali, case, scuole, strade, treni, campi dei Balcani e la relativa copertura a forza di fumogeni “umanitari”: la falsa “pulizia etnica”, il rosario Sarajevo, la novena Sebrenica, recitati da star dell’impostura pacifista come Adriano Sofri e Alex Langer, la trasformazione della Jugoslavia in microstati malavitosi e clientelari e in campo di macelleria sociale per le multinazionali. Si pensi ai progetti colonialisti sull’Iraq ribelle da 45 anni, poi attuati attraverso l’istituzionalizzazione di carneficine di massa, torture, detenzioni segrete e orripilanti in tutto il mondo, bagni di sangue che mettono in ombra qualsiasi precedente, e le titaniche menzogne con cui a tutto questo si è spianata la strada e si sono atrofizzate le più elementari sensibilità umane. Si pensi come per mantenere in piedi questo castello degli orrori fosse indispensabile obliterare moralmente – e poi fisicamente, vedi Milosevic – la vittima e chiunque remasse nel senso della verità. Il più grande drammaturgo di lingua tedesca vivente, Peter Handke, viene additato all’odio e al disprezzo generali, ne vengono ostracizzate le opere, gli vengono ritirati i premi letterari, perché, oltre a non essersi piegato allo tsunami delle bugie, ha partecipato al funerale di un onesto e tragico difensore del suo paese, Slobodan Milosevic!

Processi imperiali

Anche a Saddam Hussein è riservata l’esecuzione certa, per impiccagione. La catarsi della menzogna in verità storica richiede quel sacrificio umano. Per fortuna la storia non sempre si fa abbindolare in perpetuo. Intanto alla bisogna accorrono magistrati, venduti agli assassini, che governano un processo rispetto al quale quello a Milosevic, con la badante di Washington Carla del Ponte, è l’apoteosi della procedura penale. Cacciato un presidente della corte che lasciava troppo spazio agli argomenti della difesa, nominato un PM, Jaafar al Mussaui, subito accusato da testimoni di aver tentato di corromperli, si è arrivato a quel giudice, Rauf Abdel-Rahman, che nel giro di un paio di mesi è riuscito a far picchiare gli imputati dalle guardie, arrestare e bastonare quattro testimoni della difesa, respingere praticamente tutte le obiezioni e richieste, sorvolare sull’assassinio di due avvocati difensori, cacciare dall’aula personaggi come Ramsey Clark, ex-ministro della giustizia Usa,  l’ex-ministro della giustizia del Qatar,  Najib al Noaimi, l’avvocata libanese Bushra a-Khalil “perché da donna e da scita non doveva permettersi di difendere Saddam”, utilizzare testimoni d’accusa anonimi, segreti e con ogni evidenza imbeccati, autorizzare minacce alla vita di tutto il collego di difesa. L’accusa a Saddam e ad altri sette coimputati è di aver firmato la condanna capitale di 147 persone accusate  di aver tentato di assassinarlo nella città di Dujail nel 1982. Un complotto che è risultato organizzato, in piena guerra, dagli iraniani e che in qualsiasi paese avrebbe determinato un processo per alto tradimento e collusione col nemico e la relativa  condanna. Condanna pronunciata dopo due anni di udienze assolutamente a termini di legge e senza alcun intervento del capo dello Stato. Condanna, poi, che non ha riguardato i 147 mercenari iraniani, se è vero che molti dei presunti giustiziati sono tuttora in vita e abitano a Dujail. Per aver testimoniato questo, nonché il tentativo di corruzione del PM, quattro testimoni sono stati arrestati per spergiuro. Due di questi sono poi comparsi in aula e in tv per revocare quelle “confessioni”. Fuggiti all’estero, hanno confermato le rivelazioni iniziali e, mostrandone i segni, hanno dichiarato alle agenzie di essere stati torturati perché smentissero la testimonianza. Niente di nuovo fin da Abu Ghraib, Guantanamo, Abu Omar e carceri segrete varie. Peccato che nessuno dei nostri valorosi informatori di sinistra se ne accorga. Il che  non ha impedito a Saddam e ai suoi compagni, a partire dal pur malconcio Tariq Aziz, della cui amicizia mi onorerò sempre,  di offrire al mondo un esempio di dignità, coraggio e integrità, tale da svergognare il verminaio che si è avventato su di lui e sul loro paese.

Armi non letali?

 Si è parlato, nel convegno citato, di armi non letali (NLW, Non Lethal Weapons).

Di quelle che, provate in Iraq, sparano energia, microonde, laser e, neppure percepite, oltre a provocare dolori insostenibili, sminuzzano, carbonizzano, vaporizzano. Per la verità, su queste armi i laboratori militari e dell’UCLA negli USA lavorano dai primi anni ’50. Sul loro sviluppo fino alle dimensioni delle “Guerre stellari” di Reagan, finalizzate non a fornire, come si pretende, uno scudo antimissilistico, ma a piazzare nello spazio cannoni ad energia che sono in grado di annientare popolazioni di troppo su vasti territori, nonché eventuali concorrenti spaziali, la letteratura, ovviamente ignorata dai nostri informatori, è assai vasta. Un buona sintesi la trovate in Planet Earth as weapon and target (www.worldaffairsjournal.com/article1.htm)

A queste armi vanno affiancate quelle, note come HARP, già in funzione negli Usa, in Canada e Regno Unito, che, agendo sulla ionosfera, sono in grado di provocare fenomeni climatici di portata catastrofica (alluvioni, terremoti, uragani, desertificazioni), nonché quelle, tragicamente più trascurate di tutte, che, modificando campi magnetici, utilizzando altissime e bassissime frequenze e alteratori acustici, incidono sull’equilibrio elettrico cerebrale e circolatorio, al fine di alterazioni psicofisiche disidentizzanti. Quando perfino da coloro che si collocano dalla parte delle vittime  della dittatura mediatico-politica si sentono ripetere, passivamente e senza un minimo sforzo di verifica, i falsi stereotipi della guerra psicologica, viene da chiedersi, seppure per paradosso (qui più che di controllo, si tratta di spontanea sottomissione) fino a che punto l’incubo della manipolazione mentale sia già realtà. Si potrebbe peraltro nutrire un fondato sospetto che così sia per opinioni pubbliche fatte greggi al seguito di personaggi raccapriccianti come Berlusconi, Olmert o i nazisionisti di Washington.

Luxuria nel coro

Naturalmente cantori di gesta come Bush, Blair Berlusconi e giù, giù fino a Bertinotti hanno bisogno del coro. Un costante rumore di sottofondo, tipo muzak, che accompagni e sostenga le esibizioni delle star. Di coristi ce ne sono tanti quanti i grani della sabbia, vista la convenienza. Ne cito un paio, particolarmente rappresentativi l’uno della profonda corruzione a cui si è lasciata andare una formazione che si presentava di sinistra, il PRC e il suo giornale. L’altra, esponente di quella vasta schiera di ingenui disinformati, ma dotati di una sconfinata presunzione, che sono in assoluto i più dannosi perché vestiti di candore e di buona fede. Il primo è stato oggetto più volte del mio disgusto. Guido Caldiron di “Liberazione”, strombettando come quell’altro, il bibbiofilo folle Erri De Luca, con pessima prosa per pessime cause sioniste, corre disciplinatamente a riparare i danni provocati dalla pur reticente informazione sui crimini israeliani e imperialisti e, contro le rivelazioni agghiaccianti sulle stragi in Palestina, a Haditha e Ramadi, spara la sua carezzevole intervista a una spia irachena fuggita negli Usa, Zainab Salbi, presidente di Women for Women, l’ennesima mascheratura pseudo-femminista della guerra psicologica imperialista. Sotto il titolo “La mia infanzia nel terrore di Saddam”, questa prezzolata propagandista teocon indica alle madri irachene l’esempio di quelle vietnamite “che affidavano i loro figli a soldati americani perché li portassero lontani dalla guerra, salvandogli così la vita”. Roba tanto grottesca da risultare ottusamente controproducente. Per la seconda categoria incontriamo, con una citazione a proposito di truppe in Afghanistan, la nota VIP del pacifismo integralista Lisa Clark: “Noi non siamo contrari per principio a protezioni militari. Esistono in varie parti del mondo missioni civili sotto l’Egida dell’ONU (!) affiancate da polizia internazionale (!)”. Pacifista integralista? Alla maniera di Santa Lidia Menapace, sulle cui gote ancora attendiamo un po’ di rossore per avere, con grande sensibilità etico-politica, sostituito senza batter ciglio il candidato Marco Ferrando, decandidadizzato dal monarca Bertinotti su disposizione di alcuni nostrani “signori della guerra”. Mors tua vita mea. Menapace, un po’ meno menapace quando, sull’Afghanistan, si limita a chiedere “il metodo del consenso per arrivare a una soluzione condivisa…” (“il manifesto, 17/6/06)

Spicca invece per insopportabile compitezza Vladimir Luxuria, neodeputata di Bertinotti, di cui, intanto, deploriamo la conversione da icona eversiva ed iconoclasta in copia di Daniela Santanchè, in tailleurino perbenino, tutta pipina pipina e artefatta. Dove però Luxuria realizza appieno il suo ruolo di corista è quando si avventura in valutazioni di costumi e politiche. Prodigiosamente, essendo l’unico criterio di questo fenomenale spostamento di priorità la minore o maggiore omofobia, ne escono dannati Palestina, Hamas, l’Islam ovviamente fondamentalista e si salvano alla grande Marocco, Tunisia e Turchia, nonché Israele, dove trovano salvezza i poveri gay arabi. Quello di poter  far sesso tra generi uguali e transgeneri è il diritto umano decisivo, Vladimir? Ti rendi conto del supporto “culturale” che, missionario glbt dell’islamofobia, fornisci a criminali, tiranni, carnefici guardando il mondo da quel tuo particolare buco? Sai cosa vuol dire rispetto per i contesti storici, ambientali e culturali?

E’ proprio vero: il burka più pericoloso è quello che non sai di indossare.

 

 

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