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Svegliati, amore,la situazione non è buona
Se verità significa qualcosa, significa
il diritto di dire alle persone
ciò che non vogliono sentire
(George Orwell)
Il titolo del
capitolo conclusivo di questo zibaldino parafrasa quello di una
canzone e di un memorabile programma televisivo dell’intuitivo –
con qualche cattosbavatura - Adriano Celentano. Il formidabile
anticipatore (rock, ecologia, pacifismo…), cantante e
comunicatore, dice “Dormi, amore…”, suggerendo forse il
sonno-sogno per sfuggire allo tsunami di merda che il ventilatore
di un ceto politico cialtrone e criminale spara su quanto resta
dell’umanità non lobotomizzata, succube, o corrotta. Con questo
libro, invece, si è tentato di far risuonare una seppure flebile
eco della sveglia con cui popoli e classi, più integri e saldi di
noialtri nel Nord del mondo, stanno rispondendo alla strategia di
assassinio di massa di un padronato che per ferocia, ottusità e
mezzi di sterminio, non pare aver precedenti nella storia umana.
Immenso è il credito che, per questo, dobbiamo ai resistenti e
combattenti del Sud del mondo, agli iracheni, palestinesi,
afghani, indio-afro-latinoamericani. E a quella minuta, occultata
e perseguitata sinistra diffusa che, con la sua solidarietà alla
resistenze dei popoli, svergogna viltà e opportunismi, salva
briciole di dignità e di onore. Al sacrificio, al coraggio di
tutti questi, alla loro chiaroveggenza, l’intera umanità degli
oppressi e sfruttati è debitrice e lo sarà per sempre quando
constaterà che “la nuttata” è passata.
Questi sono peggio
Avrete
constatato nel percorrere queste pagine, eterodosse e discutibili
sul piano epistemologico, ma ragionevolmente robuste di rabbia,
che il bersaglio principale sono le false sinistre, i pacifinti,
coloro che “ci hanno ripensato”, quelli che assumono la brodaglia
tossica dei paradigmi degli assassini, limitandosi a storcere un
po’ la bocca: cattivi i guerrafondai, esagerati i padroni, ma
che ci vuoi fare, i terroristi sono peggio, il governo non si può
far cadere sennò torna Berlusconi, l’imperialismo non esiste, la
nonviolenza è la massima delle virtù… Per cui calma e birra.
Se uno poi se la prende in particolare con gente come “il
manifesto” è perché, più di un evidente nemico, fa male e danno il
figlio che ti pugnala alle spalle, il padre che ti disereda per
una meretrice, la tua donna che se la fa con il capoufficio che ti
sevizia, l’amico del cuore che spiffera le tue cose al questurino.
Ricordate quando, al tempo della manifestazione nazionale contro
il precariato, per il ministro del precariato, Damiano, “il
manifesto” fece la danza di Salomé offrendogli sul piatto
d’argento la testa di Piero Bernocchi dei Cobas, con contorno di
insulti e anatemi, perché questo esponente di una sinistra
imbarazzante, in quanto non accomodabile, si era permesso di
definire quel vindice della Legge Biagi “amico dei padroni”?
In quella mossa c’è tutto il perché di questo libro. Come anche
nel raccapricciante decadimento di una Rossanda, maestra più
veneranda di tutti, che fa sbigottire la parte meno ottenebrata
del nostro popolo, legittimando la frode del Mose,
elogiando il fedifrago Sofri, o Gianni Riotta e il “nuovo Tg1” da
lui diretto. Sul Tg1, capace di dedicare la sua edizione
principale alla gloriosa ripulsa del papa da parte della Sapienza
nel gennai 2007 (replay di Lama e degli improperi a
Bertinotti), ma facendolo con un coro di papisti neri di collera e
neanche una vocetta sottile sottile di coloro che, salvando la
dignità dell’universo accademico, avevano osato esprimere rifiuto
all’intrusione del capo dell’oscurantismo. Un Gianni Riotta
dall’italiano faticoso, ma con cadenza rigorosamente
washingtoniana. Un Tg1 riottiano assolutamente reazionario,
strumento principe delle volgarità Gran Guignol nelle quali il
regime affoga la percettività della gente verso le questioni che
contano e la riguardano. Ma come si fa! Solo perché, insieme alle
Ritanne Armeni, ragazza di bottega dello spione Giuliano Ferrara,
Riccardo Barenghi, che preferisce i marines ai guerriglieri
iracheni, e tanti altri transfughi, questo Riotta riverniciato a
stelle e strisce esce dal nido del “manifesto”, seppure lì
probabilmente deposto da qualche cuculo? C’era in quella covata
anche Corradino Mineo. Ve lo ricordate al TG3, petulante con
quella sua vocetta bianca? Lo fecero direttore di RaiNews24, per
meriti atlantici. Un’emittente che gli scoop di
controinchiesta della precedente gestione (Falluja, le armi
sporche di Israele…) se le è bell’e scordate. Me lo ricordo,
Corradino, quando da componente del Comitato di redazione riuscii
a tirargli un bastone tra le gambe mentre tentava di far fuori
l’ultima dignitosa direttrice di quel Tg, Daniela Brancati. Il
golpe, sostenuto da Cossutta, pensate un po’, fece flop e
Corradino me la giurò, ma sorvolò quando fu compensato con la
carica più ambita: corrispondente dalla Quinta Strada.
“Il manifesto” e il lamento di Portnoy
Di “ma che
cazzo fate” quel giornale continua a fornirne ragioni con
pervicace determinazione autolesionista. Un giornale, lo ammetto
con risentimento, insostituibile, faut de mieux, ma anche
per il contributo di alcuni non omologhi “esterni” e, ancora, se
non altro, per il grato ricordo di Stefano Chiarini, giornalista
che lì dentro si è battuto e dibattuto, in posizione di coraggiosa
minoranza, contro l’idiozia e la complicità di tanti luoghi
comuni. Un “ma che cazzo fai”, relativo a un abominio
grosso come la creatura di Frankenstein e altrettanto
raccapricciante, scaturisce da un intollerabile articolo di
Valentino Parlato, fine gennaio 2008, sulla sucessiva Fiera del
Libro a Torino, dedicata a Israele “ospite d’onore” nel 60° della
sua fondazione nel 1948, anno in cui in Palestina gli ebrei erano
il 13% e gli arabi l’83%. Dimenticando in perfetta malafede che
quella fondazione rappresenta per il popolo palestinese la
catastrofe, il furto delle sue terre, la negazione della sua
identità e vita. Cosa fa questa fiera se non celebrare gli
occupanti e assassini. E dov’è la solidarietà di Parlato per le
vittime di oggi? Una provocazione, quella di Torino, o
un’iniziativa più incongrua che perfida? In ogni caso fonte di
sgomento e indignazione vastissimi e all’origine di una campagna
di boicottaggio che si ricollega a quella lanciata da tempo nel
mondo accademico britannico. Parlato, fondatore ed editorialista,
è la veneranda e un po’ stazzonata icona di un giornale che ha
affidato le incombenze internazionali, vaticane comprese, al
buonismo cerchiobottista di cattolicanti come Lettera 22,
Terre des Hommes, non privandosi nemmeno di frequenti
iniezioni di lobby ebraica. Basta pensare a quel commentatore
israeliano, Schuldiner, che si permette di criticare gli
“estremisti” del suo governo genocida, solo dopo aver rimesso
tutto a posto dando degli assassini e criminali a Hamas e
Hezbollah. “Il manifesto” gareggia con i giornali della destra
nell’accaparrarsi le firme di propagandisti e foglie di fico
dell’establishment sionista, come Jehoshua, Oz, Grossman. Questi
“grandi letterati”, adibiti a inventare un “volto umano” al regime
più violatore dei diritti umani e più responsabile di crimini di
guerra di questo mezzo secolo. Parlato ne rivendica la libertà
d’espressione (che del resto nessuno gli nega, è la Fiera che
viene punita dal boicottaggio), che è come rivendicarla a un
Grandi o a un Bottai mentre, davanti a sopravvissuti
dell’olocausto ebraico, esprimono qualche disagio per le leggi
razziali. Ma c’è la “giornata della memoria”, si ribatte. Già,
peccato che quella giornata – giusta, per quanto strumentalizzata
da allievi del genocidio - si accompagni all’ingiusto oblio dei
milioni di comunisti, socialisti, zingari, omosessuali, eterodossi
qualsiasi, pure periti nei campi. E anche di quei milioni di
civili tedeschi (mai calcolati, indegni di esserlo, debito da
ignorare) sterminati, bruciati vivi dal fosforo, rasi al suolo
insieme alle loro città, da criminali di guerra del tutto
equivalenti, con una punizione collettiva senza precedenti. Erano,
quei mandanti a Londra e Washington, i veri fondatori del
terrorismo.
Belgrado ride?
E non vogliamo
ricordarci di quella Primavera di Belgrado, di quel
demenziale Belgrado ride, con cui il “quotidiano comunista”
inneggiò alla rivoluzione colorata Cia-Otpor, fornendo alibi a
un’operazione imperialista che frantumò un paese, distrusse un
popolo e consegnò il tutto agli artigli del colonialismo
capitalista? Oggi, con Tommaso De Francesco (quello che ripete
coattivamente lo slogan della “contropulizia etnica” dei
separatisti, come se prima ce ne fosse stata una fatta dai serbi),
“il manifesto” versa calde lacrime sul destino di un Kosovo,
postribolo mafioso ad uso dei trafficanti e militaristi
occidentali, e di una Serbia mutilata e umiliata. Ma non nasce
tutto da quella Belgrado che “rideva”? Non era tutto questo
nell’orizzonte promesso dalla “primavera di Belgrado”?
Israele piange?
Torniamo
all’articolo della vergogna massima, redatto da chi solitamente e
fortunatamente si limita ormai al periodico “lamento di Portnoy”
(noto masturbatore descritto da Philip Roth) sui problemi
finanziari di un giornale che continua a dare testate in faccia ai
suoi migliori lettori. Ebbene, Parlato con quell’uscita ha potuto
dare l’addio a un’ulteriore bella fetta del suo frastornato
pubblico. L’uomo, che con me poco prima aveva partecipato,
abbastanza inerte e inconsapevole, a una trasmissione televisiva
sul pandemonio dei rifiuti in Campania, nell’articolo redarguisce
arcigno coloro che si sono permessi, a ingiuria della sofferenza
inflitta al popolo ebraico nei secoli, di proporre un boicottaggio
di quella fiera del libro. D’un fiato solo, l’anziano giornalista
inanella una valanga di incompetenze, già penosamente registrate
durante il programma sui rifiuti, e di rabbiosi nonsense di
puro stampo sionista: confondendo diritto e abuso colonialista,
popolo con religione, sancisce il diritto degli ebrei a fondare un
proprio stato nella viva carne di un altro popolo, multi
confessionale, che di quel territorio è titolare millenario. Come
se gli ugonotti, in quanto tali, si fossero presi la Danimarca e, in quanto protestanti, vi avessero eretto uno Stato. Un’apologia di
stampo olmertiano, bushiano e prodiano, non solo e neanche
scientifica, del razzismo, visto che della razza semita fa parte
una minoranza di ebrei (i sefarditi) d’Israele, contro 300 milioni
di semiti arabi. Un’apologia addirittura dello Stato confessionale
teocratico, mentre è in corso una pulizia etnica degna del pogrom
contro gli armeni.
E al Nostro non
basta neanche l’ olocausto che da oltre mezzo secolo Israele
infligge ai palestinesi, con efferatezze genocide che neanche gli
afrikaaners, per indignarsi del paragone che la stessa Onu
ha formulato tra apartheid del Sudafrica e apartheid di muro,
sterminio, infanticidio, punizioni collettive, tortura,
affamamento, di Israele contro i palestinesi tutti e, in
particolare, quelli dell’Auschwitz di Gaza. Senza contare che il
Sudafrica non aveva assaltato paesi vicini come Israele continua a
fare, anche ricorrendo alle più spaventose armi proibite. A farlo
sprofondare nell’onta, hanno per fortuna provveduto gli stessi
ebrei italiani, nonché nobili esponenti della resistenza
israeliana, come Uri Avnery e Jeff Halper, che denunciano il
fascismo sionista e ai quali non basta, come basta a Parlato,
l’identità ebraica per consentire quanto di più scellerato,
insieme alla distruzione dell’Iraq, oggi si compia nel mondo.
Stefano Chiarini farebbe la trottola nella tomba. Ma Parlato vanta
un grosso sostegno: “Anche Stalin approvò la creazione di
Israele”. Si può rispondergli meglio che con un
ecchissenefrega? Vanta anche un astuto supporto ideologico: “Gli
ebrei del ghetto di Varsavia cantavano “l’Internazionale”. Anche
George Habash, il grande leader laico e marxista della liberazione
palestinese e della resurrezione araba, la cantava. Si può
chiedere a Portnoy-Parlato di ricorrere a questo episodio per
avallare i combattenti suicidi che si facevano esplodere negli
autobus di Tel Aviv?
Gli epigoni di Stefano: diritti umani e società civile
Il rimpianto
per Stefano Chiarini trova ininterrotto nutrimento da tutto ciò
che a proposito di Medio Oriente viene esternato da quel giornale.
Vediamo Giuliana Sgrena, sostenitrice della truffa Usa che tenta
di demonizzare la Resistenza irachena dandole dell’Al Qaida, tra i nostri bravi militari
“pacificatori” in Libano o, in combutta con quelli di Lettera 22
che colonialisticamente chiamano i guerriglieri afghani “tartari
col turbante” , tra i sostenitori della “società civile”,
collaborazionista e filo-occupazione (un po’ meno bombe e un
po’ più ricostruzione), dell’ Afghanistan. Leggiamo
corrispondenti che da Beirut si prodigano a falsificare la realtà
di quel paese in procinto di ricolonizzazione
franco-israelo-italiana, corroborando lo stereotipo del confronto
tra “filo-siriani” e “filo-occidentali”. Un confronto inteso a
mascherare la lampante realtà di uno scontro nazionale e di classe
tra fantocci illegali tenuti in piedi da protettori esterni e una
maggioranza patriottica schiacciata ai bordi della vita, ma che si
criminalizza attribuendole le provocazioni assassine ordite dalle
solite centrali dell’11 settembre. Ci vuole lo stesso comandante
maronita dell’esercito libanese, Michel Suleiman, contro la cui
candidatura a capo dello Stato, accettata dalla resistenza
patriottica, si scatena la destra con l’eliminazione (filosiriana?)
di suoi collaboratori, a mettere le cose sul binario giusto:
Israele sta colpendo in vari modi l’esercito per arrivare a
colpire
la Resistenza libanese: l’organizzazione Fatah Al Islam
(quella che,
identificatasi con Al Qaida e finanziata dal clan filoisraeliano e
filosaudita di Hariri, ha provocato il macello del campo di Nahr
el Bared) è un’emanazione del Mossad israeliano.
Sprofonda nel
conformismo della propaganda colonialista, “il manifesto”, anche
quando tratta di situazioni incandescenti e complesse come lo
Zimbabwe e il Sudan, entrambi i paesi fulminati dalla riprovazione
occidentale, da sempre propedeutica all’aggressione. La mosca
cocchiera sono ovviamente i diritti umani, indistin-guibili dalle
labbra di Bush a quelle di Bertinotti e dei cronisti di esteri nel
quotidiano. “Diritti umani” violati in Zimbabwe, dove il
presidente Mugabe finalmente riduce la manomorta dei feudalisti
bianchi sulle terre fertili, distribuendone parte ai veterani
della cacciata dei coloni, protervi e bulimici nipotini di Cecil
Rhodes. “Diritti umani” in Sudan travolti del “genocidio”
governativo nel Darfur, dove chiunque sia onesto e cosciente
individua l’ennesima operazione separatista, con bande armate e
finanziate da fuori, per predare le risorse minerarie e la
posizione geostrategica del Sudan, nell’era del ritorno
colonialista euro-statunitense. Simbolo della criminalità dei
protagonisti, quel Sarkozy che si precipita in Ciad per coprire lo
scandalo di una Ong francese, “L’arca di Noè”, che, facendoli
passare per “orfani del Darfur”, aveva sottratto alle loro
famiglie un centinaio di bambini da convogliare verso adozioni
illegali e chissà quali altri turpi traffici. Il mercato degli
snuff (film pornografici in cui si torturano e uccidono gli
“attori”, perlopiù donne e bambini sequestrati, magari a Ciudad
Juarez in Messico) e degli organi da trapiantare, è dei più
dinamici.
L’amica rivoluzionaria Hillary
Altro colpo
doloroso alla credibilità e al rango politico-informativo preteso
dal “manifesto” lo ha inferto, all’epoca delle primarie Usa per la
successione a Bush, la dama di punta della ginocrazia non solo di
quel giornale, quando ha dedicato un corsivo di prima pagina a
quella vittima delle cattiverie maschili che è Hillary Clinton.
Davvero agghiacciante con quale disinvoltura Mariuccia Ciotta,
condirettrice, dedica una vibrante ovazione alla candidata
democratica, finalizzata a depistare da una becera e corrotta
competizione-farsa, tra settori oligarchici e militaristi, verso
un conflitto di genere, nel quale si evidenzia il rifiuto
maschilista di far accedere al potere le donne, ontologicamente
migliori. E che vogliamo dire delle serial killer
Madeleine Albright, Condoleezza Rice, Golda Meir, Tzipi Livni,
Margaret Thatcher, della compianta law and order Sigolene
Royal, dell’ammirata Bachelet, della trionfante Merkel, di Benazir
Bhutto, esempio di corruzione, autoritarismo, servilismo a Usa e
Israele (tolta di mezzo dopo aver annunciato che l’agente Cia
Osama Bin Laden era stato ucciso, a dispetto delle protezioni
Usa), destinataria dello stupefacente panegirico di una Beena
Sarwar sul “manifesto”? Tutte esponenti di minoranze che
sfidano la norma del potere maschio, giovane e bianco? E
venendo al trucchetto della commozione esibita a decine di
telecamere nella caffetteria, dopo la sconfitta per opera del
maschio (seppure nero), ecco la prosa rettificatrice di Ciotta:
La voce di Hillary si è semplicemente incrinata nella furia di
vedersi etichettata come rappresentante dell’establishment (ma
figurati!), in continuità con la politica che ha portato
l’America a svendere se stessa nei 7 anni di Bush. La sua
commozione tradiva non la donnina dai nervi fragili, ma la
passione politica che scuote gli Stati Uniti dopo l’era della
guerra e il primato della forza e che trascina alle urne gli
americani… Segni dissonanti, simboli di un’inversione di tendenza.
Forti in quanto deboli, agli antipodi della rappresentanza del
comando. Solo in America, forse, è concepibile una così radicale
metamorfosi delle insegne del potere. Non basta, siamo
all’apoteosi: Barack e Hillary, uguali e diversi, vogliono
ridare voce alla politica… sotto gli occhi scorre il tentativo di
trasformare il futuro mondiale… non sarà la rivoluzione (ma
no?), ma l’uscita almeno dal medioevo di un occidente suicida.
L’11 settembre è finito (aspetta, aspetta). Agevoli e ovvii i
commenti dei miei lettori.
S’impone
qualche domanda. Si tratta della Clinton che, affiancata al
marito, prosecutore della guerra infinita col massacro della
Jugoslavia, ha iniziato solo pochi giorni prima a farfugliare,
sotto l’immane pressione popolare, qualche opportunistica
perplessità sulla catastrofe irachena? Della Clinton che siede al
vertice della Wal Mart, il tritacarne sociale capitalista, socia
del marito nella massiccia distribuzione di prebende alla
minoranza ricca del paese? Della donna-cannone dell’Afghanistan?
Della Clinton che, più di ogni candidato, è stata sovvenzionata
dal complesso militar-industriale e da altri mostri dell’olocausto
sociale mondiale, in perfetta continuità con uno Stato teppista
che dal 1945 ha rovesciato 50 governi e bombardato 30 nazioni,
eliminando decine di milioni di vite? Della Clinton ferocemente
antifemminista e, più di tutti, violentemente filosionista? Della
Clinton che non ha sollevato un sopracciglio di fronte alla
distruzione di quella parvenza di democrazia che erano gli Usa
prima di Bush il fesso, della bill of rights, dell’
habeas corpus, della separazione dei poteri,
dell’incarcerazione di massa su sospetto, dello tsunami
securitario anti-poveri. Della Clinton che, rispondendo alla
Condoleezza della guerra è sempre un buon investimento, in
linea con i nostri Napolitano e Prodi, rilancia e promette agli
industriali commesse ancora maggiori per un arsenale militare
ancora più ampio? Ovvio, il PIL è tutto e il PIL questo
esige. Ciotta riesce ad arrivare al sublime inventandosi per la
Clinton un tentativo di trasformare il futuro mondiale che
scaturirebbe da quella parodia di campagne presidenziali che
passano sulla testa del popolo come i grotteschi diktat di Prodi,
campagne-truffa per gonzi, fatte di volgarità e di intrattenimenti
disneyani, una danza macabra rituale finalizzata a camuffare un
sistema venale, fondato sul potere del denaro, la frantumazione
sociale e la cultura della guerra permanente (John Pilger). E
vi risparmiamo i brogli che rovesciano, con la stessa
impossibilità scientifica dei risultati delle nostre elezioni nel
2006, i sondaggi precedenti le primarie dell’inusitata vittoria di
H.C. e che analisti seri hanno visto risalire alla solita società
Diebold. La Diebold, già collaudata nel’Ohio del 2004, è legata ai
repubblicani (che preferiscono Clinton a Barack, zio Tom da
consiglio d’amministrazione, ma pur sempre un nero). Società di
giocolieri informatici, già si era adoperata, ed era stata
smascherata, in occasione delle due false elezioni di Bush.
Fortunatamente dagli Usa, sempre sul “manifesto”, ma in posizione
defilata, John A. Manisco ( buon sangue non mente) ha messo le
cose in una luce meno distorta e riprovevole.
A questo punto
vorrei che qualcuno mi dicesse se si possa continuare a comprare –
e sostenere! – l’indispensabile “manifesto”, senza provare una
stenosi all’intelletto, una fitta al cuore e una stretta al
portafoglio. Portafoglio che o è borghese, a tempo indeterminato,
con ripieno che arriva alla fine del mese, o per “il manifesto”
non serve.
Il crepuscolo dei falsari
Sarebbe questo
giornalismo, militante di un Israele giustificato come si potrebbe
giustificare Dracula e della Clinton che “trasforma il futuro
mondiale e ci restituisce alla politica”, a doverci
accompagnare e guidare fuori dalla cloaca in cui è sprofondata
tutta la nostra classe politica ed economica? Un ceto politico
ignorante, rozzo, incompetente, mafioso dall’A alla Z, che sputa
protervo dall’alto della pila degli stipendi più alti d’Europa sui
lavoratori e sulle famiglie dai redditi più bassi d’Europa. Una
classe politica ai cui brandelli “il manifesto” ancora si appende,
schizzando tutto quello che non rientra nell’ordine decente delle
cose, sindacati di base in testa. Che peso può avere, quando si
affermano simili capisaldi della circonvenzione di incapace, della
fascistizzazione galoppante, della devastazione planetaria, il
sopracciglio alzato sulle sedicenti sinistre, totalmente
mercenarie, che applaudono ministri farabutti? Sinistre che
tollerano, per il bene poltronario, la liquidazione di magistrati
in odore di eversione nei confronti della corruzione, che
partecipano in qualità di paggetti reggi-strascico (i dirigenti
RC) al tentativo di cacciare in gola ai cittadini una legge
elettorale partorita dal connubio tra finti opposti per garantirsi
un potere alternato, analogo a quello del dittatore in Vaticano?
Che, vero obbrobrio, partecipano col voto all’annientamento di
popoli, della libertà (pacchetto sicurezza), della giustizia? Un
mio amico, docente universitario a Palermo, ha fatto un bilancio
dell’operato del governo Prodi che ci aveva promesso un programma
di almeno vaga rettifica dello schifo berlusconiano. Ne traggo
alcuni elementi e, intanto, ve ne consiglio la lettura:
www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4…
Le Grandi Opere del Centrosinistra
Si incomincia
con il Bertinotti, non ancora scopertamente ruotina di scorta del
tiro a due veltrusconi, che all’indomani della truffa per cui, in
48 minuti di fermo notturno delle operazioni elettorali, si passa
dal 6% di vantaggio dell’Unione al testa a testa finale, è tra i
primissimo a sancire la regolarità del voto (e si veda a proposito
della truffa l’inconfutabile documentazione di De Aglio e
Cremagnani). Si fossero denunciati i brogli e si fosse andati
subito a nuove elezioni, l’Unione – e le sinistre! - avrebbero
avuto ben altra agibilità governativa. Si creano le condizioni per
le quali una maggioranza sull’orlo del baratro non sfiora neanche
con una piuma le leggi berlusconidi dell’illegalità, dell’abuso e
del massacro sociale e civile. Il che deve far sghignazzare
amaramente davanti al costante sventolio della minaccia di un
berlusconismo di ritorno. Intanto il “monarca dei pacifinti” si
insedia sullo scranno per il quale aveva manovrato: il terzo della
Repubblica. E, sotto la sua ferula, niente leggi sul conflitto
d’interesse, sulla sicurezza del e sul lavoro, sui provvedimenti
ad personam, su scuola, Rai, CPT da abolire, Bossi Fini,
commissione d’inchiesta sulla Genova cilena (anzi il poliziotto a
capo delle giornate cilene promosso ad alter ego del
ministro dell’interno e poi a castigamatti di coloro che non
vogliono morire avvelenati dai rifiuti di Camorra, Impregilo e
Bassolino). Poi l’indulto, per restituire all’amica malavita
imprenditorial-finanziaria in cui prosperano, i mascalzoni di alto
bordo. Da un lato. Dall’altro, invece, pacchetti di sicurezza di
quel dottore sottile quanto un manganello, per ammaestrare alla
sottomissione il popolino, agitando tifosi ultrà, ubriachi al
volante, pedofili come se piovesse, bambini delinquenti,
baby-squillo, terroristi islamici ante et post portas e la
caterva di efferatezze di cronaca nera con la quale i tg e i
giornali ti stuzzicano e ti spaventano a morte e nascondono sia la
decrescita statistica dei delitti contro la persona, sia gli
attacchi con i quali il potere ti azzanna i movimenti di mente,
gambe e parola.
Teniamo una banca
In compenso si
buttano nel fosso la scuola e la sanità pubblica e si coprono
d’oro scuole e cliniche private, nonchè i bubboni di cemento e
mattoni del Vaticano, purchè abbiano un santino sotto il
campanello, si chiamino Santa Rita, o assicurino round
trip dal Grande Baro di Montalcina. Le leggi finanziarie più
favorevoli ai padroni da molti decenni a questa parte, prodighe,
come mai in passato, per militari (aumenti a poliziotti,
carabinieri e soldati, niente ai maestri morti di fame: meglio i
bravi con lo schioppo che un Renzo istruito, no?) e i loro
divertissements bellici da lanzichenecchi, in aggiunta a cunei
fiscali, trattamenti di fine rapporto, defiscalizzazione di
straordinari ammazzacristiani. Con qualche regalìa ai sindacati
che da rossi si fanno subito gialli e firmano protocolli
welfare e contratti metalmeccanici per stringere un po’ di più
il cappio al collo di lavoratori e cittadini. Sindacati che,
invocando l’italianità della compagnia di bandiera Alitalia, resa
accessibile agli amici degli amici dal terminator più
pagato del mondo (Giorgio Cimoli, reduce dal disfacimento delle
ferrovie), contrastano una compagnia seria come Air France,
per favorire il parvenu “Air One”, occultando che lì dietro
si nascondono i briganti finanziari di Goldman & Sachs,
quelli di Mario Draghi. Del resto, dopo il fassinian-dalemiano
“Teniamo una banca”, chi si stupisce più
dell’omologazione trafficona a sinistra? Enti di ricerca e
università a bagno. Ma che fa: a Montezemolo basta piazzare
milionate di scadenti e tossiche scatole di latta addosso a
strade, prati e polmoni, alle quali veniamo indottrinati da
slavine di spot demenziali, fianco a fianco di annunci “pubblicità
progresso” che ci invitano a risparmiare energia e ambiente sennò
finisce il mondo. Le grandi opere pubbliche, tralasciato il
dissennato Ponte sullo Stretto, proseguono a tutto denaro
pubblico, che si tratti di squarciare comunità, biotopi e
montagne, o di scavare buchi affittati dalla camorra che minino
alla base vacche, mozzarelle, pomodori e vite umane. E a chi vuole
avere salva la vita, perlomeno dei figlioli, botte da orbi. L’inneffabile
slavofobo albanese del “Manifesto”, Astrit Dakli, furoreggia
contro “lo zar Putin” perché ai miserandi rivoluzionari colorati
Cia di Kasparov si da qualche strattone. Vorrebbero forse
rifugiarsi a Mosca tutti quei bravi cittadini, donne, ragazzi,
anziani, sulle quali piovono mazzate voluttuose, come non visto
neanche negli anni ’70, di sbirri bene addestrati dal quartetto De
Gennaro-Scaiola, Pisanu, Amato. A fornire i manuali sono stati i
parà di Derry, in Irlanda del Nord e i ricercatori del Grande
Laboratorio Tsahal d’Israele.
Vicenza e le altre
Cito dal
documento di cui sopra: “D’Alema (una specie di convitato
di pietra di tutte le stagioni del nostro sconforto) si
sbraccia a difendere il multilateralismo, come se lo stupro
perpetrato da un gruppo fosse meno esecrabile di quello perpetrato
da un singolo. E così, dopo aver rotto Jugoslavia e Iraq,
multinazionalmente siamo andati in Libano per conto dei
delocalizzatori nostrani e dei geostrateghi di USraele ed Europa,
facendo gli interposi tori. A guardia e sul territorio
dell’aggredito, logico, no? In Afghanistan facciamo i mercenari,
in aumento per numero e mezzi sotto Prodi-Bertinotti, del
multilateralismo, intendendo per tale i molti lati della macchina
necrofaga occidentale. Rimane, in politica estera, qualche dignità
del PdCI, che non sputa su Cuba le oscenità di “Liberazione”,
anzi, riconosce le resistenze dei popoli in Medio Oriente,
sostiene la battaglia antimperialista e di giustizia sociale di
Chavez, pur cedendo sulla “missione di pace” in Libano e
sull’aberrante teoria dei “due popoli due stati” in una Palestina
che, invece, o si unisce tutta, o muore tutta. Sulla base di
Vicenza, Prodi e le sue “sinistre” hanno scritto la pagina forse
peggiore. L’uno a fare il duce promettendo che spezzerà le reni a
chi si oppone a questo forno crematorio della pace mondiale, le
altre farfugliando piacevoli vaghezze ai presidianti della base,
ma defilandosi all’inglese nei momenti della resistenza di popolo.
Il 9 giugno 2007, con il corteo anti-Bush e anti-valvassini, di
cui si parla nel libro, gli è stata impartita una lezione
memorabile, a loro che se ne stavano, più grotteschi che
infingardi, in capannelli a Piazza del Popolo, circondati da una
voragine politica stupidamente, ma accuratamente costruita. Hanno
cercato di rimediare il 20 ottobre successivo a S. Giovanni,
tirandosi dietro, con il filo di carta della speranza che non
vuole morire, un sacco di brave persone. Sono bastate altre due
capriole all’indietro, subito dopo, per vedere svaporare nei fumi
dell’orizzonte quella folla già scintillante. Che fanno questi
saltimbanchi per coprire le loro pudenda? Fanno quello di
cui è mosca cocchiera “il manifesto”, danno addosso ai Cobas,
nucleo organizzato, sindacale e politico, di una sinistra diffusa
e la cui lucidità e il cui potenziale oggettivo sono temuti come
l’ira di Achille. Per il resto è privatizzazione di tutto e, con
le intercettazioni e la conservazione ad libitum dei tuoi
dati privati, anche dell’anima. Scalate alle banche in tandem o in
competizione, cooperative “rosse” dalle tentazioni Parmalat,
inceneritori Fiat e altri a vaiolo sulla faccia del belpaese,
prima che un popolo inferocito e asfissiato gli strappi dai musei
pannelli solari e pale eoliche. Intanto, il sempre coerente Pietro
Ingrao, dall’alto di ottant’anni di incoerenze, dice “unitevi!”
ai ranocchi salterini della “sinistra” e Napolitano detta il suo
mantra “unitevi!” ai due fantini, il batrace dagli occhi
bianchi e le guance in dissoluzione e il cabarettista da processo,
sull’unico cavallo dell’oligarchia (citazione da Gore Vidal).
Fatto che succede perché è nella natura delle cose, di queste
cose. Divertente quanto imbarazzante, il paggetto acchitato di
cachmere che regge la coda al cavallo.
Tra zombie e licantropi, con
la Spectra quadricefala (Usa, Israele, Vaticano, Mafia) che li manovra e protegge
Coerentemente
il governo di “centrosinistra” di Prodi-Fassino-D’Alema-Bertinotti,
all’inizio del 2008, si frantuma sotto la pioggia acida delle
mastellate, delle cuffarate e dell’altamente simbolico trionfo
dell’immondizia, grazie alla quale questo Stato, obbediente ai non
eletti di Confindustria, UE, FMI BM, mafia e massoneria, prima
distrugge territori e vite e poi massacra di botte i
sopravvissuti. Il governo non aveva annullato neanche una delle
leggi-vergogna del predecessore circondato da amministratori
condannati per mafia e omicidio, aveva abbattuto per intero la
fiera delle illusioni di un programma che, imbonitore come
l’altro, aveva sventolato davanti agli elettori. In compenso aveva
ridato vita, lustro e protagonismo a questo Berlusconi all’orlo
della putrefazione, facendolo scegliere da Veltroni e Bertinotti a
partner del futuro Stato autoritario, mentre era stato
disintegrato dal dileggio planetario e dalla guerra per bande
nella sua coalizione. Poi era andato alla guerra coloniale con più
zelo e più mezzi di quanto, di fronte a un’opposizione di massa
non ancora narcotizzata, aveva osato l’apologeta della “superiore
civiltà occidentale”. Oggi le “forze speciali” del mercenariato
professionale combattono e crepano trucidando afghani, pretacci
terroristi a cui ovviamente bisogna impedire che occupino il
nostro paese. E Valentino Parlato fornisce attenuanti e falsi
scopi affermando che è la società civile che esprime questo
ceto politico. Non i voti di scambio tra mafia, potentati
mastellati e cuffarati, non il terrorismo della Chiesa, non le
manipolazioni dei media, non la paura endemica diffusa ad arte tra
cittadini ormai incapaci di distinguere il giorno dalla notte.
La vittoria della P2
Siamo più
poveri di quanto non lo fossimo all’uscita dal fascismo, il 10%
delle famiglie italiane possiede, come in un qualsiasi Stato
banana, quasi la metà della ricchezza nazionale, due terzi dei
cittadini si sbattono intorno alle bancarelle per arrivare, con
doppi e tripli lavori, a nutrire i propri figli e pagare le
bollette, compilate da autentici ladri, entro almeno la terza
settimana del mese. 15 milioni di italiani sono sotto il livello
di povertà, o lo stanno rasentando. Si suscitano guerre all’ultimo
sangue tra giovani (bamboccioni), ai domiciliari forzati fino a 40
anni, e anziani (egoisti a 400 euro al mese), in modo che, oltre a
lasciarsi fregare, si freghino tra di loro. I media arabi,
espressione della barbarie secondo il vangelo di Giuliano Ferrara
e Magdi Allam, hanno mille ragioni per schernire la nostra
inciviltà. Interi partiti vengono arrestati e incriminati da
residui magistrati dalla vita professionale – ma a volte anche
biologica - breve. Ma che fa. I fondi che l’Europa destina a
sollevare le sorti di settori in angustie finiscono nei baratti
dei ras locali, o nelle tasche della più grossa organizzazione
papista di servizi sociali. Quanto ai diritti umani e civili, di
cui le sinistre si fanno vindici, il sindaco romano dei nani e
delle ballerine, genuflesso davanti al papa, rifiuta il registro
delle unioni civili, quelle unioni che non ottemperano ai dettami
di chi di coppie, sesso, famiglia non sa un accidente. Ma RC
rimane incollata in giunta, come con l’obliterazione dei campi
nomadi, la cacciata dei rumeni. Luttazzi, un coprologo sgradevole
ma con ogni diritto di ripetere con intelligenza il turpiloquio
cretino che si pratica in parlamento e al telefono tra compari di
rango, viene radiato peggio del Santoro bulgaro. Ci consoliamo
ridendo di Padre Pio, Madre Teresa e Dalai Lama. Un’emerita
industria tedesca, opportunamente delocalizzata tra i peones
italiani, lascia cremare nei suoi forni sette operai. Non basta
perché si emani seduta stante un pacchetto sicurezza sul lavoro,
come lo si è fatto per buttare a mare tutti i rumeni. Tanto non è
emergenza: ne vengono uccisi quattro al giorno. Non c’è – Telecom
insegna – nostra esternazione vocale, telematica, telefonica
(tabulati da conservarsi per otto anni) che non venga archiviata,
a fini di futura repressione poliziesca, seguendo alla lettera il
modello bushiano della totale liquidazione della privatezza dei
cittadini. A quando i chip nel cervello per incriminare anche i
nostri pensieri? I media “intelligenti” nostrani, da Fazio a
Chiambretti, non esitano a farsi prosseneti di propagandisti del
collasso etico e sociale, perfino di Dell’Utri. Gli eredi di
Togliatti, Berlinguer, Natta, promuovono sistemi elettorali che
farebbero la vergogna del legislatore fascista Acerbo e la gioia
di Pinochet: chi turlupina un elettore più degli altri, anche se
rappresenta meno di un quarto della popolazione, spazza via tutto
il resto. E a chi vuole spazzare di dosso a sé e agli altri la
fanghiglia tossica riversatagli dall’alto, pacchetti sicurezza,
mazzate e sentenze da tribunale speciale per omicidi: galera a
perdere a chi s’è fatto pestare a sangue a Genova, Firenze,
Cosenza…In compenso, papisti, fascisti e sinistri corrono a Piazza
S. Giovanni per universalizzare e blindare una santa famiglia,
corrosa dagli acidi suoi propri e da quelli iniettatigli dalla
macelleria sociale. Metà del paese, seguendo la direttrice
dell’astuto sabaudo Cavour, è ridotto a serbatoio di truppe
criminali a supporto del sistema e di carne da cannone dentro e
fuori dal paese. E al riscatto dei responsabili di tutto questo ci
pensano le pallottole in busta e le minacce ad personam di
un Bin Laden resuscitato per la bisogna, come ogni volta che Bush
va in crisi di consensi. Ci sarebbe da morir dal ridere, se non
fosse che quella cosca di vertice che era la P2 trent’anni fa, ha
lavorato bene e oggi occupa l’intera cupola dei poteri. Il suo
Piano di Rinascita è bell’e realizzato. Ma chi ci pensa,
ipnotizzato com’è dalle stuzzichevoli e totalizzanti divagazioni
sui “grandi delitti” officiati a “Porta a Porta” e dovunque, da
Cogne a Garlasco, da Erba a Perugia. Per finire in bellezza,
modellati dalla scuola aziendale di Berlinguer-Moratti-Fioroni,
due terzi degli studenti nelle superiori non sanno perché dalla
notte si passa al giorno, un terzo pensa che Tolomeo avesse
ragione. Nei paesi Ocse, l’Italia, paese di Dante e di Manzoni, in
fatto di alfabetizzazione è precipitata al 36mo posto. Ma che fa,
Prodi va in Afghanistan e Bertinotti in Libano per dire:
Soldati italiani, siete l’orgoglio d’Italia.
Necrofori, necrofagi
Un paese
dell’illegalità e dell’assassinio di massa fisico e sociale, che a
perfezione si inserisce nell’incastro della guerra preventiva,
globale, infinita.
Centinaia di
nostri militari sono morti, o stanno morendo, uccisi dalle
gerarchie politiche e militari che li hanno spediti senza
protezioni in teatri all’uranio, di guerra o di esercitazioni.
Decine di migliaia sono le vittime militari tra i veterani Usa
delle due guerre all’Iraq. Da uno studio del governativo Centro
per gli Affari dei Veterani, a Washington, risulta che il 67% dei
bambini nati da veterani della Guerra del Golfo denunciano
deformità genetiche e patologie gravi alla nascita: mancano gli
occhi, i cervelli, gli organi genitali, orecchie, bocche, nasi,
arti. Milioni di innocenti spendibili e da sfoltire nel Sud del
Mondo sono stati distrutti e si lasciano dietro generazioni a non
finire che nascono mostruosizzate e non vivranno mai, nel senso
della vita, per quattro miliardi e mezzo di anni. L’uranio
ineliminabile avanzato dalle centrali nucleari, ceduto
gratuitamente ai guerrafondai, è con la droga, le bombe e la
devastazione ambientale, il simbolo e il rompighiaccio di
un’oligarchia criminale che, per allargarsi e togliersi dai piedi
esuberi e disturbatori, si propone – nel caso migliore acconsente
– l’eliminazione della maggioranza delle specie viventi.
Stupefacente è che né la gente in generale, né le sinistre nello
specifico, e neppure il papa, all’apparenza tanto tormentato dalle
privazioni dei poveri, prestino a questa strategia di olocausto
planetario l’attenzione centrale e la massima
informazione-mobilitazione. Ne va di qualcosa che supera perfino i
confini della lotta di classe, già di per sé obnubilata e deviata
verso subordinate. Tra il 1991 e il 2003 gli Usa hanno cosparso
l’Iraq di quasi cinquemila tonnellate di uranio. L’hanno scagliato
su Somalia, Jugoslavia, Afghanistan. E’ stato adoperato in Libano,
insieme ad altri orrori chimici ed elettromagnetici. Gli elementi
radioattivi e chimici dell’uranio entrano nella catena alimentare
attraverso acqua e suolo, volano col vento a distanze
imprecisabili, anche se nessuno potrà mai ricondurre
l’esponenziale crescita delle nostre patologie al loro
probabilissimo innesco. Cernobyl sta alla diffusione militare
dell’uranio 238 e 235, come il ponentino romano sta a Katrina. E,
con tutto questo, il governo Usa allestisce campagne belliche che
prevedono l’uso non solo di proiettili all’uranio, ma addirittura
di ordigni atomici, seppure chiamati “mini” e gli ex-capi di Stato
Maggiore di Gran Bretagna, Olanda, Germania e Francia, padroni
della Nato, hanno pubblicato a gennaio un documento collettivo in
cui si perora il riarmo atomico in vista dell’arma nucleare da
adoperare contro la “proliferazione terroristica”. Nessun
governante o politico li ha richiamati all’ordine, o alla
sensatezza. Del resto, sono loro a comandare, a decidere strategia
politiche che corrispondano ai profitti del complesso militar
industriale. Nella rovina dell’economia capitalista, sempre più
evidente a partire dal suo cuore statunitense, il PIL, vale a dire
la ricchezza degli strati privilegiati, dipende dalle guerre,
dalla costante espansione produttiva e finanziaria dell’industria
militare (armi, elettronica, spazio, chimica, farmaceutica,
metallurgia, sicurezza).
Uranio per ridurre la densità umana
Gli scienziati
dell Uranium Medical Research Center hanno registrato nelle
urine in Iraq, Afghanistan, ma anche in paesi assai lontani,
livelli di radioattività anche venti volte superiori a quelli
normali. Nel convegno sulle armi all’uranio, impoverito o non,
tenutosi ad Amburgo nell’ottobre del 2003, scienziati di tutto il
mondo hanno documentato lo spaventoso aumento di tumori e
deformità alla nascita, ovunque siano state usate queste armi. Le
quasi mille tonnellate allora già gettate sull’Afghanistan
corrispondevano a 83.000 bombe di Nagasaki. La quantità usata
sull’Iraq equivale a 250.000 bombe di Nagasaki (Università Ryukyus
di Okinawa). Per aver denunciato questi orrori, una biologa
irachena, Ouda Hamash, membro del Consiglio della Rivoluzione, è
stata definita “Dottoressa Veleno” e imprigionata dagli Usa.
L’avevo ascoltata e poi intervistata negli anni ’90 a Baghdad
quando, per prima al mondo, documentò scientificamente,
incontrando anche scienziati europei e veterani Usa, l’uso
dell’uranio (allora negato) e i suoi effetti genocidi. Glie
l’hanno fatta pagare. Nel 1989, prima delle due guerre, in un Iraq
dalla sanità esemplare, le deformità alla nascita erano 11 su
centomila. Nel 2001, dopo dieci anni di embargo, erano cresciute
del 1000%.. Si può immaginare cosa abbiano prodotto le 4000
tonnellate di uranio del 2003. A Basra mi era occorso di visitare
l’ospedale pediatrico, già privato dall’embargo di farmaci e
supporti sanitari. La mortalità infantile era decuplicata, i
neonati deformi, con gli organi mancanti, o spostati come in un
puzzle impazzito. Non si leveranno mai più dagli occhi della
mente. E non ci avevano ancora messo la denutrizione (due terzi
dei minori iracheni nel 2007), il totale collasso del sistema
idrico e fognario (ecatombe per diarree e dissenterie), la
frenesia assassina dei marines e la pulizia etnica delle milizie
di governo e filo iraniane. Per misurare la dimensione criminale
di chi ci governa,pensate che, di questo passo, grazie ai vettori
naturali, fra un po’ saremo irradiati e contaminati tutti.
Altri strumenti di morte di massa
Al traffico
delle sostanze stupefacenti, i cui centri di produzione si trovano
tutti sotto controllo Usa, ci si aspetta, oltreché profitti
calcolati dell’Osservatorio Mondiale di Parigi in oltre un
trilione di dollari l’anno e che entrano nel circuito finanziario
ufficiale, così sostenendo i poteri esistenti, si deve attribuire
un ulteriore decimazione della popolazione mondiale. Nascono e
partono, sempre sotto controllo Cia, da Colombia, Afghanistan,
Triangolo d’Oro, ora anche dall’Iraq dove, sotto il regime degli
occupanti e dei criminali loro fantocci, al posto di fragole e
verdure ora si coltivano papaveri. Attraversano corridoi fidati e
controllati come i Caraibi, il Kurdistan iracheno, laTurchia, il
Kosovo-Albania. Infine si riversano nel sangue di milioni di
emarginati e disperati, come di giovani generazioni alla ricerca
di senso, sotto forma di migliaia di tonnellate di morti psichiche
o fisiche. 6000 tonnellate solo dall’Afghanistan occupato da Usa,
Nato e complici signori della guerra, nel 2007, anno record, ma i
primati si succedono. E’ grottesco, se non agghiacciante, che la
triade papa-ceto politico-Giuliano Ferrara abbia la sfrontatezza
di invocare la moratoria della pena di morte (da accoppiare subito
a quella dell’aborto, grata ai baroni banditi), mentre tace e, per
la parte maggiore, sostiene la pena di morte collettiva inflitta a
interim popoli senza che il mondo fiati. In Iraq, secondo
l’autorevole società britannica di sondaggi ORB che ha condotto
ricerche con tecnici su tutto il territorio del paese, nel
settembre 2007 stavamo a 1,2 milioni di vittime causate dal
conflitto, dato che conferma quello di oltre 600mila nel 2005
dell’altrettanto rispettata rivista medica Lancet. Non
sorprendentemente “il manifesto” senza più Chiarini prende per
buoni i 35-40mila morti registrati dall’ Irak Body Count,
una Ong cara al Pentagono perché elenca solo i decessi pubblicati
nei media governativi. Il precedente conflitto aveva ucciso
centomila iracheni. L’embargo ne ha eliminato, secondo l’ONU, un
milione e mezzo. Siamo a quasi tre milioni e ci arriveremo
prestissimo. E’stato fatto fuori un sesto del popolo iracheno,
dato che dalla popolazione complessiva di 25 milioni tocca
togliere quasi tre milioni di curdi, al sicuro nel protettorato
USraeliano, i 700mila cristiani emigrati, i due milioni di
profughi in Siria, Giordania e Libano. Come se all’Italia fossero
stati ammazzati quasi dieci milioni di cittadini.
Il contributo necrogeno degli agro combustibili e del lavoro
A far smagrire
l’umanità in eccesso ci penseranno anche gli agrocombustibili, che
“il manifesto” insiste a chiamare “biocombustibili”, anche se il
brasiliano Frei Betto correttamente li chiama necrocombustibili.
Lo sciagurato accordo tra la speranza spenta Lula e l’obbrobrio
confermato Bush è destinata a incrementare non solo la
deforestazione dell’Amazzonia che ci fa respirare (già una Francia
e un’Italia combinate sono andate), ma il numero dei morti di fame
nel mondo, da un miliardo oggi a quattro miliardi domani. Se i
piani per la produzione di etanolo da soia, canna, grano, mais,
verranno attuati, si toglierà all’alimentazione umana, a vantaggio
di quella delle già necrogene automobili, un abbondante terzo del
terreno coltivato. Visto che la deforestazione a scopo di pascolo
e legname va aumentando a ritmi vertiginosi, le industrie del
legno faranno superprofitti, i ricchi mangeranno più carne (che
gotta li colga!) e una gran fetta di popolazione umana si toglierà
dai coglioni.
8000 morti sul
lavoro dal 2001 al 2006, da tre a quattro al giorno, con la
regolarità del pendolo. Si esagera dicendo che anche
l’ininterrotta e immutata cadenza delle morti sul lavoro non sia
effetto solo di colposa negligenza e di disprezzo della vita di
sottoposti, ma che corrisponda a una precisa pianificazione di
eliminazione di esuberi? Non sarà lucida intenzione del singolo
Krupp di turno, ma l’indifferenza e la non messa in opera di
misure di salvaguardia dell’incolumità rappresentano un assalto
alla vita del lavoratore che a me non pare tanto distante da
quello che i colonialisti compiono contro popoli inferiori da
rimuovere. Che si tratti di città da radere al suolo come Falluja,
di popolazioni da estinguere nella fame, nella sete e nelle stragi
a casaccio, come a Gaza, di quartieri proletari e neri da annegare
e poi restaurare alla speculazione come a New Orleans (dove
fecero saltare gli argini a protezione dei quartieri neri:
migliaia uccisi, duecentomila dispersi, 7 scuole pubbliche dove ce
n’erano 123, 31 private al posto di 7), di operaie da stroncare
nelle maquiladoras messicane delle multinazionali, di
emarginati da far scomparire nella favelas, lontano da Copacabana.
Quando le borghesie capitaliste e colonialiste occidentali
prendono possesso di un paese, l’immediato obiettivo è quello di
renderlo una fonte di arricchimento legale e criminale e uno
strumento di morte. A questa bisogna servono l’impoverimento fino
all’inedia, la distruzione delle infrastrutture alimentari
(agricoltura, foreste, acqua) e igieniche, la droga, il traffico
di donne, bambini, organi, forza lavoro schiavista. Pensiamo a
quella fogna in cui è stato trasformato il Kosovo da Ong, Nato e
basi Usa. Pensiamo all’America Latina dove, fatte salve le
grandiose innovazioni in Venezuela, Bolivia e Ecuador, la
denutrizione colpisce 52, 4 milioni di persone, il 10% della
popolazione. Con la malnutrizione si arriva a metà. In Brasile, ma
anche in Messico, Perù, Colombia, Centroamerica, il dilagare delle
colture di necrocombustibili ha portato al passaggio dal lavoro
ipersfruttato al lavoro schiavistico. Nel solo Stato brasiliano di
Minas Gerais, in meno di quattro anni sono stati piantati 300mila
ettari di canna da zucchero, sostituendo foreste e coltivazioni
agricole. Grazie all’imperversare di questi combustibili, in mezz’
anno abbiamo visto il costo dei viveri salire a livelli
inaccessibili anche in Occidente: pane + 12,4%, cereali + 8%,
pasta + 8%, formaggi e uova + 4,8%, frutta + 5%. Ed è solo
l’inizio. Nel mondo, e qui in Italia siamo al vertice, ci sono
quasi un miliardo di auto. Quante quelli che stanno morendo di
fame. Bush, Lula, il capitalismo mondiale hanno deciso di nutrire
le prime e di moltiplicare i secondi fino a che scompaiano: spazio
alle macchine, mica agli esseri viventi, specie se sono in eccesso
quanto a forza lavoro, non consumano, epperò mangiano. La
deforestazione in Sud America, Africa, Indonesia, garantisce
un’accelerazione del cambiamento climatico che seminerà milioni di
morti, oltre a ondate bibliche di migranti votati alla repressione
e all’emarginazione ovunque arrivino. Pensate al decreto
espulsioni di Veltronussolini. Intanto le stragi africane da fame,
epidemie, mancanza di igiene, vengono attribuite all’Aids e,
dunque, alle colpevoli irregolarità sessuali dei primitivi. Il
papa agita il ditino e noi ci sentiamo orgogliosi ribelli a
raccomandare il profilattico.
La portata dell”umanicidio”
L’intero
sistema capitalistico sta precipitando verso una crisi rispetto
alla quale quella del ’29 appare un’increspatura, alla faccia dei
milioni di morti che già quella è costata. La polverizzazione
industriale, che ormai risparmia solo i giganteschi produttori di
morte militare e il circuito del banditismo finanziario ufficiale
e illegale, contribuirà fortemente alla riduzione della densità
umana. Nel sistema finanziario mondiale ogni banca può
moltiplicare il proprio credito e usarlo in operazioni che
travolgono l’economia reale, oppure la possono soffocare. Il
successo è dato dal tasso di profitto, comunque conseguito.
Intanto imprese, settori industriali, paesi interi dipendono dal
credito internazionale, deciso da pochi operatori, legati tra loro
da patti che rimangono segreti, come se le popolazioni non
avessero il diritto di sapere. Quelle popolazioni che saranno poi
tenute a pagare in termini di minori consumi e maggiore povertà,
disoccupazione, fame, malattie, morte, per i delitti e i giochi
segreti dei banchieri (Galapagos). E’ questo il mondo in cui,
dei tre miliardi di lavoratori (40% donne, altro che Luxuria),
mezzo miliardo guadagna meno di un dollaro e quasi un miliardo e
mezzo è sotto i due dollari. E’ questo forzatamente il mondo in
cui ogni giorno muoiono 26mila bambini sotto i cinque anni e quasi
10 milioni l’anno per fame, malattie e guerre (Unicef). Non si
uccidono così anche i cavalli? Nell’Afghanistan “liberato” dai
Taliban si ha una mortalità infantile di 257 su mille. Prima era
di 60 su mille. Nel mondo la media è di 72, a Cuba, primato
assoluto, si è scesi a 5,3. Questa sottrazione di vite al mantello
nero con la falce dà la misura dell’assedio Usa alla vita. Si
strepita sull’urgenza di cambiare produzione e stile di vita per
non annegare e arrostire tutti fra vent’anni, ma se non rottamiamo
macchine siamo nessuno e se non prendiamo il caffè sotto il
“fungo”, non sappiamo vivere. Non c’è più bar, pub, ristorante che
non ci voglia far stare ai tavolini fuori, anche a 10° sottozero,
appunto sotto il “fungo” a gas. In piena emergenza climatica siamo
arrivati a scaldare anche l’aria, laddove nel Sud del mondo,
gelato tra deserti e ghiacci, non si possono riscaldare neanche le
case. In Inghilterra ce ne sono 630mila e sparano ulteriori
140mila tonnellate di C02 all’anno. Da noi si vedono, ma non ci si
pensa, il Ministero dell’ambiente ha altre gatte da pelare. In
un’ora, quell’ aggeggio idiota consuma quanto una macchina in 25
km. Da noi a sfoltire la plebaglia del Sud ci pensano, in società
con la camorra, il complesso politico-industriale del commercio e
dell’avvelenamento da rifiuti: genocidio da economicidio ed
ecocidio. Se non è strategia di sfoltimento questa!
Suharto, un modello sempre valido
In casi che si
prestano si ricorre al metodo diretto. Un castigamatti al servizio
dell’imperialismo sfoltimondo, che intervenga con drasticità in
cambio di vitalizi di potere e ruberie. Insieme ai generali
vietnamiti come Diem o Cao Ky, a quelli argentini, a Pinochet, ai
dittatori Cia del Sudamerica in genere, è un classico esempio il
generale Suharto di Indonesia, cui gli Usa nel 1965 garantirono
copertura e impunità (più un regno assoluto trentennale)
nell’eliminazione di un milione di comunisti indonesiani che
rischiavano di trascinare il paese verso il campo nemico e di
negargli il ruolo di anello nell’assedio Usa all’Asia Orientale.
Marina Forti, altra dama del “manifesto”, e il chierico Emanuele
Giordana, “Lettera
22”,
che su quel giornale insiste a rifilarci la “società civile”(cioè
borghese, saprofita, collaborazionista) asiatica con le sue Ong ,
sono riusciti a riempire una pagina del quotidiano senza far
riferimento, neanche di sfuggita, al padrinato statunitense sul
dittatore e sul suo arcipelago strategico (petrolio, legname,
basi). Deprimentemente meglio “la Repubblica”.
L’epitome della
strategia capitalista di riduzione della popolazione mondiale sono
gli attuali scenari di guerra: Iraq su tutti, Palestina,
Afghanistan, ognuno col suo Suharto, che si chiami Al Maliki,
Mahmud Abbas, o Karzai. Truffaldina è la conta dei morti
mercenari, dell’esercito o privati, taciuta o ridicolmente ridotta
quella delle vittime civili, gonfiata quella dei resistenti,
pervicacemente ignorata quella degli effetti letali sulla salute e
vita delle popolazioni. In Palestina non si fanno somme: come
quella dei cinquemila palestinesi ammazzati dall’inizio
dell‘Intifada e delle migliaia destinati a estinguersi nel più
criminale meccanismo di privazioni visto da Auschwitz in qua. E
per 30 dollari la ditta israeliana Magen Yehuda vi fa fare un tour
dell’omicidio in cui assassini veterani insegnano ad appassionati
dai 7 anni in su come si spara a un palestinese. Viva, dunque, sia
il coraggio e la determinazione di Hamas che, stupendo il mondo,
ha fatto saltare uno dei muri sionisti, dando al popolo di Gaza
alcuni giorni di libertà e ribadendo, contro l’infame complicità
dei boss di Fatah, la validità della resistenza. E viva anche
l’unico contributo possibile del mondo: il boicottaggio di
Israele, stigmatizzato dalla lobby ebraica capeggiata da Valentino
Parlato. In Iraq, situazione più tragica e più oscenamente
ignorata da tutti, sinistre comprese, a inizio 2008 vengono
uccisi, grazie anche a un aumento di 500 volte rispetto all’anno
prima delle incursioni aeree, una media di 50 cittadini al giorno,
in parte torturati e liquidati, dalle bande “di Stato” di
obbedienza iraniana. La Resistenza, rifattasi sotto dopo i mesi di allentamento a fine 2007, dovuti alla
riduzione dei pattugliamenti Usa e alla corruzione di alcuni
capitribù sunniti pagati per costituire i collaborazionisti
cosiddetti “Consigli del risveglio” (e subito decimati dalla
Resistenza), all’inizio del 2008 torna a eliminare una media di
tre occupanti (ammessi) al giorno. In Afghanistan, dei bilanci di
villaggi rasi al suolo dall’alto non si sa praticamente nulla. In
compenso gli analisti occidentali assegnano al controllo della
Resistenza il 52% del paese e la sua presenza nei due terzi.
Ma la guerra al terrorismo c’è?
Tutto questo
va, e viene giustificato, sotto la denominazione di “guerra al
terrorismo”, partorita dal solito terrorismo di Stato dell’11/9.
Vediamo in Tv e compiangiamo le vittime di una dissennata lotta
armata, come raccontate dai figli Mario Calabresi, Benedetta
Tobagi, Marco Alessandrini, che rivendicano punizioni senza fine
ai responsabili. Avete mai visto in Tv i famigliari delle decine
di ragazzi uccisi dalle “forze dell’ordine”, in risposta al
movimento di liberazione degli anni 60-70? Vi hanno detto quanti
sono? Hanno potuto chiedere giustizia e risarcimenti? Quanti morti
ha fatto la “guerra al terrorismo” e quanti il “terrorismo”?
Dov’è la sinistra che ha decostruito il paradigma grazie al quale
un colonialismo e una lotta di classe unilaterale stanno
sterminando popoli, rapinano risorse, si appropriano e distruggono
beni comuni e tornano a imporre un effettivo schiavismo ai
subordinati del mondo? Stiamo assistendo a una guerra globale
interciviltà senza campi di battaglia e senza confini, mascherata
da rimozione dei Taliban e di un Al Qaida, paradossalmente
onnipresente e onnipotente, a dispetto della massima coalizione
militare e di intelligence di tutti i tempi. Un’organizzazione
virtuale, ma il cui logo viene appiccicato a qualsiasi cosa si
muova in controtendenza al dominio imperialista assoluto. Per
mantenerci nella nostra sciagurata indifferenza e ostilità
rispetto a popoli combattenti che rappresentano l’ultima,
auspicabilmente la nuova, trincea della giustizia e della libertà,
si dà a tutti, dall’Iraq all’America Latina, dall’Afghanistan
all’Europa, l’infamante nome di Al Qaida. Sigla che sarà pure
stata assunta da qualche gruppo di illusi manipolati, ma che
rimane tutta di origine e utilizzo anglo-euro-israelo-statunitense.
Basterebbe ricordare il ruolo di Osama bin Laden, per conto degli
Usa, contro i sovietici, contro i serbi, contro gli afghani (che
avevano offerto, prima dell’attacco Usa, di consegnarlo purchè si
fornissero le prove delle sue responsabilità), contro il Sudan,
che, pure, lo aveva invano offerto a Washington nel 1998. Il
terrore è un mezzo per perseguire fini politici e uno
strumento di lotta. Che senso ha muovere guerra a un mezzo e a
uno strumento? E se il terrore punta all’intimidazione politica e
al consenso minacciando o utilizzando la violenza contro civili,
non sono forse gli Usa, Israele e i loro alleati a fare proprio
questo con le guerre “shock and awe” (colpisci e
terrorizza), le bombe sugli abitati, le armi proibite, gli
assassini mirati, le punizioni collettive, gli squadroni della
morte, il sequestro e la tortura?
Religione, ideologia di guerra e dominio
Quando si dice
che papa Ratzinger, non meno di quanto abbia fatto il predecessore
Woytila, ma il polacco con più diplomazia e charme, ci sta
riportando al Medioevo, non si gonfia in iperbole una strategia di
fatto. Si descrive secca secca la realtà. Del resto, non è forse
che a forza di panzane, ricatti morali e spietata repressione che
da 2000 anni questa Chiesa, sempre più arida di fede, sempre più
enfia di ubbie e negromanzie, garantisce a sé e ai suoi partner
politici la coesione degli alloccati che stanno sotto? Se, con il
concorso di Bertinotti (spirale guerra-terrorismo),
Veltroni, Berlusconi, le elites dominanti che esprimono i Bush, i
Gordon Brown, i Tony Blair, i Sarkozy, hanno inteso offuscare e
rimuovere il concetto di lotta di classe per convogliare i loro
oppressi e sfruttati nello scontro di civiltà contro popoli
oppressi e sfruttati, il corollario ideologico è fornito dalla
religione. Qualunque religione, come interpretata e utilizzata dai
padroni, con il monarca assoluto del Vaticano in testa. Come ai
tempi dell’impero, delle conquista del nuovo mondo, del
feudalesimo, del colonialismo e dello Stato borghese, del
fascismo. I protagonisti dello scontro epocale cui assistiamo non
sono i poveri, i ricchi, i fuoriquota, i padroni, i lavoratori.
Inseriti nel calderone terroristico, si agitano e si combattono –
o piuttosto si fanno combattere, auspicando che si facciano
a pezzi - militanti cristiani evangelici e cattolici creazionisti
contro laici, sunniti e sciti, buddisti, musulmani, indù e
cristiani, ayatollah ed ebrei, il Dalai Lama e i contrapposti guru
indiani, i Kikuyu cristiani e i Luo che vogliano tornare alle
origini.
E’ una
conflittualità sanguinosa, sterminatrice, ma artefatta. Si devia
dalla scontro naturale, fisiologico, necessitato, storico, tra
haves and havenots (chi ha e chi non ha), si salvaguarda il
potere esistente e si fa in modo che gli altri si sbranino tra di
loro. E’ da sempre lo strumento della conquista, della divisione,
del colonialismo. Ma è di più. Con la supremazia ontologica ed
escatologica delle religioni si torna a imporre la superstizione
al posto della ragione conquistata faticosamente, contro roghi e
eccidi, secoli fa. E con la superstizione che obnubila la visione
della realtà, del vero e del possibile, si ricostituisce anche il
dominio assoluto che si vanta disceso da verità rivelate,
indiscutibili a scanso di iconoclastia, emananti dall’Assoluto. Di
cui evidentemente l’autorità costituita è interprete e impositrice.
Con strumenti della superstizione-repressione, quali la sacralità
della famiglia codificata una volta per tutte, con il recupero del
dominio totalitario su sessualità, accoppiamento, procreazione,
nascita e morte, si tolgono di mezzo i diritti al libero arbitrio,
alla libertà di scelta, all’uscita dal seminato. Walter
Veltrussolini è l’uomo dell’esclusione bipartitica delle frange
dissidenti e dello Stato di polizia travestito da
presidenzialismo. Non per nulla gli occorre il quadro ideologico
della religione “rivelata” e della Chiesa trionfante. Nell’era in
cui le oligarchie credono di aver bisogno del ristabilimento del
principio, verticale, tirannico, di gerarchia, le religioni, in
particolare quelle intolleranti e fondamentaliste, cattolicesimo
in testa, forniscono gli strumenti per la guerra globale e
infinita e per la riduzione in schiavitù dei subalterni. Si
consacra il rapporto uomo-caporale. Ahamedinejad e i neo-teo-con
faranno finta di accapigliarsi, il papa sbertuccerà l’Islam, il
gioco concordato provocherà pure qualche sbavatura, qualche
scontro vero, ma c’è un filo che unisce questi rappresentanti
della trascendenza in un interesse, in un disegno antiumano
comune. Alro che “oppio dei popoli”. Dei popoli la religione è
l’acido lisergico, una roba che propone lucciole per lanterne,
mentre è la coca per i potenti.
Integralismi allo sbaraglio
La duplicità
tra apparenza e sostanza si è manifestata in termini addirittura
grotteschi in occasione del tour di Bush in Medioriente all’inizio
del 2008. Data a Israele l’ennesima via libera alla liquidazione
dei palestinesi, il presidente Usa ha preteso nelle varie capitali
degli arabi vassalli di creare un fronte contro l’Iran, da lui
definito “massimo promotore mondiale del terrorismo”. Oltre a
riequilibrare un po’ il sorpasso persiano nella spartizione
dell’Iraq, l’operazione, del tutto propagandistica, serviva a
rinfocolare il mantra della guerra al terrorismo e dello scontro
di civiltà, tanto necessario alla eliminazione degli spazi di
democrazia in Occidente e alla lubrificazione della macchina
militar-industriale. Non erano passati che pochi giorni che
l’intero pollaio mediorientale rettificava l’assunto e rimetteva
le cose nel giusto ordine: il governo fantoccio di Baghdad e i
paesi del Golfo invitavano a casa loro, con cordialità, il
presidente iraniano, appena reduce dal suo primo coccolatissimo
pellegrinaggio alla Mecca, Condoleezza Rice si vestiva da
soubrette per ammansire diplomaticamente Tehran. L’Egitto apriva
addirittura al ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Si
tratta di paesi nei quali, notoriamente, non si muove foglia senza
che il padrino di Washington non voglia. Altro che coalizione per
la guerra all’Iran messa in piedi da Bush. C’è poco da ciurlare
nel manico.
Svegliati, amore
Svegliati,
amore, la situazione non è buona. Anzi, è molto peggio di come ce
la presentano le cosiddette sinistre politiche e mediatiche. E
finché non ne prendiamo atto, combattiamo con il braccio legato
alla schiena Eccoci qua, a sessant’anni dalla Costituzione e, più
strappacuore, a quarant’anni dalla rivolta sociale e generazionale
del ’68, a poche ore dal vomito rigettato su quegli anni dagli
scampati di Palazzo, soprattutto da quelli “recuperati”, come
Ferrara, l’enfio e spampanato Liguori, Riotta che scimmiotta i
conduttori Usa, il vivandiere d’armata Sofri, perennemente
spaventati dal potenziale di forza delle masse, a dispetto di
calmieratori come i capi delle nostra “sinistre”. Gli abbiamo
messo addosso una paura che ancora oggi gli deforma le facce:
guardate Veltroni, Fassino…I sensi di colpa, per quanto sepolti
sotto montagne di dollari e broccati da cerimonia, ti corrodono
senza che te ne accorgi. Eravamo laici, anticonformisti, ribelli,
comunisti, innamorati gli uni degli altri, della vita, del futuro.
Avevamo venti, trent’anni, anni spumeggianti di idee coraggio,
disposti a ogni sacrificio, straboccanti di musica fatta e
cantata, non solo ascoltata, il privato era pubblico. Oggi siamo
appena a cinquanta, sessanta, neanche tanto vecchi da non rifare
tutto, magari meglio, ma molti quanto invecchiati! Addirittura, se
guardiamo ai convertiti, putrefatti. Io quella vicenda l’ho
vissuta tra Boulevard S. Michel, la valle del Giordano insieme ai
Fedajin di Hawatmeh e del mai dimenticato e sempre rimpianto
George Habash, le casupole da fiammiferi di Belfast e Derry, la
savana dell’Eritrea in lotta di liberazione, il Vietnam, la
Sapienza, Piazza Cavour, Bologna. Inestimabili e assolutamente da ritrovare le
intuizioni e i contenuti di allora. Uscivamo, a forza di
Bee-Bee-Berlinguer, dal riformismo di Togliatti e di una
burocrazia a rischio – realizzato – di corruzione e integrazione,
che effettuava la “lunga marcia attraverso le istituzioni”,
perdendo a ogni passaggio un pezzo di forza, integrità, pulizia,
etica. Fino a D’Alema, fino a Fassino, Veltroni, Napolitano,
Bertinotti. Scoprimmo che ci avevano incastrato in una scala
gerarchica senza pioli, ma con in cima monarchi e preti. Liberammo
i corpi e l’anima dai ceppi e cappi dell’antisessualità.
Scoprimmo, soprattutto con Lotta Continua, che accanto agli
operai, non ancora normalizzati, c’erano fasce escluse o
lobotomizzate, soggetti di giusta e forte potenzialità politica: i
carcerati, i militari di leva, i poliziotti e, alla grande, un
popolo dimenticato, formicolante nelle periferie, i senza servizi
sociali, i rincoglioniti nelle scuole di classe, i senza casa, i
senza lavoro, i senza felicità, il Sud, quelli che già paventavano
il collasso della biosfera, gli antiguerra vincenti di Comiso (da
rifare a Vicenza), le donne non ingabbiate da manipolazioni
ginocratiche, speculari a quelle patriarcali, i bambini, gli
scugnizzi, i senza sindacato passati da Enna alle acciaierie della
Ruhr. Vennero i Consigli di fabbrica a mettere in riga i gialli,
le gigantesche conquiste dei lavoratori in termine di salute,
ambiente, salario, diritti, “sapere alto” (le “150 ore”), vennero
gli organi collegiali, tutto strappato a forza di scontri di
piazza, scioperi, occupazioni, comunicazione intelligente e
vera.Che onore, aver fatto il direttore di quel giornale, “Lotta
Continua”, con nella testata le vittoriose barricate di Parma nel
’22. I ragazzi Provisional dell’Ira erano molto cattolici, ma
stavamo incondizionatamente con la loro lotta contro il nemico
principale. Oggi chi sta con i guerriglieri islamici? “La
resistenza irachena non ci parla”, sentenziò un fesso di RC.
Grazie alle BR,
ma prima ancora, grazie alle stragi dello Stato Cia-P2, alla
collusione-collisione tra PC e DC, Confindustria e Sindacato (un
po’ come tra Usa e Iran), fummo fregati, neutralizzati,
incarcerati, espulsi, uccisi. Alcuni suicidi, alcuni passati al
nemico e retribuiti con poltronissime nei media e altrove, molti
appassiti nella rassegnazione. La situazione non è buona: il
Vietnam, vittorioso sul campo e che s’è venduto la vittoria, la
Jugoslavia in pezzi miserandi, l’Irlanda del Nord cogestita da proconsoli
coloniali e combattenti della riunificazione che hanno indossato
cravatta e “realismo”, le nostre sinistre… ne abbiamo parlato
abbastanza e ci fanno anche un po’ nausea. In Palestina, Iraq e
Afghanistan una resistenza eroica e indomabile non ci compensa
delle mostruosità inflitte a quei popoli. La situazione non è
buona.
One solution, revolution!
Ma le guerre
gli strateghi dello sterminio le stanno perdendo inesorabilmente.
Se quei resistenti, ovunque all’offensiva, potessero animarci a
casa nostra come ci animarono i Vietcong e i fedayin! E, con
orgoglio, i nostri partigiani. La Russia si è rimessa in piedi, ha
riacquistato dignità alla faccia dei detrattori sinistri che
echeggiano le parole d’odio e di paura dei padroni d’Occidente.
Non è il socialismo, ma è la fine delle ruberie, della
sottomissione, dello spadroneggiare dei predatori occidentali. Ed
è il requilibrio geostrategico, quello che per mezzo secolo ci ha
preservato dallo scatenarsi dei signori della guerra Usa. Non è
poco, in difesa della vita. E’ una crisi, forse terminale, del
sistema che ci ha portato all’orlo dell’apocalisse. E’ lo spuntare
all’orizzonte di uno scontro tra potenze discendenti e potenze
ascendenti che, come sempre nella storia, da Roma dei Barbari al
’17 dell’Ottobre, ha aperto la strada a sconvolgimenti epocali. Si
tratta di farcisi valere. Come sta avvenendo in America Latina,
intero continente in un sisma guidato da rivoluzionari. Difficile
oggi? Era più difficile per guerriglieri cubani che, in poche
dozzine, avevano di fronte una dittatura armata fino ai denti e
tutti gli Stati Uniti? Era più difficile per i paesi sudamericani
che fino a ieri avevano sul collo il giogo più pesante della loro
storia? E’ più difficile in Iraq, dove basta attraversare la
strada per essere fulminati da un videogiochista di Dallas, dove
si buttano in carcere le donne e i figli perché rivelino cosa
fanno i loro mariti e padri, dove agli angoli ti aspetta il
fanatico al servizio dell’Iran per trapanarti il cranio? E’ più
difficile a Gaza dove, con l’ultima pagnotta lontana dalla
pancia, l’ultimo lavoro perso nella polvere degli anni vanificati
dai traditori, l’ultimo salario dimenticato, l’ultimo farmaco
scomparso, l’ultima incubatrice spenta, il popolo si alza in
piedi, rompe il muro e corre? Li richiuderanno, ma quei giorni
all’aperto hanno fornito ossigeno per un altro bel po’ di lotta.
Il pendolo va avanti e indietro. Poi torna avanti. In fondo al
tunnel più lungo lumeggia qualcosa. Siamo fortissimi, oltre l’80%
della specie umana. Tutti bassotti. C’è chi può dire che, alla
vista di quanto emerge da queste pagine, che le cose non stiano
così? Che ci sia altra soluzione che la rivoluzione?
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