MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

 

 

Adesso basta Bertirospi,que se vayan todos scheda annullata!

 

GLI AVVOLTOPI DELLE TRE DESTRE

Compiacenze, obbedienze, connivenze di una sinistra ex, vedi Fiera del Libro (mentre con il Kosovo si allunga la fila degli Stati criminali e la diaspora serba che fa? Balla e canta)

 

 

23/02/2008

 

 

 

La forma peggiore di tirannia, o certamente quella di maggiore successo, non è quella contro la quale ci mobilitiamo, ma quella che si insinuano nell’immaginario della nostra coscienza e nel tessuto delle nostre vite in modo tale da non essere percepita come tirannia.

(Michael Parenti)

Un popolo schiacciato dalla legge no ha speranza se non dalla forza. Se le leggi sono i suoi nemici, saranno nemici della legge. E coloro che hanno molto da sperare e nulla da perdere saranno sempre pericolosi.

(Edmund Burke)

Se tirannia e oppressione verranno nel nostro paese, sarà sotto forma di guerra a un nemico esterno.

(James Madison)

Al vincitore non si chiederà mai se ha detto la verità

(Adolf Hitler)

 

 

 

Enormità

Ci stanno rifilando, gli avvoltoi di destra e i topi di “sinistra”, delle enormità talmente enormi che neppure i nostri stomaci, coltivati ad aculei di spinosa da decenni di orrori imperialipiduisti e di prostrazioni e connivenze sinistre, riescono più a digerire. Facciamo un parzialissimo elenco. Il voto di una transumanza a ritroso di elezione in elezione cui ci trascinano pastori bastonatori e carotieri che ci fanno credere, da pecore che siamo, di essere soggetti decisionali; i falsari della sinistra che, ridando una mano di rosso ai loro panni sporchi di mille schizzi di fango, vorrebbero farci acqua da portare ai signori della guerra di classe contro di noi; i rigurgiti di un Vaticano che più gli viene a mancare la base dei fedeli e più riesce a irreggimentare in battaglioni di squadristi etici il ceto politico “laico” per rimettere al guinzaglio le donne e, addirittura, quel grumo di cellule che vogliono vivo anche se scaturisce sotto forma di freak iracheno uranizzato; il nauseabondo pachiderma filo-aborto clandestino e filo-stermini di massa (la 194 ha ridotto gli aborti del 40%) che, stampellato da quattro ginecologi Frankenstein in vena di insufflatori di anima a quel grumo, non perde occasione per farsi apripista di qualsiasi terrorista di Stato o di Chiesa; un esercito di sgherri che, uscito dalle madrasse di Starace, Scaiola, Pisanu e Amato, spara, pesta, terrorizza chiunque osi ancora valersi di diritti, leggi, ambiente e qualità della vita, costituzione, legge 194 compresa; le femministe degenerate in ginocrate che belano a Santa Hillary Clinton e che compiono il miracolo transgenico di trasformare in “donne mascolinizzate” tutte quelle che non riescono a far rientrare nella categoria superiore della “donna donna”, respingendo con sdegno la possibilità che alberghi in entrambi i generi la radice dell’autoritarismo e della prevaricazione, come storia e lotta di classe dovrebbero insegnare; i glbt che si collocano nell’ombelico del mondo e, analogamente, ignorando esistenza e rapporti di classe, vedono l’universo mondo sub specie del modo di coitare, cacciando nel dimenticatoio l’obliterazione di donne e “diversi” in Iraq e Afghanistan. E questo vale tanto più per le vociferanti ginocrate di regime che s’inalberano più per il burka che per chi ci sta dentro, come dimostra il totale oblio in cui seppelliscono donne, bambini, “diversi” che in Iraq vengono massacrati dagli occupanti e dai fanatici che gli occupanti hanno coltivato: a Basra gli invasati “iraniani” di Moqtada al Sadr amazzano più donne che i trafficanti di morte a Ciudad Juarez . Quel Bertinotti lì che, corrotti in cortigiani un manipolo di opportunisti pronti a tutto pur di poter mugolare sotto il tavolo dei banchetti, mastica ed espelle i residui che si erano fatti illudere dalla sua comunistofobia travestita da “nuova sinistra”. Poi, guantato con pelle di militante, contribuisce a calare sul popolo di sinistra la mannaia veltrusconiana dello Stato di polizia bipartitico; “il manifesto” rivelatosi definitivamente lobbista catto- israelo-clintoniano e punta di lancia, con i denudatissimi Parlato, Ciotta, D’Eramo, di quell’agente orange che è lo strumentale anatema dell’antisemitismo; i pianti osceni dei bonzi della Repubblica sulla morte di militari italiani in Afghanistan, fatti passare per distributori di caramelle, ma lì mandati per giocarsi la pelle e farla a qualunque afghano non contento di farsi colonizzare da feroci barbari, sia che sparino e bombardino, sia che si fingano dame di S.Vincenzo. Documenti inoppugnabili, militari e delle autorità e popolazioni locali, accreditate negli Usa e in Gran Bretagna, rivelano che le forze speciali italiane sono impegnate direttamente in combattimenti, bombardamenti, indicazioni di obiettivi da radere al suolo. Un governo di “centrosinistra” nasconde al parlamento e alla nazione questo fatto, non solo agghiacciante, ma giuridicamente criminale. Come ci ha nascosto il suo accordo illegale alla partecipazione italiana allo Scudo Spaziale d’assalto degli psicopatici di Washington. Se non sono enormità queste! E Veltroni promette peggio. Perché tace Gino Strada? 

 

 

Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire

(George Orwell)

Le prodezze dello Stato invitato alla Fiera del Libro

Incominciamo dal tonfo suicida del “manifesto”. Contorsionisti al limite del prodigioso, quelli del “manifesto”, guidati da un Valentino Parlato tanto più arrogante, quanto più intellettualmente vacilla, si sono fatti Delta Force della risposta ebraico-israeliana al sacrosanto boicottaggio dell’ormai intoccabile Fiera del Libro torinese. Questa aveva invitato Israele – lo Stato! Non i letterati – nel 60° della fondazione. Stato saprofita innestato come il virus dell’Aids nel corpo del popolo titolare di quella terra. Stato teocratico e razzista, parassita e bulimico che, da allora, si è nutrito, gonfiato, espanso, a forza di crimini contro l’umanità che, per durata e connivenze internazionali, non ha paragoni nella storia. Un dato recente sul carattere democratico di quel regime militare? Dal 2001 questo regime ha concesso ai palestinesi, in costante espansione demografica (meno male!), 91 autorizzazioni a costruire case, nello stesso tempo 18.472 ai coloni ebrei arrivati da ogni dove. E’ il corollario del genocidio. Stato che celebra il suo invito al salone del libro con l’ennesimo macello di donne e bambini in una Gaza assediata come neanche Riccardo Cuor di Leone (che decapitò tutti i cittadini musulmani di Acri), con un pogrom stragista a Nablus, con l’invito del ministro Zeev Boim a Tsahal di liquidare tutti i dirigenti –eletti! – della Resistenza palestinese, con la benedizione impartita dal ministro-pirata Gideon Ezra all’ennesimo assassinio mirato del Mossad, quello del comandante di Hezbollah Imad Mughniyeh a Damasco. Stato responsabile di ininterrotte guerre d’aggressione, ultimamente condotte con armi proibite usate sui civili. E se la guerra d’aggressione, senza neanche parlare di ergastoli extragiudiziali di massa accompagnati da tortura legittimata, è, per Norimberga, il “crimine massimo contro l’umanità”, quello è giuridicamente uno Stato criminale. Stato che é stato capace di ammazzare in sette anni 5000 cittadini di un paese occupato, dei quali la maggioranza civili, per un quarto bambini e che, dall’inizio dell’Intifada, ha fatto morire ai  suoi spietati 550 check point ben 98 persone, di cui 17 bambini,  Stato composto da cittadini ebrei, di prima classe, tutti buoni, pacifici, immuni da pulsioni razziste, che da sessant’anni eleggono governi di criminali di guerra. Con la scusa delle bombe-carta palestinesi Kassam, Israele nel gennaio 2008 ha ucciso 96 palestinesi, 10 erano bambini, 10 erano donne. Dal 1. al 16 febbraio 2008 l’esercito “più etico” del mondo, Tsahal, ha rapito 300 palestinesi nei territori occupati, dei quali 32 minori tra 14 e 18 anni, rinchiusi in centri di detenzione in aggiunta agli 11mila incarcerati senza processo, contro la Quarta Convenzione di Ginevra.

 

Con l’antisemitismo contro tutti, soprattutto contro i semiti arabi

Però rivoltarsi contro quell’invito, nel 60° dell’inizio di un genocidio, quello no, quello è censura, anticultura, libertà d’espressione negata, siamo alle leggi razziali del ’38, soprattutto e sempre, inesorabilmente e collettivamente, siamo antisemiti. Si è chiesto di negare la parola agli esperti di lifting di quello Stato, Oz, Jehoshua, Grossman? Neanche un po’, anche se le basi etiche c’erano tutte, viste le loro mistificazioni da finti critici che sostengono muri di apartheid e invasioni di terre altrui. Si è chiesto invece che i palestinesi, derubati, espulsi, fottuti e ammazzati, venissero invitati anche loro, venissero trattati almeno alla pari, e già sarebbe stato uno squilibrio da ciucca di alcol puro. Quando avrà finito di sfinirci, di turlupinarci questa ormai quasi umoristica coazione a ripetere il decrepito karma del’antisemitismo? Collaboriamo tutti a uno tsunami mondiale di calunnie antislamiche, per la maggiore soddisfazione dei veri antisemiti, e ci facciamo ancora intimidire da questa sporco anatema! E’ possibile che non emerga e s’imponga il paradosso lubrico di uno Stato antisemita, lui, che più antisemita non si può, ma che maschera i suoi delitti facendosi vittima di antisemitismo? Uno Stato che, oltre a occupare le terre di otto milioni di palestinesi, tra residenti e esiliati, tra i suoi cittadini riconosciuti ha un milione e mezzo di arabi, semiti, una spruzzata di ebrei semiti (i sefarditi), un’altra minoranza di ebrei camiti (i falasha) e una stragrande maggioranza di ebrei indoeuropei (i kazari di origine caucasica. Vedi, tra gli altri, lo studio di Arthur Koestler). In Occidente imperversa, innescata dalla truffa dell’11 settembre, un’islamofobia che non ha niente da invidiare ai tempi delle crociate e di Lepanto. Ai musulmani qui basta starnutire in arabo per finire sugli aerei Cia della extraordinary rendition. Israele non cessa di aggredire, invadere, occupare, paesi arabi, musulmani, semiti. Epperò si brandisce lo spuntatissimo spadone dell’antisemitismo, oltrettutto costantemente e impudicamente riaffilato con le ossa delle vittime dell’olocausto, con particolare virulenza quando c’è da coprire una qualche nefandezza di Israele. Cioè sempre.

 

Liste nere per occultare liste nere

E non trova, il rullo compressore del vittimismo truffaldino e predatorio della lobby,  immancabilmente la benzina di una qualche stronzata “antisemita”? Vi siete stupiti che, nel pieno della burrasca del boicottaggio alla Fiera del Libro, sia spuntata, come Osama quando Bush deve rilanciare qualche porcata bellica o antidemocratica, la “lista nera degli accademici ebrei”? A chi è convenuta nel frangente?  Domande che non si sognano di porre tanti comunicatori “di sinistra”. Penso a quel Gennaro Carotenuto che, dimentico del passo falso compiuto entrando a gamba tesa nel coro delle demonizzazioni delle Farc colombiane in  occasione della liberazione degli ostaggi, uscendo dal seminato latinoamericano che gli è famigliare si è prontamente inserito nel coro dell’esecrazione della “feccia antisemita”. Quella che si è manifestata nella famosa “lista nera”, quella che indicherebbe come l’antisemitismo stia tornando rampante (anche in frammenti dell’estrema sinistra). Boccalone, si dice a Roma, inconsapevolmente ma inconsultamente ricettore di riconoscenza di quel Mossad che di provocazioni del genere è maestro supremo. Cosa prova, Carotenuto, a trovarsi compagno di merende tale Magdi Allam, vicedirettore del “Corriere della Sera” per grazia sionista di Paolo Mieli (ex-Potop), che, per l’altra grazia di schermi lobbizzati, tuona anche lui contro la “feccia antisemita” dei boicottatori, per poi affiancarsi, rigorosamente coerente, all’obeso tagliagole Cia nell’esecrazione sanfedista dei “feticidi”? Ci vuole proprio un paese ridotto a cloaca perché galleggino certe scorie.

 

Una lobby ebraica, ma cosa dite!

 A Gennaro Carotenuto, perché mediti sui propri sbandamenti collateralisti, andrebbe suggerito un sabatico sulla disinformazione e sulle operazioni sporche dei servizi. Tanto più che, da esperto di Latinoamerica, dovrebbe essere ben equipaggiato a riconoscere gli interventi di Israele sotto le mentite spoglie di “esperti di sicurezza”, “consiglieri economici”, “istruttori vari” e sotto quelle effettive di spioni, terroristi, provocatori, armaioli, al servizio dell’estrema destra di quei paesi. Eppoi, davvero non c’è una lobby? E com’è che tutti, al fischio di Tel Aviv, si muovono d’intesa, sincronici e con la compattezza di una falange macedone? Non è vero, Marco D’Eramo, altro sponsor di Israele nel “manifesto”, che fai lo spiritoso sfottendo i bipartisan del nostro universo inciucista perché stigmatizzano di antiamericanismo chi non sgavazza nella scia di sangue di Bush? Per quale prodigio di acrobazia logica non ti scatta il corto circuito con coloro che sgavazzano nell’oceano di sangue palestinese e ci danno dell’”antisemita”?  Non c’è collettività che sia più unanime nel sostegno a Israele, nel silenzio sui suoi delitti, nella demonizzazione di vittime e resistenti, nell’assalto coordinato a chi si permette di sbirciare, dietro al paravento di Auschwitz, sui sessantennali crimini israeliani. Salvo coraggiose eccezioni che salvano il rispetto per la comunità ebraica, direi eroiche per quello che gli viene riservato in termini di ostracismo e demonizzazione. E’ lecito parlare di lobby dei petrolieri, lobby dei tabaccai, lobby dei tassisti, lobby cubana. A parlare di lobby israeliana si rischia l’esecuzione civile. Se non di peggio, visto il braccio lungo e assai articolato del Mossad. In Olanda, il deputato Geert Wilders, scatenato sostenitore dello “scontro di civiltà”, ha realizzato un filmaccio razzista in cui si perora la “cacciata del Corano (cioè dei musulmani) dall’Europa”. Pensate cosa avrebbero combinato la lobby e i suoi chierichetti se in Iran fosse uscito qualcosa che inneggia alla cacciata degli ebrei dal Medio Oriente (e non alla sostituzione dello Stato etnico sionista, come ha suggerito Ahamdinejad).  

 

Chi minaccia è meglio che faccia finta di essere minacciato

Il feldmaresciallo Olmert, persa la guerra, si è dovuto accontentare di 1.300 morti libanesi, degli esperimenti riusciti con le armi chimiche e a energia, e di un futuro di bimbetti e contadini libanesi squarciati dal milione di bombe a grappolo degli ultimi tre giorni di aggressione. Impersonando uno Stato che di guerre d’aggressione ne ha fatte sette in mezzo secolo, ora ne minaccia un’altra all’Iran. Ahmadinejad ha detto che lo Stato di Israele va cancellato dalle mappe. E’ stato truculento e, come gli tocca nel gioco dello “scontro di civiltà”, animatore delle guerre di religione congeniali all’imperialismo. In compenso, a far nascere uno Stato palestinese, Israele non ci pensa nemmeno e intanto il popolo che osa pretenderlo lo cancella per davvero dalle mappe. Israele ha 400 ordigni nucleari che bastano per far scomparire non uno ma cento Iran. L’Iran non ne ha neanche una e, anche volendo, non potrebbe averne prima di dieci anni. La spesa militare di Tehran è la più bassa in tutto il Medioriente, nonostante lì ci sia la popolazione più numerosa dopo l’Egitto. Nel 2008 tale spesa era del 55% inferiore a quella di Israele, nonostante in Iran ci sia dieci volte tanta gente che in Israele. La spesa militare pro capita israeliana – $1.737 – è dieci volte quella di Tehran ($110), è seconda nel mondo solo agli Usa e rappresenta il 7,9% del PIL, percentuale più alta in assoluto nel mondo. Dagli Usa arriveranno in Israele tra il 2009 e il 2018 armamenti per 30 miliardi di dollari, il 25% in più rispetto alla decade precedente.

 

Falce e martello? Non quella dei PC…

E’ impressionante la cecità con cui questi sinistri politici e mediatici non si avvedono dei chilometri morali e di coscienza che si stanno allungando tra loro e quello che vorrebbero fosse il loro bacino elettorale. Quando Bertinotti detta al suo siniscalco di scatenare “Liberazione” contro Cuba e contro il Venezuela, non prevede, il navigatore di lungo corso, che la conseguente revulsione dei lettori gli avrebbe ridotto di un terzo la già esigua vendita del miserabile tabloid. A che livello sarà sceso il già stazzonato “manifesto” dopo le novene cantate dai suoi prelati agli ukase della lobby e alla candidata democratica del cannibalismo Usa?  Quanto alla questione di falce e martello, personalmente non mi ci sento eccessivamente coinvolto. Il simbolo del lavoro, ma anche delle benedette mazzate in capo ai padroni, ai preti e ai guerrafondai (niente di meglio che un martello e una falce) era sacro e indiscutibile  sui vessilli di Lenin. Successivamente, da noi come in tante parti del mondo, in ispecie Medioriente e America Latina (ricordiamoci del tradimento del PC boliviano al Che,  dell’adesione del PC argentino alla dittatura di Videla, delle funzioni “moderate” dei PC arabi nel momento della lotta di liberazione nazionale), quella falce e quel martello erano i lustrini a coprire la corrosione delle “lunghe marce attraverso le istituzioni”. Se ne è fatto scudo finchè ha potuto addirittura il primatista italiano del trasformismo. Noi di Lotta Continua avevamo già preferito il pugno chiuso dei bolscevichi e delle Pantere Nere. Le migliori gambe rivoluzionarie nel mondo, in America Latina, non marciano sotto falci e martelli, la storia della seconda metà del ‘900 glie li ha consegnati offuscati e lisi, gli basta il rosso. Tutto questo, chiaramente, è detto da sinistra. I topi che formicolano squittendo intorno al becco degli avvoltoi, la falce e il martello l’hanno buttata decenni fa. L’ha sporcata Togliatti quando ha preferito l’amnistia ai fascisti alla continuità dei partigiani, ne ha corroso il ferro Berlinguer quando ci ha aperto sulla testa “L’ombrello Nato”. Bertinotti ne ha fatto la scala a pioli per la propria santificazione nel compromesso storico. Tutti si limitavano a brandire sui nostri occhi un falso d’autore, a mo’ di medaglione da ipnotizzatore. Il loro rifiuto arriva da destra e apre spazi a bombe, conti bancari e turiboli.      

 

Parole false non sono solo un male in sé, infettano l’anima col male

(Socrate)

Le lobby padrone del “manifesto”. Addio Stefano Chiarini

Sfidando, con l’esito certo di vedere svaporare un’altra fetta dei sofferenti, ma ancora irriducibili, supporter del “manifesto”, quella maggioranza di lettori che hanno espresso indignazione alla demonizzazione del boicottaggio della Fiera del libro,Valentino Parlato si è distinto per ulteriore protervia e cafonaggine intimando sergentescamente, su una  pagina di lettere di lui critiche, “piantiamola con il boicottaggio”. E tra le lettere c’era pure una firma che al Parlato dà molti punti deontologici: Giulietto Chiesa. Ma una volta di più, insieme all’Angelo d’Orsi della nostra dignità e intelligenza collettiva,  è stata un’ebrea a rinchiudere Parlato e la sua lobby nei contorni che gli spettano. Paola Canarutto, di “Ebrei contro l’occupazione”, da sempre combattente per i diritti, per la vita conculcata dei palestinesi e contro i crimini israeliani, ha messo a posto il fondatore del “manifesto” che era addirittura arrivato a scandalizzarsi del paragone tra razzisti sudafricani e razzisti israeliani. Ricordato il boicottaggio europeo e italiano dei palestinesi per aver votato Hamas e rilevato come impedire ai palestinesi di andare a scuola non viene giudicato boicottaggio culturale come quello che si stigmatizza per la Fiera, Paola conclude: “Per Parlato gli ebrei israeliani sono diversi dai sudafricani bianchi. E’ vero. Sono peggiori. In Sudafrica lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli. E di sterminarli, va aggiunto. Rimane da evidenziare un’altra delle asimmetrie del “manifesto”, nonché del foglio di Piero Sionetti, “Liberazione” e di tutti gli altri media “democratici”. Non sono solo coglioni nazifascisti, provocatori eterodiretti, a compilare liste di ebrei in sincrono significativo con il boicottaggio di Torino (a ulteriore soddisfazione del Mossad). Il vizio delle liste nere non è loro esclusiva. A parte l’esponente della comunità ebraica romana che prometteva di mettere in lista coloro che non manifestavano con la “Sinistra per Israele”, più concretamente ci sono le diffusissime liste  dei siti razzisti e bellicisti ebraici. Autori di grandissimo valore, come Norman Finkelstein, Ilan Pappe, Naomi Klein, Gilad Atzmon, Nuri Peled e centinaia di altri, sono elencati e criminalizzati come “traditori”, “minaccia”, “ebrei che odiano se stessi” (selfhating jews). Un sito di questi lo segnala il “Forum Palestina”: http://masada2000.org/list-A.html. Vedere per credere. Vorrebbero incastrare i veri difensori dei diritti umani che boicottano Torino, sovrapponendogli  provocazioni nazifasciste. Coda di paglia! Per chi è il massimo modello di società Israele, se non per la destra fascistizzante mondiale, da Bush giù giù fino a Fini e Mussolini?  Viene da piangere pensando al mai sufficientemente compianto Stefano Chiarini.

 

 

Hillary Clinton, eroina del “manifesto”. E le sue donne…

C’è poi il capitolo Mariuccia Ciotta, più grave perché trattasi della condirettrice del “manifesto” che, quindi, governa, promuove e licenzia quanto viene scritto dai vari sicofanti dell’”antisemitismo”, i Parlato, i Lania, i D’Eramo, i Fouad Allam, gli Zvi Schuldiner, i Raffaelli. Ciotta vola a dare il suo contributo alla satanizzazione di coloro che avevano chiesto almeno un pari trattamento di Israele e Palestina a Torino, ricorrendo ai più triti addebiti della propaganda sionista: che si voglia negare a Israele il diritto di esistere, che il boicottaggio esclude il dialogo (quando il dialogo viene annichilito proprio dalla Fiera, celebrando uno Stato colonialista e serial killer e espungendo la controparte palestinese), che chi boicotta – e non chi occupa, ruba e stermina – fa cultura della morte. Ciotta e D’Eramo, poi, fanno coppia, per fortuna a fianco di altre più sobrie voci nel giornale, nelle celebrazioni di quella farsa immonda che sono le primarie statunitensi. D’Eramo percepisce quanto nessun cittadino italiano ha lontanamente percepito, che cioè qui in Italia stiamo seguendo le primarie Usa con una passione ineguagliata negli altri paesi europei… non ricordo un tifo simile per Bill Clinton… tanto entusiasmo deriverebbe da un’ardente ma repressa voglia di poter scegliere… Viene da chiedersi chi mai frequenti questo giornalista, oltre alla redazione di Emilio Fede e al loft del pappagorgia yes, we can. Un’altra giornalista del quotidiano, Ida Dominijanni, acuta quando tratta delle miserie nostrane, perde anch’essa la bussola individuando nella battaglia di Billary la posta in gioco reale e cruciale, l’accesso ai vertici del potere di una donna… in una società… fin qui dominata, come tutto l’occidente e tutto il mondo, dal potere maschile e bianco…Ovunque si riscontra una spinta femminile a rompere il famoso tetto di cristallo che mantiene inaccessibile alle donne il potere politico. E già, a cucinare broccoli e non ai vertici stavano le varie brave donne impedite dal potere, Albright, Condoleezza, conduttrici della guerre preventive e infinite, non l’analoga Thatcher, non l’affine Golda Meir, non la Merkel, non Evita Peron, non la Bhutto, non la Bandaranaike, non Teodora di Bisanzio… Già, ma quelle, dice Ida, erano donne travestite da uomini. Debole la qualità donna, con tutto l’esercizio di morte che praticava.

 

Facile, no? A conforto della sua tesi, vittima di involontario umorismo, l’opinionista del “manifesto” cita poi Ritanna Armeni e il suo lavoro rivendicativo “Prime donne” quando dice che non di sola misoginia si tratterebbe, ma di un vero e proprio terrore dell’invasione femminile nel monopolio virile dell’ordine politico, terrore fondato sul fatto che dietro a ogni Hillary e ogni Ségolene si agitano i fantasmi di Elena, Didone, Antigone (nientemeno!), Semiramide. Lasciamo che questi miti dell’autentico femminile si rotolino nelle loro tombe e pensiamo al “vero e proprio terrore” che si manifesta ogni sera a “Otto e mezzo” sul bolso faccione di Giuliano Ferrara nello sparuto pigolìo della sottoposta Armeni.

 

Dei deliri osannanti a Hillary Clinton di Mariuccia Ciotta, descritta come l’apertura a un radioso, se non rivoluzionario futuro degli Usa e del mondo, s’è scritto in altro “Mondocane”. Dobbiamo ringraziare qualche raro infiltrato nel “quotidiano comunista” impegnato a perdere colpi e lettori, come Rita Di Leo, perché ci si conforti di non aver buttato €1,20 nello slot di un videogioco da Alice nel paese delle meraviglie. Di Leo castiga pesantemente i corifei delle “Grandi Democrazie che propongono una donna” ricordandoci il ruolo truffaldino e predatorio che esercitano sui risultati delle primarie, anche in contrasto con la volontà popolare, i Grandi Elettori, cioè i bonzi del potere costituito: un marchingegno…che lascia i potere nelle mani di chi lo ha sempre avuto. Nelle mani della sola comunità che veramente conta nel paese, i businessmen che hanno cambiato tanti volti in conseguenza e in parallelo del cambiamento delle forme della ricchezza, grano, carbone, petrolio, macchine, armi, servizi, informatica, finanza. E’ un potere elitario che da 250 anni neutralizza efficacemente la possibilità di una rappresentanza politica di chi dissente. La comunità del business punta sui possibili suoi rappresentanti, li finanzia equamente e poi ne sceglie uno, quello che meglio le si adatta e lo aiuta a entrare nella Casa Bianca. Donna o uomo, bianco o nero che sia. Gli entusiasti alla D’Eramo delle elezioni Usa, i fan della Clinton “rivoluzionaria”, sono serviti.

 

Non fa differenza per chi votate, i due partiti sono in realtà un unico partito che rappresenta il 4 per cento del popolo

(Gore Vidal)

Hillary di Iraq, Monsanto e Wal Mart

Ma vediamola da vicino, questa benedetta Hillary, foriera del riscatto morale americano e umano. Chissà che, leggendoci, una Ciotta di buonafede, non corregga il tiro. Sono 166mila, dalla fine dei ’90, i contadini indiani che hanno commesso suicidio perché rovinati dalla Monsanto, dai suoi semi ogm sterili e quindi da ricomprare raccolto dopo raccolto. Sono milioni gli ettari sudamericani avvelenati, insieme a chi ne lavora e consuma i prodotti, dagli anticrittogamici della Monsanto. Milioni sono gli agricoltori del mondo che la Monsanto contribuisce a cancellare in piena sintonia con la strategia di sfoltimento della specie perseguita dai dirigenti del proprio paese.  La Monsanto mette in bilancio $10 milioni e 75 dipendenti per perseguire agricoltori che protestano. La Monsanto ha creato l’agente orange, produce componenti per armi nucleari, fabbrica steroidi per ingrassare animali e chi li mangia, sparge sostanze tossiche. Le dobbiamo buona parte dei tumori che ci crescono addosso. La lobby Rural Americans for Hillary (Rurali americani per Hillary) è della Monsanto. Come sono per Hillary i finanziamenti corporativi plurimiliardari spalmati solo sui personaggi “non alternativi” con programmi politici ad encefalogramma piatto, finanziamenti dalle ricadute garantite, come evidenzia, tra l’altro, la sostanziale adesione alla cannibalesca politica fiscale e al folle indebitamento pubblico dell’Amministrazione al potere. A scorno di una Mariuccia Ciotta che sui candidati democratici azzarda addirittura: Dietro le loro maschere di revenant, spettri di una rivincita, si nascondono i senza-potere, che hanno vissuto l’esclusione in quanto non-iniziati alla grande tavola del dominio. E a proposito della furbesca lacrimuccia versata in un fast Food dalla consigliera d’amministrazione di una roba schiavista come Wal Mart, questi vertici di lirismo encomiastico: La sua commozione tradiva non la donnina dai nervi fragili, ma la passione politica che scuote gli Stati Uniti dopo l’era della guerra e il primato della forza e che trascina alle urne gli americani… Segni dissonanti, simboli di un’inversione di tendenza. Forti in quanto deboli, agli antipodi della rappresentanza del comando. Solo in America, forse, è concepibile una così radicale metamorfosi delle insegne del potere. Non basta, siamo all’apoteosi: Barack e Hillary, uguali e diversi, vogliono ridare voce alla politica… sotto gli occhi scorre il tentativo di trasformare il futuro mondiale… non sarà la rivoluzione (ma no!), ma l’uscita almeno dal medioevo di un occidente suicida. L’11 settembre è finito (aspetta, aspetta). Ci vorrebbe una doccia fredda.

 

Tornando all’establishment dello Stato ontologicamente razzista, esso ha ripetutamente auspicato l’ingresso della Clinton alla Casa Bianca. La senatrice, visitando Israele nel 2005, ignorò vistosamente i palestinesi, incontrò solo dirigenti israeliani, esaltò la politica israeliana e, in particolare, quella himmleriana muraglia che Israele costruisce nella Cisgiordania occupata. Eloquente è l’esame dei consiglieri di Billary. Perlopiù si tratta di elementi dell’amministrazione del marito (guerra ai poveri, alla Jugoslavia, embargo e bombardamenti all’Iraq, macelli in Somalia): politica estera, Madeleine Albright (sionista, quella del “500mila bambini iracheni uccisi dall’embargo sono valsi la pena”, fidanzata morganatica del serial killer Hashim Thaqi del Kosovo); sicurezza nazionale, Sandy Berger; consulenza generale, Richard Holbrooke, quello dello squartamento della Jugoslavia, del puntellamento del dittatore Marcos nelle Filippine e degli stermini di Suharto a Est Timor. I consiglieri di Obama, per quel che vale, vengono tutti da ambienti liberal, favorevoli alla riduzione delle spese militari e al multilateralismo. Berger, Albright, Holbrooke sostengono l’azione di Bush in Iraq e, con lui, chiamano Ahmadinejad “Hitler” e denunciano la minaccia iraniana come questione della massima urgenza. La Clinton, diversamente dall’oppositore Obama, ha sistematicamente condiviso  le panzane di Bush sulla minaccia ADM di Saddam e votò a favore della guerra. Così Berger, Albright e Holbrooke. Altri consiglieri di Hillary hanno sostenuto l’attacco, l’occupazione e non hanno cambiato idea: Jack Keane, Kenneth Pollack, Michael O’Hanlon. Tutto questo giro condivide gli allarmismi sulla minaccia terroristica del fasullo Al Qaida, l’utilità di ignorare il diritto internazionale e le opinioni degli alleati e di lanciare guerre preventive. Insomma, è frivola ma gravissima la responsabilità di questi apologeti nell’oscurarci la realtà di una Clinton (ma alla lunga anche dell’altro fantino, dalla giubba meno accesa, sull’unico cavallo dell’establishment Usa) molto diversa da Bush e del suo epigono Bill, quello del decennio di sanzioni genocide all’Iraq che dettero continuità fino ad oggi alla Guerra del ’91. C’è solo un grado di ipocrisia in più.

 

 Scrive giustamente Gianluca Bifolchi di “Achtung Banditen”: I presidenti si trovano i copioni già scritti dalle imprese sulla scrivania della Stanza Ovale. E quanto alla diversità che le ginocrate del “manifesto” riconoscono alla sorella Hillary, basta la definizione di Jane Fonda: Un portavoce del patriarcato in vagina e gonnella. Un portavoce del patriarcato che ha lasciato all’avversario repubblicano, l’universal soldier McCain, l’esclusiva del rifiuto della tortura legittimata dalla banda Bush.   

 

Una nazione che ne riduce in schiavitù un’altra, forgia le proprie catene

(Carlo Marx)

Il Kosovo e il silenzio della diaspora serba, in altre faccende affaccendata

Una delle cose più incomprensibili è la reazione – la mancata reazione – della comunità serba all’estero, in Italia dov’è foltissima, alla suprema offesa e lacerazione inflitta da una banda di Stati canaglia al loro paese. Ma come, qui si strappa l’ultimo (?) arto al corpo storico, geografico, culturale, umano della loro patria/matria e cosa s’è visto? Qualche italiano volenteroso e pertinace ha messo commenti e cronache in rete. Ma una manifestazione dei serbi nelle tante città in cui risiedono? Un presidio davanti alle ambasciate UE, tedesca, francese, britannica? Un appello da far firmare ai soliti intellettuali? Un picchetto e un uragano di e-mail a Palazzo Chigi? Un coordinamento europeo per assediare Bruxelles?*

*(Aggiungo, ad articolo ormai inoltrato, l’apprezzamento per quel migliaio di lavoratori serbi che, a secessione proclamata, hanno manifestato a Vicenza. Iniziativa degna di plauso, ma, ahinoi, isolata e tardiva).

 

Ogni tanto si sente di una festa, un ballo col cotillon, una mossetta contro i pogrom anti-rom, una promozione turistica per la Bosnia. E il milione di profughi senzapatria, senzacasa, senza soldi, cacciati dalle loro terre? E la Zastava, cuore operaio della Serbia, polverizzata e svenduta ai predatori stranieri (Astrit Dakli, lo slavofobo, ha solo da recriminare contro il proficuo accordo tra la russa Gazprom, dell’unico amico dei serbi, Putin, e la società del gas di Belgrado)? E i 150mila fratelli rimasti alla mercè dei tagliagole del “premier” Hashim Thaqi, narcotrafficante e assassino-capo dell’UCK, assurto al vertice del nuovo mafiastatarello in vista dei profitti che le elites occidentali incamerano dalle basi militari d’assalto (Bondsteel), dal passaggio di stupefacenti afghani, turchi e ora anche colombiani, tutti sotto tutela Cia, dal traffico di donne, bambini e organi? Quel pendaglio da forca di Thaqi, premier kosovaro, è come se Totò Riina fosse il nostro presidente del consiglio (magari, di questo passo, ci diventa…).

 

Le lacrime di Tommaso De Francesco e i suoi “ultranazionalisti”

Qualcosa si deve essere spento nei serbi quando Milosevic non mobilitò il suo esercito e il suo popolo contro l’ingresso dei briganti Nato in Kosovo. Ne sarebbe venuta un’invasione della Serbia, ma anche una guerriglia di massa, probabilmente grandi lutti e distruzioni, ma anche la vittoria assicurata alle lotte di liberazione condotte nella forma della guerra asimmetrica in un territorio che più idoneo alla guerriglia non si può. Iraq, Afghanistan, Cuba, gli stessi serbi sotto il tallone nazista, insegnano. Vi potete immaginare cosa sarebbe successo a D’Alema e al suo governo di Sturmtruppen se avesse dovuto impegnare i militari italiani contro i partigiani serbi, già vittoriosi della macchina da guerra tedesca! Se avesse dovuto accogliere processioni di bare dei “nostri ragazzi”!

 

Io, invece, mi sono trovato accanto a Tommaso Di Francesco, balcanista del “manifesto”, durante la cerimonia degli amici di Stefano Chiarini nel primo anniversario della scomparsa del grande giornalista. Con Tommaso ci eravamo incrociati nelle guerre balcaniche e anche all’università di Napoli, ove ebbi l’occasione di chiedergli cosa mai determinasse quella sua coazione a ripetere gli stereotipi imperialisti su Slobodan Milosevic “dittatore”. Mi rispose: quali stereotipi? Tommaso era amico di Stefano e nel “manifesto”, insieme a lui, a Manlio Dinucci, Robecchi, Rita Di Leo e a pochi altri, l’argine ostinato contro la deriva moderata dei vecchi e nuovi “venerandi maestri” del giornale. Ci lesse, quel giorno, una toccante e intelligente lettera al compagno che non c’era più. Gli ero seduto accanto e mi disse con tono afflitto, riferendosi all’imminente secessione del Kosovo: Avevamo capito fin dall’inizio come sarebbe andata a finire in Serbia, vero? Gli risposi: Già, peccato che il tuo giornale, nel giorno del golpe Otpor/Cia contro Milosevic, cioè contro la Jugoslavia, così titolò: “La primavera di Belgrado”. Lo scambio finì lì. Perché TDF non è solo un onesto giornalista che la tragedia dei serbi e i delitti euro-statunitensi contro il popolo serbo li ha sempre fedelmente squadernati ai lettori, con la penna e con il cuore, come tocca ai giornalisti con coscienza e professionalità. TDF ahinoi è anche nella comitiva di coloro (Giuliana Sgrena, Marina Forti, M. Cocco, altri) che partecipano, sì, alle sofferenze delle vittime, denunciano, sì, i crimini e l’ottusità dei carnefici politici e militari, ma al tempo stesso di questi ultimi condividono aporie, stereotipi, falsi luoghi comuni, micidiali operazioni di mistificazione e inganno. In questo modo sconfiggono il loro stesso assunto informativo, politico, morale, ideologico. Cosa che va di pari passo e sortisce gli stessi effetti disastrosi del pertinace rifiuto a sinistra di investigare e produrre analisi alternative sulla truffa sconvolgimondo dell’11/9, di Osama, di Al Qaida, del terrorismo islamico. Fino a riprendere e avallare con stanca pigrizia  ancor oggi la surreale sostituzione, operata dagli occupanti, della Resistenza, baathista e islamica, fino a  ieri accreditata dai comandi Usa di 200mila combattenti, con un improvvisamente onnipresente Al Qaida. Tecnica vecchia e logora, ricorda gli occupanti tedeschi che per meglio giustificare le loro stragi davano del Banditen ai partigiani.

 

Torna particolarmente desolante il fatto che un dabbenuomo come Tommaso continui, implacabile in ogni suo articolo, a ripetere frusti e falsi concetti, in modo lampante strumentali alla promozione di guerre. Ed ecco il karma della contropulizia etnica degli albanokosovari, a ribadire una mai attuata pulizia etnica serba che invece era una rabbiosa e inevitabilmente dura risposta di Stato alla quinta colonna secessionista, scaturita dalla criminalità organizzata albanese, dai marchi tedeschi e dai sabotaggi di George Soros e Madre Teresa (cui i briganti secessionisti hanno ora coerentemente intitolato la via principale di Pristina). Ecco la balla di un Milosevic inesorabilmente carico dei bugiardi misfatti attribuitigli dagli aggressori, definito alla Remondino despota (l’equilibrista Rai che ora definisce teppisti i manifestanti che giustamente hanno assediato l’ambasciata dello Stato assassino), in un paese dalle elezioni a gogò, dalle maggiori città amministrate dall’opposizione, dalla stampa in mano all’opposizione al 90%, dalle mai represse manifestazioni dei collaborazionisti tipo Vichy (non avevano, a Belgrado, consuetudine con i De Gennaro). Un Milosevic che, estremo difensore del pluralismo etnico-confessionale, avrebbe oppresso il Kosovo togliendogli lo statuto d’autonomia, quando si era limitato a eliminare il paralizzante, mai visto altrove, veto kosovaro a tutte le decisioni delle istituzioni federali e regionali. Ed ecco il disco rotto dei “nazionalismi” e “ultranazionalismi” serbi, laddove fu la Serbia a resistere, prima in nome dell’unità jugoslava e poi della sua sopravvivenza agli sciovinismi razzisti e religiosi dei microstati, coloniali, mafiosi o fascistizzanti, fabbricati in provetta dall’imperialismo lanciato verso Est. Si fosse mai sentito parlare di quell’ “ultranazionalista” di D’Alema  che pensa di dover difendere gli “interessi del’Italia” massacrando paesi altrui.     

 

Vedendo il solito “nazionalismo estremo”, o “ultranazionalismo” là dove si tratta e si è sempre trattato di mera difesa contro gli sciovinismi frazionisti dei proconsoli coloniali in Croazia, Slovenia, Bosnia, Kosovo e Montenegro, Di Francesco accredita, mi auguro inconsapevole, tutti le invenzioni demonizzanti elaborate dalle centrali della guerra psicologica occidentale e finalizzate a  lubrificare i cingoli dell’aggressione. Così, come certi farabutti fanno con la Palestina, appare molto equilibrato porre tutti, serbi e secessionisti, sullo stesso piano e risulta invece molto connivente. Come quando ancora una volta, contro ogni evidenza, si attribuisce a una “decisione” (documentare, prego!) serba la fuga dal Kosovo di “centinaia di migliaia di abitanti”, di cui è stato provato che scappavano invece dai bombardamenti a tappeto e all’uranio degli amici Nato (ma poi, ai microfoni dovevano fantasticare su atrocità serbe, sennò col cazzo che venivano ammessi nei campi di quell’associazione a delinquere che i giudici individuarono nel dalemiano “Arcobaleno”. Balle di sopravvivenza che per TDF erano “dignitose e credibili). Del premier “moderato” Ibrahim Rugova, volto umano dell’operazione colonialista e noto in Svizzera per traffico di droga, TDF si dice ottimo amico. Probabilmente influenzato dall’albanese slavofobo e russofobo del “manifesto”, Astrit Dakli, TDF diffida di Putin e ritiene strumentale la sua condanna della secessione e dello stupro del diritto internazionale che rappresenta. E conclude vantandosi di aver conosciuto la Politovskaja, sapete la giornalista russa anti-Putin e cortigiana di Eltsin e degli oligarchi, che parlava di Russia e di Cecenia come gradivano Cia e Pentagono, suoi editori di riferimento nelle collaborazioni a “Radio Liberty” e “Radio Free Europe”. Sulle elezioni presidenziali serbe, TDF si esalta alla vittoria del filo-europeo Boris Tadic, ultraliberista, devoto alle potenze che hanno sfasciato il suo paese, a scapito del “radicale” Tomas Nikolic, chissà perché ancora pervicacemente definito di destra e “ultranazionalista”, a dispetto di un suo programma elettorale socialmente, politicamente e geopoliticamente assai più di sinistra di quello dell’avversario. Arriva, TDF, addirittura a compiangere l’assassinio di Zoran Djindjic, collega di partito del destro Tadic, da parte, afferma senza prove, dello stesso ultranazionalismo che lo aveva aiutato a defenestrare Milosevic. Fosse anche vero, non ci sarebbe davvero da versare una lacrima su quel Djindjic, losco figuro di rinnegato e quinta colonna dei tedeschi, che era arrivato a fornire agli aggressori gli obiettivi serbi da bombardare.

 

Le cadute di TDF e le ragioni di Slobodan Milosevic

Rinverdendo i fasti delle menzogne che coprirono il golpe occidentale, portato avanti dai giovinastri di Otpor, addestrati per la bisogna da generali Usa a Budapest, TDF parla di un Milosevic nelle elezioni del 2001 contestato dalla folla in rivolta per i risultati improbabili che presentava. Rovescia la verità nel suo contrario quando afferma che, nel 2001, “il popolo” invase il parlamento per bruciare le schede di una “falsa vittoria di Milosevic”. Ci si chiede quale Belgrado mai abbia visto De Francesco nei giorni della sedizione di Otpor che, istruita e armata dalla Cia, raccattando elementi fascisti dalla periferia, era arrivata a bruciare in parlamento le schede, non della “improbabile vittoria di Milosevic”, ma quelle che avevano correttamente assegnato la vittoria ai partiti della sinistra. Non contento, TDF, mitragliando i suoi anatemi contro questo fantomatico “ultranazionalismo” serbo, non riesce a trattenersi dal tornare all’attacco delle precedenti responsabilità del nazionalismo serbo e di Milosevic, contrapponendo a queste i Tadic e i Kostunica “moderati” e virtuosi, dato che sono i soli leader a non aver partecipato alle guerre fratricide che hanno insanguinato i Balcani. Un osservatore meno candido, meno credulone, direbbe che sono stati questi leader ad aver abbandonato e tradito la lotta di Milosevic e dei serbi per l’unità della Jugoslavia contro il colonialismo e i suoi miserevoli burattini indigeni. E che poi si sono fatti investire dagli stupratori del loro paese del compito di consegnarlo ai licantropi del più becero e mafioso capitalismo. Non si rende neanche conto, TDF, che la collera degli attuali dirigenti serbi contro gli Usa e gli europei che li hanno traditi, ma ai quali per trenta denari avevano venduto il presidente leader della Resistenza, è l’inconfutabile conferma che Milosevic aveva visto giusto. Sono lacrime sul latte versato.

 

La cosa verrebbe a noia per il profumo rancido che emana, se non fosse che fa pena un giornalista, di sicura dabbenaggine, che, alle lacrime per le disgrazie dei serbi, associa le diffamazioni e menzogne che a un D’Alema, a questo punto invano deprecato da TDF, hanno consentito prima di bombardare la Jugoslavia (non per nulla i giuristi di Rifondazione lo denunciarono come criminale di guerra) e poi di farsi rompighiaccio internazionale della costituzione e del riconoscimento di un orrendo narcostato etnico.

 

Testa-coda di TDF anche in Medioriente

I tonfi di De Francesco non si limitano ai Balcani. Ogni tanto il Nostro fa delle incursioni in altri settori. Il risultato non cambia. Quando invade lo spazio assolutamente irreprensibile che era di Stefano Chiarini, si precipita a sostenere il raggiro Usa sull’onnipresenza di Al Qaida in Iraq, un Al Qaida che, come ripetutamente denunciato dalle più attendibili fonti irachene, a cominciare dalla prestigiosa Associazione degli Ulema, non è altro che l’etichetta che, nelle loro ambasce, occupanti e fantocci applicano alla Resistenza onde screditarla agli occhi del mondo e rinverdire il teorema del “terrorismo islamico”. Sulla Palestina, per esempio, pertinacemente avallando il rovescio delle verità praticate da USraele e dai suoi sicofanti, azzarda l’auspicio che Hamas ripensi il tragico errore del colpo di Stato. Possibile che nessuno gli abbia fatto leggere i documenti scovati da Hamas, dopo la neutralizzazione dei quisling dell’ANP, e pure pubblicati dalla stampa egiziana, che dimostrano come il l’agente Cia-Mossad Mohammed Dahlan, capo della sicurezza di Fatah, era lì per scatenare un golpe contro il legittimo governo di Hamas, democraticamente eletto, comportante la liquidazione dei suoi dirigenti? L’intervento di Hamas aveva semplicemente neutralizzato il complotto di Israele e dell’ANP ai danni della democrazia e del popolo palestinese resistente. Si può chiamare golpe il rifiuto del tradimento di un’ANP che si fa finanziare, armare e addestrare la guardia pretoriana dai nemici del suo popolo? Di Tommaso non è solo, gode del conforto di altre penne assai superficiali e corrive. C’è quella dell’equilibrista Ennio Remondino, con le sua coazione a ripetere il concetto caro all’Occidente del despota Milosevic e i suoi sgherri. Quella dell’augusta cofondatrice del giornale, Luciana Castellina (pure lei devota alla frode dell’11/9), che esprime tutta la sua riprovazione per la fatale ripresa di egemonia delle forze serbe più nazionaliste, a tutto danno di quelle democratiche che oggi governano. Una volta di più il manifesto toglie le parole di bocca a Bush e sodali, giù giù fino a D’Alema e Veltroni, per i quali aggredire e colonizzare sono interventi umanitari, mentre estremisti nazionalisti sono coloro che non ci stanno e”democratici” quelli che applicano i diktat politici ed economici dei loro padroni a Washington e Wall Street. Con un triplo salto carpiato logico questa veneranda maestra, afferma poi impunemente che con i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia… si è solo ritardata la vittoria degli oppositori di Milosevic. Anche lei, dunque ballava alla musica della manifestaiola Primavera di Belgrado sulla fossa comune dei popoli jugoslavi.

 

I giocolieri dei due pesi e due misure

Così, agevolato dalle aporie truffaldine dei colonialisti, ribadite dal “manifesto” e da altri media di “sinistra” , D’Alema e i suo padrini hanno potuto compiere lo sporco lavoro di destabilizzare una residua legalità internazionale, inventandosi un microstato di delinquenti, tutelato per i comuni interessi dalle forze di polizia europee (Eulex). Un’entità etnica, razzista, sorta dal genocidio di quasi metà della sua popolazione (altro che kosovari albanesi al 90% nel 1998) e che ora serve da retroterra per i traffici criminali di tutti i suoi mallevadori, dalla droga al commercio di esseri umani e delle loro parti, dalla rapina delle sue ricchezze minerarie, compresi i nuovi giacimenti di gas e greggio recentemente scoperti al confine tra Albania e Kosovo, ulteriore stimolo al lavoro sporco di D’Alema e compari. Con sul groppone l’identificazione con la scellerata politica degli zombie anglosassoni, l’Iraq dei 2,5 milioni di morti nella guerra 1991-2008, la Palestina cui far fare la fine degli Incas, l’Afghanistan da devastare per obiettivi esclusivamente predatori, il Libano da tenere libanizzato e al guinzaglio, la Jugoslavia frantumata in ridicoli bantustan per masticarla meglio, e tutto questo al costo di una macelleria sociale senza precedenti, con il corollario dello Stato picchiatore e carceriere, come si fa ad ancora risparmiare alla nostra classe politica ed ecclesiastica il termine di fuorilegge? Macchè, sono fuorilegge e meritevoli di 7 anni di prigione i ragazzi che a Firenze si erano fatti spaccare la testa per urlare al consolato Usa quello che si faceva alla Jugoslavia.

 

Ovvio che i serbi un giorno si riprenderanno la terra delle loro origini e del loro destino. Ovvio che, crollata la Grande Bestia imperialista e dispersi i suoi clienti, la Jugoslavia riprenderà forma e coesione, condizione perché quei popoli non muoiano. Ma non saranno le compiacenze, obbedienze e connivenze dei politici e dei giornali sedicenti di sinistra a sostenerli ed affiancarli nella rivincita. Quelli dovranno leccarsi le ferite, se non saranno già stati affidati alla discarica della storia.

 

Ogni candidato si comportava bene nella speranza che lo si giudicasse degno di elezione. Tuttavia, questo sistema divenne un disastro allorchè la città era diventata corrotta. Poiché allora non era il più virtuoso, ma il più potente che si candidava alle elezioni e i deboli, perfino i virtuosi, erano troppo impauriti per candidarsi.

(Nicolò Machiavelli)

Un partito pluriball

Bertinotti, uomo per ogni stagione purchè gli dia lustro e lo mantenga sulla giostra, si affanna trafelato, disponibile come non mai, appresso alla Grande Cosca Veltroni-Berlusconi, pur di rimediare ancora qualche sprazzo dal cono di luce di quel mafio-potere. C’è dell’orrido e del patetico nelle giravolte di quest’uomo, che riesce a trascinarsi dietro perfino i recalcitranti all’abbandono della falce e del martello per mettere in piedi un minestrone che ha la densità di contenuti di un pluriball. Mi è capitato di assistere, della parti del mio non natìo borgo selvaggio, a un’assemblea di circondario della “Sinistra l’Arcobaleno”. Un Bonelli che esternava pie genericità, un Cancrini psichiatra che solo di psichiatria parlava (ma non della demenza onanista delle “sinistre”), un ometto barbuto della SD che pareva un busto del Pincio e di quello aveva la vivace eloquenza, un rifondarolo da comizio. Qualche sprazzo veniva dagli interventi di uno sconsolato pubblico, per il resto un vuoto da interno di mongolfiera. Accenni autocritici per quanto di scelleratezze prodiane hanno contribuito a cacciare nel gozzo della gente, una visione di società sottratta alla paralitica egemonia dell’agonizzante esistente, un break dell’abbraccio mortale con la borghesia berlusconizzata? Meglio chiedere agli asini di volare. Invece una conferma, iniettata dalle compatibilità bertinottiane, del ruolo di ruotino di scorta del pateracchio veltrusconiano, con la pietosa insistenza dell’invocazione al PD che ci ripensi e conceda ancora una volta tale particina in commedia. Fenomenale il dato che nessuno dei quattro moschettieri del re abbia ritenuto di fare un  accenno alla questione guerra, missioni, basi, Nato, Vicenza, come se si trattasse non del nodo dirimente di tutta la nostra epoca, ma di una fastidiosa mosca che era meglio ignorare piuttosto che spiaccicarla. Certo, una coda di paglia lunga da qui a Kabul, intrisa di sangue.

 

Vota sempre per principi, anche se voti da solo. Avrai il conforto che il tuo voto non sarà mai perso.

(John Quincy Adams)

 

Annullare la scheda dell’antipolitica, stare con la politica vera di Vicenza, Val di Susa, i Zero-rifiuti, Cobas…

Sono per la scheda annullata. C’è chi in rete, e anche qualche gruppettaro sul “manifesto”, invoca l’astensione, inconsapevole della quasi totale irrilevanza di un dato numerico che può essere attribuito a semplice e indistinta insofferenza al solito trucco elettorale. Le schede annullate significano invece un’attiva manifestazione di volontà politica e, per quanto si vorranno poi attribuire ai partiti, senza cambiare la qualità dell’esito, rappresentano nel loro incremento esponenziale una spada di Damocle su governanti e “oppositori”, nonché un terreno di coltura per la rinascita di una sinistra che non sia la maschera di carnevale del padrone. Correttamente, anche stavolta, i Cobas hanno dichiarato nelle prossime elezioni non sosterremo nessuna lista, non daremo indicazioni di voto per nessuno, non metteremo candidati in nessuna lista. Mi pare implicita la constatazione che non c’è proprio nessuno da poter eleggere.

 

Non fidarsi è meglio

Non c’è da fidarsi di chi , pur indossando abiti candidi, ripete le parole d’ordine dei carnefici militari e sociali: dal “terrorismo” all’”integralismo” islamico (il mostro dell’estremismo radicale islamico, come lo chiama l’emissario a Kabul del mostro dell’estremismo moderato apostolico romano nel “manifesto”), dall’11 settembre dell’attentato bushiano, all’agenzia Cia Al Qaida, dalle montature a fini colonialisti del Darfur, del Myanmar o dello Zimbabwe strappato alle grinfie dei vampiri bianchi, alla turlupinatura letale della “nonviolenza”, dal perfido strumento colonialista dei “diritti umani”, alla prostrazione davanti a un arnese della reazione teocratica come il Dalai Lama. Ci sono quelli che, messi alla porta dal Veltroni nazionale, nel segno della coerenza e della dignità rientrano nel retrobottega del Rutelli municipale – e di altri fiduciari locali di costruttori, redditieri, automobilieri, elettroinquinatori, camorristi, preti – per godere ancora dei frutti dello scempio di Roma. Non c’è da fidarsi di verdi – e tanto meno di legambientini, topastri da tempo brulicanti nel formaggio del potere – che, pur arrossendo, annuiscono dalla lontana a strumenti di morte come gli inceneritori, o la TAV. Né c’è da fidarsi di tutta quella rancida “società civile”, che ora si balocca tra Veltroni e Bertinotti alla ricerca di qualche candidatura “indipendente”: sindacati ormai tutti gialli, Arci ( la maestrina dalla penna nera Raffaela Bolini: noi non siamo a priori contro le missioni all’estero, la comunità internazionale ha il dovere di mettersi in mezzo…), Ong, Tavole della pace, conventicole varie. In una cosa sono bravi e utili: nel confondere la distinzione tra giusto e ingiusto, tra chi subisce e chi infligge, ciarlando di “diritti degli uni e diritti degli altri”, di estremisti e di moderati di ambo le parti, finendo col mettere tutti, vittime e carnefici, nello stesso sacco.

 

Dove sono  finiti gli occhiali di Trotzky?

E, malgrado il rispettabile Turigliatto, non mi fido nemmeno di quel trotzkismo, ingordo di minoritarismo e perciò grottescamente trino su un corpo solo. Dietro a falce e martello coltiva il suo arrogante, eurocentrico e quindi essenzialmente razzista disdegno, anzi la sua nasuta disapprovazione, verso tutto ciò che si muove fuori dalla proprie oniriche coordinate, Chavez, Fidel, la Resistenza irachena, quella islamica, Mugabe, milioni di persone che nel mondo si strabattono contro l’urgenza assoluta del momento, l’imperialismo. Diranno, costoro, anche delle cose condivisibili sulle sciagure sociali interne, sulla “brutta guerra”, ma tralignano quando dall’albero allargano lo sguardo alla foresta e siccome è la condizione della foresta che determina l’ambiente e la vita di ogni sua singola componente, sbagliare lì è vanificare la cura dell’albero. Il padre nobile al quale questa triade fa riferimento aveva lo sguardo ben più acuto e lungo. Non mi fido di un Cannavò, leader della neonata “Sinistra Critica”, che con la sua falce avrebbe voluto decapitare Slobodan Milosevic e con il martello liberava la strada ai venduti di Otpor. Indimenticabile e indecente il titolo con cui, su “Liberazione”, esaltò il golpe euro-statunitense contro la Serbia libera e sovrana: Belgrado ride. Si sa bene ora, caro lungimirante Cannavò, chi ridesse allora e continua a ridere. E intanto, senza dirmi nulla, cestinava le mie corrispondenze da Belgrado perché, intervistati, i dirigenti Otpor si dichiaravano orgogliosi di essere stati addestrati dalla Cia. O perché descrivevo i lindi quartieri e le protezioni sociali che il Partito Socialista di Slobo aveva assicurato ai rom. Ti paga Milosevic? mi chiese. E non mi fido dei boyscout che insistevano a contrapporre ai rivoluzionari passati e presenti l’uomo mascherato del Chapas, quando anni di scempiaggini letterarie, vaniloqui galattici, rosari recitati alla nonviolenza e al non-potere, assoluta sterilità operativa e vanitoso isolamento geopolitico, autoculto della personalità, avevano già fatto giustizia di questo stratega del depistaggio per fighetti europei. Li abbiamo visti, i boyscout, appena un po’ disorientati quando il neo-Zorro da operetta ha assolto il compito dei suoi mandanti di dare una mano al Berlusconi locale, Caldiron, facendo le scarpe al candidato presidenziale Lopez Obrador, unica e credibile speranza per il Messico di affiancarsi al nuovo e positivo che muove l’America Latina.    

 

Si tratta di sinistre che diranno pure qualcosa di assennato sulle politiche del coacervo veltrusconiano, che, un po’ tardi, si tirano fuori dalla morta gora bertinottesca (invitati da noi autoconvocati nel 2004 a unirsi contro il monarca, fecero orecchie di mercante), ma che non si libereranno mai da una responsabilità degna dei pesi di Sisifo: aver impedito, con l’assunzione delle patacche su Milosevic e sul “nazionalismo” serbo, quella mobilitazione, di massa e senza riserve mentali, per la Jugoslavia e accanto alla sua dirigenza, che solo così avrebbe potuto mettersi tra le ruote dell’incipiente “guerra infinita”. Altro che “si, ma”, altro che “né con, né con”. E’ gente che pensa di difendere Cuba dalle mene Usa dando del “dittatore sanguinario” a Fidel Castro, e l’Iraq ripetendo da sonnambuli le fole su Saddam e sulla Resistenza.

 

E, per finire là dove non sembra ahinoi esserci fine, non mi fido neanche di coloro che oggi inalberano vessilli dell’antagonismo sociale e della lotta contro il militare, ma che un attimo fa, offrendo al Veltroni a stelle strisce e stella di Davide, tanto opportunisticamente quanto demenzialmente, una lista elettorale “arcobaleno”, tali vessilli li avevano scordati in soffitta. C’è un limite alle “svolte”. Si rischia di frantumarsi contro un muro: presero lo 0,6%. E, guardate, dirò una bestialità, ma non mi fido neanche delle quote paritarie per il genere rosa. Penso a quelle che già hanno dato la loro prova: Binetti, Turco, Santanchè, Brambilla, Finocchiaro, Menaguerra, Deiana, Bonino, Bernardini, Pollastrini, Pivetti, Mascia, Sereni, Mussolini… Moltiplicarle? Sarà equo, ma non mi pare risolva il problema. Anzi, se si allarga lo sguardo a Clinton, Livni, Albright, Rice, Bhutto, Merkel, Royal, Elisabetta… fa paura. Troppo facile farne una questione di genere. Tina Anselmi, quella sì. Ce ne fossero.

 

E’ il TG3 delle 19. Sfilano nell’invereconda passerella di tutti i telegiornali i gaglioffi presuntuosi e ottusi della vera antipolitica: strepitose maschere da film de paura, corruzione, protervia, ipocrisia, furberia, ottusità, rozzezza, vaniloquenza. Su tutte, la faccia di Veltroni che si smolla sul gorgoglio sempre più indistinto di putrefatte demagogie e mafiosi avvertimenti. Pare un Luigi XVI della Magliana. Siamo al 1789? Mancano i sanculotti.

 

  

 

 

 

 

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