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Adesso basta Bertirospi,que
se vayan todos:
scheda
annullata!
GLI AVVOLTOPI DELLE TRE DESTRE
Compiacenze, obbedienze, connivenze di una sinistra ex,
vedi Fiera del Libro (mentre con il
Kosovo si allunga la fila degli Stati criminali e la diaspora
serba che fa? Balla e canta)
23/02/2008
La forma peggiore di tirannia, o certamente quella di maggiore
successo, non è quella contro la quale ci
mobilitiamo, ma quella che si insinuano nell’immaginario
della nostra coscienza e nel tessuto delle nostre vite in modo
tale da non essere percepita come tirannia.
(Michael Parenti)
Un popolo schiacciato dalla legge no ha
speranza se non dalla forza. Se le leggi sono i suoi nemici,
saranno nemici della legge. E
coloro che hanno molto da sperare e
nulla da perdere saranno sempre pericolosi.
(Edmund Burke)
Se tirannia e oppressione verranno nel nostro paese, sarà sotto
forma di guerra a un nemico esterno.
(James Madison)
Al vincitore non si chiederà mai se ha detto
la verità
(Adolf Hitler)
Enormità
Ci stanno rifilando, gli avvoltoi di
destra e i topi di “sinistra”, delle enormità talmente enormi che
neppure i nostri stomaci, coltivati ad aculei di spinosa da
decenni di orrori imperialipiduisti e
di prostrazioni e connivenze sinistre, riescono più a digerire.
Facciamo un parzialissimo elenco. Il
voto di una transumanza a ritroso di elezione in elezione cui ci
trascinano pastori bastonatori e carotieri che ci fanno credere,
da pecore che siamo, di essere soggetti decisionali; i falsari
della sinistra che, ridando una mano di rosso ai loro panni
sporchi di mille schizzi di fango, vorrebbero farci acqua da
portare ai signori della guerra di classe contro di noi; i
rigurgiti di un Vaticano che più gli viene a mancare la base dei
fedeli e più riesce a irreggimentare in battaglioni di squadristi
etici il ceto politico “laico” per rimettere al guinzaglio le
donne e, addirittura, quel grumo di cellule che vogliono
vivo anche se scaturisce sotto forma di
freak iracheno uranizzato; il
nauseabondo pachiderma filo-aborto clandestino e filo-stermini di
massa (la 194 ha ridotto gli aborti del 40%) che,
stampellato da quattro ginecologi
Frankenstein in vena di insufflatori di anima a quel grumo, non
perde occasione per farsi apripista di qualsiasi terrorista di
Stato o di Chiesa; un esercito di sgherri che, uscito dalle
madrasse di
Starace, Scaiola, Pisanu e
Amato, spara, pesta, terrorizza chiunque osi ancora valersi di
diritti, leggi, ambiente e qualità della vita, costituzione, legge
194 compresa; le femministe degenerate in
ginocrate che belano a Santa Hillary Clinton e che compiono
il miracolo transgenico di trasformare in “donne mascolinizzate”
tutte quelle che non riescono a far rientrare nella categoria
superiore della “donna donna”,
respingendo con sdegno la possibilità che alberghi in entrambi i
generi la radice dell’autoritarismo e della prevaricazione, come
storia e lotta di classe dovrebbero insegnare; i
glbt che si collocano nell’ombelico
del mondo e, analogamente, ignorando esistenza e rapporti di
classe, vedono l’universo mondo sub
specie del modo di
coitare, cacciando nel dimenticatoio
l’obliterazione di donne e “diversi” in Iraq e Afghanistan. E
questo vale tanto più per le vociferanti
ginocrate di regime che s’inalberano più per il
burka che per chi ci sta dentro, come
dimostra il totale oblio in cui seppelliscono donne, bambini,
“diversi” che in Iraq vengono
massacrati dagli occupanti e dai fanatici che gli occupanti hanno
coltivato: a Basra gli invasati
“iraniani” di Moqtada al
Sadr amazzano
più donne che i trafficanti di morte a Ciudad
Juarez . Quel Bertinotti lì che, corrotti in cortigiani un
manipolo di opportunisti pronti a tutto pur di poter mugolare
sotto il tavolo dei banchetti, mastica ed espelle i residui che si
erano fatti illudere dalla sua
comunistofobia travestita da
“nuova sinistra”. Poi, guantato con
pelle di militante, contribuisce a calare sul popolo di sinistra
la mannaia veltrusconiana dello Stato
di polizia bipartitico; “il manifesto” rivelatosi definitivamente
lobbista catto-
israelo-clintoniano e punta di lancia, con i
denudatissimi Parlato,
Ciotta, D’Eramo,
di quell’agente
orange che è lo
strumentale anatema dell’antisemitismo; i pianti osceni dei bonzi
della Repubblica sulla morte di militari italiani in Afghanistan,
fatti passare per distributori di caramelle, ma lì mandati per
giocarsi la pelle e farla a qualunque afghano non contento di
farsi colonizzare da feroci barbari, sia che
sparino e bombardino, sia che si fingano dame di
S.Vincenzo. Documenti inoppugnabili,
militari e delle autorità e popolazioni locali,
accreditate negli Usa e in Gran
Bretagna, rivelano che le forze speciali italiane sono impegnate
direttamente in combattimenti, bombardamenti, indicazioni di
obiettivi da radere al suolo. Un governo di “centrosinistra”
nasconde al parlamento e alla nazione questo fatto, non solo
agghiacciante, ma giuridicamente criminale. Come ci ha nascosto il
suo accordo illegale alla partecipazione italiana allo Scudo
Spaziale d’assalto degli psicopatici di Washington. Se non sono
enormità queste! E Veltroni promette peggio. Perché tace Gino
Strada?
Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire
alla gente ciò che non vuole sentire
(George Orwell)
Le prodezze dello Stato invitato alla Fiera del
Libro
Incominciamo dal tonfo suicida del
“manifesto”. Contorsionisti al limite
del prodigioso, quelli del “manifesto”, guidati da un Valentino
Parlato tanto più arrogante, quanto più intellettualmente vacilla,
si sono fatti Delta
Force della risposta
ebraico-israeliana al sacrosanto
boicottaggio dell’ormai intoccabile Fiera del Libro torinese.
Questa aveva invitato Israele – lo Stato! Non i letterati – nel
60° della fondazione. Stato saprofita
innestato come il virus dell’Aids nel corpo del popolo titolare di
quella terra. Stato teocratico e razzista, parassita e
bulimico che, da allora, si è nutrito, gonfiato, espanso, a forza
di crimini contro l’umanità che, per durata e connivenze
internazionali, non ha paragoni nella storia. Un dato recente sul
carattere democratico di quel regime militare? Dal 2001 questo
regime ha concesso ai palestinesi, in costante espansione
demografica (meno male!), 91 autorizzazioni a costruire case,
nello stesso tempo 18.472 ai coloni ebrei arrivati da ogni dove.
E’ il corollario del genocidio. Stato che celebra il suo invito al
salone del libro con l’ennesimo macello di donne e bambini in una
Gaza assediata come neanche Riccardo Cuor di Leone (che decapitò
tutti i cittadini musulmani di Acri), con un pogrom stragista a
Nablus, con l’invito del ministro
Zeev Boim
a Tsahal
di liquidare tutti i dirigenti –eletti!
– della Resistenza palestinese, con la
benedizione impartita dal ministro-pirata
Gideon Ezra all’ennesimo
assassinio mirato del Mossad, quello
del comandante di Hezbollah Imad
Mughniyeh a Damasco. Stato
responsabile di ininterrotte guerre
d’aggressione, ultimamente condotte con armi proibite usate sui
civili. E se la guerra d’aggressione, senza neanche parlare di
ergastoli extragiudiziali di massa accompagnati da tortura
legittimata, è, per Norimberga, il “crimine massimo contro
l’umanità”, quello è giuridicamente uno Stato criminale. Stato che
é stato capace di ammazzare in sette anni 5000 cittadini di un
paese occupato, dei quali la maggioranza
civili, per un quarto bambini e che, dall’inizio
dell’Intifada, ha fatto morire ai suoi spietati 550
check
point ben 98 persone, di
cui 17 bambini, Stato composto da cittadini ebrei, di prima
classe, tutti buoni, pacifici, immuni da pulsioni razziste, che da
sessant’anni eleggono governi di criminali di guerra. Con la scusa
delle bombe-carta palestinesi
Kassam, Israele
nel gennaio 2008 ha ucciso 96
palestinesi, 10 erano bambini, 10 erano donne.
Dal 1. al 16 febbraio 2008 l’esercito “più etico” del
mondo,
Tsahal,
ha rapito 300 palestinesi nei territori occupati, dei
quali 32 minori tra 14 e 18 anni, rinchiusi in centri di
detenzione in aggiunta agli 11mila incarcerati senza processo,
contro la Quarta Convenzione di Ginevra.
Con l’antisemitismo contro tutti,
soprattutto contro i semiti arabi
Però
rivoltarsi contro quell’invito, nel 60° dell’inizio di un
genocidio, quello no, quello è censura, anticultura, libertà
d’espressione negata, siamo alle leggi razziali del ’38,
soprattutto e sempre, inesorabilmente e collettivamente, siamo
antisemiti. Si è
chiesto di negare la parola agli esperti di
lifting di quello
Stato, Oz,
Jehoshua, Grossman? Neanche un
po’, anche se le basi etiche c’erano tutte, viste le loro
mistificazioni da finti critici che sostengono muri di apartheid e
invasioni di terre altrui. Si è chiesto invece che i palestinesi,
derubati, espulsi, fottuti e ammazzati,
venissero invitati anche loro, venissero trattati almeno alla
pari, e già sarebbe stato uno squilibrio da ciucca di alcol puro.
Quando avrà finito di sfinirci, di turlupinarci questa ormai quasi
umoristica coazione a ripetere il decrepito karma
del’antisemitismo? Collaboriamo tutti a
uno tsunami mondiale di calunnie antislamiche,
per la maggiore soddisfazione dei veri antisemiti, e ci facciamo
ancora intimidire da questa sporco anatema! E’ possibile che non
emerga e s’imponga il paradosso lubrico
di uno Stato antisemita, lui, che più antisemita non si può, ma
che maschera i suoi delitti facendosi vittima di antisemitismo?
Uno Stato che, oltre a occupare le terre di otto milioni di
palestinesi, tra residenti e esiliati,
tra i suoi cittadini riconosciuti ha un milione e mezzo di arabi,
semiti, una spruzzata di ebrei semiti (i sefarditi), un’altra
minoranza di ebrei camiti (i falasha)
e una stragrande maggioranza di ebrei indoeuropei (i
kazari di origine caucasica. Vedi, tra
gli altri, lo studio di Arthur Koestler).
In Occidente imperversa, innescata dalla truffa dell’11 settembre,
un’islamofobia che non ha niente da
invidiare ai tempi delle crociate e di Lepanto. Ai musulmani qui
basta starnutire in arabo per finire sugli aerei Cia
della
extraordinary
rendition. Israele non
cessa di aggredire, invadere, occupare, paesi arabi, musulmani,
semiti. Epperò si brandisce lo
spuntatissimo spadone dell’antisemitismo,
oltrettutto costantemente e
impudicamente riaffilato con le ossa delle vittime dell’olocausto,
con particolare virulenza quando c’è da coprire una qualche
nefandezza di Israele. Cioè sempre.
Liste nere per occultare liste nere
E non trova,
il rullo compressore del vittimismo truffaldino e predatorio della
lobby, immancabilmente la benzina di una qualche stronzata
“antisemita”? Vi siete stupiti che, nel pieno della burrasca del
boicottaggio alla Fiera del Libro, sia
spuntata, come Osama quando Bush deve rilanciare qualche porcata
bellica o antidemocratica, la “lista nera degli accademici ebrei”?
A chi è convenuta nel frangente? Domande che non si sognano di
porre tanti comunicatori “di sinistra”. Penso a quel Gennaro
Carotenuto che, dimentico del passo falso compiuto entrando a
gamba tesa nel coro delle demonizzazioni delle
Farc colombiane in occasione della
liberazione degli ostaggi, uscendo dal seminato latinoamericano
che gli è famigliare si è prontamente
inserito nel coro dell’esecrazione della “feccia
antisemita”. Quella che si è manifestata nella famosa
“lista nera”, quella che indicherebbe come
l’antisemitismo stia tornando
rampante (anche in frammenti dell’estrema sinistra).
Boccalone, si dice a Roma,
inconsapevolmente ma inconsultamente ricettore di riconoscenza di
quel Mossad che di provocazioni del
genere è maestro supremo. Cosa prova,
Carotenuto, a trovarsi compagno di merende tale
Magdi Allam,
vicedirettore del “Corriere della Sera” per grazia sionista di
Paolo Mieli (ex-Potop), che, per
l’altra grazia di schermi lobbizzati,
tuona anche lui contro la “feccia antisemita” dei boicottatori,
per poi affiancarsi, rigorosamente coerente, all’obeso tagliagole
Cia nell’esecrazione sanfedista dei “feticidi”? Ci vuole proprio
un paese ridotto a cloaca perché galleggino certe scorie.
Una lobby ebraica, ma cosa dite!
A Gennaro Carotenuto, perché mediti
sui propri sbandamenti
collateralisti, andrebbe suggerito un
sabatico sulla disinformazione e sulle operazioni sporche dei
servizi. Tanto più che, da esperto di
Latinoamerica, dovrebbe essere ben equipaggiato a
riconoscere gli interventi di Israele sotto le mentite spoglie di
“esperti di sicurezza”, “consiglieri economici”, “istruttori vari”
e sotto quelle effettive di spioni, terroristi, provocatori,
armaioli, al servizio dell’estrema destra di quei paesi.
Eppoi,
davvero non c’è una lobby? E com’è che tutti, al fischio di Tel
Aviv, si muovono d’intesa, sincronici e con la compattezza di una
falange macedone? Non è vero, Marco D’Eramo,
altro sponsor di Israele nel “manifesto”, che fai lo spiritoso
sfottendo i bipartisan del nostro universo
inciucista perché stigmatizzano
di antiamericanismo chi non sgavazza nella scia di sangue di Bush?
Per quale prodigio di acrobazia logica non ti scatta il corto
circuito con coloro che sgavazzano
nell’oceano di sangue palestinese e ci danno dell’”antisemita”?
Non c’è collettività che sia più unanime nel sostegno a Israele,
nel silenzio sui suoi delitti, nella demonizzazione di vittime e
resistenti, nell’assalto coordinato a chi si permette di
sbirciare, dietro al paravento di Auschwitz, sui
sessantennali crimini israeliani.
Salvo coraggiose eccezioni che salvano il rispetto per la comunità
ebraica, direi eroiche per quello che gli
viene riservato in termini di ostracismo e demonizzazione.
E’ lecito parlare di lobby dei petrolieri,
lobby dei tabaccai, lobby dei tassisti, lobby cubana. A
parlare di lobby israeliana si rischia l’esecuzione civile.
Se non di peggio, visto il braccio lungo e
assai articolato del Mossad. In
Olanda, il deputato Geert
Wilders, scatenato sostenitore dello
“scontro di civiltà”, ha realizzato un filmaccio razzista in cui
si perora la “cacciata del Corano (cioè dei musulmani)
dall’Europa”. Pensate cosa avrebbero
combinato la lobby e i suoi chierichetti se in Iran fosse uscito
qualcosa che inneggia alla cacciata degli ebrei dal Medio Oriente
(e non alla sostituzione dello
Stato etnico sionista,
come ha suggerito Ahamdinejad).
Chi
minaccia è meglio che faccia finta di essere minacciato
Il feldmaresciallo
Olmert, persa la guerra, si è dovuto
accontentare di 1.300 morti libanesi, degli esperimenti riusciti
con le armi chimiche e a energia, e di un futuro di bimbetti e
contadini libanesi squarciati dal milione di bombe a grappolo
degli ultimi tre giorni di aggressione. Impersonando uno Stato che
di guerre d’aggressione ne ha fatte sette in mezzo secolo, ora ne
minaccia un’altra all’Iran. Ahmadinejad
ha detto che lo Stato
di Israele va cancellato dalle mappe. E’ stato truculento e,
come gli tocca nel gioco dello “scontro di civiltà”, animatore
delle guerre di religione congeniali
all’imperialismo. In compenso, a far nascere uno Stato
palestinese, Israele non ci pensa nemmeno e intanto il
popolo che osa
pretenderlo lo cancella per davvero dalle mappe. Israele ha 400
ordigni nucleari che bastano per far scomparire non uno ma cento
Iran. L’Iran non ne ha neanche una e, anche volendo, non potrebbe
averne prima di dieci anni. La spesa militare di Tehran è la più
bassa in tutto il Medioriente,
nonostante lì ci sia la popolazione più numerosa dopo l’Egitto.
Nel 2008 tale spesa era del 55% inferiore a quella di Israele,
nonostante in Iran ci sia dieci volte
tanta gente che in Israele. La spesa militare pro capita
israeliana – $1.737 – è dieci volte
quella di Tehran ($110), è seconda nel mondo solo agli Usa e
rappresenta il 7,9% del PIL, percentuale più alta in assoluto nel
mondo. Dagli Usa arriveranno in Israele
tra il 2009 e il 2018 armamenti per 30 miliardi di dollari, il 25%
in più rispetto alla decade precedente.
Falce e martello? Non quella dei PC…
E’ impressionante la cecità con cui
questi sinistri politici e mediatici non si avvedono dei
chilometri morali e di coscienza che si stanno allungando tra loro
e quello che vorrebbero fosse il loro bacino elettorale. Quando
Bertinotti detta al suo siniscalco di scatenare “Liberazione”
contro Cuba e contro il Venezuela, non prevede, il navigatore di
lungo corso, che la conseguente revulsione dei lettori gli avrebbe
ridotto di un terzo la già esigua vendita del miserabile tabloid.
A che livello sarà sceso il già stazzonato “manifesto” dopo le
novene cantate dai suoi prelati agli ukase della lobby e alla
candidata democratica del cannibalismo Usa?
Quanto alla questione di falce e martello, personalmente non mi ci
sento eccessivamente coinvolto. Il simbolo del lavoro, ma
anche delle benedette mazzate in capo ai padroni, ai preti e ai
guerrafondai (niente di meglio che un martello e una falce) era
sacro e indiscutibile sui vessilli di
Lenin. Successivamente, da noi come in
tante parti del mondo, in ispecie
Medioriente e America Latina
(ricordiamoci del tradimento del PC boliviano al Che,
dell’adesione del PC argentino alla dittatura di
Videla, delle funzioni “moderate” dei
PC arabi nel momento della lotta di liberazione nazionale), quella
falce e quel martello erano i lustrini a coprire la corrosione
delle “lunghe marce attraverso le istituzioni”. Se
ne è fatto scudo
finchè ha potuto addirittura il primatista italiano del
trasformismo. Noi di Lotta Continua avevamo già preferito il pugno
chiuso dei bolscevichi e delle Pantere Nere.
Le migliori gambe rivoluzionarie nel mondo, in America Latina, non
marciano sotto falci e martelli, la storia della seconda metà del
‘900 glie li ha consegnati offuscati e lisi, gli basta il rosso.
Tutto questo, chiaramente, è detto da sinistra. I topi che
formicolano squittendo intorno al becco
degli avvoltoi, la falce e il martello l’hanno buttata decenni fa.
L’ha sporcata Togliatti quando ha preferito l’amnistia ai fascisti
alla continuità dei partigiani, ne ha corroso il ferro Berlinguer
quando ci ha aperto sulla testa “L’ombrello Nato”. Bertinotti ne
ha fatto la scala a pioli per la
propria santificazione nel compromesso storico. Tutti si
limitavano a brandire sui nostri occhi un falso d’autore, a mo’ di
medaglione da ipnotizzatore. Il loro rifiuto arriva da destra e
apre spazi a bombe, conti bancari e turiboli.
Parole false non sono solo un male in sé, infettano l’anima col
male
(Socrate)
Le lobby padrone del “manifesto”. Addio Stefano Chiarini
Sfidando, con l’esito certo di
vedere svaporare un’altra fetta dei
sofferenti, ma ancora irriducibili, supporter del
“manifesto”, quella maggioranza di lettori che hanno espresso
indignazione alla demonizzazione del boicottaggio della Fiera del
libro,Valentino Parlato si è distinto per ulteriore protervia e
cafonaggine intimando sergentescamente,
su una pagina di lettere di lui critiche, “piantiamola
con il boicottaggio”. E tra le lettere c’era pure una
firma che al Parlato dà molti punti deontologici:
Giulietto Chiesa. Ma una volta di più,
insieme all’Angelo d’Orsi della nostra dignità e intelligenza
collettiva, è stata un’ebrea a
rinchiudere Parlato e la sua lobby nei contorni che gli spettano.
Paola Canarutto, di “Ebrei contro
l’occupazione”, da sempre combattente per i diritti, per la vita
conculcata dei palestinesi e contro i crimini israeliani, ha messo
a posto il fondatore del “manifesto” che era addirittura arrivato
a scandalizzarsi del paragone tra razzisti sudafricani e razzisti
israeliani. Ricordato il boicottaggio europeo e italiano dei
palestinesi per aver votato Hamas e rilevato come impedire ai
palestinesi di andare a scuola non viene
giudicato boicottaggio culturale come quello che si stigmatizza
per la Fiera, Paola conclude:
“Per Parlato gli ebrei israeliani sono diversi dai sudafricani
bianchi. E’ vero. Sono peggiori. In Sudafrica
lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli”.
E di sterminarli, va aggiunto. Rimane da evidenziare un’altra
delle asimmetrie del “manifesto”, nonché
del foglio di Piero
Sionetti,
“Liberazione” e di tutti gli altri media “democratici”. Non sono
solo coglioni nazifascisti, provocatori
eterodiretti, a compilare liste di ebrei in sincrono
significativo con il boicottaggio di
Torino (a ulteriore soddisfazione del Mossad).
Il vizio delle liste nere non è loro esclusiva. A parte
l’esponente della comunità ebraica romana che prometteva di
mettere in lista coloro che non manifestavano
con la “Sinistra per Israele”, più concretamente ci sono le
diffusissime liste dei siti razzisti e bellicisti ebraici. Autori
di grandissimo valore, come Norman
Finkelstein, Ilan Pappe, Naomi
Klein, Gilad
Atzmon, Nuri
Peled e centinaia di altri, sono
elencati e criminalizzati come “traditori”, “minaccia”, “ebrei che
odiano se stessi” (selfhating
jews). Un sito di questi lo
segnala il “Forum Palestina”:
http://masada2000.org/list-A.html. Vedere per credere.
Vorrebbero incastrare i veri difensori dei diritti umani che
boicottano Torino, sovrapponendogli
provocazioni nazifasciste. Coda di paglia! Per chi è il massimo
modello di società Israele, se non per la destra fascistizzante
mondiale, da Bush giù giù
fino a Fini e Mussolini? Viene da piangere pensando al mai
sufficientemente compianto Stefano Chiarini.
Hillary Clinton, eroina del “manifesto”. E le sue donne…
C’è poi il capitolo Mariuccia
Ciotta, più grave perché trattasi
della condirettrice del “manifesto” che, quindi, governa, promuove
e licenzia quanto viene scritto dai
vari sicofanti dell’”antisemitismo”, i Parlato, i
Lania, i D’Eramo,
i Fouad Allam,
gli Zvi
Schuldiner, i Raffaelli. Ciotta
vola a dare il suo contributo alla
satanizzazione di coloro che avevano
chiesto almeno un pari trattamento di Israele e Palestina a
Torino, ricorrendo ai più triti addebiti della propaganda
sionista: che si voglia negare a Israele il diritto di esistere,
che il boicottaggio esclude il dialogo (quando il dialogo viene
annichilito proprio dalla Fiera, celebrando uno Stato colonialista
e serial killer e
espungendo la controparte palestinese), che chi boicotta – e non
chi occupa, ruba e stermina – fa
cultura della morte.
Ciotta e D’Eramo,
poi, fanno coppia, per fortuna a fianco di altre più sobrie voci
nel giornale, nelle celebrazioni di quella farsa immonda che sono
le primarie statunitensi. D’Eramo
percepisce quanto nessun cittadino italiano ha lontanamente
percepito, che cioè qui in Italia
stiamo seguendo
le primarie Usa con una passione
ineguagliata negli altri paesi europei… non ricordo un tifo simile
per Bill Clinton… tanto entusiasmo deriverebbe
da un’ardente ma repressa voglia
di poter scegliere… Viene da chiedersi chi mai
frequenti questo giornalista, oltre alla redazione di Emilio Fede
e al loft del
pappagorgia yes,
we can. Un’altra
giornalista del quotidiano, Ida Dominijanni,
acuta quando tratta delle miserie nostrane, perde anch’essa la
bussola individuando nella battaglia di
Billary la posta in
gioco reale e cruciale, l’accesso ai vertici del potere di una
donna… in una società… fin qui dominata, come tutto l’occidente e
tutto il mondo, dal potere maschile e bianco…Ovunque si riscontra
una spinta femminile a rompere il famoso tetto di cristallo che
mantiene inaccessibile alle donne il potere politico. E
già, a cucinare broccoli e non ai vertici stavano le varie brave
donne impedite dal potere, Albright, Condoleezza, conduttrici
della guerre preventive e infinite, non
l’analoga Thatcher, non l’affine Golda
Meir, non la
Merkel, non Evita Peron, non la
Bhutto, non la
Bandaranaike, non Teodora di Bisanzio… Già, ma quelle, dice
Ida, erano donne travestite da uomini. Debole la qualità donna,
con tutto l’esercizio di morte che praticava.
Facile, no? A conforto della sua
tesi, vittima di involontario umorismo,
l’opinionista del “manifesto” cita poi
Ritanna Armeni e il suo lavoro
rivendicativo “Prime donne” quando dice che non di sola misoginia
si tratterebbe, ma di un vero
e proprio terrore dell’invasione femminile nel monopolio virile
dell’ordine politico, terrore fondato sul fatto che
dietro a ogni Hillary e ogni
Ségolene si agitano i fantasmi di
Elena, Didone, Antigone
(nientemeno!),
Semiramide. Lasciamo che
questi miti dell’autentico femminile si rotolino nelle loro tombe
e pensiamo al “vero e proprio terrore” che si manifesta ogni sera
a “Otto e mezzo” sul bolso faccione di Giuliano Ferrara nello
sparuto pigolìo della sottoposta
Armeni.
Dei deliri osannanti a Hillary
Clinton di Mariuccia Ciotta, descritta
come l’apertura a un radioso, se non rivoluzionario futuro degli
Usa e del mondo, s’è scritto in altro “Mondocane”.
Dobbiamo ringraziare qualche raro infiltrato nel “quotidiano
comunista” impegnato a perdere colpi e lettori, come Rita Di Leo,
perché ci si conforti di non aver buttato €1,20 nello slot di un
videogioco da Alice nel paese delle meraviglie. Di Leo castiga
pesantemente i corifei delle “Grandi Democrazie che propongono una
donna” ricordandoci il ruolo truffaldino e predatorio che
esercitano sui risultati delle
primarie, anche in contrasto con la volontà popolare, i Grandi
Elettori, cioè i bonzi del potere costituito:
un marchingegno…che lascia i
potere nelle mani di chi lo ha sempre avuto. Nelle mani della sola
comunità che veramente conta nel paese, i
businessmen che hanno cambiato tanti volti in conseguenza e
in parallelo del cambiamento delle forme della
ricchezza, grano, carbone, petrolio, macchine, armi, servizi,
informatica, finanza. E’ un potere elitario
che da 250 anni neutralizza efficacemente la possibilità di una
rappresentanza politica di chi dissente. La comunità del business
punta sui possibili suoi
rappresentanti, li finanzia equamente e poi ne sceglie uno, quello
che meglio le si adatta e lo aiuta a entrare nella Casa Bianca.
Donna o uomo, bianco o nero che sia.
Gli entusiasti alla D’Eramo delle
elezioni Usa, i fan della Clinton “rivoluzionaria”, sono serviti.
Non fa differenza per chi votate, i due partiti sono in realtà un
unico partito che rappresenta il 4 per cento del
popolo
(Gore Vidal)
Hillary di Iraq, Monsanto e Wal
Mart
Ma vediamola da
vicino, questa benedetta Hillary, foriera del riscatto
morale americano e umano. Chissà che,
leggendoci, una Ciotta di
buonafede, non corregga il tiro. Sono 166mila, dalla fine dei ’90,
i contadini indiani che hanno commesso suicidio perché rovinati
dalla Monsanto, dai suoi semi ogm
sterili e quindi da ricomprare raccolto dopo raccolto. Sono
milioni gli ettari sudamericani avvelenati, insieme a chi ne
lavora e consuma i prodotti, dagli anticrittogamici della
Monsanto. Milioni sono gli agricoltori del mondo che la Monsanto
contribuisce a cancellare in piena sintonia con la strategia di
sfoltimento della specie perseguita dai dirigenti
del proprio paese. La Monsanto mette
in bilancio $10 milioni e 75 dipendenti
per perseguire agricoltori che protestano. La Monsanto ha creato
l’agente
orange, produce componenti
per armi nucleari, fabbrica steroidi per ingrassare animali e chi
li mangia, sparge sostanze tossiche. Le dobbiamo buona parte dei
tumori che ci crescono addosso. La lobby
Rural
Americans for
Hillary (Rurali americani per Hillary) è della
Monsanto. Come sono per Hillary i finanziamenti corporativi
plurimiliardari spalmati solo sui
personaggi “non alternativi” con programmi politici
ad encefalogramma piatto, finanziamenti
dalle ricadute garantite, come evidenzia, tra l’altro, la
sostanziale adesione alla cannibalesca politica fiscale e al folle
indebitamento pubblico dell’Amministrazione al potere. A scorno di
una Mariuccia
Ciotta che sui candidati democratici azzarda addirittura:
Dietro le loro maschere di
revenant, spettri di una rivincita, si nascondono i senza-potere,
che hanno vissuto l’esclusione in quanto non-iniziati alla grande
tavola del dominio. E a proposito della furbesca
lacrimuccia versata in un fast
Food dalla consigliera
d’amministrazione di una roba schiavista come
Wal Mart, questi vertici di
lirismo encomiastico: La sua
commozione tradiva non la donnina dai nervi fragili, ma la
passione politica che scuote gli Stati Uniti dopo l’era della
guerra e il primato della forza e che trascina alle urne gli
americani… Segni dissonanti, simboli di un’inversione di tendenza.
Forti in quanto deboli, agli antipodi
della rappresentanza del comando. Solo in America, forse, è
concepibile una così radicale metamorfosi delle insegne del potere.
Non basta, siamo all’apoteosi:
Barack
e Hillary, uguali e diversi, vogliono
ridare voce alla politica… sotto gli occhi scorre il tentativo di
trasformare il futuro mondiale… non sarà la rivoluzione
(ma no!), ma l’uscita
almeno dal medioevo di un occidente suicida. L’11 settembre è
finito (aspetta, aspetta).
Ci vorrebbe una doccia fredda.
Tornando all’establishment
dello Stato ontologicamente razzista, esso ha ripetutamente
auspicato l’ingresso della Clinton alla Casa Bianca. La senatrice,
visitando Israele nel 2005, ignorò
vistosamente i palestinesi, incontrò solo dirigenti
israeliani, esaltò la politica israeliana e, in particolare,
quella himmleriana muraglia che
Israele costruisce nella Cisgiordania occupata. Eloquente è
l’esame dei consiglieri di Billary.
Perlopiù si tratta di elementi dell’amministrazione del marito
(guerra ai poveri, alla Jugoslavia, embargo e bombardamenti
all’Iraq, macelli in Somalia): politica estera,
Madeleine Albright (sionista, quella
del “500mila
bambini iracheni
uccisi dall’embargo sono valsi la pena”, fidanzata
morganatica del serial killer Hashim
Thaqi del Kosovo); sicurezza
nazionale, Sandy Berger; consulenza generale, Richard
Holbrooke, quello dello squartamento
della Jugoslavia, del puntellamento del dittatore Marcos nelle
Filippine e degli stermini di Suharto
a Est Timor. I consiglieri di Obama,
per quel che vale, vengono tutti da ambienti
liberal,
favorevoli alla riduzione delle spese militari e al
multilateralismo. Berger, Albright, Holbrooke
sostengono l’azione di Bush in Iraq e,
con lui, chiamano Ahmadinejad “Hitler”
e denunciano la minaccia iraniana come questione della massima
urgenza. La Clinton, diversamente dall’oppositore
Obama, ha sistematicamente condiviso
le panzane di Bush sulla minaccia ADM di Saddam e votò a
favore della guerra. Così Berger, Albright e
Holbrooke. Altri consiglieri di Hillary hanno sostenuto
l’attacco, l’occupazione e non hanno cambiato idea: Jack
Keane, Kenneth
Pollack, Michael O’Hanlon.
Tutto questo giro condivide gli allarmismi sulla minaccia
terroristica del fasullo Al Qaida,
l’utilità di ignorare il diritto internazionale e le opinioni
degli alleati e di lanciare guerre preventive. Insomma, è frivola
ma gravissima la responsabilità di questi apologeti nell’oscurarci
la realtà di una Clinton (ma alla lunga anche dell’altro fantino,
dalla giubba meno accesa, sull’unico cavallo dell’establishment
Usa) molto diversa da Bush e del suo epigono Bill, quello del
decennio di sanzioni genocide all’Iraq che dettero continuità fino
ad oggi alla Guerra del ’91. C’è solo un grado
di ipocrisia in più.
Scrive giustamente Gianluca
Bifolchi di “Achtung
Banditen”:
I presidenti si trovano i copioni
già scritti dalle imprese sulla scrivania della Stanza Ovale.
E quanto alla diversità che le
ginocrate del “manifesto” riconoscono alla sorella Hillary,
basta la definizione di Jane Fonda:
Un portavoce del patriarcato in
vagina e gonnella. Un portavoce del patriarcato che ha
lasciato all’avversario repubblicano, l’universal
soldier
McCain, l’esclusiva del rifiuto della
tortura legittimata dalla banda Bush.
Una nazione che ne riduce in schiavitù un’altra, forgia le proprie
catene
(Carlo Marx)
Il Kosovo e il silenzio della diaspora serba, in
altre faccende affaccendata
Una delle cose più incomprensibili è
la reazione – la mancata reazione –
della comunità serba all’estero, in Italia dov’è foltissima, alla
suprema offesa e lacerazione inflitta da una banda di Stati
canaglia al loro paese. Ma come, qui si
strappa l’ultimo (?) arto al corpo storico, geografico, culturale,
umano della loro patria/matria e cosa
s’è visto? Qualche italiano volenteroso e pertinace ha messo
commenti e cronache in rete. Ma una
manifestazione dei serbi nelle tante città in cui risiedono? Un
presidio davanti alle ambasciate UE, tedesca, francese,
britannica? Un appello da far firmare ai soliti intellettuali? Un
picchetto e un uragano di e-mail a Palazzo Chigi? Un coordinamento
europeo per assediare Bruxelles?*
*(Aggiungo,
ad articolo ormai inoltrato, l’apprezzamento per quel migliaio di
lavoratori serbi che, a secessione proclamata, hanno manifestato a
Vicenza. Iniziativa degna di plauso, ma,
ahinoi, isolata e tardiva).
Ogni tanto si
sente di una festa, un ballo col cotillon, una
mossetta contro i pogrom anti-rom, una
promozione turistica per la Bosnia. E il milione di profughi
senzapatria, senzacasa, senza soldi, cacciati dalle loro terre? E
la Zastava, cuore operaio della
Serbia, polverizzata e svenduta ai predatori stranieri (Astrit
Dakli, lo slavofobo, ha solo da
recriminare contro il proficuo accordo tra la russa
Gazprom, dell’unico amico dei serbi,
Putin, e la società del gas di Belgrado)? E i 150mila fratelli
rimasti alla mercè dei tagliagole del
“premier” Hashim
Thaqi, narcotrafficante e assassino-capo dell’UCK, assurto
al vertice del nuovo mafiastatarello
in vista dei profitti che le elites
occidentali incamerano dalle basi militari d’assalto (Bondsteel),
dal passaggio di stupefacenti afghani, turchi e ora anche
colombiani, tutti sotto tutela Cia, dal traffico di donne, bambini
e organi? Quel pendaglio da forca di Thaqi,
premier kosovaro, è come se Totò Riina fosse il nostro presidente
del consiglio (magari, di questo passo, ci diventa…).
Le lacrime di Tommaso De Francesco e i suoi “ultranazionalisti”
Qualcosa si deve essere spento nei
serbi quando Milosevic non mobilitò il suo esercito e il suo
popolo contro l’ingresso dei briganti Nato in Kosovo. Ne sarebbe
venuta un’invasione della Serbia, ma anche una guerriglia di
massa, probabilmente grandi lutti e distruzioni, ma anche la
vittoria assicurata alle lotte di liberazione condotte nella forma
della guerra asimmetrica in un territorio che più idoneo alla
guerriglia non si può. Iraq,
Afghanistan, Cuba, gli stessi serbi sotto il tallone nazista,
insegnano. Vi potete immaginare cosa
sarebbe successo a D’Alema e al suo governo di
Sturmtruppen se avesse
dovuto impegnare i militari italiani contro i partigiani serbi,
già vittoriosi della macchina da guerra tedesca! Se avesse dovuto
accogliere processioni di bare dei “nostri ragazzi”!
Io, invece, mi sono trovato accanto
a Tommaso Di Francesco, balcanista del
“manifesto”, durante la cerimonia degli amici di Stefano Chiarini
nel primo anniversario della scomparsa del grande giornalista. Con
Tommaso ci eravamo incrociati nelle
guerre balcaniche e anche all’università di Napoli, ove ebbi
l’occasione di chiedergli cosa mai determinasse quella sua
coazione a ripetere gli stereotipi imperialisti su Slobodan
Milosevic “dittatore”. Mi rispose:
quali stereotipi?
Tommaso era amico di Stefano e nel “manifesto”, insieme
a lui, a Manlio
Dinucci, Robecchi, Rita Di Leo
e a pochi altri, l’argine ostinato contro la deriva moderata dei
vecchi e nuovi “venerandi maestri” del giornale. Ci lesse, quel
giorno, una toccante e intelligente lettera al compagno che non
c’era più. Gli ero seduto accanto e mi disse con tono afflitto,
riferendosi all’imminente secessione del Kosovo:
Avevamo capito fin dall’inizio
come sarebbe andata a finire in Serbia, vero?
Gli risposi:
Già, peccato che il tuo giornale,
nel giorno del golpe Otpor/Cia contro
Milosevic, cioè contro la Jugoslavia, così titolò: “La primavera
di Belgrado”. Lo scambio finì lì. Perché TDF non
è solo un onesto giornalista che la tragedia dei serbi e i delitti
euro-statunitensi contro il popolo serbo li ha sempre fedelmente
squadernati ai lettori, con la penna e con il cuore, come tocca ai
giornalisti con coscienza e professionalità. TDF ahinoi è anche
nella comitiva di coloro (Giuliana Sgrena, Marina Forti, M. Cocco,
altri) che partecipano, sì, alle sofferenze delle vittime,
denunciano, sì, i crimini e l’ottusità dei carnefici politici e
militari, ma al tempo stesso di questi ultimi condividono aporie,
stereotipi, falsi luoghi comuni, micidiali operazioni di
mistificazione e inganno. In questo modo sconfiggono il loro
stesso assunto informativo, politico, morale, ideologico. Cosa che
va di pari passo e sortisce gli stessi
effetti disastrosi del pertinace rifiuto a sinistra di investigare
e produrre analisi alternative sulla truffa
sconvolgimondo dell’11/9, di Osama, di Al
Qaida, del terrorismo islamico. Fino a
riprendere e avallare con stanca pigrizia
ancor oggi la surreale sostituzione, operata dagli
occupanti, della Resistenza, baathista
e islamica, fino a ieri accreditata dai comandi Usa di 200mila
combattenti, con un improvvisamente onnipresente Al
Qaida. Tecnica vecchia e logora,
ricorda gli occupanti tedeschi che per meglio giustificare le loro
stragi davano del
Banditen ai
partigiani.
Torna particolarmente desolante il
fatto che un dabbenuomo come Tommaso
continui, implacabile in ogni suo
articolo, a ripetere frusti e falsi concetti, in modo lampante
strumentali alla promozione di guerre. Ed ecco il karma della
contropulizia
etnica degli albanokosovari, a
ribadire una mai attuata pulizia etnica
serba che invece era una rabbiosa e inevitabilmente dura risposta
di Stato alla quinta colonna secessionista, scaturita dalla
criminalità organizzata albanese, dai marchi tedeschi e dai
sabotaggi di George Soros e Madre
Teresa (cui i briganti secessionisti hanno ora coerentemente
intitolato la via principale di Pristina). Ecco la balla di un
Milosevic inesorabilmente carico dei bugiardi misfatti
attribuitigli dagli aggressori, definito alla
Remondino despota
(l’equilibrista Rai che ora definisce
teppisti i
manifestanti che giustamente hanno assediato l’ambasciata dello
Stato assassino), in un paese dalle elezioni a gogò, dalle
maggiori città amministrate dall’opposizione, dalla stampa in mano
all’opposizione al 90%, dalle mai represse manifestazioni
dei collaborazionisti tipo Vichy (non
avevano, a Belgrado, consuetudine con i De Gennaro). Un Milosevic
che, estremo difensore del pluralismo
etnico-confessionale, avrebbe oppresso il Kosovo
togliendogli lo statuto d’autonomia, quando si era limitato a
eliminare il paralizzante, mai visto altrove, veto kosovaro a
tutte le decisioni delle istituzioni federali e regionali. Ed ecco
il disco rotto dei “nazionalismi”
e “ultranazionalismi”
serbi, laddove fu la Serbia a resistere, prima in nome dell’unità
jugoslava e poi della sua sopravvivenza agli sciovinismi razzisti
e religiosi dei microstati, coloniali, mafiosi o fascistizzanti,
fabbricati in provetta dall’imperialismo lanciato verso Est. Si
fosse mai sentito parlare di quell’
“ultranazionalista” di D’Alema che pensa di dover difendere gli
“interessi del’Italia” massacrando paesi altrui.
Vedendo il solito “nazionalismo
estremo”, o “ultranazionalismo” là dove si
tratta e si è sempre trattato di mera difesa contro gli
sciovinismi frazionisti dei proconsoli coloniali in Croazia,
Slovenia, Bosnia, Kosovo e Montenegro, Di Francesco accredita, mi
auguro inconsapevole, tutti le invenzioni demonizzanti elaborate
dalle centrali della guerra psicologica occidentale e finalizzate
a lubrificare i cingoli dell’aggressione. Così, come certi
farabutti fanno con la Palestina, appare molto equilibrato porre
tutti, serbi e secessionisti, sullo stesso piano e
risulta invece molto connivente. Come
quando ancora una volta, contro ogni evidenza, si attribuisce a
una “decisione” (documentare, prego!) serba la fuga dal Kosovo di
“centinaia di migliaia di abitanti”, di cui è stato provato che
scappavano invece dai bombardamenti a tappeto e all’uranio degli
amici Nato (ma poi, ai microfoni dovevano fantasticare su atrocità
serbe, sennò col cazzo che venivano
ammessi nei campi di quell’associazione a delinquere che i giudici
individuarono nel dalemiano
“Arcobaleno”. Balle di sopravvivenza che per TDF erano “dignitose
e credibili”). Del premier “moderato”
Ibrahim Rugova, volto umano
dell’operazione colonialista e noto in Svizzera per traffico di
droga, TDF si dice ottimo
amico. Probabilmente influenzato dall’albanese
slavofobo e russofobo del “manifesto”, Astrit
Dakli, TDF
diffida di Putin e
ritiene strumentale
la sua condanna della secessione e dello stupro del diritto
internazionale che rappresenta. E conclude
vantandosi di aver conosciuto la Politovskaja,
sapete la giornalista russa anti-Putin
e cortigiana di Eltsin e degli oligarchi, che parlava di Russia e
di Cecenia come gradivano Cia e Pentagono, suoi editori di
riferimento nelle collaborazioni a “Radio Liberty” e “Radio Free
Europe”. Sulle elezioni presidenziali
serbe, TDF si esalta alla vittoria del filo-europeo Boris
Tadic, ultraliberista, devoto alle
potenze che hanno sfasciato il suo paese, a scapito del “radicale”
Tomas Nikolic, chissà perché ancora
pervicacemente definito di destra e “ultranazionalista”, a
dispetto di un suo programma elettorale socialmente, politicamente
e geopoliticamente assai più di
sinistra di quello dell’avversario.
Arriva, TDF, addirittura a compiangere l’assassinio di
Zoran Djindjic,
collega di partito del destro Tadic,
da parte, afferma senza prove,
dello stesso ultranazionalismo
che lo aveva aiutato a defenestrare Milosevic. Fosse
anche vero, non ci sarebbe davvero da versare una lacrima su quel
Djindjic, losco figuro di rinnegato e
quinta colonna dei tedeschi, che era arrivato
a fornire agli aggressori gli obiettivi serbi da bombardare.
Le cadute di TDF e le ragioni di Slobodan Milosevic
Rinverdendo i fasti delle menzogne
che coprirono il golpe occidentale, portato avanti dai giovinastri
di Otpor, addestrati per la bisogna da
generali Usa a Budapest, TDF parla di un Milosevic nelle elezioni
del 2001 contestato dalla
folla in rivolta per i risultati improbabili che presentava.
Rovescia la verità nel suo contrario quando afferma
che, nel 2001, “il popolo” invase il
parlamento per bruciare le schede di una “falsa vittoria di
Milosevic”. Ci si
chiede quale Belgrado mai abbia visto De Francesco nei giorni
della sedizione di Otpor che, istruita
e armata dalla Cia, raccattando elementi fascisti dalla periferia,
era arrivata a bruciare in parlamento le schede, non della
“improbabile vittoria di Milosevic”, ma quelle che avevano
correttamente assegnato la vittoria ai partiti della sinistra. Non
contento, TDF, mitragliando i suoi anatemi contro questo
fantomatico “ultranazionalismo” serbo, non riesce a trattenersi
dal tornare all’attacco delle
precedenti responsabilità del nazionalismo serbo e di Milosevic,
contrapponendo a queste i Tadic e i
Kostunica “moderati” e virtuosi, dato che
sono i soli leader a non aver
partecipato alle guerre fratricide che hanno insanguinato i
Balcani. Un osservatore meno candido, meno credulone,
direbbe che sono stati questi leader ad aver abbandonato e tradito
la lotta di Milosevic e dei serbi per l’unità della Jugoslavia
contro il colonialismo e i suoi miserevoli burattini indigeni. E
che poi si sono fatti investire dagli stupratori del loro paese
del compito di consegnarlo ai
licantropi del più becero e mafioso capitalismo. Non si rende
neanche conto, TDF, che la collera degli attuali dirigenti serbi
contro gli Usa e gli europei che li hanno traditi, ma ai quali per
trenta denari avevano venduto il presidente leader della
Resistenza, è l’inconfutabile conferma che Milosevic aveva visto
giusto. Sono lacrime sul latte versato.
La cosa verrebbe
a noia per il profumo rancido che emana, se non fosse che fa pena
un giornalista, di sicura dabbenaggine, che, alle lacrime per le
disgrazie dei serbi, associa le diffamazioni e menzogne che a un
D’Alema, a questo punto invano deprecato da TDF, hanno consentito
prima di bombardare la Jugoslavia (non per nulla i giuristi di
Rifondazione lo denunciarono come criminale di guerra) e poi di
farsi rompighiaccio internazionale della costituzione e del
riconoscimento di un orrendo narcostato
etnico.
Testa-coda di TDF anche in Medioriente
I tonfi di De Francesco non si
limitano ai Balcani. Ogni tanto il Nostro fa delle incursioni in
altri settori. Il risultato non cambia. Quando invade lo spazio
assolutamente irreprensibile che era di Stefano Chiarini, si
precipita a sostenere il raggiro Usa sull’onnipresenza di Al
Qaida in Iraq, un Al
Qaida che, come ripetutamente
denunciato dalle più attendibili fonti irachene, a cominciare
dalla prestigiosa Associazione degli
Ulema, non è altro che l’etichetta che, nelle loro ambasce,
occupanti e fantocci applicano alla Resistenza onde screditarla
agli occhi del mondo e rinverdire il teorema del “terrorismo
islamico”. Sulla Palestina, per esempio, pertinacemente avallando
il rovescio delle verità praticate da
USraele e dai suoi sicofanti,
azzarda l’auspicio che Hamas
ripensi il tragico errore del colpo di Stato. Possibile
che nessuno gli abbia fatto leggere i documenti scovati da Hamas,
dopo la neutralizzazione dei quisling dell’ANP, e pure pubblicati
dalla stampa egiziana, che dimostrano come il
l’agente Cia-Mossad Mohammed
Dahlan, capo della sicurezza di
Fatah, era lì lì
per scatenare un golpe contro il legittimo governo di Hamas,
democraticamente eletto, comportante la liquidazione dei suoi
dirigenti? L’intervento di Hamas aveva semplicemente neutralizzato
il complotto di Israele e dell’ANP ai danni della democrazia e del
popolo palestinese resistente. Si può chiamare golpe il rifiuto
del tradimento di un’ANP che si fa finanziare, armare e addestrare
la guardia pretoriana dai nemici del suo popolo? Di Tommaso non è
solo, gode del conforto di altre penne
assai superficiali e corrive. C’è quella dell’equilibrista Ennio
Remondino, con le
sua coazione a ripetere il concetto caro all’Occidente del
despota Milosevic e i suoi
sgherri. Quella dell’augusta cofondatrice del giornale,
Luciana Castellina (pure lei devota
alla frode dell’11/9), che esprime tutta la sua riprovazione per
la fatale ripresa di egemonia
delle forze serbe più nazionaliste, a tutto danno di quelle
democratiche che oggi governano. Una volta di più il
manifesto toglie le parole di bocca a Bush e sodali,
giù giù
fino a D’Alema e Veltroni, per i quali aggredire e colonizzare
sono interventi umanitari, mentre estremisti nazionalisti sono
coloro che non ci stanno e”democratici” quelli che applicano i
diktat politici ed economici dei loro padroni a Washington e
Wall Street. Con un triplo salto
carpiato logico questa veneranda
maestra, afferma poi impunemente che
con i
bombardamenti Nato sulla
Jugoslavia… si è solo ritardata la vittoria degli oppositori di
Milosevic. Anche lei, dunque ballava alla musica della
manifestaiola
Primavera di Belgrado
sulla fossa comune dei popoli jugoslavi.
I
giocolieri dei due pesi e due misure
Così, agevolato dalle aporie
truffaldine dei colonialisti, ribadite
dal “manifesto” e da altri media di “sinistra” , D’Alema e i suo
padrini hanno potuto compiere lo sporco lavoro di destabilizzare
una residua legalità internazionale, inventandosi un microstato di
delinquenti, tutelato per i comuni interessi dalle forze di
polizia europee (Eulex). Un’entità
etnica, razzista, sorta dal genocidio di quasi metà della sua
popolazione (altro che kosovari albanesi al 90% nel 1998) e che
ora serve da retroterra per i traffici criminali di tutti i suoi
mallevadori, dalla droga al commercio di esseri umani e delle loro
parti, dalla rapina delle sue ricchezze minerarie, compresi i
nuovi giacimenti di gas e greggio recentemente scoperti al confine
tra Albania e Kosovo, ulteriore stimolo
al lavoro sporco di D’Alema e compari. Con sul
groppone l’identificazione con la scellerata politica degli zombie
anglosassoni, l’Iraq dei 2,5 milioni di morti nella guerra
1991-2008, la Palestina cui far fare la fine degli
Incas, l’Afghanistan da devastare per
obiettivi esclusivamente predatori, il Libano da tenere
libanizzato e al guinzaglio, la
Jugoslavia frantumata in ridicoli bantustan
per masticarla meglio, e tutto questo al costo di una macelleria
sociale senza precedenti, con il corollario dello Stato
picchiatore e carceriere, come si fa ad ancora risparmiare alla
nostra classe politica ed ecclesiastica il termine di fuorilegge?
Macchè, sono fuorilegge e meritevoli
di 7 anni di prigione i ragazzi che a
Firenze si erano fatti spaccare la testa per urlare al consolato
Usa quello che si faceva alla Jugoslavia.
Ovvio che i serbi un giorno si
riprenderanno la terra delle loro
origini e del loro destino. Ovvio che, crollata la Grande Bestia
imperialista e dispersi i suoi clienti, la Jugoslavia riprenderà
forma e coesione, condizione perché quei popoli non muoiano. Ma
non saranno le compiacenze, obbedienze e connivenze dei politici e
dei giornali sedicenti di sinistra a sostenerli
ed affiancarli nella rivincita. Quelli
dovranno leccarsi le ferite, se non saranno già stati affidati
alla discarica della storia.
Ogni candidato si comportava bene nella speranza che
lo si giudicasse degno di elezione.
Tuttavia, questo sistema divenne un disastro
allorchè la città era diventata corrotta. Poiché allora non
era il più virtuoso, ma il più potente che si candidava alle
elezioni e i deboli, perfino i virtuosi, erano troppo impauriti
per candidarsi.
(Nicolò Machiavelli)
Un partito pluriball
Bertinotti, uomo per ogni stagione
purchè gli dia lustro e lo mantenga
sulla giostra, si affanna trafelato, disponibile come non mai,
appresso alla Grande Cosca
Veltroni-Berlusconi, pur di rimediare ancora qualche
sprazzo dal cono di luce di quel mafio-potere.
C’è dell’orrido e del patetico nelle giravolte di quest’uomo, che
riesce a trascinarsi dietro perfino i recalcitranti all’abbandono
della falce e del martello per mettere in piedi un minestrone che
ha la densità di contenuti di un pluriball.
Mi è capitato di assistere, della parti
del mio non natìo borgo selvaggio, a
un’assemblea di circondario della “Sinistra l’Arcobaleno”.
Un Bonelli
che esternava pie genericità, un Cancrini
psichiatra che solo di psichiatria parlava (ma non della demenza
onanista delle “sinistre”), un ometto barbuto della SD che pareva
un busto del Pincio e di quello aveva
la vivace eloquenza, un rifondarolo da
comizio. Qualche sprazzo veniva dagli interventi di uno sconsolato
pubblico, per il resto un vuoto da interno di mongolfiera. Accenni
autocritici per quanto di scelleratezze
prodiane hanno contribuito a cacciare nel gozzo della
gente, una visione di società sottratta alla paralitica egemonia
dell’agonizzante esistente, un
break dell’abbraccio
mortale con la borghesia berlusconizzata?
Meglio chiedere agli asini di volare. Invece una conferma,
iniettata dalle compatibilità bertinottiane,
del ruolo di ruotino di scorta del
pateracchio veltrusconiano, con la
pietosa insistenza dell’invocazione al PD che ci ripensi e conceda
ancora una volta tale particina in commedia. Fenomenale il dato
che nessuno dei quattro moschettieri del re abbia ritenuto di fare
un accenno alla questione guerra,
missioni, basi, Nato, Vicenza, come se si trattasse non del nodo
dirimente di tutta la nostra epoca, ma di una fastidiosa mosca che
era meglio ignorare piuttosto che spiaccicarla.
Certo, una coda di paglia lunga da qui a
Kabul, intrisa di sangue.
Vota sempre per principi, anche se voti
da solo. Avrai il conforto che il tuo voto non sarà mai perso.
(John Quincy
Adams)
Annullare la scheda dell’antipolitica, stare con la politica vera
di Vicenza, Val di
Susa, i
Zero-rifiuti, Cobas…
Sono per la scheda annullata. C’è
chi in rete, e anche qualche gruppettaro sul “manifesto”, invoca
l’astensione, inconsapevole della quasi totale irrilevanza di un
dato numerico che può essere attribuito a semplice e indistinta
insofferenza al solito trucco elettorale. Le schede annullate
significano invece un’attiva manifestazione di volontà politica e,
per quanto si vorranno poi attribuire ai partiti, senza cambiare
la qualità dell’esito, rappresentano nel loro incremento
esponenziale una spada di Damocle su governanti e “oppositori”,
nonché un terreno di coltura per la
rinascita di una sinistra che non sia la maschera di carnevale del
padrone. Correttamente, anche stavolta, i Cobas hanno dichiarato
nelle prossime elezioni non
sosterremo nessuna lista, non daremo indicazioni di voto per
nessuno, non metteremo candidati in nessuna lista. Mi
pare implicita la constatazione che non c’è proprio nessuno da
poter eleggere.
Non fidarsi è meglio
Non c’è da fidarsi di chi
, pur indossando abiti candidi, ripete le parole d’ordine
dei carnefici militari e sociali: dal “terrorismo”
all’”integralismo” islamico (il
mostro dell’estremismo radicale islamico, come lo
chiama l’emissario a Kabul del mostro dell’estremismo moderato
apostolico romano nel “manifesto”), dall’11 settembre
dell’attentato bushiano, all’agenzia
Cia Al Qaida, dalle montature a fini
colonialisti del Darfur, del Myanmar o
dello Zimbabwe strappato alle grinfie dei vampiri bianchi, alla
turlupinatura letale della “nonviolenza”, dal perfido strumento
colonialista dei “diritti umani”, alla prostrazione davanti a un
arnese della reazione teocratica come il Dalai Lama. Ci sono
quelli che, messi alla porta dal Veltroni nazionale, nel segno
della coerenza e della dignità rientrano nel retrobottega del
Rutelli municipale – e di altri fiduciari locali di costruttori,
redditieri, automobilieri,
elettroinquinatori, camorristi, preti
– per godere ancora dei frutti dello scempio
di Roma. Non c’è da fidarsi di verdi – e tanto meno di
legambientini, topastri
da tempo brulicanti nel formaggio del
potere – che, pur arrossendo, annuiscono dalla lontana a strumenti
di morte come gli inceneritori, o la TAV. Né c’è da fidarsi di
tutta quella rancida “società civile”, che ora si balocca tra
Veltroni e Bertinotti alla ricerca di qualche candidatura
“indipendente”: sindacati ormai tutti gialli, Arci
( la maestrina dalla penna nera
Raffaela Bolini:
noi non siamo a priori contro le
missioni all’estero, la comunità internazionale ha il dovere di
mettersi in mezzo…), Ong,
Tavole della pace, conventicole varie. In una cosa sono bravi e
utili: nel confondere la distinzione tra giusto e ingiusto, tra
chi subisce e chi infligge, ciarlando di “diritti degli uni e
diritti degli altri”, di estremisti e
di moderati di ambo le parti, finendo col mettere tutti, vittime e
carnefici, nello stesso sacco.
Dove sono finiti gli occhiali di
Trotzky?
E, malgrado
il rispettabile Turigliatto, non mi
fido nemmeno di quel trotzkismo, ingordo di
minoritarismo e perciò grottescamente trino su un corpo
solo. Dietro a falce e martello coltiva il suo arrogante,
eurocentrico e quindi essenzialmente razzista disdegno, anzi la
sua nasuta disapprovazione, verso tutto ciò che si muove fuori
dalla proprie oniriche coordinate,
Chavez, Fidel, la Resistenza irachena,
quella islamica, Mugabe, milioni di persone che nel mondo si
strabattono contro l’urgenza assoluta
del momento, l’imperialismo. Diranno, costoro, anche delle cose
condivisibili sulle sciagure sociali interne, sulla “brutta
guerra”, ma tralignano quando dall’albero allargano lo sguardo
alla foresta e siccome è la condizione della foresta che determina
l’ambiente e la vita di ogni sua singola
componente, sbagliare lì è vanificare la cura dell’albero.
Il padre nobile al quale questa triade fa riferimento aveva lo
sguardo ben più acuto e lungo. Non mi fido di
un Cannavò, leader della neonata “Sinistra Critica”, che
con la sua falce avrebbe voluto decapitare Slobodan Milosevic e
con il martello liberava la strada ai venduti di
Otpor. Indimenticabile e indecente il
titolo con cui, su “Liberazione”, esaltò
il golpe euro-statunitense contro la Serbia libera e sovrana:
Belgrado ride. Si sa
bene ora, caro lungimirante Cannavò, chi ridesse allora e continua
a ridere. E intanto, senza dirmi nulla,
cestinava le mie corrispondenze da Belgrado perché, intervistati,
i dirigenti Otpor si dichiaravano
orgogliosi di essere stati addestrati dalla Cia. O perché
descrivevo i lindi quartieri e le protezioni sociali che il
Partito Socialista di Slobo aveva
assicurato ai rom.
Ti paga Milosevic?
mi chiese. E non mi fido dei boyscout
che insistevano a contrapporre ai rivoluzionari passati e presenti
l’uomo mascherato del Chapas, quando
anni di scempiaggini letterarie, vaniloqui galattici, rosari
recitati alla nonviolenza e al non-potere, assoluta sterilità
operativa e vanitoso isolamento geopolitico,
autoculto della personalità,
avevano già fatto giustizia di questo stratega del depistaggio per
fighetti europei. Li abbiamo visti, i boyscout, appena un po’
disorientati quando il neo-Zorro da
operetta ha assolto il compito dei suoi mandanti di dare una mano
al Berlusconi locale, Caldiron,
facendo le scarpe al candidato presidenziale Lopez
Obrador, unica e credibile speranza
per il Messico di affiancarsi al nuovo e positivo che muove
l’America Latina.
Si tratta di sinistre che diranno
pure qualcosa di assennato sulle politiche del
coacervo veltrusconiano, che,
un po’ tardi, si tirano fuori dalla morta gora
bertinottesca (invitati da noi
autoconvocati nel 2004 a unirsi contro il monarca, fecero orecchie
di mercante), ma che non si libereranno mai da una responsabilità
degna dei pesi di Sisifo: aver
impedito, con l’assunzione delle patacche su Milosevic e sul
“nazionalismo” serbo, quella mobilitazione, di massa e senza
riserve mentali, per la Jugoslavia e accanto alla sua dirigenza,
che solo così avrebbe potuto mettersi tra le ruote dell’incipiente
“guerra infinita”. Altro che “si, ma”,
altro che “né con, né con”. E’ gente che pensa di difendere Cuba
dalle mene Usa dando del “dittatore sanguinario” a Fidel Castro, e
l’Iraq ripetendo da sonnambuli le fole su Saddam e sulla
Resistenza.
E, per finire là dove non
sembra ahinoi esserci fine, non mi fido
neanche di coloro che oggi inalberano vessilli dell’antagonismo
sociale e della lotta contro il militare, ma che un attimo fa,
offrendo al Veltroni a stelle strisce e stella di Davide, tanto
opportunisticamente quanto demenzialmente,
una lista elettorale “arcobaleno”, tali vessilli li avevano
scordati in soffitta. C’è un limite alle “svolte”. Si rischia di
frantumarsi contro un muro: presero lo 0,6%. E, guardate, dirò una
bestialità, ma non mi fido neanche delle quote paritarie per il
genere rosa. Penso a quelle che già hanno dato
la loro prova: Binetti, Turco,
Santanchè, Brambilla,
Finocchiaro,
Menaguerra, Deiana, Bonino,
Bernardini,
Pollastrini, Pivetti, Mascia, Sereni, Mussolini…
Moltiplicarle? Sarà equo, ma non mi pare risolva il problema.
Anzi, se si allarga lo sguardo a Clinton,
Livni, Albright, Rice, Bhutto,
Merkel, Royal,
Elisabetta… fa paura. Troppo facile farne una questione di genere.
Tina Anselmi, quella sì. Ce ne fossero.
E’ il TG3 delle
19. Sfilano nell’invereconda passerella di tutti i
telegiornali i gaglioffi presuntuosi e
ottusi della vera antipolitica: strepitose maschere da film de
paura, corruzione, protervia, ipocrisia, furberia, ottusità,
rozzezza, vaniloquenza. Su tutte, la
faccia di Veltroni che si smolla sul gorgoglio sempre più
indistinto di putrefatte demagogie e
mafiosi avvertimenti. Pare un Luigi XVI della Magliana. Siamo al
1789? Mancano i sanculotti.
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