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TERRORISTI CECENI A
“LIBERAZIONE” E “MANIFESTO”
06/09/2004
Rientrare in Italia dopo una mesata
nel Venezuela bolivariano è come rientrare tra le capre del proprio
villaggio di capanne dopo aver girato con Odisseo per le terre di
Alcinoo, Nausicaa, Circe e Polifemo, Calipso e Ilio. Gli anglofobi
lo chiamano anticlimax,
il contrario di una vetta, un vertice, o di un orgasmo. E’ come
riprecipitare nel sottosviluppo provenendo da una civiltà avanzata.
E basterebbe il confronto tra la buona educazione, l’allegria, la
gentilezza, il buonumore universale e pandemico dei venezuelani,
andini o della piana, metropolitani o della selva tropicale, e la
nevrosi collettiva dei romani, sconvolti da decenni di devastazioni
capitoline, pronti alla rissa al primo sorpasso giudicato protervo,
al primo pestone subito sull’autobus della compenetrazione dei
corpi, al primo scataracchio da enfisema automobileindotto., al
centesimo sacco di rifiuti sparso tra i piedi e sotto i nasi.
Basterebbe vedere come la rivoluzione bolivariana ha sottratto alla
manomorta degli infiltrati dell’oligarchia l’azienda di Stato degli
idrocarburi, rilanciandola a terza impresa sudamericana e a motore
dell’integrazione ed emancipazione sociale continentali, a fronte di
quanto l’esperto di devastazioni industriali e sociali a un miliardo
al mese, Cimoli, va facendo all’Alitalia, sul modello del degrado da
lui già inflitto a quelle che erano le migliori ferrovie d’Europa e
oggi farebbero pena al Mali. Basterebbe anche, l’esperienza della
serietà, competenza, maturità politica, modestia di modi e di beni,
al limite del pauperismo, di coloro che pur dirigono la più
importante rivoluzione dei nostri tempi: la sede centrale del
partito di maggioranza, MVR è una casetta gialla a due piani con un
televisore in bianco e nero, l’ufficio nel Comando Maisanta,
quartier generale elettorale, del braccio destro di Chavez, Willian
Lara, è un bugigattolo dove a stento ci stanno lui e la segretaria,
le redazioni dell’unico quotidiano di sinistra, dell’unico canale
governativo, delle tante tv e radio di quartiere, ricordano le
atmosfere, i mezzi, gli arredi del nostro passato extraparlamentare.
E poi, a ogni livello, la cordiale fraternità tra tutti i
partecipanti a questa grande rivoluzione di popolo che non conosce
gradi e gerarchie, che ovunque piega il verticale all’orizzontale.
E, di fronte, le degenerazioni salottiere, le cadute di stile, i
quaquaraquismi, le serpentine dell’opportunismo, le familistiche e
compiaciute disponibilità ai Vespa, Costanzo, Socci, Carrà ,
chiunque abbia a disposizione una telecamera, di certa gente di qui.
Ricordo un ministro del governo venezuelano che riteneva
incompatibile con la sua funzione e la sua etica accogliere l’invito
a uno “show” televisivo. Non ci ho mai visto nessuno dei bolivariani
sulle ginocchia di un qualche locale principe mediatico. C’è classe
politica e classe politica, da noi abbiamo scambiato per tale una
banda di arraffoni, arruffoni e guitti. Un bagno nella rivoluzione
bolivariana e il grano si separa dal loglio come per miracolo.
Ma è la chiarezza delle cose della
vita, cioè della politica, che da quelle parti riflette la
limpidezza del cielo, mentre da noi le cose della vita si confondono
e mescolano in melmosa omologazione, rivaleggiando con le turbolenze
tossiche delle polveri sottili e del biossido di carbonio dello
smog. Fin dal primo momento, nessuno tra i compagni venezuelani si
sarebbero sognato di fraintendere le tanto turpi quanto evidenti
provocazioni di un “Esercito Islamico” che agisce a parla in
sincrono con il mercenario Cia Ayad Allawi, a sua volta sgambettante
dai fili di Donald Rumsfeld, Ariel Sharon e neonazisti vari. Prima -
hanno scritto sui loro giornali i bolivariani, che non hanno la
vista ottenebrata dalla fregola di andare al governo con i propri
opposti – questo “Esercito Islamico”, né islamico, né iracheno,
chiede il ritiro di 50 insignificanti filippini che, comunque, se ne
sarebbero dovuti andare un mese dopo. E si accredita come grande
vincitore nei confronti di una presidente Gloria Arroyo, che,
amichetta di Clinton in gioventù, come sente un fischio statunitense
arriva al godimento e, dunque, ritirando i suoi ragazzi, ha danzato
al trillo di uno zufolo pseudoiracheno il cui fiato sapeva
distintamente di stelle e striscie. Acquisita credibilità
resistenziale, questi specialisti Mossad si sono rivolti al
bersaglio vero: giornalisti ficcanaso e non
embedded (con qualche
magagna dal punto di vista iracheno, tipo la familiarità con
l’agente occidentale Scelli e le intimità con le soldatesse USA), e
il vero, massimo stato canaglia, la Francia laica e del rispetto per
gli arabi e musulmani, la Francia, magari imperialista di suo, ma
massimo intralcio allo “scontro di civiltà” finalizzato alla
conquista sion-statunitense del mondo. Ora, per capire queste
cosucce elementari, basterebbe saper distinguere tra oro e piombo.
Cosa che d’acchito hanno fatto tutti gli arabi e tutti i musulmani
del mondo, compresi 60 milioni di francesi, da Chirac a Monsiù
Benoit., nonché una gran massa di compagni che si sono allenati a
studiare la differenza tra un comunista e, che so, il segretario di
Rifondazione.
Non così da noi. Per esempio e
limitandosi a RC, i vari dirigentoni Consolo, Migliore (quello dal
cognome-presa per il culo), Bertinotti stavano a Caracas per il
referendum e sapeste quanto erano antimperialisti, filocubani e
internazionalisti, al fianco di tutte le resistenze, da quelle parti
(non che avessero convinto: ricordo deputati bolivariani che mi
chiedevano angosciati come fosse possibile che comunisti
antimperialisti, antiliberisti almeno, andassero al governo con D’Alema,
autorevole sponsor dei locali fascisti). Gli è bastato farsi mezza
dozzina di fusi orari e rientrare nella rete di ragno delle
“maggioranze”, delle “coalizioni democratiche”, dei ministri di
Rifondazione, della non violenza alla faccia dei cani di Abu Ghraib
attaccati alle palle, del Risiko per le regionali, che le resistenze
sono tornate a essere “terrorismi”, tutti uguali, tutti orrendi,
saddamisti, muktadisti, eserciti islamici, zarkawisti, alqaidisti,
kamikaze palestinesi. Ma il top l’hanno davvero raggiunto e superato
con la Cecenia. Devo dire che il “Manifesto” ci ha messo del suo,
una cazzuolata di calce sulla tragica faccia della verità e
buonanotte ai suonatori (e meno male che c’è stata la rettifica a
muso duro di Marina Forti, che ha raccontato l’oscena verità sulle
“donne martiri” cecene!). Il cerchio, poi, l’ha chiuso sul
giornaletto di RC Antonio Moscato, un “intellettuale organico” di
Bertinotti, che da anni si muove in perfetto sincrono con gli
estremisti della comunità ebraica statunitense, detti neocon ma in
tutta evidenza neonazi, ex-trotzkisti come lui (anzi, a dispetto di
Trotzki, Moscato trotkista si dice ancora, quanto il capetto della
combriccola, Salvatore Cannavò, che edita una fanzina, “Erre”, e
scrive editoriali in cui altalena giocosamente tra acrobazie
rivoluzionarie e inchini a sovrani e distributori di poltrone).
L’assonanza di Moscato con la banda di
tagliagole di Wolfowitz non è solo nominale. Va nel profondo. Mi
ritrovai a dibattere sulla Jugoslavia con questo luminare
dell’università di Lecce. Dopo una sua “ricostruzione” storica
dell’indipendentismo kosovaro e della necessità genetica della
Grande Albania, della stessa disinvoltura onirica con cui su
“Liberazione” del 3/8/04 ha inventato una storia del popolo ceceno
(vedi
aa-info@yahoogroups.com “Antonio Moscato e Zbigniew Brzezinski
in prima linea per squartare la Russia”, originato da “Coord.Naz.per
la Jugoslavia”), Moscato è arrivato ad attribuire ai tagliagole e
narcotrafficanti dell’UCK di Hashim Thaci, guidati da Osama Bin
Laden e foraggiati da Germania e USA, i meriti e la nobiltà di
un’autentica lotta di liberazione. Il tutto anche allora corredato
dall’ampio ventaglio di invenzioni e menzogne sulle “atrocità serbe”
con cui le agenzie apposite (Ruder & Finn, Hill & Knowles), oltre al
Pentagono e ai media assoldati, hanno accompagnato la pulizia etnica
contro i serbi e lo sbranamento della Jugoslavia. E il tutto anche
assolutamente privo di riferimenti alla strategia nazifascista,
prima, e imperialista eurostatunitense, poi, di sbriciolare i
Balcani a forza di “piccole patrie”, identitarismi tribali, etnici e
confessionali, strategia identica a quella che oggi, utilizzando i
soliti mercenari di Al Qaida, strumento privilegiato dei
nazisionisti di Washington e Tel Aviv dall’11/9 in poi, viene
sostenuta da Moscato per il Caucaso del petrolio appetito dagli USA
e da altri. E qui è assai istruttivo citare, dal testo del Coord.
Naz. per la Jugoslavia, un documento di pugno del capo delle SS
Himmler: “Nel trattamento delle etnie straniere dell’Oriente
dobbiamo vedere di riconoscere e di badare quanto più possibile alle
singole popolazioni… Ed ovunque si trovino pure solo frammenti
etnici, ebbene anche quelli. Con questo voglio dire che noi non solo
abbiamo il più grande interesse acchè le popolazioni dell’Oriente
non siano unite, ma che al contrario siano suddivise nel numero
maggiore possibile di parti e frammenti. Ma anche all’interno delle
stesse popolazioni non abbiamo alcun interesse a portarle all’unità
ed alla grandezza, a trasmettere loro forse pian piano una coscienza
nazionale ed una cultura nazionale, bensì piuttosto a scioglierle in
innumerevoli piccoli frammenti e particelle…” Non vi ricorda niente?
La Nato in Jugoslavia, Israele nel mondo arabo, gli USA in Medio
Oriente, in Iraq, nell’Afghanistan affidato a fantocci e “signori
della guerra” rifornitori di eroina alle banche amiche? Come
ideologo di riferimento non c’è male.
L’accantonamento totale che questo
collateralista, oggettivo o soggettivo (la responsabilità per questi
sconvolgimenti di menti indifese resta uguale nell’un caso e
nell’altro), compie delle strategie di genocidio terroristiche e
imperialiste e del quadro geopolitico degli interessi in cui si
inserisce la ferocia sanguinaria senza pari dei gangster teleguidati
di Cecenia o Kosovo, (esaminato, invece, con competenza e onestà dal
non-comunista, ma professionista e persona perbene, Giulietto
Chiesa) la ritroviamo anche in altri sostenitori slavofobi dell’UCK
e della causa grandalbanese: Astrid Dakli e K.S. Karol, ahinoi sul
“Manifesto”. Dakli, del resto, si era già fatto notare al tempo
della distruzione della Jugoslavia quando, a pulizia antiserba in
corso, seppe percorrere il Kosovo ormai albanesizzato e
postribolo di Nato e ONG, come fosse un giardino all’italiana, senza
vedere neanche un fil di fumo spiraleggiante dai 150 monasteri
medievali inceneriti dall’UCK, o una casa bruciata con le famiglie
serbe e rom dentro, o qualcuno dei 300.000 serbi in fuga dalla
propria terra. All’indomani della carneficina, i due esperti di
Cecenia del quotidiano, del quale non possiamo fare a meno, si sono
superati. A che pro dilungarsi su un’analisi della natura e
composizione e motivazione di “combattenti”, “guerriglieri”,
“indipendentisti” (mai terroristi, quelli stanno solo in Palestina e
Iraq), sul retroterra di un fondamentalismo d’importazione, guidato
da stranieri scaturiti da Al Qaida, cioè dalla Cia, che acchiappa
disperate e soggiogate donne, le carica di tritolo e le fa esplodere
a distanza (pure, queste cose sul “Manifesto” sono uscite! Elettra
Deiana, Imma Barbarossa, Lidia Menapace, voi così pronte a saltare
con artigli affilati come Freddy Kruger sulle aberrazioni
patriarcali, perché tacete?)? Perché indugiare ancora sull’abominio
agghiacciante, inedito in qualsiasi autentico movimento di
liberazione, di un terrorismo macellaio che colpisce nei metrò,
sugli aerei, negli ospedali, nelle scuole, che pratica i sequestri
per riscatto? Perché attardarsi sui risultati di elezioni che,
sistematicamente, danno maggioranze schiaccianti e verificate da
terzi a coloro che vogliono restare in uno Stato degno del nome,
piuttosto che in una colonia USA amministrata da lanzichenecchi?
Basta ripetere “elezioni farsa”, non c’è bisogna di dimostrarlo, non
fanno così anche gli amici di D’Alema e dell’Internazionale
massonico-socialista in quella “Coordinadora Democratica” che esegue
i golpe Cia in Venezuela? E, soprattutto, perché andare a
sfrucugliare su cosa significhi oggi, alla luce della “Grande
Scacchiera” dell’annientatore di Stati Brzezinski, il Caucaso degli
idrocarburi e degli oleodotti, che ha in Cecenia il suo nodo
decisivo? O il petrolio continua ad andare verso Nord e arriva nel
mondo passando, con le relative remunerazioni politico-economiche,
per la Russia, o questo Nord viene tagliato fuori e messo alla mercè
dei rubinetti occidentali con un percorso, controllato dagli USA,
dalle origini alla Turchia, al Kosovo appunto, all’Albania? Cosa c’è
di vero nelle voci sulle cisterne di dollari che dalla Exxon
arrivano al socio di Osama (l’altro è Bush) Shamil Bassaev?
Qualcuno potrebbe vedersi offuscare la vista da un conglomerato di
analogie tra 11 settembre, assalto alla Jugoslavia, transito rivale
delle risorse e serratura antimperialista, assalto all’Afghanistan
dell’Unocal cui i Taleban negavano un oleodotto e piantagioni di
papaveri (le avevano sradicate), assalto all’Iraq che teneva duro da
quarant’anni a difesa del suo petrolio e del suo Stato sociale, a
sostegno dei palestinesi, a spiraglio del riscatto arabo. E Moro che
parlava di “convergenze parallele”! Già, si era reso conto.
Non per nulla le BR… E poco vale la parziale correzione di rotta del
Dakli del giorno dopo, forse imposta da una sana rivolta della
redazione, in cui, detta qualche parola di biasimo per gli “orrori”
della guerriglia, torna al fondo del suo abisso politico
falsificando le cause dell’eccidio, attribuite, contro ogni evidenza
accettata perfino dai tg di regime, alla ferocia sanguinaria di
Putin e non ai mostri che fanno scoppiare le proprie donne in mezzo
ai bambini, imponendo ineluttabilmente il blitz.
Tutto questo, con i Moscato, i Dakli,
i Karol, i Barenghi del “meglio gli occupanti americani”, va fatto
sparire sotto il tappeto. Visto che i neonazi di Washington hanno
dato indicazione di sventrare nazioni multietniche e laiche,
soprattutto quelle che ostacolano la rapina universale delle
risorse, e di prevenire il sorgere di qualsivoglia rivale al dominio
universale degli USA, con Israele al guinzaglio (o viceversa),
la bisogna chiama alla criminalizzazione mediante inquinamento, per
trascorsi ed esperienza con ogni probabilità Mossad, di chi resiste,
sacrosante armi in mano, e alla benevola e indulgente comprensione
per chi delinque contro i futuri “rivali”, anche straziando forzate
kamikaze e centinaia di bambini. Fanno un buon lavoro, questi
“analisti”. Qualcuno li ricompenserà. Alla stregua di Marco Pannella,
che già solo sopravvivendo ferisce la dignità umana e che non è
mancato all’appuntamento con Moscato e soci. Da giorni quella faccia
devastata dalla corruzione sbraita che i “combattenti” della scuola
in Ossezia sono “partigiani alla Ghandi”. Ringraziamolo però, il
patron di quell’altro bravo giornalista, Antonio Russo, che dopo
aver berciato su Radio Radicale, da un nascondiglio in Macedonia,
come “dalla sua finestra a Pristina” si vedessero i serbi arrostire
allo spiedo bimbetti albanesi, è stato fatto fuori proprio dalle
parti dei cavernicoli attivati in Cecenia. Senza il parallelo con il
capoccia transnazionale, come potremmo comprendere fino in fondo la
natura del pensiero di Moscato?
Una citazione a parte merita
Gennaro Migliore, un prodotto che pare sfuggito al suo artefice
prima delle rifiniture finali, uno che Bertinotti ha reso
responsabile delle relazioni internazionali, ma anche uno che ha nel
cognome il risarcimento per tutto il resto. Poteva Gennaro Migliore
esimersi dal rilasciare una “nota di commento”, al pari di Ciampi,
Schroeder, Chirac, Woytila? No, non poteva. Poteva il tabloid
“Liberazione” esimersi dal pubblicare in apertura e in grassetto,
sotto il titolo fuorviante “Migliore”, il testo di questa
esternazione? Ovviamente, non poteva, salvo attirarsi le ire del
fratello grande del Nostro. Gennaro non dice nulla di originale, se
lo si confronta con gli elucubrati ceceni di Dakli, Curzigliardi,
Michele Giorgio, Repubblica, Libero e via citando i fustigatori
politically correct di quanto avvenuto a Belsan, in Ossezia. Però lo
dice in modo Migliore (pensate se si chiamasse Peggiore!). In
primis, prova di intuito: “E’ l’ennesima prova che esiste una lotta
al terrorismo che viene utilizzata solo per compiere atti autoritari
e di una ferocia indescrivibile”. Poi, inesorabile e abbagliante, la
conclusione: “Non possiamo non sottolineare il fatto che il blitz
delle forze speciali russe ci conferma ancora di più che a Putin
della vita umana non interessa nulla”. Putin si deve contorcere a
vedersi così smascherato. Reso il costumario omaggio alla teoria del
suo Grande Fratello, per cui esiste e impregna di sé il mondo la
famosa “spirale guerra-terrorismo”, la formidabile intuizione
risolutrice dei neonazi di Washington e della cosca sionista di Tel
Aviv, G.M. non esita a esprimere a voce alta, a titolo di soluzione
finale, quanto gli ex-trotzkisti di oltre Atlantico osano solo
sussurrarsi nelle fasi più esaltate dei festini chez Condoleezza
Rice: “Una comunità internazionale che si rispetti avrebbe dovuto da
tempo
imporre a Putin una
diversa gestione della questione cecena…” (SIC!!!) E qui solo
i bonaccioni possono nutrire un dubbio se il detto Migliore si
riferisse solo al dito minaccioso di Xavier Solana, ai blandi
embarghi iracheni da un milione e mezzo di morti, a qualche
alluvione di uranio, o piuttosto a una bella invasione da 200.000
vittime civili come quella delle Filippine, o a un bel golpe con
invasione di briganti tipo Haiti, insomma alla famosa “esportazione
della democrazia”.
Ma lasciamo Migliore ai suoi
collateralismi e veniamo alle conclusioni. Sulle quali c’è
poco da scherzare. Con il vindice dell’UCK Antonio Moscato che
attribuisce allo stesso Putin e al suo bisogno di popolarità (sic!)
gli orrendi attentati degli agenti imperialisti in Cecenia e
nel resto della Russia, quasi fosse un Bush, al Migliore che chiede
l’intervento di quella collaudata associazione per delinquere che è
la “comunità internazionale”, per
imporre
a Putin, al Caucaso ambito dagli USA e dall’UE, e al
popolo ceceno quello che i terroristi Cia non sono ancora riusciti a
imporre, il cerchio si chiude davvero. Esperta di sillogismi, come
il più raffinato dei sofisti, questa gente, e i giornali che non si
peritano di farsene infangare, argomentano: Bush e Berlusconi
solidarizzano con Putin, Bush e Berlusconi sono cialtroni, ergo
Putin è un cialtrone. E pensare che sono proprio quelli che,
rovesciandosi nel loro opposto (specialità di certi pseudotrotzkisti),
ci ammoniscono contro l’equazione: il nemico del mio nemico
(mettiamo, la Resistenza irachena, i martiri palestinesi) è mio
amico. Non gli passa per la mente (per la mente, magari sì, per la
penna falsa e bugiarda no) che se Bush e Berlusconi sostengono Putin
è perché devono a tutti i costi mantenere in piedi il teorema – oh,
quanto vincente! – del “terrorismo internazionale”, del “terrorismo
islamico” che richiede di essere combattuto., con le stragi dagli
uni, con la politica, ma non solo alla fine dei conti, dagli altri.
Solo così è possibile affogare nella nebbia le patenti motivazione
degli eterodiretti macellai ceceni: risuscitare gli oligarchi
mafiosi amici di Sion, del FMI e dei neonazi, tagliare la vena
giugulare russa dell’energia, far avanzare il progetto imperialista
di eliminazione degli ostacoli al dominio planetario.
Senza saperne assolutamente nulla,
senza esibire uno straccio di prova, automatizzano: le elezioni in
Cecenia sono, a priori, “una farsa”. E hanno sotto i piedi una
democrazia che ha prodotto un presidente mondiale con i
brogli, che conduce guerre permanenti contro nemici fabbricati in
provetta e di cui dirige ogni passo, che permette come un partito
del 5% (RC) abbia 11 deputati e uno del 4% (la Lega) ne abbia 50,
che fa vincere le elezioni a chi ha avuto in dono dai poteri occulti
e criminali tutti i mezzi di comunicazione (facendo allineare gli
altri a questa imbattibile potenza di fuoco) e così si è
rubato il cervello anche dell’avversario, che finge alternanze o
alternative facendo correre uno contro l’altro due fantini sullo
stesso cavallo, ovviamente di razza. Quanto a me, le uniche
votazioni che abbia mai visto svolgersi in termini ineccepibili sono
quelle del Venezuela della rivoluzione bolivariana, nelle quali ha
sempre vinto chi aveva contro proprio i berlusconidi mangiatori di
cervelli. Nelle sinapsi di questa gente circolano vari tossici:
razzismo eurocentrico, arroganza cattolica apostolica romana,
elettismo sionista (popolo eletto), dosi massicce di islamofobia e
slavofobia, la pluriscreditata teoria negriana dell’intesa imperiale
euro-russo-statunitense contro le “moltitudini”.
Il trucchetto della disperazione è
infine quello che avalla il gioco delle parti tra un Shamil Bassaev,
di cui è difficile giustificare fanatismo integralista, ferocia
sanguinaria e origini Al Qaida-Cia, e un Maskhadov, “presidente”
ceceno indipendentista moderato che, tuttavia, con il primo prende
il tè ogni pomeriggio alle cinque, si schiera con gli angloamericani
nella liquidazione dell’Iraq e, a parte qualche strumentale presa di
distanza dai massacri di bimbetti, a uso mediatico e moscatiano, con
i terroristi scatenati dagli USA condivide in toto strategie e
obiettivi: la Cecenia, l’Abkhazia, l’Ossezia, il Daghestan, come la
Georgia e altri stati caucasici, cioè tutto il petrolio,
all’imperialismo, in cambio del guiderdone riservato ai
proconsoli della criminalità organizzata dei sequestri e della
droga. Della sinergica accoppiata separatista e narcotrafficante
albrightiana Thaci-Rugova si sono scordati tutto.
E così, cari compagni, i nostri
vessilliferi politico-mediatici hanno perfezionato il lavoro dei
neonazi avanzanti in Medio Oriente e in Asia: il delinquente vero
non è chi ha scatenato l’inferno all’interno della scuola di Belsan
in Ossezia del Nord (o fa precipitare aerei, proprio come l’11/9, o
polverizza pendolari nella metropolitana, o uccide malati negli
ospedali), facendo esplodere povere donne ricattate e mitragliando
fagottini nudi in fuga, ma coloro che non potevano non cadere nella
trappola e intervenire alla cieca prima che morissero, non 300 o
400, ma tutti i 1500 ostaggi, ostaggi del mostro imperialista e
della subalternità di finti sinistri.
Un’ultima notarella per uno bravo,
Alessandro Ribecchi, che da ogni “Manifesto” della domenica ci
consola e incoraggia con le sue staffilate ai caporali di ogni
risma. Anche lui ci parla ora di due leadership di pazzi (Bush e i
terroristi islamici) e di “queste due bande di stronzi che sparano
addosso a noi, noi sei miliardi di ragazzini di Beslan”. Non sono
due, le bande, caro Robecchi, è una sola, anche se ha tante teste
quante l’Idra. Sono stronzi in coppia, tipo Osama-Oriana, che escono
tutti dallo stesso sfintere.
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