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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

TERRORISTI CECENI A “LIBERAZIONE” E “MANIFESTO”

 

06/09/2004

 

Rientrare in Italia dopo una mesata nel Venezuela bolivariano è come rientrare tra le capre del proprio villaggio di capanne dopo aver girato con Odisseo per le terre di Alcinoo, Nausicaa, Circe e Polifemo, Calipso e Ilio. Gli anglofobi lo chiamano anticlimax, il contrario di una vetta, un vertice, o di un orgasmo. E’ come riprecipitare nel sottosviluppo provenendo da una civiltà avanzata. E basterebbe il confronto tra la buona educazione, l’allegria, la gentilezza, il buonumore universale e pandemico dei venezuelani, andini o della piana, metropolitani o della selva tropicale, e la nevrosi collettiva dei romani, sconvolti da decenni di devastazioni capitoline,  pronti alla rissa al primo sorpasso giudicato protervo, al primo pestone subito sull’autobus della compenetrazione dei corpi, al primo scataracchio da enfisema automobileindotto., al centesimo sacco di rifiuti sparso tra i piedi e sotto i nasi. Basterebbe vedere come la rivoluzione bolivariana ha sottratto alla manomorta degli infiltrati dell’oligarchia l’azienda di Stato degli idrocarburi, rilanciandola a terza impresa sudamericana e a motore dell’integrazione ed emancipazione sociale continentali, a fronte di quanto l’esperto di devastazioni industriali e sociali a un miliardo al mese, Cimoli, va facendo all’Alitalia, sul modello del degrado da lui già inflitto a quelle che erano le migliori ferrovie d’Europa e oggi farebbero pena al Mali. Basterebbe anche, l’esperienza della serietà, competenza, maturità politica, modestia di modi e di beni, al limite del pauperismo, di coloro che pur dirigono la più importante rivoluzione dei nostri tempi: la sede centrale del partito di maggioranza, MVR è una casetta gialla a due piani con un televisore in bianco e nero, l’ufficio nel Comando Maisanta, quartier generale elettorale, del braccio destro di Chavez, Willian Lara, è un bugigattolo dove a stento ci stanno lui e la segretaria, le redazioni dell’unico quotidiano di sinistra, dell’unico canale governativo, delle tante tv e radio di quartiere, ricordano le atmosfere, i mezzi, gli arredi del nostro passato extraparlamentare. E poi, a ogni livello, la cordiale fraternità tra tutti i partecipanti a questa grande rivoluzione di popolo che non conosce gradi e gerarchie, che ovunque piega il verticale all’orizzontale. E, di fronte, le degenerazioni salottiere, le cadute di stile, i quaquaraquismi, le serpentine dell’opportunismo, le familistiche e compiaciute disponibilità ai Vespa, Costanzo, Socci, Carrà , chiunque abbia a disposizione una telecamera, di certa gente di qui. Ricordo un ministro del governo venezuelano che riteneva incompatibile con la sua funzione e la sua etica accogliere l’invito a uno “show” televisivo. Non ci ho mai visto nessuno dei bolivariani sulle ginocchia di un qualche locale principe mediatico. C’è classe politica e classe politica, da noi abbiamo scambiato per tale una banda di arraffoni, arruffoni e guitti. Un bagno nella rivoluzione bolivariana e  il grano si separa dal loglio come per miracolo.

 

Ma è la chiarezza delle cose della vita, cioè della politica, che da quelle parti riflette la limpidezza del cielo, mentre da noi le cose della vita si confondono e mescolano in melmosa omologazione, rivaleggiando con le turbolenze tossiche delle polveri sottili e del biossido di carbonio dello smog. Fin dal primo momento, nessuno tra i compagni venezuelani si sarebbero sognato di fraintendere le tanto turpi quanto evidenti provocazioni di un “Esercito Islamico” che agisce a parla in sincrono con il mercenario Cia Ayad Allawi, a sua volta sgambettante dai fili di Donald Rumsfeld, Ariel Sharon e neonazisti vari. Prima -  hanno scritto sui loro giornali i bolivariani, che non hanno la vista ottenebrata dalla fregola di andare al governo con i propri opposti – questo “Esercito Islamico”, né islamico, né iracheno, chiede il ritiro di 50 insignificanti filippini che, comunque, se ne sarebbero dovuti andare un mese dopo. E si accredita come grande vincitore nei confronti di una presidente Gloria Arroyo, che, amichetta di Clinton in gioventù, come sente un fischio statunitense arriva al godimento e, dunque, ritirando i suoi ragazzi, ha danzato al trillo di uno zufolo pseudoiracheno il cui fiato sapeva distintamente di stelle e striscie. Acquisita credibilità resistenziale, questi specialisti Mossad si sono rivolti al bersaglio vero: giornalisti ficcanaso e non embedded (con qualche magagna dal punto di vista iracheno, tipo la familiarità con l’agente occidentale Scelli e le intimità con le soldatesse USA), e il vero, massimo stato canaglia, la Francia laica e del rispetto per gli arabi e musulmani, la Francia, magari imperialista di suo, ma massimo intralcio allo “scontro di civiltà” finalizzato alla conquista sion-statunitense del mondo. Ora, per capire queste cosucce elementari, basterebbe saper distinguere tra oro e piombo. Cosa che d’acchito hanno fatto tutti gli arabi e tutti i musulmani del mondo, compresi 60 milioni di francesi, da Chirac a Monsiù Benoit., nonché una gran massa di compagni che si sono allenati a studiare la differenza tra un comunista e, che so, il segretario di Rifondazione.

 

Non così da noi. Per esempio e limitandosi a RC, i vari dirigentoni Consolo, Migliore (quello dal cognome-presa per il culo), Bertinotti stavano a Caracas per il referendum e sapeste quanto erano antimperialisti, filocubani e internazionalisti, al fianco di tutte le resistenze, da quelle parti (non che avessero convinto: ricordo deputati bolivariani che mi chiedevano angosciati come fosse possibile che  comunisti antimperialisti, antiliberisti almeno, andassero al governo con D’Alema, autorevole sponsor dei locali fascisti). Gli è bastato farsi mezza dozzina di fusi orari e rientrare nella rete di ragno delle “maggioranze”, delle “coalizioni democratiche”, dei ministri di Rifondazione, della non violenza alla faccia dei cani di Abu Ghraib attaccati alle palle, del Risiko per le regionali, che le resistenze sono tornate a essere “terrorismi”, tutti uguali, tutti orrendi, saddamisti, muktadisti, eserciti islamici, zarkawisti, alqaidisti, kamikaze palestinesi. Ma il top l’hanno davvero raggiunto e superato con la Cecenia. Devo dire che il “Manifesto” ci ha messo del suo, una cazzuolata di calce sulla tragica faccia della verità e buonanotte ai suonatori (e meno male che c’è stata la rettifica a muso duro di Marina Forti, che ha raccontato l’oscena verità sulle “donne martiri” cecene!). Il cerchio, poi, l’ha chiuso sul giornaletto di RC Antonio Moscato, un “intellettuale organico” di Bertinotti, che da anni si muove in perfetto sincrono con gli estremisti della comunità ebraica statunitense, detti neocon ma in tutta evidenza neonazi, ex-trotzkisti come lui (anzi, a dispetto di Trotzki, Moscato trotkista si dice ancora, quanto il capetto della combriccola, Salvatore Cannavò, che edita una fanzina, “Erre”, e scrive editoriali in cui altalena giocosamente tra acrobazie rivoluzionarie e inchini a sovrani e distributori di poltrone).

 

L’assonanza di Moscato con la banda di tagliagole di Wolfowitz non è solo nominale. Va nel profondo. Mi ritrovai a dibattere sulla Jugoslavia con questo luminare dell’università di Lecce. Dopo una sua “ricostruzione” storica dell’indipendentismo kosovaro e della necessità genetica della Grande Albania, della stessa disinvoltura onirica con cui su “Liberazione” del 3/8/04 ha inventato una storia del popolo ceceno  (vedi aa-info@yahoogroups.com “Antonio Moscato e Zbigniew Brzezinski in prima linea per squartare la Russia”, originato da “Coord.Naz.per la Jugoslavia”), Moscato è arrivato ad attribuire ai tagliagole e narcotrafficanti dell’UCK di Hashim Thaci, guidati da Osama Bin Laden e foraggiati da Germania e USA, i meriti e la nobiltà di un’autentica lotta di liberazione. Il tutto anche allora corredato dall’ampio ventaglio di invenzioni e menzogne sulle “atrocità serbe” con cui le agenzie apposite (Ruder & Finn, Hill & Knowles), oltre al Pentagono e ai media assoldati, hanno accompagnato la pulizia etnica contro i serbi e lo sbranamento della Jugoslavia. E il tutto anche assolutamente privo di riferimenti alla strategia nazifascista, prima, e imperialista eurostatunitense, poi, di sbriciolare i Balcani a forza di “piccole patrie”, identitarismi tribali, etnici e confessionali, strategia identica a quella che oggi, utilizzando i soliti mercenari di Al Qaida, strumento privilegiato dei nazisionisti di Washington e Tel Aviv dall’11/9 in poi, viene sostenuta da Moscato per il Caucaso del petrolio appetito dagli USA e da altri. E qui è assai istruttivo citare, dal testo del Coord. Naz. per la Jugoslavia, un documento di pugno del capo delle SS Himmler: “Nel trattamento delle etnie straniere dell’Oriente dobbiamo vedere di riconoscere e di badare quanto più possibile alle singole popolazioni… Ed ovunque si trovino pure solo frammenti etnici, ebbene anche quelli. Con questo voglio dire che noi non solo abbiamo il più grande interesse acchè le popolazioni dell’Oriente non siano unite, ma che al contrario siano suddivise nel numero maggiore possibile di parti e frammenti. Ma anche all’interno delle stesse popolazioni non abbiamo alcun interesse a portarle all’unità ed alla grandezza, a trasmettere loro forse pian piano una coscienza nazionale ed una cultura nazionale, bensì piuttosto a scioglierle in innumerevoli piccoli frammenti e particelle…” Non vi ricorda niente? La Nato in Jugoslavia, Israele nel mondo arabo, gli USA in Medio Oriente, in Iraq, nell’Afghanistan affidato a fantocci e “signori della guerra” rifornitori di eroina alle banche amiche?  Come ideologo di riferimento non c’è male.

 

L’accantonamento totale che questo collateralista, oggettivo o soggettivo (la responsabilità per questi sconvolgimenti di menti indifese resta uguale nell’un caso e nell’altro), compie delle strategie di genocidio terroristiche e imperialiste e del quadro geopolitico degli interessi in cui si inserisce la ferocia sanguinaria senza pari dei gangster teleguidati di Cecenia o Kosovo, (esaminato, invece, con competenza e onestà dal non-comunista, ma professionista e persona  perbene, Giulietto Chiesa) la ritroviamo anche in altri sostenitori slavofobi dell’UCK e della causa grandalbanese: Astrid Dakli e K.S. Karol, ahinoi sul “Manifesto”. Dakli, del resto, si era già fatto notare al tempo della distruzione della Jugoslavia quando, a pulizia antiserba in corso, seppe percorrere il Kosovo ormai albanesizzato e  postribolo di Nato e ONG, come fosse un giardino all’italiana, senza vedere neanche un fil di fumo spiraleggiante dai 150 monasteri medievali inceneriti dall’UCK, o una casa bruciata con le famiglie serbe e rom dentro, o qualcuno dei 300.000 serbi in fuga dalla propria terra. All’indomani della carneficina, i due esperti di Cecenia del quotidiano, del quale non possiamo fare a meno, si sono superati. A che pro dilungarsi su un’analisi della natura e composizione e motivazione di “combattenti”, “guerriglieri”, “indipendentisti” (mai terroristi, quelli stanno solo in Palestina e Iraq), sul retroterra di un fondamentalismo d’importazione, guidato da stranieri scaturiti da Al Qaida, cioè dalla Cia, che acchiappa disperate e soggiogate donne, le carica di tritolo e le fa esplodere a distanza (pure, queste cose sul “Manifesto” sono uscite! Elettra Deiana, Imma Barbarossa, Lidia Menapace, voi così pronte a saltare con artigli affilati come Freddy Kruger sulle aberrazioni patriarcali, perché tacete?)? Perché indugiare ancora sull’abominio agghiacciante, inedito in qualsiasi autentico movimento di liberazione, di un terrorismo macellaio che colpisce nei metrò, sugli aerei, negli ospedali, nelle scuole, che pratica i sequestri per riscatto? Perché attardarsi sui risultati di elezioni che, sistematicamente, danno maggioranze schiaccianti e verificate da terzi a coloro che vogliono restare in uno Stato degno del nome, piuttosto che in una colonia USA amministrata da lanzichenecchi? Basta ripetere “elezioni farsa”, non c’è bisogna di dimostrarlo, non fanno così anche gli amici di D’Alema e dell’Internazionale massonico-socialista in quella “Coordinadora Democratica” che esegue i golpe Cia in Venezuela? E, soprattutto, perché andare a sfrucugliare su cosa significhi oggi, alla luce della “Grande Scacchiera” dell’annientatore di Stati Brzezinski, il Caucaso degli idrocarburi e degli oleodotti, che ha in Cecenia il suo nodo decisivo? O il petrolio continua ad andare verso Nord e arriva nel mondo passando, con le relative remunerazioni politico-economiche, per la Russia, o questo Nord viene tagliato fuori e messo alla mercè dei rubinetti occidentali con un percorso, controllato dagli USA, dalle origini alla Turchia, al Kosovo appunto, all’Albania? Cosa c’è di vero nelle voci sulle cisterne di dollari che dalla Exxon arrivano al socio di Osama (l’altro è Bush) Shamil Bassaev?  Qualcuno potrebbe vedersi offuscare la vista da un conglomerato di analogie tra 11 settembre, assalto alla Jugoslavia, transito rivale delle risorse e serratura antimperialista, assalto all’Afghanistan dell’Unocal cui i Taleban negavano un oleodotto e piantagioni di papaveri (le avevano sradicate), assalto all’Iraq che teneva duro da quarant’anni a difesa del suo petrolio e del suo Stato sociale, a sostegno dei palestinesi, a spiraglio del riscatto arabo. E Moro che parlava di “convergenze parallele”! Già, si era reso conto.  Non per nulla le BR… E poco vale la parziale correzione di rotta del Dakli del giorno dopo, forse imposta da una sana rivolta della redazione, in cui, detta qualche parola di biasimo per gli “orrori” della guerriglia, torna al fondo del suo abisso politico falsificando le cause dell’eccidio, attribuite, contro ogni evidenza accettata perfino dai tg di regime, alla ferocia sanguinaria di Putin e non ai mostri che fanno scoppiare le proprie donne in mezzo ai bambini, imponendo ineluttabilmente il blitz.

 

Tutto questo, con i Moscato, i Dakli, i Karol, i Barenghi del “meglio gli occupanti americani”, va fatto sparire sotto il tappeto. Visto che i neonazi di Washington hanno dato indicazione di sventrare nazioni multietniche e laiche, soprattutto quelle che ostacolano la rapina universale delle risorse, e di prevenire il sorgere di qualsivoglia rivale al dominio universale degli USA, con Israele al guinzaglio (o viceversa),  la bisogna chiama alla criminalizzazione mediante inquinamento, per trascorsi ed esperienza con ogni probabilità Mossad, di chi resiste, sacrosante armi in mano, e alla benevola e indulgente comprensione per chi delinque contro i futuri “rivali”, anche straziando forzate kamikaze e centinaia di bambini. Fanno un buon lavoro, questi “analisti”. Qualcuno li ricompenserà. Alla stregua di Marco Pannella, che già solo sopravvivendo ferisce la dignità umana e che non è mancato all’appuntamento con Moscato e soci. Da giorni quella faccia devastata dalla corruzione sbraita che i “combattenti” della scuola in Ossezia sono “partigiani alla Ghandi”. Ringraziamolo però, il patron di quell’altro bravo giornalista, Antonio Russo, che dopo aver berciato su Radio Radicale, da un nascondiglio in Macedonia, come “dalla sua finestra a Pristina” si vedessero i serbi arrostire allo spiedo bimbetti albanesi, è stato fatto fuori proprio dalle parti dei cavernicoli attivati in Cecenia. Senza il parallelo con il capoccia transnazionale, come potremmo comprendere fino in fondo la natura del  pensiero di Moscato?

 

Una citazione  a parte merita Gennaro Migliore, un prodotto che pare sfuggito al suo artefice prima delle rifiniture finali, uno che Bertinotti ha reso responsabile delle relazioni internazionali, ma anche uno che ha nel cognome il risarcimento per tutto il resto. Poteva Gennaro Migliore esimersi dal rilasciare una “nota di commento”, al pari di Ciampi, Schroeder, Chirac, Woytila? No, non poteva. Poteva il tabloid “Liberazione” esimersi dal pubblicare in apertura e in grassetto, sotto il titolo fuorviante “Migliore”, il testo di questa esternazione? Ovviamente, non poteva, salvo attirarsi le ire del fratello grande del Nostro. Gennaro non dice nulla di originale, se lo si confronta con gli elucubrati ceceni di Dakli, Curzigliardi, Michele Giorgio, Repubblica, Libero e via citando i fustigatori politically correct di quanto avvenuto a Belsan, in Ossezia. Però lo dice in modo Migliore (pensate se si chiamasse Peggiore!). In primis, prova di intuito: “E’ l’ennesima prova che esiste una lotta al terrorismo che viene utilizzata solo per compiere atti autoritari e di una ferocia indescrivibile”. Poi, inesorabile e abbagliante, la conclusione: “Non possiamo non sottolineare il fatto che il blitz delle forze speciali russe ci conferma ancora di più che a Putin della vita umana non interessa nulla”. Putin si deve contorcere a vedersi così smascherato. Reso il costumario omaggio alla teoria del suo Grande Fratello, per cui esiste e impregna di sé il mondo la famosa “spirale guerra-terrorismo”, la formidabile intuizione risolutrice dei neonazi di Washington e della cosca sionista di Tel Aviv, G.M. non esita a esprimere a voce alta, a titolo di soluzione finale, quanto gli ex-trotzkisti di oltre Atlantico osano solo sussurrarsi nelle fasi più esaltate dei festini chez Condoleezza Rice: “Una comunità internazionale che si rispetti avrebbe dovuto da tempo imporre a Putin una diversa gestione della questione cecena…”  (SIC!!!) E qui solo i bonaccioni possono nutrire un dubbio se il detto Migliore  si riferisse solo al dito minaccioso di Xavier Solana,  ai blandi embarghi iracheni da un milione e mezzo di morti, a qualche alluvione di uranio, o piuttosto a una bella invasione da 200.000 vittime civili come quella delle Filippine, o a un bel golpe con invasione di briganti tipo Haiti, insomma alla famosa “esportazione della democrazia”.

 

Ma lasciamo Migliore ai suoi collateralismi  e veniamo alle conclusioni. Sulle quali c’è poco da scherzare. Con il vindice dell’UCK Antonio Moscato che attribuisce allo stesso Putin e al suo bisogno di popolarità (sic!) gli orrendi attentati  degli agenti imperialisti in Cecenia e nel resto della Russia, quasi fosse un Bush, al Migliore che chiede l’intervento di quella collaudata associazione per delinquere che è la “comunità internazionale”, per imporre a Putin, al Caucaso ambito dagli USA e dall’UE, e al popolo ceceno quello che i terroristi Cia non sono ancora riusciti a imporre, il cerchio si chiude davvero. Esperta di sillogismi, come il più raffinato dei sofisti, questa gente, e i giornali che non si peritano di farsene infangare, argomentano: Bush e Berlusconi solidarizzano con Putin, Bush e Berlusconi sono cialtroni, ergo Putin è un cialtrone. E pensare che sono proprio quelli che, rovesciandosi nel loro opposto (specialità di certi pseudotrotzkisti), ci ammoniscono contro l’equazione: il nemico del mio nemico (mettiamo, la Resistenza irachena, i martiri palestinesi) è mio amico. Non gli passa per la mente (per la mente, magari sì, per la penna falsa e bugiarda no) che se Bush e Berlusconi sostengono Putin è perché devono a tutti i costi mantenere in piedi il teorema – oh, quanto vincente! – del “terrorismo internazionale”, del “terrorismo islamico” che richiede di essere combattuto., con le stragi dagli uni, con la politica, ma non solo alla fine dei conti, dagli altri. Solo così è possibile affogare nella nebbia le patenti motivazione degli eterodiretti macellai ceceni: risuscitare gli oligarchi mafiosi amici di Sion, del FMI e dei neonazi, tagliare la vena giugulare russa dell’energia, far avanzare il progetto imperialista di eliminazione degli ostacoli al dominio planetario.

 

Senza saperne assolutamente nulla, senza esibire uno straccio di prova, automatizzano: le elezioni in Cecenia sono, a priori, “una farsa”. E hanno sotto i piedi una democrazia che ha prodotto un presidente  mondiale con i brogli, che conduce guerre permanenti contro nemici fabbricati in provetta e di cui dirige ogni passo, che permette come un partito del 5% (RC) abbia 11 deputati e uno del 4% (la Lega) ne abbia 50, che fa vincere le elezioni a chi ha avuto in dono dai poteri occulti e criminali tutti i mezzi di comunicazione (facendo allineare gli altri a questa imbattibile  potenza di fuoco) e così si è rubato il cervello anche dell’avversario, che finge alternanze o alternative facendo correre uno contro l’altro due fantini sullo stesso cavallo, ovviamente di razza. Quanto a me, le uniche votazioni che abbia mai visto svolgersi in termini ineccepibili sono quelle del Venezuela della rivoluzione bolivariana, nelle quali ha sempre vinto chi aveva contro proprio i berlusconidi mangiatori di cervelli. Nelle sinapsi di questa gente circolano vari tossici: razzismo eurocentrico, arroganza cattolica apostolica romana, elettismo sionista (popolo eletto), dosi massicce di islamofobia e slavofobia, la pluriscreditata teoria negriana dell’intesa imperiale euro-russo-statunitense contro le “moltitudini”.

 

Il trucchetto della disperazione è infine quello che avalla il gioco delle parti tra un Shamil Bassaev, di cui è difficile giustificare fanatismo integralista, ferocia sanguinaria e origini Al Qaida-Cia, e un Maskhadov, “presidente” ceceno indipendentista moderato che, tuttavia, con il primo prende il tè ogni pomeriggio alle cinque, si schiera con gli angloamericani nella liquidazione dell’Iraq e, a parte qualche strumentale presa di distanza dai massacri di bimbetti, a uso mediatico e moscatiano, con i terroristi scatenati dagli USA condivide in toto strategie e obiettivi: la Cecenia, l’Abkhazia, l’Ossezia, il Daghestan, come la Georgia e altri stati caucasici, cioè tutto il petrolio, all’imperialismo, in cambio del guiderdone  riservato ai proconsoli della criminalità organizzata dei sequestri e della droga. Della sinergica accoppiata separatista e narcotrafficante albrightiana Thaci-Rugova si sono scordati tutto.

E così, cari compagni, i nostri vessilliferi politico-mediatici hanno perfezionato il lavoro dei neonazi avanzanti in Medio Oriente e in Asia: il delinquente vero non è chi ha scatenato l’inferno all’interno della scuola di Belsan in Ossezia del Nord (o fa precipitare aerei, proprio come l’11/9, o polverizza pendolari nella metropolitana, o uccide malati negli ospedali), facendo esplodere povere donne ricattate e mitragliando fagottini nudi in fuga, ma coloro che non potevano non cadere nella trappola e intervenire alla cieca prima che morissero, non 300 o 400, ma tutti i 1500 ostaggi, ostaggi del mostro imperialista e della subalternità di finti sinistri.

 

Un’ultima notarella per uno bravo, Alessandro Ribecchi, che da ogni “Manifesto” della domenica ci consola e incoraggia con le sue staffilate ai caporali di ogni risma. Anche lui ci parla ora di due leadership di pazzi (Bush e i terroristi islamici) e di “queste due bande di stronzi che sparano addosso a noi, noi sei miliardi di ragazzini di Beslan”. Non sono due, le bande, caro Robecchi, è una sola, anche se ha tante teste  quante l’Idra. Sono stronzi in coppia, tipo Osama-Oriana, che escono tutti dallo stesso sfintere.    

 

 

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