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Da Madre
Teresa di Calcutta a Jabbar Kubaysi del Campo Antimperialista: balle
che svaporano
MITI,
MITICCHI E
MITIQUAQUARAQUA’
29/08/2007
Giornalismo è
diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è
propaganda.
(Horacio
Verbitsky)
Da Gesù a Nerone: l’inversione dei
fattori cambia il risultato
L’imperfettibile antropologia di
Leonardo Sciascia – uomini, ominicchi, ruffiani e quaquaraquà – è
applicabile pari pari ai miti, cioè a quelle figure che, a un certo
punto e per un certo tempo, per meriti posseduti o attribuiti,
assurgono tra un importante numero di umani a icone amate e
venerate. I miti che durano sono di solito quelli che o vantano
davvero le qualità riconosciutegli, o sono l’oggetto di un
massiccio, possente e duraturo lavoro di promozione/denigrazione.
Poi ci sono quelli, i miticchi e i mitiquaquarà, che escono dalle
provette dei laboratori dell’intossicazione padronale. Ovvio che il
Che Guevara, o Cavallo Pazzo, o Spartaco, o Giap, o Dante, o Lenin,
si collocano tra i primi dove, ci giurerei, saranno presto raggiunti
da Slobodan Milosevic e Saddam Hussein, una volta che tempo e verità
avranno disintegrato la blindatura diffamatoria nella quale i nemici
dei loro popoli li hanno sepolti. Per la posizione dei secondi, cito
due campioni esemplari: in positivo, secondo un comune sentire
tuttora prevalente, Gesù, visto che – a dispetto delle nefandezze
dei suoi rappresentanti in Terra - sarebbe dio, ma del quale,
ciononostante, da duemila anni si attende una purchè minima prova di
esistenza. Nerone in negativo, dato che uno dei più saggi e colti
imperatori romani, che neanche dipinto avrebbe potuto vedere un solo
cristiano dei tanti che avrebbe bruciato (arrivarono a Roma dopo il
suo regno), è stato fatto assurgere dai seguaci del primo a modello
di nequizie cosmiche. Infatti, prima che i nazisionisti di
Washington e Tel Aviv ci abituassero a dare dell’Hitler a coloro che
rifiutavano il loro giogo e dovevano essere eliminati (Fidel, Ho Ci
Min, Mao, Arafat, Milosevic, Saddam, Mugabe, Al Bashir, Chavez…),
tutti i cattivoni del mondo e della storia venivano gratificati di
“Nerone”.
Campioni della frode, miticchi della modernità neomedievale: Madre
Teresa e Padre Pio
Giorni fa è crollato un mito
dell’oscurantismo moderno, pochissimo tempo dopo la sua apoteosi in
Vaticano, a dimostrazione che di miticchio e non di mito si
trattava. O di mito fasullo, tipo bibita all’arancio con lo 0% di
arancia. Madre Teresa di Calcutta, già beata e a due passi da una
canonizzazione che, insieme a quella di un altro impostore, Padre
Pio da Petralcina, avrebbe dovuto esaltare, nella contingenza dello
spappolamento dello Stato predicato da Toni Negri come da Bush
(questi, però, pro domo sua),
il principio della sussidarietà caro al neoprotocapitalismo, ha
lanciato nello stagno un masso da dieci tonnellate e ha mandato
schizzi imbarazzanti su tutto quanto il mondo del fondamentalismo
cristiano. Ha dichiarato postumamente, nelle lettere ai confessori,
ora rigurgitate dalla forza ineludibile del
gossip (termine stupido
per “pettegolezzo), di vivere
nell’oscurità e di non riuscire a trovare Cristo,
neanche disponesse di un visore a raggi ultrarossi. Un’ammissione di
ateismo da parte di chi per una lunga vita aveva inflitto alle sue
cavie da paradiso le più atroci sofferenze pur di avvicinarle a quel
Gesù di cui, pure, non aveva trovato traccia in terra, cielo e mare.
Roba da far crollare almeno un paio dei berniniani tortiglioni di
rame (rubati al Pantheon) che sorreggono il baldacchino in San
Pietro. Una bella gara quella tra i venerabili Padre Pio e Madre
Teresa per chi abbia meglio operato in favore della superstizione e
più profondamente ingannato il popolino. Il primo, visto il sangue
di tintura di iodio scaturito dalle sue stimmate fasulle, fu bollato
per gabbamondo dalle autorità competenti del Vaticano prima che
arrivasse la canea vandeana dei papi Montini, Woytila e Ratzinger
(decreto mai ritirato!) e rimane nella memoria degli antifascisti
per le sue benedizioni alle squadracce fasciste che, agli ordini
degli agrari, smazzavano i contadini e i politici di sinistra. Le
opere da lui e poi nel suo nome erette sono un monumento alla
capacità predatrice della Chiesa Apostolica Cattolica Romana. Il suo
miticchio regge alla grande e produce miliardi alla Chiesa, “purchè
non sia attività esclusivamente commerciale”.
La seconda, dolente e perennemente
stazzonata martire della Fede e della Carità, con quelle sue lettere
sul “Gesù, dove cazzo stai?”, dovrebbe aver picconato le basi del
processo di canonizzazione avviato dal cospiratore polacco e
incalzato dal pastore tedesco. E forse, visto che Madre Teresa,
vuota di Gesù, per tutta la vita aveva mentito sulla sua intimità
con lo stesso, a qualcuno potrebbe venire l’uzzolo di andare a
vedere la fondatezza di altre parabole tessute attorno alla beata.
Scoprirebbe che, se Teresa non incocciava mai Gesù, forse perché
cercare questo totem dell’amore e della carità alla corte dei più
sanguinari dittatori dell’America Latina yankizzata, Somoza del
Nicaragua e Duvalier di Haiti, dove la santa donna trascorreva
vacanze e attingeva fondi, non era proprio come cercare l ‘uva in
una vigna. Riandrebbe i percorsi reaganiani della Nostra, quando
Teresa è il fondatore dell’impero del Male intrecciavano danze
antiaborto, antidivorzio, antiliberoarbitrio sotto i portici della
Casa Bianca e nei ranch privati dell’attoruccolo da serie B, però
motore da formula uno del rincoglionimento dei sudditi. Si
troverebbe a doversi squadernare sotto gli occhi gli orrori igienici
e morali dei tuguri della morte di Teresa a Calcutta, come descritti
da medici e visitatori non lobotomizzati dal miticchio, dove la
vecchia strega si aggirava negando ai malati terminali anestetici,
dato che “il dolore avvicinava a Cristo”. Lei, però, si curava dai
meritati acciacchi di una senilità perfida in cliniche di lusso
svizzere…
Miti per gonzi e miti per operai: il Dalai Lama e Lula
Che dire del Dalai Lama? Un miticchio
Cia osannato nel suo pendolarismo al servizio delle
destabilizzazione imperialista dell’Asia da uno schieramento che più
bipartisan non si può. Va bene a Fiamma Tricolore, anche perché per
i nazisti era nel Tibet dei tiranni monacensi, pedofili e padroni di
vita e morte di tutti i tibetani non preti, che logicamente andavano
ricercate le radici etnico-ideologiche del naziarianesimo. Per i
postforchettoni Casini e Mastella, manco a parlarne: superstizione
per superstizione, frode religiosa per frode religiosa, tutto fa
brodo padronale. Come per i neoforchettoni da Fassino a D’Alema. Ma
anche, a completare un arco politico che invece è una cassuela, per
Bertinotti, di cui si deve ricordare la foto, con tanto di stola
buddista immacolata, commosso e sorridente accanto all’erede di un
regime tra i più ferocemente assolutisti della storia. Per uno che
tiene sul caminetto l’immagine del suo guru, il riciclatore di
cervelli Massimo Fagioli, non c’è proprio da meravigliarsi. E,
parlando di qui pro quo
del nostri tempi quale mito è risultato più miticchio di quello di
Ignacio da Silva, detto Lula? Il presidente-operaio (non quello da
barzelletta nostrano), il sindacalista di San Paolo (peraltro
sindacalista giallo sotto la dittatura, il che già avrebbe dovuto
porre sull’avviso), la grande speranza del Brasile di avviarsi alla
luce della giustizia, dopo decenni di vampirismo
neoliberista (meglio
neoprotocapitalista), di
corruzione e ruberie d’elite, di polizia-Gestapo, di esclusione e
repressione dell’ottanta per cento della popolazione. Il
presidente-operaio ha coronato il suo decadimento da mito a
miticchio quando, degradata in opere di sporadica carità alimentare
la promessa di riscatto sociale e di emancipazione politica, ha
concluso con il buffone dell’élite imperialista un accordo
strategico che Fidel Castro ha sacrosantamente e scientificamente
denunciato come programma di genocidio dell’umanità: la spartizione
del mondo e dello sterminio per fame dell’umanità tra Usa e Brasile
nella conversione in agrocombustibili per automobili delle terre di
metà Brasile e metà Nord America, già coltivate per l’alimentazione
umana. Anziché un miliardo di morti di fame, ne avremo cinque e la
civiltà superiore starà, per le sue parti elette, assai più larga e
viaggerà con l’etanolo su autostrade sgombre. Chi si rode d’invidia
è Malthus, teorico della gente di troppo.
Un
miticchio da rilanciare periodicamente in mito: Ghandi
Per sistemare il santone
dell’unilateralismo pacifista (quello dei potenti e dei loro
corifei) basta poco. Accantonate le sue scheletriche e perciò
funzionali nudità e i digiuni della stessa caratura di quelli del
Marco - forza Israele! – Pannella, si ricordino i trascorsi filo
mussoliniani, con tanto di saluto romano dai balconi italici e il
suo sostegno, abituale tra la ricca minoranza indiana in Sudafrica,
all’apartheid.
Conta di più il ruolo rivestito dal
mahatma in funzione del
salvataggio del feudalcapitalismo e del sistema delle caste dal
collasso del colonialismo britannico.
Con Ghandi innalzato in vita su tutti
gli altari del mondo, l’Occidente capitalista riuscì a rimpiazzare
(anche grazie alla solita passività dell’URSS) una vittoria militare
e sociale dei partiti comunisti e di sinistra, conseguita in decenni
di sanguinosa lotta armata contro gli inglesi, a costo di migliaia
di vittime, con una vittoria politica della borghesia. La
nonviolenza di Ghandi, apparsa nell’uomo solo dopo il rientro dal
Sudafrica razzista, fu premiata con l’indipendenza che il
digiunatore garantiva sarebbe rimasta nell’ordine costituzionale (Commonwealth)
e sociale voluto dai colonialisti in ritirata. Al posto di Lenin,
s’installò la Regina d’Inghilterra e gli “intoccabili” restarono
intoccabili e i rajà restarono rajà. Oggi Ghandi continua a far
danno con l’imbroglio del disarmo unilaterale degli oppressi,
occultato dal mito falso della nonviolenza. Ma conforta con questo
inghippo etico la cattiva coscienza dei disertori della lotta di
classe e della guerra antimperialista.
Il
miticchio dell’accumulazione
delle forze: Claudio Grassi
Il mito è quello che resiste quasi
indiscusso. Il miticchio è il mito partito male, di seconda
categoria, in corso di sgretolamento. Il mitoquaquaraquà è quello
del classico vorrei ma non posso.
Sono quelli delle cromature Abarth, delle Mini Cooper
bicarburatorate, della vipperia da discoteca romagnola, dei
Forattini o Michele Serra che pensano di essere Grosz o Mark Twain,
dei comprabanche diessini. Prima di arrivare al fondo di questa
categoria, il Campetto Antimperialista dei vernacolari perugini, mi
viene in mente, volando basso basso, un vero mitoquaquaraquà:
Claudio Grassi, con il suo seguito di strapuntinari. Chi è Claudio
Grassi? Qui, a dare una risposta adeguatamente brillante, ci
vorrebbe il simpatico comico romano, Gabriele Cirilli, con quel suo
esilarante chi è Tatiana??!!
che faceva del difetto del personaggio, la grassezza, una categoria
antropologica proprio da mito. Claudio Grassi, alcuni dei miei
lettori sorrideranno amaramente, era il Grande Capo della corrente
comunista vera di
quel caravanserraglio in cui Bertisconi era andato tramutando dalla
fine del secolo scorso il partito nato per ricominciare il cammino
della liberazione umana. Era la corrente intitolata alla sua, per la
verità dignitosa, rivista
L’Ernesto (merito del beneparlante e malevotante
semidissidente senatore Fosco Giannini), per la quale per anni
scrissi in libertà anch’io e le cui posizioni aiutai a diffondere in
mille convegni tra Brunico e Marsala. Per lo spazio di un mattino di
forzose speranze ci credetti anch’io, al Grassi, omino la cui
morfologia e il cui carisma ricordavano un mustelide, ma i cui
annunci di palingenesi escatologica del partito della rifondazione
comunista avevano attirato alla corrente qualcosa come il 28% degli
iscritti. Di questi il 25% erano sognatori, i rimanenti acari da
poltrona. A noi che ardevamo di insofferenza di fronte alle
retrocapriole del cashmirato segretario e sovrano, il mustelide
rispondeva: calma e gesso,
accumuliamo le forze. Tardivamente e tra uno scoppiettio
di scissioni e controscissioni dell’accumulato, che pareva lo
smarrimento di Zazà a Piedigrotta, gli ernestini si accorsero che
chi aveva accumulato erano esclusivamente Prodinotti, cui il
talpesco aveva tenuta buona l’opposizione e la revulsione interne,
nonché lo stesso Grassi, con vivandieri vari, che si erano
installati vuoi nel parlamento dei 18mila euro al mese, vuoi nei
consigli locali, nelle municipalizzate, negli interstizi del barile.
Questi granitici combattenti contro l’imperialismo e le sue guerre
votarono come un solo uomo per le spedizioni da sterminio coloniale
in Afghanistan e Libano. Del resto, accumulo dopo accumulo, erano
rientrati a vele spiegate, bianche, nella maggioranza bertisconiana.
E’ di questi giorni la manchette sui giornali “di sinistra” che
annuncia la “Festa Nazionale di essere comunisti” (non si chiamano
più “L’Ernesto”, perchè la rivista è rimasta a Fosco Giannini).
Pensate cos’è stato capace di fare il
mitoquaquaraquà: cinque giorni, corredati di Banda Bassotti (onore a
loro, sono miei amici), la presenza sicuramente più di sinistra, in
cui di tutto si dibatterà: Cuba, lavoro, partito, governo, donne
(guai, sennò ti sbranano), alternative politiche-ha-ha-ha. Di tutto,
fuorché di una cosetta da niente per un comunista antimperialista:
la guerra, il nuovo colonialismo italo-forestiero, le basi da
olocausto nucleare del padrone, Vicenza, la nostra partecipazione al
genocidio dei popoli. Imbarazzo? Collusione? Vergogna? Fate voi.
Mitoquaquaraquà.
Il
mito – vero – della Resistenza Irachena, il mito – falso – di Al
Qaida e il mitoquaraquà di Jabbar Al Qubaysi e della sua Alleanza
Patriottica Irachena
Dopo sei anni in cui il nazisionismo e
i suoi ascari europei hanno imperversato contro i popoli del Sud del
mondo e contro le proprie classi escluse interne, avvicinando le
specie viventi di qualche evo alla loro fine, il mito – occultato o
satanizzato - della Resistenza irachena e dell’Iraq laico e
antimperialista va giganteggiando, a forza di micidiali colpi contro
l’occupante, nell’immaginario di tutte le resistenze non emasculate
dal bertinottismo. La costruzione mitica di Al Qaida si va
sgretolando per merito di un’ormai irresistibile movimento della
verità e per demerito delle puttanate diffuse dai suoi cultori,
mentre affonda nel ridicolo il fiancheggiatore miticchio di un
leader della Resistenza che passeggia per i Champs Elysées e con il
quale un gruppetto di sparaballe perugini aveva tentato di superare
la marginalità in cui lo avevano confinato le astrusità e ambiguità
delle sue teorizzazioni post-destrasinistra e delle sue “analisi”
geopolitiche. Il mutamento climatico pianificato, a forza di
menzogne e di campagne terroristiche, dalla banda di gangster
installatasi con metodi fascisti e truffaldini a Washington e Tel
Aviv se la deve ora vedere con un clima di mutamento determinato sia
dalla forza oggettiva dei fatti (l’evidenza travolgente della natura
criminale di chi governa in Occidente), sia dal grande lavoro
sull’orrenda patacca dell’11 settembre 2001 e, di conseguenza, sul
mostro Al Qaida che ne è stato fatto sortire.
Uno
tsunami di verità sull’11/9
I documenti, filmati, le testimonianze
dirette, le competenze degli esperti, l’irresistibile forza di una
logica abbandonata dai chierichetti dello stereotipo diffamatorio,
la logica del cui prodest,
e, last but not least,
quella che dall’uso dell’11/9 è venuto alle vittime delle
élites occidentali,
hanno saputo superare la blindatura della menzogna, della calunnia -
quei paranoici di dietrologi !
– e della compiacenza, a sinistra, di chi avrebbe dovuto
assolvere a ben altre responsabilità e invece si è piegato al “mito”
del più grave crimine contro l’umanità mai commesso. Al Movimento
per la verità statunitense, meritevole, insieme a sparute voci
europee, di aver opposto per primo lo specchio di Perseo
all’orripilante volto della Medusa nazisionista, annullandone il
potere paralizzante della ragione, si stanno aggiungendo voci sempre
più qualificate, da Gore Vidal, massimo scrittore statunitense
vivente, a Robert Fisk, da decenni prestigioso inviato in
Medioriente e il più autorevole esperto di quel mondo, fino alle
nostre perorazioni di nicchia in Italia, ora coronate da
Zero,
perché la versione ufficiale
sull’11/9 è un falso, il grande lavoro internazionale di
ricerca, analisi, testimonianza e documentazione realizzato con i
suoi collaboratori, in volume e dvd, dal capofila dei pochissimi
giornalisti onesti e capaci sopravvissuti al degrado del
conformismo, Giulietto Chiesa. Il ludibrio propagandistico di Bush
e dei sicofanti di una “commissione d’inchiesta” imbavagliata da
mille dinieghi, a dispetto di tutti i testimoni e delle evidenze
visive e tecniche, ci aveva rifilato torri che esplodono per un
focarello di pochi minuti, apprendisti piloti bocciati che compiono
acrobazie mai viste dal Barone Rosso in qua, difesa antiaerea
collaudata anche contro le zanzare, ma rimasta bloccata per ore,
grattacieli che crollano ore più tardi senza il minimo innesco,
aerei che precipitano in un punto preciso e i cui rottami si
ritrovano sparsi su miglia quadrate, Boeing enormi che fanno un buco
da talpa nel Pentagono e poi svaporano nel nulla, dirottatori
inceneriti nello schianto che ricompaiono vispi e vegeti nei propri
paesi, un Osama dato ufficialmente per morto nel 2001 in Pachistan e
resuscitato in video provati manipolati dai più noti esperti
internazionali (il logo di Al Qaida inserito dalle stesse mani e
nello stesso momento del logo di una società produttrice di video,
Intelcenter, vicina
al Pentagono). Lo stesso Osama visitato dal capostazione Cia in
Dubai mentre si faceva la dialisi in ospedale. Lo stesso Osama che
il governo sudanese voleva consegnare agli Usa (come più tardi il
mullah Omar!) e questi dissero di mandarlo in Afghanistan. Lo stesso
Osama che il 10 settembre tornava a farsi la dialisi in un ospedale
di Rawalpindi, come documentato dal più autorevole giornalista Usa,
Dan Rather su CBS. Si potrebbe andare avanti per ore.
Piano piano, a forza di resistere ad
alluvioni di contumelie che, partendo classicamente dalla
ridicolizzazione e arrivando all’intimidazione e alla
criminalizzazione, sciabordavano tra stampa di regime e stampa
sedicente alternativa (“il manifesto”, “Diario”), i “complottisti”
hanno trovato alleati dove non si sarebbero sospettati: i rapporti
interni trapelati dal comando Usa in Iraq che, smentendo il loro
stesso presidente impegnato, a disco rotto, a blaterare di Al Qaida.
Del resto, i quattro scalzacani che, imbeccati, si dichiaravano di
Al Qaida in sospetti bollettini iracheni, erano già stati travolti
dalle ripetute e unanimi dichiarazioni di tutte le vere formazioni
della Resistenza, dal Baath agli islamici e alle Brigate della
Rivoluzione del 1920, nonché di un numero altissimo di capi tribali,
secondo le quali Al Qaida in Iraq era un’invenzione dei servizi Usa,
in massima parte virtuale, in minima parte mercenaria, (come del
Mossad in Palestina e di Giuliano Amato in Italia). E quella
minuscola parte mercenaria, composto da scaltri quadri e da utili
idioti fanatizzati, impegnata in attività criminali, estorsioni,
sequestri, attentati a civili, sulla falsariga delle milizie scite
di obbedienza iraniana, veniva presa a fucilate dalla stessa
popolazione che ben presto ne aveva individuato il carattere
spurio.
Correre ai ripari. Pompare Al Qaida. Chiunque si oppone alla
democrazia occidentale è figlio di Osama.
Gli stessi comandi Usa, poi, nei
briefing ufficiali,
erano costretti a rilanciare la linea del comandante in capo che
descriveva un’ Al Qaida onnipotente e onnipresente, alla faccia di
una mobilitazione guerresca e poliziesca mondiale, un golem
terrorista bisognoso di urgentissimo lifting delle rughe che gli
erano state scavate dal Movimento per la verità. L’altalena del
piccolo psicolabile nella Casa Bianca, tra trionfalismi sull”’indebolimento
di Al Qaida”, dovuti ai sempre più inquieti cittadini, e rilanci
atti a giustificare ulteriori nefandezze della guerra globale al
terrorismo, è stato uno dei momenti più esilaranti di tutta questa
storia. Di colpo i cinque giornalisti
embedded (mercenari),
rimasti rintanati nella “Zona Verde” di Baghdad, dalla loro unica
fonte di informazioni residua consentita, il rapporto del portavoce
del generale Petraeus alle cinque della sera, venivano bombardati da
bollettini in cui non si faceva più cenno né della Resistenza
antioccupazione, né delle cannibalesche milizie scite di varia
denominazione, del resto finite a sbranarsi tra loro dopo aver
fatto del meglio Usa-Iran per pulire etnicamente i centri abitati
sunniti. No, ormai ogni efferatezza, addirittura ogni IED (Improvised
Explosive Device), ogni cecchinata, ognuno dei cinque
marines e dei dieci contractors
uccisi dalla guerriglia ogni giorno, ogni attentato venivano
attribuiti ad Al Qaida. La stampa dei velinari dell’impero e del
regimetto locale, per noi
Repubblica, Corriere della Sera e broccoli di contorno,
raccoglievano l’input
(per chi non lo sapesse: il suggerimento) e rilanciavano alla
grande: paginoni e paginoni, mappette, fotone e fotine, disegni,
grafici, diagrammi, tutti intesi a resuscitare la carogna del
proprio agente-capo saudita e ricollocarla nell’ambito da dove
sarebbero partiti i suoi supereroi contro Manhattan e il Pentagono,
nelle caverne di Tora Tora. Con il beneficio aggiunto della scusa
per continuare a polverizzare famiglie, case e campi afgani, senza
ulteriori colpi di spillo da parte di ministri alleati, in affanno
davanti al proprio elettorato. E a fronte di queste belve di Al
Qaida, come non sostenere – come fa
Repubblica accanto alle
lenzuolate su Osama – i fantocci ladroni del “governo” iracheno e
quel Bernard Kouchner che, sepolta la
grandeur autonomista di
Chirac, fa il ricambio del sangue alla politica estera francese
correndo in soccorso agli Usa e ai loro fattorini di Baghdad e
infilando il suo fiato tossico nella tromba della “minaccia
planetaria Al Qaida” Quel Kouchner che ricordavamo fondatore di
un’associazione di medici zeppa di spie e accanito pulitore etnico
per conto Onu in Kosovo. Un mascalzone se ce n’è uno. Aveva voglia
l’AMSI, l’Associazione degli Ulema iracheni, voce autorevolissima e
forte della Resistenza dalla sua splendida moschea saddamista di Umm
al Qura, a documentare le operazioni della vera Resistenza, a
smentire ogni ruolo anti-occupazione di Al Qaida e a pagare questo
coraggio e queste verità con continue irruzioni, devastazioni,
demolizioni, arresti, della soldataglia Usa.
Moreno Pasquinelli nel coro di Bush. Tonfo finale di una commedia
degli equivoci
E a questo punto che, travestito da
unico ed eroico vindice della Resistenza irachena, rientra in campo,
dal limbo dell’oblio dei cazzari, il vernacolare umbro Moreno
Pasquinelli. Generale a riposo della Resistenza islamista in Italia,
è colui che, avendone io e compagni vari ripetutamente sfrucugliato
le inquietanti posizioni, effettuata una ricerca scientifica sulle
mie opere e vita, aveva concluso che tra me e Magdi Allam, scudiero
del capofila del sionismo giornalistico Paolo Mieli, quello che
viene mandato avanti perché a Mieli viene da ridere, non c’era
nessuna differenza. Tutti e due attaccavamo il Campo
Antimperialista. Che il velinaro egiziano lo facesse da destra e io
da sinistra al perugino poco calava, dato che ormai da tempo si
librava libero, in formazione con i neonazisti di Claudio Mutti, De
Benoist e Thiriart, nei cieli del “comunitarismo” e
dell’universalismo islamico, scevri da ogni arcaica divisione tra
destra e sinistra. Ebbene, oggi il gruppetto riunito intorno a
questo Trotzky di rione, superato di lancio l’anatema col quale
aveva colpito chi, secondo lui, si confondeva col nemico, non ci ha
messo il tempo di un’esternazione di Bush per correre al suo fianco
e tossicchiare nei di lui strumenti a fiato.
I
solchi tracciati nel Campo e la spada che li difende
Non è la prima volta che gli agitati
del Campo Antimperialista mirano a parole contro l’imperialismo e
sparano colli di veleno contro l’antimperialismo. Esaurita la fase
pseudotrotzkista della rivistina
Praxis, che non era
riuscita a tracciare solchi se non nella carta su cui era stampata,
il campetto si orientò sulla Jugoslavia. Con perspicacia e coerenza.
Prima a sostegno dei serbi e di Milosevic, poi, cambiata l’aria, a
disgusto degli stessi e dei loro “mille errori”. Il momento fondante
del Campo, oggettivo sodale di un’ Al Qaida sulla quale ogni sinapsi
di sinistra partoriva dubbi cosmici, venne con l’11/9. A “sinistra”,
si fa per dire, il Campo fu l’unico a riconoscere nell’attentato –
in sintonia speculare con i perpetratori nazisionisti –
un’operazione collegabile alla resistenza antimperialista dei
popoli. Analogamente onorò di rispetto e riconoscimento nientemeno
che Mussab Al Zarqawi, l’invenzione simil-Osama dei servizi Usa per
introdurre Al Qaida in Iraq, ricuperando un cadavere del 2003, già
bell’e sepolto a casa sua, a Zarqa, Giordania, ma previdentemente
filmato mentre, flaccido e panciuto, ballonzola con quattro
energumeni in nero su una spiaggia (il deserto!) non sapendo come
maneggiare l’arma che è la protesi di ogni combattente arabo,
l’AK47. Non gli ha reso molto, al Campo, questa “solidarietà tra
resistenti”, per cui, con un Pasquinelli che ne inventa una più del
diavolo, ecco nascere gli
Antiamericanisti”, combriccola partorita, per rientrare
in gioco gabbando gli scemi, dalla teorizzazione “andare oltre la
dicotomia destra-sinistra” del sottobosco neonazista da Franco Freda
in giù. La testata, di pura acqua razzista, convogliava in un
appello “antiamericano” nel nome della “comune lotta
all’imperialismo”, accanto ai quattro sfigati del Campo, il fior
fiore della pubblicistica di estrema destra. La cosa finì malissimo
per il Campo che venne inondato dalla riprovazione di ogni essere
pensante e che, alla contestazione che i fascisti sono
antimperialisti perché auspicano un imperialismo loro, italico,
europeo, carolingio, eurasiatico, ritenne utile tornare per un po’
nel retrobottega dei ristoranti locali. Si rifece sotto, sempre
guidato dal “filosofo” post-moderno Costanzo Preve, assumendo il
ruolo di unico e indomito sostenitore della Resistenza Irachena, per
la quale andava raccogliendo “dieci euro a testa”, essendo l’unica
entità a conoscenza del conto corrente postale di tale Resistenza…
Va dedicata una nota, qui, a coloro che gli permisero di riempire un
effettivo vuoto di solidarietà a chi più di ogni altra situazione
conflittuale lo meritava: i conigli cagasotto e le volpi
opportuniste della Sinistra, anche di quella extraparlamentare, la
quale nascondeva la sua pavidità sotto il meno controverso
unilateralismo filopalestinese. Come se i combattenti iracheni e la
sofferenza senza paragoni di quel popolo non fossero all’altezza del
sostegno dei “compagni”. Come se la battaglia degli arabi contro la
rivincita colonialista e il loro annichilimento nazionale non fosse
una.
Arrivano i “leader della Resistenza Irachena”
Vi invito a assumervi il travaglio di
leggere l’intervista a Al Kubaysi diffusa dal Campo Antimperialista,
chiamato anche “Comitati Iraq Libero” e che incollo in fondo.
Pasquinelli e Co. Hanno portato in giro per l’Italia due soggettoni
fatti passare per leader dell’API (Alleanza Patriottica Irachena),
che guida lo schieramento della guerriglia antioccupazione: prima
Awni al Qalemji e poi Jabbar Al Kubaysi. Awni lasciò l’Iraq a
quindici anni per l’Ungheria e ora vive pacificamente e
prosperamente in Danimarca. Kubaysi, dopo un paio di puntate in Iraq
prima della guerra (era già esule da decenni) e nel 2004, fattosi un
anno di carcere – riabilitante per i compagni, al pari della mesata
in prigione di alcuni “campisti” : “dieci euro alla Resistenza era
troppo anche per la Digos - per aver urlato di voler unificare la
Resistenza, vive oggi indisturbato a Parigi. Altro che Marina
Petrella. Anzi, continua a tenere conferenze in giro per l’Europa,
definendosi colui che dirige la Resistenza da
Place de la Concorde,
senza che coloro che buttano in galera o nelle
extraordinary renditions
il primo che dica Salam
Aleikum, o accusi di terrorismo i bombaroli occidentali,
gli chiedano le generalità.
E
pour cause!
Leggetevi l’intervista qui sotto e vi renderete conto perchè
un tipo così è addirittura impagabile per i terroristi di Stato che
si nascondono dietro Al Qaida. In perfetta sintonia con Bush e i
suoi piazzisti tra Parigi, Roma, Beirut e Tel Aviv, il “leader della
Resistenza Irachena”, che non ha frequentato mai nemmeno uno con la
fionda, spinge come un forsennato sul teorema “Al Qaida ovunque”, Al
Qaida autrice di tutto ciò che esplode contro l’occupazione
straniera in Iraq. Né più né meno di quanto i recessi delinquenziali
dell’Occidente trasmettono ai loro burattini di qua e di là
dall’Oceano. Leggete, leggete.
Chi
è Al Kubaysi. La desertificazione del Campo Antimperialista
E poi andata rivedervi il percorso
contorto di questo supercialtrone sotto
www.arablinks.blogspot.com/2007/08/reading-list.html: la fine
del Campo Antimperialista e del suo vessillifero iracheno. Un
percorso da saltafosso e millantatore se ce n’è mai stato uno. Da
detrattore del Baath e di Saddam e del loro ruolo nel governo
dell’Iraq libero e prospero e poi nella Resistenza, fino
all’alleanza con un ramo discutibile del Baath e l’esaltazione del
Saddam che, dopo l’occupazione, percorre il paese in lungo e in
largo per rianimare una resistenza da decenni sagacemente
preparata. Dal Kubaysi che dichiara al Campo Antimperialista che la
scomparsa di Saddam e del suo “clan di autocrati” è stata decisiva
per la crescita della resistenza armata, al Kubaysi che riconosce a
Saddam, prima della cattura, il ruolo di innesco decisivo. Dal
Kubaysi che prima dichiara inesistente il Baath e poi ne riconosce
la funzione dirigente sotto Izzat Ibrwahim al Duri, designato da
Saddam. Dal Kubaysi interpellato telefonicamente da Pasquinelli, nel
momento esatto dell’accensione delle telecamere Rai a San Pietro,
nel suo ruolo di “mediatore” per il rilascio dei quattro mercenari
italiani, al Kubaysi arrestato per aver superato il limite
intromettendosi vociferantemente per il rilascio anche dei
giornalisti francesi (venne poi rilasciato e esonerato da qualsiasi
imputazione!). Fino al Kubaysi che, da Parigi, guida l’API, definita
coalizione egemone della Resistenza senza che nessuno in Iraq ne
sappia nulla e che continua a sparare notizie e c comunicati che non
trovano conferma da nessuna parte. Se non da Washington, con
commossa gratitudine, quando attribuisce ogni petardo che scoppia in
Iraq ad Al Qaida, “gruppo principale della Resistenza Irachena”.
Vasellina d’oro per la guerra globale preventiva e permanente al
terrorismo. Qualcuno, come i compagni del bollettino Aginform se n’è
accorto, seppure dopo anni di collusione con il Campo. E oggi
allestisce preziosi convegni “per la verità sull’11/9”. Che crescano
e si moltiplichino. Ne va della vita.
Di falsi miti è avvelenata la storia
del mondo da millenni. Sono quelli che garantiscono la dittatura
della criminalità organizzata padronale. Con quelli grossi c’è
ancora, ahinoi, tantissimo da lavorare. Abbiamo incominciato con i
mitiquaquaraquà.
Inshallah,
ce n’est que un debut.
P.S.
Bossi, che, da UCK padano, annuncia
l’uso del fucile contro lo Stato è oggetto di “prese di distanza”,
cortesi inviti a “moderare i toni”, “non passare il segno” a “non
fare rodomontate”. I compagni che affiggono manifesti sul terrorismo
bombarolo degli Stati” ricevono galera, criminalizzazione mediatica,
napolitanesca e amatiana, cacciata dal sindacato, perdita di lavoro.
E hanno pure scampato l’aereo Cia e il carcere della tortura in
Egitto. I lavavetri vengono sbattuti dentro per tre mesi in un paese
almeno per un terzo sotto il controllo della criminalità
organizzata. Giovanna Botteri della Rai a New York, dopo aver tirato
il grilletto mediatico contro la Jugoslavia e inneggiato all’arrivo
dei genocidi a Baghdad, riesce a confezionare un servizio sul
torturatore ministro della giustizia Alberto Gonzales, licenziato
per malefatte e corruzioni di ogni genere, senza far parola dei suoi
crimini. E subito dopo la consorte dell’editorialista Giuliano
Ferrara, Lanfranco Pace, ex-Potere Operaio riciclato da Sion,
prorompe in pianto sulla tragedia dei soldatini Usa finiti in bara
dopo aver contribuito a obliterare un milione di civili iracheni.
Non ci fosse Al Qaida, come farebbero? Grazie, Campo
Antimperialista.
IRAQ LIBERO –
COMITATI PER LA RESISTENZA DEL POPOLO IRACHENO
Bollettino del 5
agosto 2007
http://www.iraqiresistance.info
iraq.libero@alice.it
LA
RESISTENZA IRACHENA, LE SUE COMPONENTI E LA SUA PROSPETTIVA
intervista ad al-Kubaysi
Abduljabbar
al-Kubaysi, influente leader politico della Resistenza irachena e
segretario generale dell'Alleanza Patriottica Irachena (API),
risponde alle domande di Willi Langthaler sulla situazione che si va
delineando in Iraq.
Parigi, luglio
2007
Domanda: In quest'ultimo periodo i media europei, nel trattare
dell'Iraq, ci hanno parlato esclusivamente di una guerra civile
interconfessionale. Che cose succede in realtà?
Risposta:
In realtà, sono gli occupanti statunitensi e il governo da essi
imposto a spingere in direzione di questa guerra civile
interconfessionale. Anche gli Iraniani, poi, vi hanno il loro
interesse, poiché anch'essi auspicano una federazione nel Sud:
stanno tentando di fare in modo che sunniti, cristiani e mandei
[piccola comunità religiosa di tipo gnostico-dualista dalle
antichissime origini che vive nella provincia di Bassora e nello
Shatt el-Arab iraniano, NdT] se ne vadano per ottenere una zona
puramente sciita. In condizioni di guerra queste spinte
settaristiche hanno un effetto immediato.
Gli
Stati Uniti lo usano come argomento per rimanere in Iraq, affermando
che ci sarebbe bisogno di loro per sedare il conflitto.
C'è
tuttavia abbondanza di prove che siano i servizi d'intelligence dei
governi statunitense, iracheno e iraniano le vere fonti della
violenza. Piazzano bombe, oppure le caricano su automobili che poi
vengono fatte esplodere, con un controllo a distanza o tramite
elicottero, nelle zone sia sunnite sia sciite, uccidendo
deliberatamente civili non coinvolti nella politica. In tal modo
tentano di innescare il conflitto interconfessionale.
Inizialmente, i media usavano fare sopralluoghi nel sito
dell'esplosione, e spesso testimoni oculari contraddicevano la
versione ufficiale secondo cui una persona si era fatta esplodere.
Ora invece le aree colpite vengono cinte da cordoni sanitari, e
impedite le domande agli abitanti del posto. Vogliono che si
diffonda la notizia che i responsabili del massacro siano dei
militanti, quando sono state le forze governative o statunitensi a
piazzare cariche esplosive. Nella maggior parte dei casi l'attacco
non è portato da combattenti suicidi: allora potete essere sicuri
che è coinvolta la coalizione al potere.
Ad
esempio, hanno cambiato, nottetempo, il nome di un'importante strada
nel distretto di al-Adhamiye di Baghdad: da quello di un'importante
figura religiosa sunnita a quello di una figura sciita. Fu la stessa
comunità sciita di al-Adhamiye a ripristinare il nome originale.
Dunque sono tornati, coi loro Hummers...
Ma
in realtà non sono riusciti davvero a creare una spaccatura tra
sunniti e sciiti. Sì, questa spaccatura è presente nella politica
ufficiale. Il Partito Islamico Sunnita, che sta con gli Americani, e
il blocco sciita, che sta con l'Iran e gli Stati Uniti, si
contrappongono secondo linee del genere, ma non sono riusciti a
portare le persone comuni sulle loro posizioni. Qui e lì possono
esserci alcuni conflitti minori, ma in sostanza le larghe masse, da
entrambe le parti, si considerano irachene al di là della loro
confessione religiosa.
Guardate Najaf e vedrete le posizioni degli Ayatollah arabi sciiti,
che continuano a invocare l'unità nazionale e a opporsi
all'occupazione. O guardate la provincia di Diala, che è composta da
un 50% di sciiti e un 50% di sunniti, ed è al contempo una solida
base della Resistenza. E' ampiamente risaputo che due importanti
tribù sciite, al-Buhishma e i seguaci dell'Ayatollah Abdul Karim
al-Moudheris, stanno con la Resistenza. Il figlio dell'Ayatollah,
che era a capo di un importante contingente tribale della
Resistenza, è caduto in combattimento. A Baquba, la capitale
provinciale, non è possibile portare avanti le operazioni di
'pulizia', come fanno a Basra con i sunniti o ad Amara con i mandei:
a Baquba, sia sciiti sia sunniti sostengono la Resistenza. Ci sono,
ovviamente, attacchi da parte dei vari gruppi resistenti contro le
agenzie governative irachene, l'esercito statunitense, le forze
iraniane e partiti e milizie sciite che, come l'esercito Mahdi,
fanno parte del regime fantoccio: ma non sentirete parlare di
uccisioni a sfondo religioso.
C'è
un altro esempio: Tal Afar nel Nordovest dell'Iraq, vicino Mosul.
Lì, tra il 50% e il 70% della popolazione è sciita. Nondimeno, è una
delle capitali della Resistenza.
E'
nell'interesse dell'Occidente e dell'Iran fare in modo che il
conflitto sembri di natura interconfessionale. Non sono soltanto gli
Stati Uniti, infatti, bensì anche l'Iran, a voler giustificare la
propria presenza con la necessità di impedire una guerra civile
religiosa. Non vogliono soltanto appropriarsi del Sud: vogliono
anche impadronirsi di Baghdad, e sbarazzarsi dei suoi abitanti
sunniti. Insieme all'alleanza coi Curdi a Nord, questo basterebbe
loro a controllare il Paese.
Tuttavia, noi non crediamo che questi piani funzioneranno. Ci sono
tribù molto importanti per il mondo arabo e l'Iraq, che si estendono
nell'intero Paese, dal Nord al Sud, come gli al-Jibouri, la cui
gente vive da Nassiria a Mosul, o gli al-Shamari o gli al-Azouwi. La
maggior parte di esse include sia sunniti sia sciiti. Ci sono alcune
tribù più piccole che appartengono a una sola confessione, ma la
maggior parte di quelle più grandi sono miste e i matrimoni
interconfessionali rimangono all'ordine del giorno.
Non
sono riusciti a innestare lo scontro interconfessionale nella base
della società. Rimane sulla superficie dei partiti che collaborano
con l'occupazione statunitense. Nelle grandi città trovano anche
persone bisognose e ignoranti che riescono a indottrinare, ma non
riusciranno a modellare le principali entità politiche sulla base
delle appartenenze religiose, come gli Stati Uniti apertamente
auspicano.
D: Inizialmente, gli Americani concentrarono tutte le loro speranze
sui partiti politici sciiti, ma poi scoprirono che la situazione era
sfuggita loro di mano. Così svilupparono la strategia detta 'redirection'
('cambiamento di rotta'), provando a tirare dentro forze sunnite e
anche settori della Resistenza. Questi sforzi hanno prodotto qualche
risultato?
R:
Col passare del tempo, gli Stati Uniti si resero conto che la lealtà
dei loro alleati andava esclusivamente all'Iran. Molti di essi sono
addirittura iraniani! Ad esempio, in questo momento, tredici
parlamentari sono ufficiali dell'esercito iraniano. Oppure, nel
precedente governo, solo sei membri su venticinque erano arabi, tra
sunniti e sciiti. Altri otto erano iracheni appartenenti a
minoranze. Dunque la maggioranza era costituita da stranieri. Ad
esempio, la famiglia di al-Hakim è di Isfahan: fino a pochi anni fa,
al-Hakim veniva ancora chiamato Abdulaziz al-Isfahani.
Sono stati i neocon statunitensi ad introdurre il modello della
divisione etnica e religiosa, con l'intenzione deliberata di creare
un regime sciita per avere una minoranza al potere, una minoranza
rispetto all'intero mondo arabo, che pensavano di poter controllare
e guidare più facilmente.
Originariamente avevano pianificato di continuare la loro campagna
fino a Damasco, e stabilire lì il gruppo sunnita dei Fratelli
Musulmani. In tal modo Damasco avrebbe sostenuto gli iracheni
sunniti mentre Teheran avrebbe fatto lo stesso con gli iracheni
sciiti, e la guerra sarebbe andata avanti per decenni - non sulla
base dell'antimperialismo ma su un terreno religioso. Ma la
Resistenza irachena ha vanificato tali piani.
La
Resistenza irachena è sorta rapidamente e ha guadagnato forza, così
hanno dovuto riconoscere che non poteva essere affrontata solamente
sul piano militare. Questo è il motivo principale del loro
cambiamento di rotta strategico. Hanno pianificato il processo
politico di normalizzazione e stabilizzazione, chiamando il Partito
Islamico sunnita a parteciparvi. La loro intenzione era tentare un
ripescaggio di settori della Resistenza. Ma presto il consenso del
Partito Islamico crollò, e i suoi leader presero a rifugiarsi nella
Green Zone o all'estero.
Nello stesso tempo, hanno compreso che gli Iraniani erano penetrati
in profondità nell'apparato statale, al di là dei limiti concordati.
Così si mossero anche per contrastare questo processo.
D: Qual è la situazione della Resistenza, dal punto di vista
politico e da quello militare?
R:
La Resistenza sta ancora guadagnando forze. Basti soltanto guardare
il numero dei membri, che da alcune migliaia si è alzato fino a
superare ampiamente i centomila combattenti. Le loro capacità di
combattimento sono pure migliorate. Ma sono anche riusciti a
sviluppare strutture d'intelligence capaci di penetrare l'esercito e
la polizia irachene, e, a volte, l'ambiente dell'esercito
statunitense. In tutto, quindi, il sistema della Resistenza è
composto di circa quattrocentomila persone.
Le
truppe statunitensi e i loro alleati sono molto demoralizzati.
Mentre la Resistenza combatte per liberare il Paese, essi combattono
solamente per guadagno. E così stanno diventando sempre più feroci.
Non solo aumentano gli effettivi delle truppe regolari statunitensi,
ma anche quelli delle forze mercenarie, che si comportano ancora più
barbaricamente. Tutti insieme, rappresentano forse un milione di
persone.
Guardate le perdite statunitensi come comunicate dallo stesso
Pentagono (e quindi ovviamente edulcorate): mettendo da parte i mesi
di operazioni militari speciali come quelle contro Falluja o Tal
Afar, vedrete una chiara tendenza: all'inizio c'erano circa
cinquanta soldati uccisi al mese; in seguito si è passato a ottanta
e ora si è intorno ai cento al mese.
La
Resistenza è ora un vero movimento popolare, è una cultura tra la
gente. Tutti fanno la loro parte. E il fatto che nessun governo ci
aiuti ha anche il suo lato positivo: quando ti pagano c'è sempre
corruzione. Sarebbe stata costruita la tipica facciata araba. Ora,
invece, non ci sono scusanti. Ogni sezione rende conto per se
stessa, organizza i propri uomini, li addestra, prepara gli
attacchi, si procura il denaro, eccetera.
Anche a livello politico sono stati fatti dei passi avanti.
All'inizio c'erano centinaia di gruppi, ma è stato compreso come
fosse necessaria una maggiore unità. Ora possiamo dire che esistono
otto gruppi principali. Ciò che non è stato finora possibile
ottenere è un comando politico unificato, che rimane uno degli
obiettivi principali.
D: Sono stati segnalati scontri armati tra gruppi della Resistenza e
forze riferibili ad al-Qaeda. Che rapporti ci sono tra la Resistenza
e i gruppi salafiti e takfiri? [NdT: "takfiri" indica i gruppi che
negano l'identità islamica di chi non si impegna per lo stato
islamico]
R:
Ricordiamo che l'Occidente cominciò insultando la Resistenza, che
veniva bollata come straniera o nostalgica del vecchio regime. Si
voleva insinuare che non ci fosse nessun rapporto tra la Resistenza
e il popolo iracheno. In realtà, la Resistenza sorse a un livello
estremamente popolare, come autodifesa dalle enormi provocazioni del
neocolonialismo statunitense. Era composta di ex-soldati, uomini
delle tribù, persone che s'ispiravano alla religione o alla nazione
per agire nelle proprie immediate vicinanze. Non furono né gli
stranieri né i baathisti la forza propulsiva iniziale, sebbene anche
i baathisti abbiano partecipato.
Il
modo come gli Stati Uniti destituirono Saddam fu percepito come
un'aggressione da tutti gli iracheni, compresi i suoi oppositori. Ad
essere onesti, verso la fine anche Saddam in persona giocò un ruolo
importante nello spingere la sua gente alla resistenza. Non provò a
nascondersi fuggendo, come fu a volte riferito. Andò invece di città
in città, da Tikrit a Samarra, passando per Anbar e Baghdad.
Contattò sceicchi, ufficiali e via dicendo. Diceva che avrebbero
dovuto resistere, non per lui come presidente, ma per la nazione e
per l'islam. Chiese addirittura che la sua immagine non fosse più
usata come simbolo di richiamo. Solo nei mesi successivi il Baath
poté riorganizzarsi come partito, e come tale entrare a far parte
della Resistenza. Dal punto di vista della Resistenza, fu una grande
fortuna che non riuscissero ad arrestarlo per lungo tempo.
Per
quanto riguarda al-Qaeda, nei primi due anni niente del genere
esisteva sotto tale nome, tant'è che pure le maldicenze degli
Americani erano relative principalmente a penetrazioni di stranieri
dall'estero, e specialmente dalla Siria. Tentavano di creare un
pretesto per attaccare la Siria, benché Damasco non facesse
assolutamente nulla per aiutare la Resistenza, e viceversa si
adeguasse in toto agli ordini di Washington, per timore di
un'aggressione, quantomeno nei primi mesi.
Nei
primi due anni essi disponevano di una forza molto modesta, che
contava forse tra i mille e i millecinquecento combattenti tra i
locali e gli stranieri. Né il livello dell'attività militare era
molto alto: in un lasso di tempo di due anni, essi stessi
rivendicano circa ottocento attacchi, mentre la Resistenza stava
portando avanti ottocento attacchi a settimana.
Più
tardi hanno guadagnato stabilmente terreno, e continuano tuttora a
crescere. Hanno molto denaro, ma non se ne servono per vivere nel
lusso, conducendo viceversa un'esistenza molto dignitosa, limitata
ai bisogni essenziali, mentre dedicano tutto alla lotta: questo si
dimostra un comportamento estremamente serio e convincente. Il
denaro lo spendono per la lotta. La maggior parte dei giovani si
unisce a loro non per la loro ideologia, ma perché gli viene offerto
uno spazio in cui resistere.
In
Oriente non è necessario scrivere libri per convincere la gente. Se
il tuo personale stile di vita è congruente con la tua missione,
allora convincerai la gente.
Il
tentativo degli americani di stabilizzare la situazione affidando ai
loro fantocci locali la gestione delle istituzioni da essi messe in
piedi ha finito per favorire al-Qaeda. Coloro che si prestarono a
questo gioco argomentavano che, se non l'avessero fatto, gli
Iraniani avrebbero avuto la meglio: si sarebbe trattato dunque di
cooperare solo per un breve periodo, per poi sbarazzarsi anche degli
Americani. Ovviamente fu un fallimento. Al-Qaeda invece sostenne,
con profondi argomenti morali, che solo una lotta armata prolungata
avrebbe fatto avanzare la giusta causa. I fatti gli hanno dato
ragione..
Hanno anche offerto denaro ad alcune tribù resistenti dalla forte
identità musulmana, delle cui risorse avevano bisogno per la loro
lotta. Hanno creato così una coalizione di sei gruppi, uno di
al-Qaeda e cinque gruppi locali. Ciò ha dato loro una forte spinta.
Non erano forze significative come quelle dell'Esercito musulmano,
ma avevano comunque radici a Ramadi, Falluja, Haditha eccetera.
hanno dato alla loro coalizione il nome di Consiglio della Shura dei
Mujahidin. Sotto questo marchio continuano ora, e non sotto quello
di al-Qaeda.
Oltre alle loro molte risorse essi hanno, diversamente dagli altri
gruppi resistenti, costanti rifornimenti anche dall'estero. Oggi è
forse possibile dire che al-Qaeda è la prima organizzazione della
Resistenza. Si muovono separatamente dagli altri, ma cionondimeno in
ogni città c'è una sorta di consiglio per coordinare l'azione
militare, per abbozzare un piano di difesa.
L'islam è un'arma per far sollevare il popolo. La storia islamica,
le figure islamiche, la cultura islamica vengono usati per spingere
le persone alla lotta, poiché considerano l'islam la loro identità.
Si stanno mischiando i simboli nazionali e religiosi. Il Corano dice
che se una terra islamica è attaccata da stranieri, è obbligatoria
la resistenza armata. Fino ad oggi ciò è rimasto scontato per il
senso comune. Il Jihad diventa un dovere religioso per chi è sotto
occupazione da invasori stranieri, come il digiuno o la preghiera.
Quindi tutti i gruppi resistenti, islamici o no, usano questo
spirito come mezzo per mobilitare e sollevare la popolazione.
Prendete ad esempio le dichiarazioni del partito Baath, e quelle
personali di Izzar al-Durri. Giudicando dal suo linguaggio, lo si
potrebbe dire un estremista islamico. In realtà, non tutti costoro
sono davvero estremisti religiosi.
E'
l'ambiente intero ad essere islamico. Sarebbe impossibile attirare i
giovani con proclami marxisti o nazionalisti. Dovunque ci siano
giovani, troverete che dominano il sentimento e lo spirito islamici:
e ciò favorisce indirettamente al-Qaeda. Le persone che si uniscono
a loro non sentono di fare qualcosa di anomalo: al contrario, visto
che l'atmosfera generale è islamica, sono convinte di agire in
maniera perfettamente coerente.
D: Ma cosa ci dici degli attacchi a sfondo religioso? Al-Qaeda non
porta almeno parte della responsabilità?
R:
La responsabilità appartiene al governo nelle sue componenti sia
sciite sia sunnite, agli Stati Uniti, a Israele e all'Iran. Per
quanto riguarda gli attacchi attribuiti ad al-Qaeda dall'Occidente,
c'è sempre da sottrarre un 95%. E per il restante 5%, si sente solo
parte della verità. A volte al-Qaeda attacca aree sciite, come
rappresaglia per attacchi del governo o delle milizie in aree
sunnite. Vogliono mostrare alla popolazione sunnita che sono in
grado di difenderli, in modo da convincerli a restare, mandando così
a monte il piano di liberare Baghdad dai sunniti facendola diventare
parte dell'entità federale sciita a Sud: questo è infatti
l'obiettivo condiviso dai partiti sciiti, dall'Iran e inizialmente
anche dagli Stati Uniti.
Ma
questa non è una linea strategica, tant'è che nell'ultimo anno è
accaduto solo poche volte, in reazione ad attacchi massicci. E per
ogni attacco si assumono la piena responsabilità. Rivolgono un
appello ai saggi tra gli sciiti: «fermate i crimini che vengono
commessi in vostro nome, altrimenti ne porterete anche voi la
responsabilità. Siamo capaci di rispondere agli attacchi con una
potenza dieci volte maggiore».
Non
è mia intenzione difendere un tale approccio, tuttavia è necessario
ripristinare l'oggettività dei fatti contro le distorsioni che ne fa
l'Occidente.
C'è
un altro esempio che colpisce. Al-Qaeda cominciò a Falluja, come del
resto l'intera Resistenza. Questa era una città esclusivamente
sunnita, ma immediatamente dopo l'inizio dell'occupazione, circa
dodicimila famiglie sciite originarie del Sud si rifugiarono a
Falluja e Ramadi, poiché erano accusate di essere baathiste. Non
solo ne fui testimone oculare, ma fui anche coinvolto
nell'organizzazione del loro soccorso. Furono aiutati dalle persone
comuni, poiché li consideravano sostenitori della Resistenza. Ad
oggi rimangono circa ventimila rifugiati sciiti a Falluja e non è
stato osservato neanche un singolo atto di ostilità
interconfessionale, neanche da parte di al-Qaeda. Ovviamente ci sono
scontri per il potere tra i diversi gruppi resistenti, questo è
normale, ma non avviene su basi religiose.
D: Due anni fa avete fondato il Fronte Nazionale Islamico
Patriottico (Patriotic Islamic National Front), comprendente il
Partito Baath, il Partito Comunista Iracheno (Comando Centrale) e
l'Alleanza Patriottica Irachena. Ci sono diverse figure, sia sunnite
sia sciite, che vi sostengono, ma sino ad ora le principali
formazioni militari della resistenza non sembrano rappresentate dal
vostro fronte. I tempi non sono dunque ancora maturi per una simile
coalizione?
R:
Si tratta di un fronte esclusivamente politico, e non militare.
Questo non significa che non ci siano rapporti, ma noi ci atteniamo
al livello strettamente politico. Per quanto riguarda le forze
militari islamiche, dovete capire che sono state costruite come
gruppi militari di resistenza senza alcuna rappresentanza politica.
Noi non siamo interessati a reclutare il tale gruppo o il tale
leader. Intratteniamo invece un ampio dialogo con tutti loro, con la
proposta di formare un comando politico unificato della Resistenza,
schierato contro ogni eventuale politica di collaborazione con gli
occupanti. Ma forse le cose andranno altrimenti: un coordinamento
verrà formato e noi ci uniremo a loro. Il nostro scopo non è di
ostentare il nostro ruolo, bensì di creare quest'unificazione
politica.
Ogni volta che sembriamo a un passo dal traguardo, però, accade
qualcosa che ci impedisce di proseguire. Sappiamo anche cosa c'è
dietro: è l'influenza e l'ingerenza dei vicini regimi arabi.
Per
quanto riguarda al-Qaeda, vogliono sempre rimanere separati e non
sono inclusi in questo processo.
D: Durante tutti questi anni di resistenza, c'è stato il problema
del comportamento ambiguo del movimento di Moqtada al-Sadr, che da
una parte è diventato il pilastro principale del governo e una delle
forze trainanti degli omicidi interconfessionali, mentre dall'altra
si scaglia verbalmente contro l'occupazione, contro la costituzione
federale imposta dagli Americani e persino contro lo scontro
interconfessionale. Poiché è leader della maggioranza della povera
gente, come pensate di portare almeno alcune sezioni dei suoi
seguaci ad unirsi alla Resistenza?
R:
Contrariamente alla maggior parte dei nostri amici, sin dall'inizio
ho sottolineato che il suo movimento è molto ampio e che molti
baathisti, marxisti e nazionalisti vi sono entrati per proteggersi
dalle milizie iraniane. Sono forse stimabili intorno alla metà
coloro che nel suo movimento provengono da altre aree politiche e
non erano seguaci della sua famiglia. Quindi, qualsiasi sbaglio
commettesse, pensavo che potessimo contare su questa gente per
rettificarlo, o per sanarne almeno alcuni. In secondo luogo, molti
dei suoi seguaci sono molto poveri e allo stesso tempo illetterati.
Ovviamente questa è un'arma a doppio taglio. Diversamente dagli
altri partiti sciiti, la sua base non è costituita da ricchi
commercianti, che magari un giorno si pronunciano contro
l'occupazione e l'indomani firmano vantaggiosi contratti con gli
Stati Uniti. La loro opposizione all'occupazione è sentita
realmente.
Credo che alla fine sia stato manipolato e ingannato dai suoi
alleati in Iran (principalmente l'Ayatollah Kazem Haeri che è il
successore di suo zio) e in Libano. Hezbollah gli ha fatto visita
tre volte, invitandolo a seguire la linea applicata in Libano, di
partecipare cioè alle istituzioni fantoccio messe in piedi dagli
americani, candidandosi per il parlamento, guadagnando posti
nell'apparato statale e specialmente nell'esercito, e permettendo
così la costruzione di un partito forte. Altrimenti, sostenevano,
al-Hakim avrebbe avuto il controllo totale, potendo egli contare su
tali risorse. E' per questo che si è candidato con la lista del suo
arcinemico al-Hakim.
Tutti sanno che suo padre fu assassinato su ordini di Hakim, anche
se ufficialmente si dà la colpa a Saddam. Inoltre Moqtada
inizialmente li attaccò pesantemente, al-Sistani compreso, per aver
collaborato con gli Stati Uniti, bollandoli anche come infedeli.
Perciò essi cospirarono con il proconsole Bremer per farlo
assassinare. La verità è che gli Stati Uniti lo attaccarono davvero
pesantemente, ed egli sotto questa pressione indietreggiò, temendo
di venire eliminato.
E',
d'altronde, semplicemente falso che egli si dichiari contrario alla
costituzione. E' completamente coinvolto nel processo di
normalizzazione e di stabilizzazione delle istituzioni fantoccio. Ha
trentadue parlamentari e sei ministri nel governo e questo va a
tutto beneficio dell'occupazione.
Poi
è stato spinto ad attaccare i sunniti nella prospettiva della
creazione di uno stato sciita Mahdi. In seguito a ciò, molti dei
suoi seguaci l'hanno abbandonato, mentre altre persone si sono unite
a lui, causando una trasformazione profonda del suo movimento. Ad
oggi poi, l'esercito Mahdi è stato anche infiltrato dagli Iraniani,
al punto che metà del suo personale è composto da Guardie
Rivoluzionarie.
Fino al 2004 Moqtada è stato dalla parte giusta. Ad esempio, è
venuto a Falluja. Ma dopo i colpi inflittigli, nel 2005 si è
spostato all'altro schieramento. Ora è altamente improbabile che
egli rettifichi la sua linea. A volte si pronuncia contro gli
omicidi a sfondo religioso, anche se ammette che la sua gente vi è
coinvolta, e ha persino allontanato tre dei suoi leader. Tuttavia,
continuano. Ha anche perso in parte il controllo delle milizie. Se
date armi e denaro a gente povera e ignorante, rendendoli forti,
spesso questi pensano di poter prendere le redini nelle loro mani.
Diventano capi mafiosi e lavorano per i propri interessi.
Tutto ciò è stato reso possibile anche dal fatto che è giovane,
immaturo e manca d'esperienza, così che può essere facilmente
influenzato dai suoi consiglieri e dal suo ambiente, incluso l'Iran.
D: Ci sono sempre più segnalazioni che tribù sciite si stanno
battendo contro le forze governative. Puoi spiegarci questo
fenomeno?
R:
Con l'occupazione, le milizie iraniane nel Sud e nell'Est uccisero
ufficiali dell'ex esercito iracheno, accusando tutti i propri nemici
di essere baathisti. In questo modo furono uccise molte persone.
Anche se appartenevano tutti a qualche tribù, queste avevano paura
di difenderli. Ma con il disfacimento delle strutture statali le
tribù stanno diventando sempre più importanti e potenti. Ora non
possono più accettare che altri dei loro uomini siano uccisi da
stranieri, che siano iraniani o iracheni estranei alla tribù. Ora,
quando vengono ad arrestare o uccidere qualcuno, le tribù
organizzano una resistenza crescente. Ci sono molti esempi, che
testimoniano di un ambiente nuovo, di un sentimento diretto contro
le milizie filoiraniane e le forze governative. Recentemente c'è
stata una battaglia di due giorni presso Shuk ash-Shuyuk, nel Sud,
dove hanno tentato di catturare un ex ufficiale. In centinaia hanno
preso le armi per difenderlo. E' caduto, ma non senza cambiare
l'atmosfera. Apparteneva a una tribù molto combattiva, conosciuta
per il suo coraggio. In seguito a ciò si è formato una sorta di
patto di mutua assistenza con altre tribù contro le milizie
filoiraniane, compreso l'esercito Mahdi, l'esercito iracheno e la
polizia, il che indica una tendenza che, tuttavia, rimane locale e
non ha ancora raggiunto il livello politico generale.
C'è
un altro fattore culturale importante. Le milizie hanno portato
abitudini aliene che non possono essere accettate dalle tribù. Sotto
la copertura del matrimonio Mut’a, importano la prostituzione; e
diffondono l'uso di hashish.
D: Cosa ci dici del sostegno dall'estero alla vostra causa?
R:
Veniamo usati dai politici arabi per autoperpetuarsi, senza che ci
offrano alcun sostegno reale. Parlano della Resistenza irachena e
dei crimini degli Americani in alberghi a cinque stelle e sui canali
satellitari, e questo è tutto. Invece potrebbero fare molto, per
esempio raccogliere denaro oppure scendere in piazza contro i loro
governi per far chiudere le ambasciate irachene. Ma capiscono che
ciò significherebbe passare la linea rossa del 'sostegno al
terrorismo', come dicono gli statunitensi. Il passato ci insegna
l'importanza del sostegno materiale alla Rivoluzione algerina o alla
lotta palestinese. Enormi somme furono raccolte, e la gente comune è
tuttora pronta ad offrire denaro. Ma nessuno osa raccogliere questi
soldi per la Resistenza irachena. Questi leader in realtà stanno
ingannando i loro seguaci, poiché suggeriscono che starebbero
offrendo aiuto in segreto. Ma vi assicuro che non abbiamo ricevuto
nessun aiuto serio dall'estero.
Parigi, luglio 2007
Intervista di Willi Langthaler
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