|
Farc,
ostaggi, Chavez e sciacalli
A proposito
di grilli parlanti, dov’è il martello?
12/10/2008
La diatriba tra due giornalisti
esperti di America Latina e, non dico le Farc
o addirittura Hugo Chavez, sarebbe
troppo onore, ma l’associazione italiana che si occupa di Colombia
e Farc (“Nuova Colombia”), ha
evidenziato una volta di più come l’intelligenza e perfino
l’esperienza possano dalla spocchia venire
guastate fino alla putrefazione. Il modello più illustre dei
nostri tempi e luoghi è qui Massimo D’Alema, il
parabarbieruccolo
baffettato di Gallipoli, travolto da tic nervosi (segni di
un’inconscia consapevolezza della propria fisiologica destinazione
alle cantonate) che, parlando e guardando al mondo in verticale
giù dal proprio naso, impegna una vita a occultare nella sua
stizzosa boria il masso di Sisifo dei
propri flop (e anche delle proprie
malefatte).
Dei due giornalisti Cric e
Croc uno è Guido Piccoli,
opportunamente ospitato da un “manifesto”
che spreca editoriali e paginoni per piagnucolose
perorazioni delle proprie dame da salotto in difesa della “vittima
di genere” Hillary Clinton. Già, quella che reggeva la coda
(insieme ad altre) del bombarolo
Clinton nel suo massacro della Jugoslavia, nell’embargo genocida
all’Iraq, nel sostegno alla pulizia etnica di Sharon (e non per
nulla è il candidato più caro, oltreché alle
manifestine, ai nazisionisti di
Tel Aviv), nel maramaldeggiare Usa contro i popoli dell’America
Latina. Quella che avvolge nel silenzio Guantanamo e
Bagram, quella che non hai mai detto
chiaro e tondo “finiamola con uccidere popoli con l’alibi della
truffa 11 settembre”. Croc è Gennaro
Carotenuto, uno che scrive cose consapevoli e interessanti
sull’America Latina, ma che spesso piscia fuori dal vaso quando fa
il giornalista “partecipativo” uscendo dal proprio seminato.
Entrambi appartengono alla nobile schiera dei
politically
correct, rigorosamente
non-violenti e dunque beneaccetti su treni che portano un po’
dappertutto, salvo là dove si rischia di bruciarsi le dita. Il
loro quadro di riferimento sono
“società civile”, “diritti umani” e “comunità internazionale”,
pari pari il tiro a tre con il quale
l’imperialismo sbatte i suoi zoccoli sui crani dei divergenti.
Ma a forza di maneggiare roba
incandescente con i migliori guanti d’amianto, a volte si finisce
con l’incenerirsi la credibilità. Guido
Piccoli, prima che sul “manifesto” desse dei delinquenti e
narcotrafficanti alle Farc colombiane,
mettendosi nella scia maleodorante del - da lui poi inutilmente
deprecato -narcofascista
Uribe, l’avevo incontrato in un
convegno bolognese nel quale entrambi eravamo
relatori su guerre e rivoluzioni. Le sue prese di distanza da chi
all’obliterazione di popoli di troppo
risponde picchiando e sparando, non gli procurarono i favori del
pubblico. Il che, comunque, non ha portato a nessun ripensamento.
Anzi, il consanguineo ambiente del “manifesto”, ne ha propiziato
il quasi totale allineamento con i più viscerali anatemi
pacifinti. Alvaro
Uribe ne ha goduto: l’universo mondo, anche se non tutti lo
dicono, sa perfettamente che trattasi di criminale della più
sporca acqua coloniale; quello che gli premeva era che gente come
Piccoli e Carotenuto contribuissero
acchè un’impeccabile guerriglia, lunga
quarant’anni e dunque manifestamente sostenuta da gran parte della
popolazione, venisse insozzata, satanizzata
alla Saddam e, così, messa quanto meno sullo stesso piano. Anzi,
peggio, visto che il piccolissimo Piccoli non si è addirittura
peritato di adombrare “torture” delle Farc
sul corpo inerme del bambino Emmanuel,
figlio della selva, della guerriglia e
dell’ostaggio Clara Rojas. Di
solito a gente così si dà dell’infame. Nonché
del cretino quando preferisce credere a un macellaio psicopatico
come Uribe, o a un poliziotto
manovrato, piuttosto che a un combattente comunista per la
liberazione del popolo e per l’integrazione della
Patria Grande.
Quanto a Gennaro Carotenuto, in
questa congiuntura maestrino dalla
penna nera, è stata degna di Zelig la sua metamorfosi da
fustigatore delle Farc, anche qui
terroristiche, sanguinarie, narcotrafficanti e controparte di una
“società civile” colombiana che solo la siderale distanza
concettuale gli ha potuto far apparire bella impetuosa, a “embè,
tutto sommato, qualcosa di queste Farc
si può salvare, un contributo chissà
lo possono ancora dare…”, rigurgitati penosamente dopo i
chiarimenti. Ma come, i falsari di
interviste inventate, i bugiardoni sui
movimenti e disolocamenti di
Emmanuel, coloro che avevano
imbrogliato Chavez e mezzo mondo
latinoamericano che si era precipitato ad accogliere il bambino…?
Cosa aveva
determinato questa invereconda metempsicosi, al termine della
quale i due soggetti, uno sul giornaletto
pseudo-comunista e l’altro dal suo palchetto
“partecipativo”, si erano ripresentati come bisce
divincolantisi sotto lo scarpone? Era
successo che lo scarpone lo aveva calzato Hugo
Chavez e, con precisa mira, l’aveva
fatto calare su tutti gli sciacalli e paraculi che si erano
avventati sulla vicenda per poter dar
sfogo, finalmente, alla propria avversione alla resistenza armata
e reintegrarsi così nei vari circoli della caccia dai quali si
spara soltanto su chi insiste a ingombrare le strade con i suoi
cenci. Carotenuto, avventurandosi temerario fin nelle zone a lui
ignote del Medio Oriente, ne aveva già dato
ripetuta prova
L’ho ascoltato per
intero, Hugo
Chavez, nel suo racconto sulla vicenda
Emmanuel e dei due ostaggi liberati e a lui consegnati,
Clara Rojas e
Consuelo de Perdomo. Un
racconto che coincide perfettamente con quello delle
Farc e di gente interna alla
situazione colombiana, E siccome la mia ultraquinquennale
frequentazione di Chavez e del
Chavismo mi ha dato ogni ragione per
nutrire in lui più che in chiunque altro assoluta fiducia, ecco
che ne viene fuori che le Farc avevano
ragione, hanno detto il vero e che
Uribe ha potuto servirsi di
fiancheggiatori come Piccoli e Carotenuto per tentare – e non
riuscire – di mandare in vacca la liberazione – unilaterale! -
degli ostaggi e di additare al ludibrio universale la resistenza
armata di popolo al suo narcofascismo
coloniale.
Semmai, le Farc
hanno peccato dell’ingenuità degli onesti, non
consentita però a chi da decenni ha minuziosa e drammatica
esperienza del carattere criminale del regime che combatte. La
consegna del bambino a gente fidata, fuori dai pericoli della
selva e delle bande uribiste, era
appropriata. Il sequestro di Emmanuel
da parte del delinquente di Bogotà
poteva, doveva, essere previsto e possibilmente sventato, prima di
prometterne la consegna. Ma quest’ombra
non toglie che le Farc abbiano
dimostrato, come sempre in passato, di essere serie, perbene,
corrette. E Chavez le ha riconosciute
e onorate come tali, alla faccia degli sciacalli: “Forze armate
della Rivoluzione”, “Esercito combattente”, le
ha chiamate. Con enfasi. Insomma, dalla parte dei giusti,
dalla parte della liberazione. Piccoli
e Carotenuto, che pure inneggiano ala rivoluzione
bolivariana, pensano forse che il
presidente venezuelano fa
combine con terroristi
narcotrafficanti? Le Farc e il
Venezuela ne sono usciti alla grande. E così “Nuova Colombia”, che
i ridicolizzati volevano ridicolizzare. I due giornalisti ne
escono alla “piccoli”. Che Carotenuto
limi la sua presunzione e si ravveda. Ha coscienza e conoscenza
per farlo. Piccoli lasciamolo perdere.
Le contumelie usate come scalini per salire un po’,
lo hanno scaraventato nel fondo.
|