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Che sinistromedia del
piffero ! (indovinare
chi è il pifferaio)
NE AMMAZZA PIU’
LA SPOCCHIA CHE L’ETA’
Il
collateralismo inconsapevole – e incosciente – delle
dame de “il manifesto”
14/01/2007v
Io sono nato in un dolce
paese Sono lettore di un rosso
giornale
Dove chi sbaglia non
paga le spese che un dì nel brodo metteva
del sale
Dove chi grida più
forte ha ragione ora arsenico e vecchi
merletti
Tanto c’è il sole e
il mare blù spengono il rosso e il
tempo che fu.
(Sergio Endrigo)
O, cara stampa di
sinistra!
E pensare che quanto,
nel 1971, firmai per la prima volta sul “manifesto” le
mie corrispondenze da una guerra allora ancora
grandemente ignota, quella di liberazione dell’Eritrea
e quella di secessione filovaticana e filoisraeliana
del Sud Sudan (stessa zuppa oggi nel Darfur, con
aggiunta di colonialisti francesi, tedeschi e
statunitensi), scoppiavo di contentezza. Avevo alle
spalle un giornale del PCI, “Paese Sera” che,
coerentemente con quella Yalta che Togliatti incise a
lettere indelebili nel DNA del partito, si era seccato
delle mie cronache sul grande movimento che, scaturito
dal ’68, andava mettendo in crisi le “compatibilità”
sistemiche perseguite dal suo editore di riferimento.
Quanto a me, mi era divenuta intollerabile la
funzione, collaborazionista fino alla delazione con
gli sgherri della controrivoluzione
democristoamerikana, che quel partito si era dato in
ideale continuità con l’amnistia, con la rassegnazione
sui brogli del’48, il recupero dell’amministrazione
statale fascista, con la mordacchia al popolo in
occasione dell’attentato a Togliatti. Fallimenti che
tuttora paghiamo, sempre più caro. Del resto dove
quella generazione politica è finita e cosa abbia
figliato ci viene rammentano giornalmente i
Fassinodalemabersanipetruccioliferrarabondi e, con
fastidiosa periodicità, gli
ingraorossandaparlatosgrenafortilettera22.
Dunque, mi ero buttato
alle spalle quello che pur rimane nella storia uno dei
migliori giornali italiani, a dispetto del vertice
PCI, e, rimesso in spalla il vecchio fagotto, avevo
detto addio alla testata (allora diretta da Giorgio
Cingoli, poi craxista) e ripreso ad andar per guerre e
rivoluzioni, sempre per le lande che mi avevano
ospitato al battesimo del fuoco, la Guerra dei Sei
Giorni. Lasciai “Paese Sera” e quelli si vendicarono.
Una vendetta freddissima, addirittura preventiva: in
sei anni di lavoro mi avevano pagato i contributi per
appena otto settimane. Gli epigoni ancora in vita
possono trarre soddisfazione dal fatto che quella
gestione “comunista” del lavoratore mi ha lasciato al
minimo della pensione. Ma che fa.
Però è vera quella cosa
dei corsi e ricorsi. Non m’è capitato quasi lo stesso
con “Liberazione”? Giornale che più comunista non si
può, con un direttore, Sandro Curzi, che, più
compagno di lui si muore. Direttore che, appeso al
filo di Bertisconi, mi licenziò in tronco, senza
neanche la letterina di prammatica “Grazie per il
lavoro svolto, ma circostanze di ristrutturazione
redazionale ci costringono, bla, bla, bla…”, senza gli
otto giorni, senza l’art.18, figurarsi, senza
buonuscita, solo per aver scritto che a Cuba i
dissidenti condannati erano mercenari degli Usa con
piani terroristici (cosa poi provata e da nessuno
messa in dicusssione, ma in controtendenza con la
marcia di avvicinamento del Bertisconi allo scranno
d’oro. Qui fui io a gustarmi una vendetta, questa però
calda calda, come si conviene ai giusti: una sonora
condanna di “Liberazione” da un equo magistrato del
Tribunale Civile di Roma. Quasi comico l’ulteriore
corso e ricorso, quello della cacciata da Radio Città
Aperta, l’emittente vernacolare di Roma, allorché
questi post-autonomi, più rivoluzionari dei fedayin,
si accorsero che costituivo una mela marcia nel
paniere di pomi d’oro che si apprestavano ad offrire
al più bello, bravo, efficiente, hollywoodiano,
filopalestinese, antimperialista, antagonista, sindaco
d’Italia, Veltroni, portandogli in dotazione
elettorale (06%) le armate del “movimento”.
Spocchia fessa e
spocchia intelligente
Potrebbe sembrare che me
la tiri da vittima , ma dovreste vedere con che ghigno
di allegra desolazione batto questi tasti in faccia al
“manifesto” Tutto sommato i ricordi che a volte
risalgono dal pozzo mi confortano di una sola,
semplice cosa: che non è detto che invecchiando si
incitrullisce. Ed è altrettanto vero che chi se la
tira ha il 100% di possibilità in più, se il tempo che
passa si accompagna a tale atteggiamento, di
invecchiare coglione. Di spocchia, saccenteria,
arroganza, supponenza, alterigia, iattanza, superbia,
protervia, altezzosità… (l’italiano, dato il carattere
della sua razza padrona, ne ha a profusione di questi
termini), ce ne sono essenzialmente due tipi: quello
dei dotti e quello dei ciuci. Però entrambi conducono
allo stesso esito: l’ottusità, con l’aggravante per la
prima categoria dell’intelligenza offesa e dell’altrui
fiducia tradita. Il burino incolto, il piccolo
borghese imbozzolato nei suoi affanni di ascesa
sociale, sotto copertura di ossimoriche mescolanze tra
verbosità antagonistiche e pratiche “realiste” (vedi
il salto della quaglia dei rivoluzionari vernacolari
in appoggio al sindaco romano della restaurazione),
per quanto blateri supponenti sinistrismi, resta
inesorabilmente intrappolato nel proprio opportunismo
di classe. E più invecchia, più si esercita in lifting
e apparizioni sul balconcino, e più ne traspare la
trama solipsista e autoreferenziale. La vicenda
politica in atto non viene da lui minimamente
modificata. Succede il contrario. E l’esito è da
parrocchietta di paese, con quelle armate di beghine,
polli e marpioni.
Più gravida di
conseguenze nefaste è l’intossicazione di presunzione
e alterigia che affetta i dotti, specie quando il loro
invecchiamento sinapsico corre in parallelo con
l’attuale senescenza dei tempi. Tempi che tanto più
decadono e si corrompono quanto più dall’arco
anticostituzionale Bertinotti - Berlusconi si
proclamano nuovismi e innovazioni. Già, perché questi
sapienti appartengono alla schiera di coloro che hanno
fatto e continuano a fare opinione sul serio, opinione
di massa. In tal modo assumono la responsabilità di
interpretare e portare avanti le nostre istanze e di
rispondere alle nostre domande. Se invecchiano male,
nel senso che sempre meno ci offrono rappresentazioni
veritiere e alternative e sempre più si accodano agli
stereotipi del famigerato “senso comune” e, peggio,
delle imposture del nemico di classe, difesi dallo
scudo mistificante della propria reputazione
intellettuale, allora il danno è grosso, il tradimento
è pesante, lo smarrimento indotto è rovinoso. Il
fenomeno, ahinoi, è di antica tradizione cattolica
italica, in parte ha anche a che fare con la
sostituzione, che si vorrebbe fisiologica, delle
pantofole agli scarponi, ma nel presente di una vera e
propria nemesi euripidea a precipizio verso la
catastrofe, diventa collusione con i cavalieri
dell’apocalisse.
Dal battistrada Ingrao,
agli emuli del “manifesto”
Non so se il paradigma
del brutto invecchiamento si debba applicare al guru
della sinistra collateralista di Bertinotti, Pietro
Ingrao, se è vero che l’incoerenza politico-morale e
l’opportunismo, pur allignandovi più spesso che tra i
giovani, non sono esclusiva dei suoi anni davanti al
caminetto, o dell’ultima zoppicante rincorsa a qualche
piedistallo o poltrona. L’illustre uomo non ha fiatato
davanti ai, del resto opinabili, fatti di Ungheria,
poi, con giuliva disinvoltura, li ha reinterpretati in
perfetta sintonia con la vulgata Cia di ieri e
sinistramente “innovativa” di oggi. Non ha mosso un
dito quando la sua squadra di “eretici”, contaminata
dall’ultimo afflato rivoluzionario del Grande Secolo,
fu cacciata a calcioni dal Partito, preferendo, in
virtù del pragmatismo di quel partito e del suo,
assidersi sul terzo scranno di una repubblica agli
ordini di mafia, massoneria e colonialisti Usa. Come
ha percepito, dal buon ritiro ciociaro dagli
inutilissimi versi, la tromba bertinottiana della
nonviolenza con i gradi della Nato e del revisionismo
sotto dettatura confindustriale, si è precipitato ad
accogliere nella propria aura di “comunista”
compatibile le arlecchinate del vippaiolo in cachmere.
Male invecchiato? Ma no, il personaggio vanta una
coerenza di ferro dai tempi delle ciliegie a quelli
delle castagne. Lasciamolo fuori. Lui, con la sua
feluca e la sua fusciacca di padre della patria.
Una “ragazza del
Novecento” invecchiata male
Sotto il titoletto
“Siamo tutti del manifesto”, quel giornale, che già
nella presentazione grafica si presenta ostico e
perciò ostile, pare invocare uno spirito di corpo da
vecio alpin, mentre, elencando nomi e sottoscrizioni,
non fa che manifestare ed esercitare il sottile,
speriamo inconsapevole, ricatto del “non c’è di
meglio”. Come attestano le poche delle tante critiche
ed invettive di lettori esasperati da forma e
contenuto, che Parlato pubblica, a volte con benevola
accondiscendenza, a volte, quando il discorso non sa
proprio di “spirito di corpo”, con arcigno fastidio.
Ma quale spirito di corpo, che non sia di angosciosa
“riduzione del danno”, può mai invocare tra coloro la
cui verità, fede e speranza “comunista” è da anni
appesa a quelle colonne di piombo, chi, come Rossana
Rossanda, dalla cattedra di maestra del pensiero
antagonista scivola nei bassifondi della truffaldina
speculazione capitalista? Marciando trionfante su
cinque colonne a cinque stelle del giornale, con
l’aureola di chi la sa sempre più lunga di qualsiasi
vermicello umano, la “maestra di pensiero” ha fatto
rizzare i capelli a proprio tutti i consapevoli della
devastazione capitalista del pianeta. Ha affondato la
sua affilatissima lama nella schiena di chi, con ogni,
comprovata, ragione
tecnico-scientifico-cultural-politica, si oppone alla
scellerata, miliardaria idiozia del Mose, contribuendo
così a tappare la bocca alla laguna, al mare, ai
veneziani, alla schiera dei migliori ingegneri marini
del nostro e di altri paesi. Ragazzi, ce ne vuole di
protervia per dare a questa meraviglia di mondo e di
ecosistema tali apodittiche mazzate di incompetenza.
Cos’è, un rigurgito dello sviluppiamo cresciaiolo
tuttora rampante tra i sopravvissuti dello “sviluppo
delle forze produttive”? Nel quale si intravede la
trama nascosta che afratella certi comunisti al
capitalismo, ammirato come transizione “ineluttabile”
al socialismo. La bulimia confindustriale del
Consorzio Venezia Nuova, già sull’orlo della disfatta
grazie alle virtù valsusiane dei veneziani, ne ha
cavato conforto, brindisi e prospettive auree. E
pensare che fra vent’anni quel carcassone di ferraglia
immanutenibile, ma dalle uova d’oro, grazie allo
scioglimento dei ghiacci sarà superato da “acque alte”
che quelle attuali, da stivaloni, parranno dune
libiche. C’è poi stata, dopo una caterva di critiche,
riprovazioni, dimostrazioni, da spiaccicare al muro il
più petulante dei grilli parlanti, la replica
dell’augusta madre di tutti i comunismi. Basterebbe
l’incipit per sottolinearne disponibilità, modestia
tecnologica e apertura al dubbio: “Con
gli interventi pubblicati ieri si chiude, per quanto
mi riguarda, la discussione aperta da un mio articolo
su Venezia…” Chiuso, finito, chi ha avuto
ha avuto, si buttassero pure in acqua centomila veneti
a bloccare il mostro: populismi plebei. E indi giù
cinque colonnone di vaniloquio burocratico-apodittico
senza un cencio di argomentazione che potesse
incrinare la granitica solidità degli esperti perbene.
Una stampella agli
stragisti delle Torri Gemelle, carezze a Sofri
Stessa sicumera, del
resto, su fatti di ancora maggiore portata planetaria,
quando il giornale offre praterie di (brutta) carta al
contrasto contro la crescente fiumana di negatori o
disputatori, anche di altissimo livello intellettuale
e tecnico, della grottesca versione ufficiale dell’11
settembre e seguenti. Costoro sono sistemati a forza
di “psicopatici”, “paranoici”, “dietrologi”, “complottisti”.
L’anonima stragi di Washington merita il premio di
quel cretino di Striscia la notizia che va in giro
assegnando “gongoli”. Il “manifesto”, invece. merita
la croce di ferro con diamanti e allori dei militanti
al servizio dell’impostura del millennio.
Lasciamo perdere
l’indecoroso abbaiare del “manifesto”, in coro con
tutti i cani del razzismo occidentocentrico, su Saddam
e sul suo assassinio. L’unico a ringhiare contro, non
ripetendo il mantra Usraeliano del “dittatore
sanguinario” dai crimini peggio di Gengis Khan e
Hitler, è Stefano Chiarini. E non si sa come ancora
sopravviva in questo bollettino degli stereotipi
imperialisti tinti di rosa e di
pietas
cristiana, vedi l’appalto di buona parte degli Esteri
ai melliflui e caritatevoli cattolici di “Lettera 22”,
di “Misna”, di “Terres des hommes” e di trucidissimi
onganisti vari, tutti missionari in vorace appetito di
guerre da deplorare per poi farne greppia (grazie
viceministro alla cooperazione del “governo amico”,
Patrizia Sentinelli!).
Ma non lasciamo perdere
il superpezzo scritto sotto il titolo, al solito di
elegante modestia, “Consuntivo”.
E già, chi se non la “ragazza del novecento” poteva
redigere un irrevocabile e implicitamente
inconfutabile “consuntivo”? I consuntivi li fanno i
monarchi, i maitre
a pensee, presidenti e duci, segretari
nazionali, capibastone e capi officina, sindaci e
certificatori di bilanci
Nonostante le
perplessità che sulle valutazioni di Rossanda a molti
erano venuti fin dall’accanita e irrevocabile difesa
fatta, senza il benché minimo accenno alle nefandezze
politico-letterarie, del rinnegato sharonista e
bombarolo virtuale di Jugoslavia e di tutto il resto,
Adriano Sofri (per antica consorteria, per
dabbenaggine, per astuzia giudaico-cristiana?).O
dell’analoga apodittica perentorietà sull’integrità
delle Brigate Rosse di seconda generazione – parlo dei
capi, tutti fuori; non dei seguaci ignari,
rispettabilissimi perciò tutti dentro -, attribuiti
al famigerato “album di famiglia” (i ministri degli
interni Dc ancora si commuovono), anziché al manuale
Cia degli anni ’50 in cui si pianificavano
dettagliatamente virgulti di questo tipo per
intralciare il cammino delle sinistre di massa e
d’avanguardia verso un potere antiatlantico. Un
sospetto piccolo piccolo non le poteva venire dalle
capriole di gonfalobieri rivoluzionari come Brandirali,
Liguori, lo stesso Sofri, Pietrostefani, Lerner,
Riotta, Ferrara, Panella, Capuozzo, Boato e tutta
l’armata di guardie bianche transitata dalle barricate
e dai Vietcong, ai Consigli d’amministrazione, a Vespa
e ai marines? Un po’ di
Stay behind
per le bombe di destra, e un po’ di sparatori di
“sinistra” per gli attentati a esponenti progressisti
e a governanti filoarabi.
La protervia è la madre
di tutte le cantonate e però diventa oggettivo
collateralismo quando va a puntellare i muri maestri
della costruzione del nuovo ordine mondiale.
Su Saddam ignoranza e
vergogna
Per esempio quando ci si
occupa di Saddam, o del Darfur, puntato dal
colonialismo, o della Cecenia greggioconducente da
strappare alla Russia, ove si fornisce gratuito
avallo, tanto più grave perché da “sinistra”, alle
fandonie che una strategia, fondata su guerra,
genocidio, impoverimento e fascistizzazione
universale, deve necessariamente diffondere per
ottenere, se non il consenso, la passività dei
sudditi. Veniamo dunque al maestoso
consuntivo
rossandiano. Stigmatizzate, come di prammatica da
Bush a Re Abdallah, le modalità del linciaggio del
legittimo presidente iracheno (manco una parola sulla
dignità e sul coraggio con cui l’uomo ha affrontato i
carnefici), è assestatasi così sul
politically correct,
ecco che l’astuta analista si mette a
ripetere in la minore le fregnacce strumentali del
comander in chief:
Saddam era bell’e liquidato dopo la cattura e la
spiata che lo aveva fatto tirare fuori dal buco ed
esaminare come
una vacca al mercato,
esordisce con trasparente disprezzo per il soggetto e
malcelata soddisfazione per la “liquidazione”.
Rossanda avrebbe il dovere professionale di nutrire le
sue aporie con qualcosa di più serio della
“Repubblica”, del TG1, o del “New York Times” . Se lo
avesse assolto, avrebbe saputo delle smentite
documentate da testimoni e dagli stessi comunicati
interni Usa, che il presidente iracheno nel buco c’era
stato messo dagli scagnozzi statunitensi un paio di
mesi dopo essere stato catturato con una sparatoria
nella casa del parente che lo ha tradito. Sentenzia
poi la nostra storica e qui la spocchia si nutre di
ignoranza mescolata a impudicizia: “Né
l’Iraq né il mondo sono stati molto turbati dalla sua
seconda fine..Saddam era finito (e dagli!).
Forse la prestigiosa madre di tutte le arroganze è
stata lei a essere poco turbata dall’obbrobrio degli
uni e dal valore dell’altro. Forse non considera –
parossismo di incancrenito eurocentrismo – i popoli
arabi parte del mondo. Che nelle settimane dopo
l’assassinio, decine di migliaia di iracheni si siano
mossi verso la tomba del loro presidente, da tutti i
pizzi del paese, sfidando quel che ben si può
immaginare sarebbero state le conseguenze nel
mattatoio degli squadroni della morte Usa- iraniani di
Moqtada al Sadr; che in tutti i paesi arabi, dallo
Yemen alla Giordania, dall’Egitto all’Algeria, dal
Qatar al Sudan e alla Siria (prossime vittime dei
tagliatori di teste euro-israelo-americani, agevolati
dagli anatemi umanitari di Rossanda e Co.) continuino
a svolgersi manifestazioni di odio agli assassini e di
onore a Saddam; che anche nella nostra parte di mondo
“non turbato” milioni di coscienze non avvizzite
abbiano espresso, almeno in rete, orrore per
l’impiccagione e per lo tsunami trentennale di
calunnie che l’hanno agevolata; che già soltanto la
mia personale afflizione-esecrazione era tale da
colmare le voragini di insensibilità di questa maestra
del pensiero “antagonista”, tutto questo nelle
ammuffite stanze della torre d’avorio capalbiese non è
potuto penetrare.
L’autrice paga poi pegno
alla propria reputazione di fine letterata vagolando
nel più e nel meno:
Siamo alla
riproducibilità dell’opera d’arte nell’età della
tecnica che permette a chiunque di ripetersi
l’esecuzione in casa quando gli gira… questa è la
modernità o postmodernità (?), per tornare
con foga all’oggetto sociale preferito dal giornale in
sintonia con gli indirizzi propagandistici dei
planeticidi. Per accreditare la validità delle varie
pere tossiche fatte all’opinione occidentale dagli
uffici di intossicazione della Cia e del Mossad, ci
sono due modi: ingigantire il fatto, o sminuirlo. La
seconda opzione è la più scaltra: si dà l’impressione
di non essere cascati nella psicosi terroristica
alimentata dai cani di guerra e di tirannia, si prende
una qualche elegante distanza da Rice, Rumsfeld,
Cheney, D’Alema e Olmert. Molto chic. L’effetto rimane
lo stesso: si accredita quello che, dopo la favola di
Cristo, è il raggiro dell’umanità dalle conseguenze
più tragiche.
Così Rossanda ci
istruisce che non è mica stato l’attacco alle Torri
Gemelle a segnare lo spartiacque del secolo,
lo spettro di un
terrorismo che si ergeva inaspettato e possente contro
la nostra ricca e calcolatrice civiltà. Questa tesi…è
andata spegnendosi con Al Qaida, congegno nascosto e
poco attivo, a conti fatti evento minore
(sic!). Poco conta
infatti Osama bin Laden… e, quanto all’uccisione di Al
Zarkawi in Iraq, non ha segnato discontinuità alcuna.
Né è Al Qaida ad agitare l’Afghanistan. A distanza di
neanche dieci anni , l’attacco alle due Torri appare
un feroce fuoco d’artificio, dall’effetto ampliato
dalla tecnica di costruzione (sic!)dei
due edifici, che ha ferito l’invulnerabilità degli
Stati Uniti e dato corpo all’organizzazione di
un’enorme vendetta…. I conti sono stati saldati sulla
pelle di un paese come l’Iraq… Ragazzi,
viene a mancare il respiro davanti a un’Al Qaida
“congegno nascosto e poco attivo, a conti fatti evento
minore”! Qui non si sa se ci si deve inchinare a un
cinismo da salotto di Talleyrand, o se si deve correre
a strappare le vesti alla veneranda signora per vedere
che cosa cazzo c’è sotto a tanta improntitudine. Per
quell’evento minore, poco attivo, a cui si sono
attribuite carneficine di migliaia di innocenti in
grattacieli, metropolitane, treni, alberghi,
discoteche e, con l’ologramma Zarkawi (ma non hai mai
letto gli annunci funebri angloamericani per uno
Zarkawi, rozzo tagliagole al servizio degli Usa in
Afghanistan, disintegrato alle bombe in Curdistan nel
2003? Perché non lo chiedi a sua moglie?), una buona
fetta dei 650.000 sterminati in Iraq dal 2003, siamo
finiti in guerra dopo guerra, in bagni di sangue che
nessun Hitler avrebbe mai sognato di eguagliare.
Grazie a quell’”evento minore”, un’America in crisi
strutturale e sull’orlo della bancarotta da debito e
sovrapproduzione, ha potuto riattivare la locomotiva
del complesso militar-industriale e trascinarsi dietro
mezza umanità. E’ quell’evento che sta alla base del
fascismo dilagante in tutto l’Occidente, della
demolizione della democrazia pur formale, della
liquidazione di ogni norma di diritto internazionale,
della legittimizzazione e a volte legalizzazione del
sequestro e della tortura, della detenzione senza
processo e sul sospetto, del genocidio strisciante,
anzi galoppante, condotto, tra i sorrisi dei cicisbei
atlantici e nel consenso di una popolazione
intossicata di razzismo bellicista, fino alla
colonizzazione di una città veneta a fini di sterminio
di genti consentita dal “governo amico” di
centrosinistra, lestissimo ad affrontare problemi
“urbanistici”. La pericolosa stolidità di una simile
minimizzazione – che vorrebbe apparire alternativa al
pompaggio dell’11 settembre, di Al Qaida, del
“terrorismo islamico”, fatto dai pianificatori della
paura e della conseguente sottomissione – è aggravata
dall’esplicita conferma di tutti i paradigmi inventati
dall’imperialismo nazisionista e utili alla sua
affermazione.
Con questa capifila dei
fanciulli invecchiati nel buio del pifferaio con
stella di Davide e stelle e striscie, non ci si cessa
di stupire. A due giorni dall’exploit di oggettivo
fiancheggiamento al mito del terrorismo islamico,
Rossanda si produce, dopo anni dal disvelamento
dell’operazione Vaticano-Cia chiamata “Solidarnosc”,
nell’ennesimo tributo al genio di Adriano Sofri,
definito “il più saggio e informato” commentatore
degli eventi polacchi attorno alla cacciata di un
vescovo che, poveretto, aveva sfiorato per motivi di
lavoro il servizio segreto comunista. Quel Sofri che
torna a esaltare la vicenda del sindacato
destabilizzatore filosionista e filoUsa, dopo aver
negli anni fornito benzina e bombe ai
cacciabombardieri Nato con la menzogna delle “stragi
del pane” di Sarajevo. E tutti e due giù a commemorare
con tenera nostalgia arnesi della controrivoluzione
come Kuron, Michnik e Modzwelewski che, facendosi
scudo della giusta rabbia operaia di Danzica, hanno
spianato la strada agli orridi gemelli fascisti oggi
al potere a Varsavia.
Sgrena, ostaggio degli
islamici
o dell’islamofobia?
Se l’islamofobia,
intrecciata a temi come il terrorismo e il
fondamentalismo islamico, di programmata derivazione
dall’autofagia dell’11 settembre, rappresenta la
cornice culturale e politica per la guerra globale
preventiva e permanente di sfoltimento dell’umanità e
di garanzia di potere per le elite occidentali, alla
scuola di Rossanda si sono formate, fino a superare la
maestra, altre protagoniste. Sorvoliamo sul Marina
Forti, interlocutrice della borghesia chic di Tehran,
con il suo Iran da stigmatizzare in termini olmertiani,
non già perché d’intesa con gli occidentali sbrana il
popolo iracheno e punta farne un’estensione del
proprio espansionismo subimperialista, ma perché, tra
veli e difesa della sovranità, insiste a percorrere
una strada che non conduce ai Wall Mart e alle tette e
natiche carlucciane. Soffermiamoci, invece, su
un’autentica protagonista dell’involuzione del
“manifesto”: Giuliana Sgrena. L’abbiamo trovata
insopportabile già ai tempi di quel bigottismo
democraticista e occidentocentrico con cui affrontava,
decontestualizzandole come meglio non potrebbe una
qualsiasi Giovanna Botteri (moglie di quel Lanfranco
Pace, ex-Potop, oggi reggicoda di Giuliano Ferrara e
corifeo di qualsivoglia delinquenza politica
imperialista), realtà complesse, lacerate tra
autodeterminazione e voracità colonialiste, come
l’Algeria o l’Iraq. Ma le avevamo perdonate molte cose
alla luce del sequestro subito a Baghdad. E’ vero che
ci eravamo chiesti come mai, al ritorno, ristabilita e
onorata, non avesse mai scritto una parola di quello
che le profughe intervistate nell’ospedale le avevano
raccontato (verosimilmente il massacro al fosforo di
Falluja, appena successo) durante le due ore trascorse
con loro prima del rapimento. Dovemmo aspettare
l’ottimo Sigfrido Ranucci, di RaiNews24, per scoprire
quei crimini. E’vero anche che ci siamo stupiti del
suo silenzio, tuttora rigoroso, sul quarto uomo
presente nella vettura di Calipari secondo le
dichiarazioni sia del suo direttore, sia dell’unità di
crisi a Palazzo Chigi (verosimilmente il capo dei
rapitori che, dal servizio agli Usa, era passato, per
congruo compenso e promessa di espatrio, a quello del
Sismi). Ma abbiamo capito e compatito. Sono cose che
possono comportare rischi pesanti. Ma che ora Sgrena
debba addirittura eccedere nei favori a coloro che,
con ogni probabilità hanno inflitto afflizioni
tremende a lei come ai tanti altri rapiti non in
sintonia con un potere che punisce i non
embedded,
beh, questo ci risulta proprio inaccettabile.
Sgrena di Somalia
Il 12 gennaio 07,
l’autorevole “commento” a firma Giuliana Sgrena, una
giornalista zeppa di pregiudizi da “Piccole Ancelle
di Maria”, si apre con il titolo
L’incubo somalo di
Bush. E già siamo a un rovesciamento: i
somali – ed è inteso che si tratta delle Corti
Islamiche – sarebbero un incubo per la vittima Bush, e
non Bush, con i suoi fantocci del governo da provetta
e degli ascari etiopici del tiranno fantoccio Meles
Zenawi, sarebbe l’incubo dei somali. Sappiamo tutti
come stanno le cose. Non Sgrena, che naviga nelle
tempeste sfiorando appena le increspature di schiuma,
bastonatrice che è di musulmani – a meno che non
soffrano e piangano - ovunque le capitino a tiro e
corifea, al pari della collega Forti, delle borghesie
compratore del terzo mondo, quelle “emancipate” e
occidentalizzate, sulle quali fa grande affidamento il
colonialismo di ritorno (vedi la sua esaltazione di
una “primavera berbera” in Algeria, fomentata dalla
Francia in funzione secessionista). Anche se sono
quelli che in Palestina raccolgono l’ansia di
resistenza, democrazia (non formale e truffaldina come
la nostra) e onestà della stragrande maggioranza della
popolazione. Anche se in Libano sono laici e
pluralisti che il meno cattolico dei cristiani può
andare a nascondersi (tanto che su costoro Sgrena ha
voluto sorvolare, preferendo riempire un paginone di
confusi discorsi sulla nostra benevolente
“cooperazione” in Libano). Anche se in Somalia, dopo
15 anni di caos dei predoni della guerra, fomentati e
foraggiati dagli Usa e anche da noi, hanno saputo
dare, almeno per sette mesi, un momento di tregua,
ordine, ricostruzione, dignità, vita, alla gente.
Magari bandendo qualche film, di quelli che insozzano
l’intelletto e il buongusto e, orrore! apendo qualche
moschea. Mai sentito Sgrena deplorare le chiese
cristiane che butterano la terra di altre credenze.
Cito alcune delle
mininukes USraeliane che, tralasciando
addirittura quel poco di piagnucolio che riversava
sulle vittime irachene, mentre ne stigmatizzava
compunta la resistenza, anzi, la “violenza”, la
superdecorata del “manifesto” ha saputo immettere nel
colonnino di “il commento”. Non so se la giornalista
in Somalia ci sia mai stata. Certo non ci ha messo il
naso da quando lì il vento aveva cominciato a cambiare
grazie alle Corti. Sull’invasione degli etiopi, nemici
storici dei somali e sostenitori di un
governo-burletta nominato dalla Cia e da notabili
fuorusciti e stranieri in Kenya, ha da dire:
Inizia anche in
Somalia la caccia ai terroristi, che sarebbero
appoggiati dalle Corti islamiche. Se i terroristi sono
arrivati in Somalia,
e non è da escludere
(neretto mio)…
Embè, quando ci sono i
terroristi islamici…
Sul termine
“terroristi”, caro a coloro che li innescano
dappertutto perché lubrificante del motore delle
invasioni e occupazioni, Sgrena non mette le
virgolette manco glie lo avesse chiesto il povero
Calipari. Naturalmente che questi ci siano
non è da escludere,
come detta la criminalità organizzata occidentale,
sennò come si fa a sfoltire popolazioni di pastori,
pescatori e agricoltori che si erano illusi di poter
riprendere in pace una propria strada nazionale? E se
Hamas e Hezbollah e i partigiani iracheni e gli
indipendentisti sardi e i venditori di kebab londinesi
e gli imam di Milano e gli attivisti dei circoli
bolivariani sono terroristi, vuoi che non lo siano
quei selvaggi di somali? Il maresciallo stragista
Graziani, che fin nel sepolcro esibisce il bacio del
grande baciatore di mafia (sentenza di Palermo), si
sente del tutto riabilitato. Al pari di questi, erano
ovviamente terroristi anche i resistenti abissini. La
cara ai missionari Sgrena scrive poi del “precipitoso
ritiro Usa… dopo
l’assassinio di 18 soldati americani.
“Assassinio”, capite, non uccisione, o, che so, la
morte, l’eliminazione. Assassinio ha un sapore
preciso. Per Saddam hanno parlato di esecuzione, hanno
scritto che è stato “giustiziato”…Poi dagli ai sauditi
che esportavano il loro orrido wahabismo (il nostro
cristianesimo, per i cui fogli la Sgrena scrive anche,
ha portato solo rose e libero arbitrio)
travestito da aiuti
umanitari e business (campi profughi,
orfanotrofi, scuole,
dove le bambine
–orrore-
fin dalla più tenera età erano velate e studiavano
arabo). Poi, che bruti opportunisti questi
islamisti: se portavi il chador
ottenevi 100 dollari
al mese. Categoricamente escluso che abbia
mai potuto essere la libera scelta della ragazza, quei
gonzi di somali si facevano infilare il corano anche
nel naso. E ancora: integralisti che tagliano mani e
piedi ai ladri (le fonti, prego, Sgrena! L’Office
of Strategic Information del Pentagono
forse?), che sostengono i taleban – schiuma della
Terra – con quell’integralista di Jama Ali Jama che
guidava (secondo gli USA, ma Sgrena non obietta)
il braccio somalo di
Al Qaida, nientemeno. Viene in mento quell’Al
Qaida che Israele ha tentato di seminare a Gaza tra i
palestinesi e che quelli hanno subito saputo
smascherare e denunciare come operazione sharoniana.
Di passaggio, si sputtana l’Eritrea quale
alleata di Israele,
che però sopravvive al boicottaggio occidentale e
all’aggressività Usa-etiopica grazie agli aiuti arabi.
Conclude in bellezza l’ex-rapita: spernacchiati coloro
che difendono le Corti
in nome della pace e
della sicurezza, ecco una strombazzata
finale tra le cui righe risuona la marcia dei marines:
Quella delle Corti era una sicurezza
che, come
nell’Afghanistan dei Taleban , si basava sul terrore
(sic!), chiusura
del cinema, proibizione della musica e dei matrimoni
tradizionali. Quel che è certo è che tra intervento
(intervento!)
etiope-americano e il
terrore (terrore!)
dei taliban
(taliban!)
somali, ogni soluzione negoziata è pregiudicata.
Così, ore che la Somalia è stata restituita
al settore imperialista delle mattanze di sfoltimento,
almeno il 50% della colpa è di quei terroristi delle
Corti (sotto le quali la mattanza era diventata
ricostruzione).
Tutto questo non è firmato dalla sorella
soft di Magdi Allam. C’è scritto Giuliana Sgrena, del
“quotidiano comunista”.
Grimaldi di Somalia
nel post-craxismo
Sono stato anch’io in
Somalia, primo giornalista italiano dopo
l’abbattimento del burattino sovietico e poi
statunitense Siad Barre, intimo di festini e porcate
finanziarie dell’oggi ampiamente rivalutato (anche dal
PRC) ladrone Craxi. Era il marzo del 1991 e a
Mogadiscio si fronteggiavano il generale Mohammed
Farah Aidid e un capoclan di nome Ali Mahdi. Aidid era
l’eroe della rivoluzione, avendo mobilitato il paese
per la cacciata del corrotto figuro bushian-craxista,
Ali Mahdi era un rotondetto signorotto della guerra,
oggi di nuovo nelle foto-ricordo dei fantocci, che
stava simpatico agli italiani e all’Occidente in
genere perché garantiva sottomissione coloniale.
Siccome le bande di Mahdi non ce la facevano contro un
Aidid sostenuto dalla maggioranza della popolazione e
da tutta la nobilissima intellighenzia somala, come si
sa intervennero, nel paese “fratello”, torturatori
italiani, Black Hawk statunitensi e salmerie varie.
Aidid sconfisse anche questi invasori e Sgrena non
ricorda che dall’altra parte dei 18 marines
“assassinati”, ci furono 3000 somali massacrati dagli
occupanti. Ali Mahdi era l’uomo di Mario Raffaelli,
sottosegretario per l’Africa del regime Craxi e delle
sue malversazioni. Oggi è l’uomo di Prodi nella stessa
colonia da recuperare. Aidid morì, il figlio tralignò
ed è oggi uno spione degli Usa (pensate al figlio di
Maurizio Ferrara, dirigente del PCI). Dopo di me, in
Somalia la Rai mandò varie Giovanne Botteri, per dire
emissarie mediatiche della mistificazione e rimozione
colonialista. Faceva eccezione la mia collega del TG3
Ilaria Alpi che, pur aderendo all’invenzione degli
“estremisti islamici”, si distinse per le bucce che
fece alla cooperazione italiana di Craxi-Raffaelli,
mettendo il naso nella fogna dello scambio rifiuti
tossici-armi tra La Spezia e Trapani, tra una cosca
massonico-pcista e la Comunità trapanese Saman del
brigante Mimmo Cardella (riparato in Nicaragua) e del
capoccia lottacontinuista Giorgio Pietrostefani, che
ne curava la copertura francese (riparato in Francia).
E ci rimise le penne e qualcuno dei suoi assassini fa
il generale, qualcun altro il sindaco, qualcuno il
faccendiere. Sgrena, perché non dai un‘occhiata a
questa vicenda? Un minimo di solidarietà tra colleghi,
anzi, tra donne, no? Non interessa, non ci sono
“terroristi islamici” da satanizzare in coro con i
nazisionisti di Washington, Tel Aviv e circondari?
Perché si perdono
lettori, una domanda che la spocchia non si pone
Attraversare “il
manifesto” è come frugare nella fangazza dei cercatori
d’oro brasiliani. Ci vuole una vita per trovare
qualche pepita, Chiarini, Dinucci, Matteuzzi, Robecchi,
Vauro, gli sportivi, i contributi di Cavallari,
Manisco, Petrella… Ma è un percorso in cui ci si
imbratta tutti. Superati infine anche i roveti delle
pagine culturali, perlopiù tanto astruse e dal
linguaggio così intorcinato e autocompiaciuto da far
pensare a una lucida intenzione di far sentire idiota
chi legge e non ha tre lauree, o un Umberto Eco
sottomano,. tocca andare a risciacquarsi i panni in
rete. Non è questo, comunque, il problema maggiore. Il
problema maggiore, una vera tragedia per chi è appeso
a questa travicella di carta nel liquame dell’imperial-capitalismo
di fine impero, è che dalla travicella ci trafiggono
gli spuntoni delle menzogne dei terroristi bianchi,
cristiani, indoeuropei. Quegli aculei velenosi che
costituiscono lo scheletro che regge l’intero
organismo della ricolonizzazione, dell’abominio
fascista, della criminalità al potere in quasi tutto
quel mondo che se la tira da Civiltà Occidentale. E
ancora peggio è che questo giornale, guadagnatosi una
certa fiducia negli anni delle nostre consonanze con
le carinerie politicamente corrette cucite su questi
stereotipi finalizzati alla lobotomizzazione
universale.- la condanna delle guerre, le denuncia
delle atrocità relate, saggi sul Terzo Mondo… – e
addirittura di alcune valide battaglie – Valsusa,
ambiente, pensioni, precari… -alla fin fine ci dà a
bere il cianuro coperto di zucchero. E sono pochi
quelli che non se lo succhiano.
Cialtrone slavo
Tommaso di Francesco,
che sarebbe innocuo e anche gradevole nelle sue
geremiadi sulla Jugoslavia perduta, non resiste alla
coazione a ripetere, con il suo
contropulizia
etnica in ogni articolo, quasi fosse un insopprimibile
herpes, la bufala infame della “pulizia etnica”
attribuita ai serbi a giustificazione dello
squartamento dalemian-clintonian-woytiliano di quel
che restava della Jugoslavia. In ciò si affianca ad
altri combattenti della frode fintopacifista, alla
Sofri, Alex Langer, quell’”equilibrato” Remondino che
non fa un pezzo senza menzionare il “despota”
Milosevic, dove il termine “despota” pare il Viagra
dei suoi exploit cerchiobottisti, e poi crociferi di
Sarajevo vari. Ma consentire, lui che è responsabile
esteri, di andare in una prima pagina che potrebbe
essere di “Libero” a un gentiluomo che apre il suo
pezzo con: Sulla
morte di Saddam non c’è da versare una lacrima,
vuol dire
distruggere anche quei festoni
umanitar-compassionevoli con cui il giornale già di
Barenghi (“preferisco i marines ai tagliatori di
teste”, oggi correttamente alla Stampa) suole coprire
i peggiori luoghi comuni del nemico di classe.
L’autore poi prosegue con la solfa
corrotto, dittatore,
autoritario, in lotta per il potere e guidato da
brutali considerazioni pragmatiche
che lo portarono a
collaborare con gli Usa per tutti gli anni’80.
E l’eterna fanfaluca del “Saddam uomo degli
americani”, per quanto nazionalizzatore del petrolio
angloamericano, nemico perenne di Israele e unico
sostenitore dei palestinesi, organizzatore del Fronte
del Rifiuto contro Camp David del ’79, polo nazionale
arabo contro un Iran prima con lo Shah e poi con gli
ayatollah legati da armi e quattrini a Israele e agli
Usa, ora anche nella spartizione dell’Iraq. Il
“giornalista” non si stanca di spappagallare l’eterna
fola secondo cui il ministro dell’informazione di
Saddam, Saeed al Sahaf, i cui precisi resoconti potei
ascoltare di persona ogni giorno dell’assalto Usa,
raccontava micidiali balle (le raccontavano i generali
Usa a Doha) e “coi tank americani a Baghdad” ripeteva
che la città sarebbe stata la tomba degli aggressori:
quanto avesse ragione viene dimostrato dalla bella
media di 5 occupanti liquidati ogni giorno. Alla fine,
poi, rivela i suoi tratti più intimi:
Il crimine più grande
di Saddam: il suo tentativo di rovesciare il governo
iraniano. Bel lavoro a copertura
dell’attacco di Khomeini all’Iraq – ero sul posto –,
di Khomeini finanziato per otto anni dal Congresso Usa
(vedi gli atti) e armato da Israele (Iran-Contras).
Grazie a un’intuizione folgorante, lo scrivano ha
un’idea di assoluta rettitudine legale e morale:
perché non consegnare Saddam all’Aja come Milosevic?
E, dunque, massacrato da una farsa processuale ed
elegantemente avvelenato, anziché volgarmente
impiccato. Almeno Carla del Ponte non gli avrebbe
preso a calci la testa, come ha fatto Moqtada al Sadr,
il boia al guinzaglio Usa (quello che per il Campo
Antimperialista è un leader della Resistenza). “Il
manifesto” glielo fa dire, Tommaso Di Francesco glielo
fa scrivere. Saddam mazziato, il lettore cornuto..
Questo “compagno di
strada” si chiama Slavoj Zizek. Chi ha pianto sulla
Jugoslavia e su Milosevic lo conosce. Zizek dovrebbe
andare in Iraq. Gli saprebbero rispondere.
Intanto gli risponde
Saddam Hussein, dal luogo a cui tutti gli arabi e gli
oppressi ora guardano per ispirazione, coraggio,
futuro: Combatto
la tirannia Usa in nome degli iracheni, degli arabi,
dei popoli di tutto il mondo. Quanto a me, ho operato
per gli arabi e ho fatto il mio dovere. Sono convinto
che il popolo iracheno combatterà fino all’ultimo. Non
accetterà mai un dominio straniero. Non m’importa di
morire, non è che sono molto attaccato a questa vita.
Per ogni essere umano c’è un tempo per andare. La vita
di ogni singolo iracheno vale la mia.
Il “manifesto” non
pubblicherà mai queste parole. Forse perché i suoi
caratteri non sarebbero all’altezza. Come
“Liberazione” rifiutò di pubblicare la mia intervista
a Milosevic. L’ultima, prima che lo ingoiasse il buco
nero in cui rischiamo di finire, ballerini sul
Titanic
tenuti per mano da giornalisti “di sinistra”,
tutti noi.
Il resto sarebbe
silenzio.
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