MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

 

Bertinotti e la Folgore, Mai Masri nella rivoluzione dei cedri, Gabriele Polo contro Stefano Chiarini, Panzerpapa e terroristi, gli ernestini da sala d’attesa, antipedofili da guerra preventiva…

 

L’EPICA DELL’INCIUCIO: SONO ARRIVATI IN FONDO…E SCAVANO

 

 

10/05/2007

 

Bertinotti folgorato

Ancora una volta la croce di ferro con spade, alloro e diamanti, massima onorificenza del Reich, non può che spettare al leader di Rifondazione Comunista addobbato da Presidente della Camera. Ma è soltanto la punta di un berg che non ha niente di ice, ma tutto di shit, baby! (ohè, mica solo i vernacolari della radiolina possono sparare report  e altri inglesismi da checchismo di borgata. E’ questione di life-style e tutti abbiamo diritto a un po’ di glamour da colonizzati, okay?). Tornando all’agonizzante Dante, si parlava di deiezioni (shit).  Non è detto che debbano sempre uscire dallo stesso orifizio. In Libano, dove il Nostro iper-super-mega-nonviolento, modellandosi su Lidia Menapace tramutata in Menaguerra in occasione dei giochi afgani, si è manifestato da facinoroso della violenza, il guano revisionista ha cosparso il territorio a partire dalla bocca. In un parossismo orgasmatico, innescato da massicce dosi di viagra militarista, il peripatetico guru  della nonviolenza ha calzato anfibi d’assalto, casco da sbarco, tirapugni da commandos, lanciafiamme da Terminator  e ha sterminato d’un botto, tutto da solo, qualche centinaio di migliaia di pacifisti con questa esternazione al fosforo bianco: “La Folgore? La migliore vetrina del paese”. Un vero conte Ugolino, con i canini sul cranio dei figli. Che ora si trovano, da ghandiani che erano del disarmo universale (scrupolosamente riservato ai deboli e buoni, cioè a quelli che le prendono), a dover attaccare sopra il letto i poster dei torturatori di Somalia, o dei fucilatori di ambulanze a Nassiriya. Ha fatto di meglio, Bertinotti, delle bombe a grappolo israeliane, tanto che non c’è libanese che ora non inciampi sulle deiezioni in questione: “Questa missione è la migliore vetrina per l’Italia… Vi sono grato e sono orgoglioso di appartenere a questo paese… Bisognerebbe che i politici ascoltassero questi militari, venissero qui in Libano a vedere la loro capacità di comprensione… La loro è davvero una presenza militare di pace…Se qui ci fosse una Ong, farebbe le stesse cose che fate voi… mi sono proprio commosso a vedere le divise dell’esercito con i bambini…” Quest’uomo, nei suoi pavoneggiamenti tra Vespa e Valeria Marini ci aveva abituato a tutto. A quello che, nei nostri tremendi limiti intellettivi, pensavamo che fosse il tutto. E’ sublime, riesce ancora a farci rivoltare lo stomaco.  Con coerenza filosionista, in Libano ha meticolosamente evitato di dare anche solo un’occhiata ai campi profughi di 400.000 palestinesi, e tantomeno al sacrario di Sabra e Shatila voluto da Stefano Chiarini. Nella Palestina Occupata ha saputo parlare al parlamento palestinese, dopo aver amoreggiato con i capi sionisti, mostrandosi faziosissimamente equidistante tra vittime e carnefici e arrivando ad auspicare una solo graduale rimozione del muro alla Auschwitz che incarcera 4 milioni di palestinesi. C’è qualcuno che ancora si rifiuta di vedere cos’è stato capace di fare questo taumaturgo, dal 1993 in poi, nel saltare sulla zattera dei comunisti e degli antiguerra sopravvissuti a Occhetto e trasformarla giorno dopo giorno in qualcosa tra il panfilo da crociera per domestici e liberti, e la corazzata da sbarco per ascari da rivincita coloniale? Vista la nessunissima differenza che intercorre tra i motivi e gli obiettivi dei due episodi, e le rispettive mimetizzazioni da spedizioni di pace e civiltà, dopo l’eulogia agli occupanti anti-Resistenza e filo-Quisling del Libano, il minimo che ora il Bertisconi ci può dare è un cantico in onore del maresciallo Graziani, pacificatore di Libia e Abissinia. Sai quanto lo apprezzerebbero gli eccellenti prodotti della sua “migliore vetrina del paese”: Diavoli neri, Pantere Indomite, Sorci Verdi, Condor, Leoni, tutti irreprensibili sacerdoti della nonviolenza.

 

“Essere comunisti”… di complemento

Fa singhiozzare dagli sghignazzi, a questo punto, colui che per un milione di euro dovete collocare nella casella sciasciana appropriata: a) uomini, b) ominicchi, c) ruffiani,  d) quaquaraquà. Il personaggio è Claudio Grassi, un ercolino che le stalle di Augia (Bertisconi) non le ha ripulite, ma divorate tutte, già leader carismatico, a dispetto della statura fisico-etico-politica, dell’Ernesto, opposizione di servizio del sovrano e, oggi, così si firma con notevole sprezzo del ridicolo, coordinatore nazionale dell’area “Essere comunisti”, un altro miscione di illusi e poltronari da congelare in eterno nella sala d’attesa della rifondazione comunista. Da scudiero intellettuale gli fa Bruno Steri che, tenendo famiglia, sopperisce alle voragini culturali del nostro. A Grassi hanno sottratto il giocattolo con il quale è riuscito a prendere per i fondelli durante quasi un paio di lustri tutti quei bravi compagni cui si rizzavano i capelli a ogni progressivo spostamento del piacere bertinottiano e del dispiacere comunista, la rivista “L’Ernesto”. Nel generale spappolamento di un partito divenuto caleidoscopico fenomeno da baraccone, il periodico è stato fatto suo dalla frazione di Fosco Giannini, quello di cui i maligni dicono che “tanto tuonò che non piovve”, ma uno che, rispetto al meticoloso lavorio del perito in guinzagli emiliano, bravissimo a far bollire la rabbia della base fino a ridurre il brodo a due gocce di tisana, alza la voce e sventola vessilli rossi. Staremo a vedere. Intanto ha votato, insieme a Grassi, controllore di corte di bassotti incazzati, per lo sbarco colonialista in Libano e per l’invasione-occupazione colonialista dell’Afghanistan. E non mi dite che non sono cose dirimenti. O ci facciamo prendere per il culo dalla veneranda bombarola afgana, Lidia Menaguerra, che da una sessantina d’anni annaspa disperata per travestire da ghandismo il suo passato di partigiana nella lotta armata di liberazione. Ma queste, rispetto alla grandezza epica del trasformista Bertisconi, sono miserie…

 

Il piatto nazionale? Inciuci alla  panna

Anni fa feci un servizio su una moda che stava rubandoci il mare e butterando il territorio di oscene strutture acquatico-demenziali, gli acquaparchi, dove, nel gaudio dei farmaceutici, bambinelli e ragazzetti si avvelenavano di cloro e colibatteri, anziché curarsi con iodio e salino (nei mari allora ancora liberi dalla varicella dei porti turistici). Mi torna in mente quella piscina in cui, da sponde opposte, si tuffavano due grandi scivoli che, da ambo i lati, scaricavano nella stessa pozza ad altissima densità microbica raffiche di schiamazzanti gaudenti. E pare davvero la metafora della convulsa corsa, da linee di partenza opposte, all’incontro di tutti con tutti, di ognuno con ognuno che, affermando il microclinton da sinagoga Veltroni la non esistenza del conflitto – e peste colga chi lo afferma -,   costituisce la definitiva sodomizzazione delle classi che non partecipano né al banchetto coloniale, né al ladrocinio nazionale a crescente tasso di mafiosità. Si spiccano voli d’angelo da rive contrapposte, ma, con tuffi tripli carpiati, ci si ricongiunge tutti nella calda e morbida palude dello strozzinaggio d’élite. Così Bertisconi si commuove fino alle lacrime a vedere i nostri soldati accanto ai bimbetti libanesi, quelli che giorno dopo giorno, dall’agosto scorso, se si allontanano dalle macerie della casa disintegrata da Israele, finiscono spezzettati sulle bombe a grappolo dell’unica democrazia del Medioriente, quelle bombe a futuro genocidio che nessun Diavolo Nero si sogna di rimuovere. Sono i piccoli libanesi del Sud cui i Sorci Verdi dell’Unifil garantiscono che coloro che li hanno difesi dagli istinti stragisti del gremlin sionista, un giorno o l’altro, verranno disarmati e ridotti alla ragione coloniale. Sono i libanesi del futuro cui l’ONU, vale a dire Francia, Usa, Israele, Italia UE, ha garantito che, se si illudevano che potesse esserci, a sessant’anni dall’indipendenza, un Libano fuori dagli appetiti dei colonialisti di ritorno e fuori dal ladrocinio delle oligarchie compradoras, era meglio che si ricordassero di Sabra e Shatila, carneficina alla quale li consegnò appunto una spedizione di pace italo-francese del tutto analoga alla presente. Ricordate i commoventi bimbetti attorno ai commoventi bersaglieri del commovente generale Angioni? Bersaglieri di colpo spariti quando questi bimbetti venivano infilzati, Sharon coadiuvando, dai fascisti a Sabra e Shatila. Dove era allora il commuovibile Bertisconi? Che occasione persa per inebriarsi di piume al vento!

 

Rignano Flaminio? Le maestre come Valpreda

Che c’entra con gli incontri, accoppiamenti, aggregamenti, miscelamenti in acqua – a volte sottacqua – dell’Acquafan?  Spostiamo lo sguardo a Rignano Flaminio, dove è in atto una delle più efferate montature mai concepite dagli strateghi della paura a partire dai terrorismi di Stato e dagli “opposti estremismi”, fino ad arrivare all’11 settembre e ad Al Qaida. Un’operazione concepita e lanciata nelle segrete stanze dove, appunto, si ordiscono i grandi condizionamenti psicologici di massa, ma ripresa in perfetta congiunzione dagli scivoli opposti della stampa scandalistica di regime e da quella, in questo caso scandalistica anch’essa, di sinistra, “il manifesto” in testa. Tutti assatanati, con la bava alla bocca, di colpevolismo istantaneo e senza l’ombra di un dubbio su chi potesse tenere le fila di queste operazioni nello Stato delle Stragi di Stato. Una vicenda che, se sopravvive in questo paese anche un solo magistrato onesto nei gradi di giudizio che ci saranno, finirà, con i genitori torquemadisti e gli sciacalli mediatici che l’hanno sostenuta, nel museo delle cere degli orrori sociogiudiziari. Intanto, maestre, bidelli, benzinai sono stati tirati dentro a questa evidentissima manovra si intimidazione di massa e rovinati a vita, come e peggio i bambini che un destino infame ha fatto nascere in certe famiglie. Una lucida manovra  di sputtanamento della scuola pubblica che si permette di rivendicare la sopravvivenza, di discredito degli insegnanti che si permettono di chiedere lavoro e salario non da raccoglitori di cotone in Alabama, di esaltazione alla family day del bunker famigliare come, non più ricettacolo di ogni repressione e distorsione psicologica (povero ’68!), ma estremo fortino della difesa dell’imperfettibile esistente, dotato di lanciamissili contro i mille pericoli del fuori, dal musulmano al pedofilo, dall’eversore estremista al pederasta in agguato. E, soprattutto, una conferma che deve essere la famiglia e nessun servizio pubblico ad assumersi la responsabilità e il gravame della crescita e formazione delle future classi perdente e vincente, sfruttata e sfruttatrice. Cosa c’è di comune tra i bambini tra le grinfie  di questi invasati gendarmi della morale e i bambini della catastrofe libanese che Bertinotti  vede salvati dai biscotti e dai buffetti delle Pantere Indomite?  C’è di comune una gigantesca truffa ai danni di questi inermi: da un lato quelli che devono cementificarsi dentro il trauma terrorizzante che i loro insegnanti sono mostri, che la scuola è un campo minato, che il mondo è pieno di lupi mannari e l’unica salvezza sta nel covo famigliare, per quanto rancido, psicotico, paranoico, repressivo sia; dall’altro i doppiamente abusati, dagli sterminatori israeliani, prima, e poi da una forza straniera di occupazione che li deve sradicare dal contesto di una terra che ha prodotto Hezbollah come unica prospettiva di riscatto e dignità e, dunque, deve restituirli a un destino di esclusione sociale, settarismo confessionale, dominio feudale, venerazione dell’Occidente (in uniforme o in multinazionale) Tutti insieme sono vittime di una guerra globale che le gerontocrazie mondiali conducono contro i giovani. Vi pare tirato per i capelli? Allora pensate che il nostro Ministero della Sanità ha dato il via libera al Ritalin, arma di addomesticamento-addestramento-doma dei bambini delle elementari, Allora ascoltate il ministro Giuliano Amato, detto dottor sottile per la grossolanità del suo temperamento reazionario, raccomandare test-antidroga ai ragazzini delle medie, subito copiato dall’omologo Massimo Girtanner, presidente nazionalalleato di un Consiglio di Zona milanese, che prepara un altro giro di catene attorno al collo dei giovani mandando ai genitori un coupon col quale possono ritirare dalle liete farmacie, ricettacoli delle nefandezze delle liete case farmaceutiche, un test delle urine per controllare se i propri figli fanno uso della droga. I genitori di Rignano Flaminio, esperti di video di bambini sminuzzati psicologicamente che avrebbero fatto la gioia di Erode, si sono già prenotati. E scommetto la coda del mio bassotto Nando che quei genitori infoiati di fantasmi pedofili sarebbero i primi a fare dei propri pargoli i mercenari dei farabutti pubblicitari che – nell’approvazione o nell’accondiscendimento assordante delle sinistre – manipolano e abusano di bambini abbagliati e inconsapevoli per reclamizzare porcherie e menzogne.

 

Commemorare Chiarini insultandolo

 Al cinema Farnese di Roma, qualche giorno fa nel quadro di quel Tekfestival, hanno proiettato un film della regista palestinese Mai Masri, quella dell’indimenticabile “Frontiere di sogno e di paura” sui ragazzi dei campi profughi dall’una e dall’altra parte del filo spinato messo su dagli occupanti sionisti emuli dei lager. Introduceva il direttore del “manifesto”, Gabriele Polo, visto che la serata era in onore del nostro indimenticabile eroe dell’informazione vera, Stefano Chiarini. Per fortuna ha anche espresso un ricordo di Stefano Stefania Limiti, del comitato chiariniano “Per non dimenticare Sabra e Shatila”,  che, con sobrietà e puntualità, all’altezza del nostro amico scomparso, ha rimesso a posto le cose scardinate dal Polo. Già, perché questo erede del noto ex-deturpatore del “manifesto” e oggi fiatista de “La Stampa”, Barenghi, dopo quattro banalità sulla profonda conoscenza che Chiarini aveva del Medio Oriente, ammesse morsicandosi la lingua, ha saputo infilare un reiterato complimento di “fazioso”, cinque volte la definizione “uomo di parte”, “chiaramente di parte”, “assolutamente di parte”, fino al conclusivo “uomo di una parte sola”. In altre parole, un integralista islamico, un settario, un estremista, un fanatico, un facironoso. Tutte qualità che risultano anatema nel paese che, con entusiasmo pari alle stonature, intona il cantico dei cantici dell’inciucio. Povero Stefano, s’è ben visto chi ti rendeva la vita grama nell’”equilibrato” manifesto di un corrispondente israeliano come Schuldiner, che distribuisce torti e ragioni in modo da rendere assolutamente paralleli i due piatti della bilancia, quello dei massacrati e quello dei genocidi, o di una Giuliana Sgrena, devota a tutti gli stereotipi che lubrificano le guerre sulle quali poi versa calde e inutili lacrime. Stefano Chiarini, come sa chiunque abbia dato un’occhiata al Medio oriente senza gli occhiali del luogo comune imperialista, non era affatto di parte, a meno che non si chiami parte la realtà. Quelli che ora, polosamente, si occupano di Medioriente o di internazionale in generale, sono nani al confronto. Denunciare i macellai di Sabra e Shatila, ribattere le puttanate tossiche che si spargono su popoli e leader che la criminale cosca occidentale vuole eliminare, sfondare la muraglia delle menzogne e delle truffe imperialiste, sioniste, delle élites capitaliste, inoculare nei tossici da disinformazione pere di verità accertata sul terreno, vuol dire essere di parte, di una parte sola? Ma che cazzo dici, Gippì?

Dici ciò di cui anch’io personalmente ho lunga pratica, che cioè appena esci dal senso comune, dalla gabbia degli stereotipi sciattamente e pigramente e opportunisticamente assunti, da quello che è il pensiero dominante, la maggioranza vociferante, diventi “di parte”?  Una stronzata sul filo di quella che da decenni ci dipinge la stampa anglosassone, la più perfidamente e astutamente di parte padronale che esista, come lo standard aureo, come quella obiettiva, imparziale, da imitare.

 

Purtroppo per Stefano non finiva lì. Il migliore giornalista di questioni mediorientali che avessimo in questo paese dei Polo-Barenghi, si sarà rivoltato nella tomba a vedere il filmaccio di questa irriconoscibile Mai Masri. A chi possa essere venuto in mente di dare a questo lavoro l’onore di commemorare Stefano Chiarini  deve essere stato impiantato in capo un chip fabbricato dal Mossad.

Ma, per carità, non era mica di parte quel film su Beirut, figurarsi. Mai Masri è una garanzia. Non è mica di parte fare un film sulla Beirut che viene trascinata all’invasione israeliana dall’assassinio mossadiano del primo ministro Rafiq Hariri, in cui si vedono e intervistano, invece, una dozzina di fighetti deculturizzati e originalmente ignoranti della media e piccola borghesia cristiana e sunnita – magliette qualunquiste, etti d’oro al collo -, totalmente incapaci di articolare anche un solo pensiero pertinente sulla crisi libanese. Non è mica di parte dedicare il 90% dell’estenuante carrellismo masriano all’illustrazione della famigerata “rivoluzione dei cedri” (quella che l’oligarchia libanese, foraggiata da oltremare e da Israele, allestì contro hezbollah e contro il proletariato libanese sul modello serbo, ucraino e georgiano), facendo girare telecamere e microfoni per giorni e notti tra le tende dell’accampamento allestito in Piazza dei Martiri, quello nel quale si alternavano oratori come Gemayel e Geagea, assassini responsabili di Sabra e Shatila e da sempre ascari di Parigi, Washington, Tel Aviv e ora anche di Roma.

Non è mica di parte commuovere presunti stupidotti in platea mostrando questi giovani virgulti dell’ incoscienza da discoteca mentre, attorno a focarelli notturni, cianciano inanità su come sarebbe bello se le varie confessioni si unissero, con un’unica voce nel coro di questi sprovveduti che, nei cinque secondi che Masri gli da, dice che forse in tutto questo casino libanese c’entra un po’ Israele che ha invaso, bombardato, ammazzato e occupato il paese dal 1978 in poi.

Non è mica di parte quella sciocchina, giovane filo conduttore della storia, che completa il suo girovagare tra fustaccioni da camping e da università, pensando di iniziarsi lacrimando alla pace e alla fraternità, in un accampamento allestito da fascisti e finanziato dalla Cia. Non è mica di parte girovagare esclusivamente tra questi rampolli di una borghesia grassa e rozza e non far spuntare neanche il naso di un esponente di quel proletariato e sottoproletariato della banlieu di Beirut e di tutti i campi libanesi che di questa gente è la controparte nobile, matura, consapevole, quella che fa Libano, libertà, giustizia sociale. E non mercimonio con il nemico dalle monete d’oro, dalla frusta, e dall’attentato terrorista.

 

Bush-Ratzinger: matrimonio di fatto

Inciuci, inciuci, inciuci. Alla lebbra qualunquista (cioè di destra) di una Mai Masri bertinotizzata, stupefacentemene e dolorosamente per noi, si affianca la peste bubbonica della perfetta bipartisaneria Bush-Ratzinger. S’era già capito, direte, fin dai tempi del papa polacco che riscattava le sue propensioni belliche e colonialiste (Croazia, America Latina, Africa, mondo) con gli eterni vuoti cliché vaticanesi sulla pace e sui poveri. Sì, ma Woytila ero più furbo dell’inquisitore fattosi panzerpapa. Per i benevolenti lo salvava la “carica umana” e un buon naso pubblicitario. Non aveva l’occhio torvo e l’espressione umanitaria stravolta dall’ipocrisia. Non era arrivato a congiungersi carnalmente con l’intero esercito dei nazisionisti di Washington facendo proclamare dal suo giornale “terrorista” chi aveva osato gettare la luce del ricordo sul connubio papa-Pinochet e Francisco Franco, eroi cattolici da omaggiare in vita e in morte . Lui, il pastore tedesco che sta fermo come torre che non crolla – e lo ribadisce martellando in capo chi da lì si muove - nel paesaggio virtuale inventato da alcuni furbacchioni duemila anni fa, dà del terrorista a chi da questa fissità deduce una certa assenza di evoluzione. E Bush e i suoi scherani, dall’altra parte dell’oceano, non s’impastano in questo paesaggio dogmatizzando, contro l’evoluzionismo, Adamo, Eva, il serpente, la mela e castronerie a seguire? E non ripetono con lui che l’Islam ha da mori’ ammazzato, visto che, come sentenziava l’imperatore Patologo seicento anni fa, sono una massa di lestofanti?  E non fanno trenini di esultanza per tutta la Casa Bianca a vedere che il criptorquemada detto B-16, subito dopo che Bush ha annientato il Brasile (e gran parte del mondo) imponendogli, con al guinzaglio Lula, di dedicare metà delle sue foreste alla coltivazione di agricarburanti, cibo per veicoli, anziché per umani, va lì a garottare qualsiasi opposizione spedendo all’inferno, insieme alle donne, tutta la Chiesa progressista brasiliana, unica rimasta nel continente a sostenere la causa degli esclusi, affamati, derubati, senza terra, sepolti dal mais transgenico per serbatoi di carburante.

 

Inciuci, signori, inciuci! Più gente entra più bestie si vedono. L’inciucio è cresciuto a usanza universale in questo paese, arriva a fondere in amoroso ludibrio sinistre e destre, che è poi il connubio classico tra fanciulla innocente e ingenua e vecchio marpione. All’università di Teramo hanno azzardato l’invito a una conferenza del prof. Robert Faurisson, principe dei negazionisti della Shoah, o, a essere precisi, dei ridimensionisti. Onore al merito: uno deve essere libero, a termini di Costituzione e di Carta dei Diritti dell’Uomo, di interpretare la storia come ritiene opportuno, di dire castronerie e cose sublimi. Del resto, non c’è storia senza revisionismo. Ma, perbacco, non vi risulta, cari teramani, che vacilla un po’ l’assunto della libertà d’espressione, cara alla sinistra, se l’evento viene sottoscritto e promosso dalla più fetida banda di neonazisti alla Claudio Mutti, da piduisti alla Sinagra, e da ultradestri cultori dell’Europa carolingia, sanfedista e imperialista, alla Associazione Identità Europa di Franco Cardini?

 

Il fondo glocal del barile

Non si salva nessuno. Perfino nel mio paesello, nell’Alto Lazio, pensate cos’è successo all’insegna dell’italiota ecumenismo alla cani e porci. E’ una primizia nazionale assoluta ed è il segno che i destini del paese partono da laboratori clandestini di provincia. L’Unione propone, in vista delle amministrative, elezioni primarie per il candidato-sindaco. Esce a sorpresa un candidato eterodosso, non previsto dai soliti noti del notabilato di centrosinistra, espressione di un fermento ambientalista e partecipazionista, anti-cemento, anti-lobby, che si è andato formando. La lobby, zeppa di vecchie volpi diessine delle costruzioni e degli inghippi trasversali, diessini, margheriti, buoni-per-ogni-stagione vari, non ci sta, annulla le primarie, il candidato e la sua lista di gente nuova e perbene, cancella la lista dell’Unione e ne fa una civica, con dentro tutto e il contrario di tutto, salvo i virgulti nuovi e freschi che erano venuti spuntando. Pensate c’è, con DS, Margherita e un buontempone cementificatore che si dice addirittura dei Comunisti Italiani, perfino l’UDC, ottimamente rappresentato da un ex-assessore al bilancio di una bancarottiera e malavitosa giunta uscente, postfascista e fascista, che, fatto il salto della quaglia di tutti i galantuomini dotati di talento acrobatico, è passato dai malversatori di AN alla lista civica centro-centro. Così, mentre in parlamento i partiti ancora fanno finta di tergiversare, qui il grande centrodestra è già realtà e i picciotti di Casini-Cuffaro-con-la-coppola restano al comando grazie all’amplesso con gli eredi di Moro e Berlinguer. Come dice il titolo, siamo al fondo e quelli scavano.  

 

 

 

 

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