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Bertinotti e la
Folgore, Mai Masri nella rivoluzione dei cedri, Gabriele Polo contro
Stefano Chiarini, Panzerpapa e terroristi, gli ernestini da sala
d’attesa, antipedofili da guerra preventiva…
L’EPICA DELL’INCIUCIO:
SONO ARRIVATI IN FONDO…E SCAVANO
10/05/2007
Bertinotti folgorato
Ancora una volta la croce di ferro con
spade, alloro e diamanti, massima onorificenza del Reich, non può
che spettare al leader di Rifondazione Comunista addobbato da
Presidente della Camera. Ma è soltanto la punta di un
berg che non ha niente
di ice, ma tutto di
shit,
baby! (ohè, mica solo i
vernacolari della radiolina possono sparare
report e altri
inglesismi da checchismo di borgata. E’ questione di
life-style e tutti
abbiamo diritto a un po’ di
glamour da colonizzati,
okay?). Tornando
all’agonizzante Dante, si parlava di deiezioni (shit).
Non è detto che debbano sempre uscire dallo stesso orifizio. In
Libano, dove il Nostro iper-super-mega-nonviolento, modellandosi su
Lidia Menapace tramutata in Menaguerra in occasione dei giochi
afgani, si è manifestato da facinoroso della violenza, il guano
revisionista ha cosparso il territorio a partire dalla bocca. In un
parossismo orgasmatico, innescato da massicce dosi di viagra
militarista, il peripatetico guru della nonviolenza ha calzato
anfibi d’assalto, casco da sbarco, tirapugni da commandos,
lanciafiamme da Terminator e ha sterminato d’un botto, tutto da
solo, qualche centinaio di migliaia di pacifisti con questa
esternazione al fosforo bianco: “La
Folgore? La migliore vetrina del paese”. Un vero conte
Ugolino, con i canini sul cranio dei figli. Che ora si trovano, da
ghandiani che erano del disarmo universale (scrupolosamente
riservato ai deboli e buoni, cioè a quelli che le prendono), a dover
attaccare sopra il letto i poster dei torturatori di Somalia, o dei
fucilatori di ambulanze a Nassiriya. Ha fatto di meglio, Bertinotti,
delle bombe a grappolo israeliane, tanto che non c’è libanese che
ora non inciampi sulle deiezioni in questione:
“Questa missione è la migliore vetrina per l’Italia… Vi sono grato e
sono orgoglioso di appartenere a questo paese… Bisognerebbe che i
politici ascoltassero questi militari, venissero qui in Libano a
vedere la loro capacità di comprensione… La loro è davvero una
presenza militare di pace…Se qui ci fosse una Ong, farebbe le stesse
cose che fate voi… mi sono proprio commosso a vedere le divise
dell’esercito con i bambini…” Quest’uomo, nei suoi
pavoneggiamenti tra Vespa e Valeria Marini ci aveva abituato a
tutto. A quello che, nei nostri tremendi limiti intellettivi,
pensavamo che fosse il tutto. E’ sublime, riesce ancora a farci
rivoltare lo stomaco. Con coerenza filosionista, in Libano ha
meticolosamente evitato di dare anche solo un’occhiata ai campi
profughi di 400.000 palestinesi, e tantomeno al sacrario di Sabra e
Shatila voluto da Stefano Chiarini. Nella Palestina Occupata ha
saputo parlare al parlamento palestinese, dopo aver amoreggiato con
i capi sionisti, mostrandosi faziosissimamente equidistante tra
vittime e carnefici e arrivando ad auspicare una solo graduale
rimozione del muro alla Auschwitz che incarcera 4 milioni di
palestinesi. C’è qualcuno che ancora si rifiuta di vedere cos’è
stato capace di fare questo taumaturgo, dal 1993 in poi, nel saltare
sulla zattera dei comunisti e degli antiguerra sopravvissuti a
Occhetto e trasformarla giorno dopo giorno in qualcosa tra il
panfilo da crociera per domestici e liberti, e la corazzata da
sbarco per ascari da rivincita coloniale? Vista la nessunissima
differenza che intercorre tra i motivi e gli obiettivi dei due
episodi, e le rispettive mimetizzazioni da spedizioni di pace e
civiltà, dopo l’eulogia agli occupanti anti-Resistenza e
filo-Quisling del Libano, il minimo che ora il Bertisconi ci può
dare è un cantico in onore del maresciallo Graziani, pacificatore di
Libia e Abissinia. Sai quanto lo apprezzerebbero gli eccellenti
prodotti della sua “migliore vetrina del paese”:
Diavoli neri, Pantere Indomite,
Sorci Verdi, Condor, Leoni, tutti irreprensibili
sacerdoti della nonviolenza.
“Essere comunisti”… di complemento
Fa singhiozzare dagli sghignazzi, a
questo punto, colui che per un milione di euro dovete collocare
nella casella sciasciana appropriata: a) uomini, b) ominicchi, c)
ruffiani, d) quaquaraquà. Il personaggio è Claudio Grassi, un
ercolino che le stalle di Augia (Bertisconi) non le ha ripulite, ma
divorate tutte, già leader carismatico, a dispetto della statura
fisico-etico-politica, dell’Ernesto, opposizione di servizio del
sovrano e, oggi, così si firma con notevole sprezzo del ridicolo,
coordinatore nazionale dell’area “Essere comunisti”, un altro
miscione di illusi e poltronari da congelare in eterno nella sala
d’attesa della rifondazione comunista. Da scudiero intellettuale gli
fa Bruno Steri che, tenendo famiglia, sopperisce alle voragini
culturali del nostro. A Grassi hanno sottratto il giocattolo con il
quale è riuscito a prendere per i fondelli durante quasi un paio di
lustri tutti quei bravi compagni cui si rizzavano i capelli a ogni
progressivo spostamento del piacere bertinottiano e del dispiacere
comunista, la rivista “L’Ernesto”. Nel generale spappolamento di un
partito divenuto caleidoscopico fenomeno da baraccone, il periodico
è stato fatto suo dalla frazione di Fosco Giannini, quello di cui i
maligni dicono che “tanto tuonò che non piovve”, ma uno che,
rispetto al meticoloso lavorio del perito in guinzagli emiliano,
bravissimo a far bollire la rabbia della base fino a ridurre il
brodo a due gocce di tisana, alza la voce e sventola vessilli rossi.
Staremo a vedere. Intanto ha votato, insieme a Grassi, controllore
di corte di bassotti incazzati, per lo sbarco colonialista in Libano
e per l’invasione-occupazione colonialista dell’Afghanistan. E non
mi dite che non sono cose dirimenti. O ci facciamo prendere per il
culo dalla veneranda bombarola afgana, Lidia Menaguerra, che da una
sessantina d’anni annaspa disperata per travestire da ghandismo il
suo passato di partigiana nella lotta
armata di liberazione. Ma
queste, rispetto alla grandezza epica del trasformista Bertisconi,
sono miserie…
Il piatto nazionale? Inciuci alla
panna
Anni fa feci un servizio su una moda
che stava rubandoci il mare e butterando il territorio di oscene
strutture acquatico-demenziali, gli acquaparchi, dove, nel gaudio
dei farmaceutici, bambinelli e ragazzetti si avvelenavano di cloro e
colibatteri, anziché curarsi con iodio e salino (nei mari allora
ancora liberi dalla varicella dei porti turistici). Mi torna in
mente quella piscina in cui, da sponde opposte, si tuffavano due
grandi scivoli che, da ambo i lati, scaricavano nella stessa pozza
ad altissima densità microbica raffiche di schiamazzanti gaudenti. E
pare davvero la metafora della convulsa corsa, da linee di partenza
opposte, all’incontro di tutti con tutti, di ognuno con ognuno che,
affermando il microclinton da sinagoga Veltroni la non esistenza del
conflitto – e peste colga chi lo afferma -, costituisce la
definitiva sodomizzazione delle classi che non partecipano né al
banchetto coloniale, né al ladrocinio nazionale a crescente tasso di
mafiosità. Si spiccano voli d’angelo da rive contrapposte, ma, con
tuffi tripli carpiati, ci si ricongiunge tutti nella calda e morbida
palude dello strozzinaggio d’élite. Così Bertisconi si commuove fino
alle lacrime a vedere i nostri soldati accanto ai bimbetti libanesi,
quelli che giorno dopo giorno, dall’agosto scorso, se si allontanano
dalle macerie della casa disintegrata da Israele, finiscono
spezzettati sulle bombe a grappolo dell’unica
democrazia del Medioriente, quelle bombe a futuro
genocidio che nessun Diavolo
Nero si sogna di rimuovere. Sono i piccoli libanesi del
Sud cui i Sorci Verdi
dell’Unifil garantiscono che coloro che li hanno difesi dagli
istinti stragisti del gremlin sionista, un giorno o l’altro,
verranno disarmati e ridotti alla ragione coloniale. Sono i libanesi
del futuro cui l’ONU, vale a dire Francia, Usa, Israele, Italia UE,
ha garantito che, se si illudevano che potesse esserci, a sessant’anni
dall’indipendenza, un Libano fuori dagli appetiti dei colonialisti
di ritorno e fuori dal ladrocinio delle oligarchie compradoras, era
meglio che si ricordassero di Sabra e Shatila, carneficina alla
quale li consegnò appunto una spedizione di pace italo-francese del
tutto analoga alla presente. Ricordate i commoventi bimbetti attorno
ai commoventi bersaglieri del commovente generale Angioni?
Bersaglieri di colpo spariti quando questi bimbetti venivano
infilzati, Sharon coadiuvando, dai fascisti a Sabra e Shatila. Dove
era allora il commuovibile Bertisconi? Che occasione persa per
inebriarsi di piume al vento!
Rignano Flaminio? Le maestre come
Valpreda
Che c’entra con gli incontri,
accoppiamenti, aggregamenti, miscelamenti in acqua – a volte
sottacqua – dell’Acquafan? Spostiamo lo sguardo a Rignano Flaminio,
dove è in atto una delle più efferate montature mai concepite dagli
strateghi della paura a partire dai terrorismi di Stato e dagli
“opposti estremismi”, fino ad arrivare all’11 settembre e ad Al
Qaida. Un’operazione concepita e lanciata nelle segrete stanze dove,
appunto, si ordiscono i grandi condizionamenti psicologici di massa,
ma ripresa in perfetta congiunzione dagli scivoli opposti della
stampa scandalistica di regime e da quella, in questo caso
scandalistica anch’essa, di sinistra, “il manifesto” in testa. Tutti
assatanati, con la bava alla bocca, di colpevolismo istantaneo e
senza l’ombra di un dubbio su chi potesse tenere le fila di queste
operazioni nello Stato delle Stragi di Stato. Una vicenda che, se
sopravvive in questo paese anche un solo magistrato onesto nei gradi
di giudizio che ci saranno, finirà, con i genitori torquemadisti e
gli sciacalli mediatici che l’hanno sostenuta, nel museo delle cere
degli orrori sociogiudiziari. Intanto, maestre, bidelli, benzinai
sono stati tirati dentro a questa evidentissima manovra si
intimidazione di massa e rovinati a vita, come e peggio i bambini
che un destino infame ha fatto nascere in certe famiglie. Una lucida
manovra di sputtanamento della scuola pubblica che si permette di
rivendicare la sopravvivenza, di discredito degli insegnanti che si
permettono di chiedere lavoro e salario non da raccoglitori di
cotone in Alabama, di esaltazione alla
family day del bunker
famigliare come, non più ricettacolo di ogni repressione e
distorsione psicologica (povero ’68!), ma estremo fortino della
difesa dell’imperfettibile esistente, dotato di lanciamissili contro
i mille pericoli del fuori, dal musulmano al pedofilo, dall’eversore
estremista al pederasta in agguato. E, soprattutto, una conferma che
deve essere la famiglia e nessun servizio pubblico ad assumersi la
responsabilità e il gravame della crescita e formazione delle future
classi perdente e vincente, sfruttata e sfruttatrice. Cosa c’è di
comune tra i bambini tra le grinfie di questi invasati gendarmi
della morale e i bambini della catastrofe libanese che Bertinotti
vede salvati dai biscotti e dai buffetti delle
Pantere Indomite? C’è
di comune una gigantesca truffa ai danni di questi inermi: da un
lato quelli che devono cementificarsi dentro il trauma terrorizzante
che i loro insegnanti sono mostri, che la scuola è un campo minato,
che il mondo è pieno di lupi mannari e l’unica salvezza sta nel covo
famigliare, per quanto rancido, psicotico, paranoico, repressivo
sia; dall’altro i doppiamente abusati, dagli sterminatori
israeliani, prima, e poi da una forza straniera di occupazione che
li deve sradicare dal contesto di una terra che ha prodotto
Hezbollah come unica prospettiva di riscatto e dignità e, dunque,
deve restituirli a un destino di esclusione sociale, settarismo
confessionale, dominio feudale, venerazione dell’Occidente (in
uniforme o in multinazionale) Tutti insieme sono vittime di una
guerra globale che le gerontocrazie mondiali conducono contro i
giovani. Vi pare tirato per i capelli? Allora pensate che il nostro
Ministero della Sanità ha dato il via libera al Ritalin, arma di
addomesticamento-addestramento-doma dei bambini delle elementari,
Allora ascoltate il ministro Giuliano Amato, detto dottor sottile
per la grossolanità del suo temperamento reazionario, raccomandare
test-antidroga ai ragazzini delle medie, subito copiato dall’omologo
Massimo Girtanner, presidente nazionalalleato di un Consiglio di
Zona milanese, che prepara un altro giro di catene attorno al collo
dei giovani mandando ai genitori un coupon col quale possono
ritirare dalle liete farmacie, ricettacoli delle nefandezze delle
liete case farmaceutiche, un test delle urine per controllare se i
propri figli fanno uso della droga. I genitori di Rignano Flaminio,
esperti di video di bambini sminuzzati psicologicamente che
avrebbero fatto la gioia di Erode, si sono già prenotati. E
scommetto la coda del mio bassotto Nando che quei genitori infoiati
di fantasmi pedofili sarebbero i primi a fare dei propri pargoli i
mercenari dei farabutti pubblicitari che – nell’approvazione o nell’accondiscendimento
assordante delle sinistre – manipolano e abusano di bambini
abbagliati e inconsapevoli per reclamizzare porcherie e menzogne.
Commemorare Chiarini insultandolo
Al cinema Farnese di Roma, qualche
giorno fa nel quadro di quel Tekfestival, hanno proiettato un film
della regista palestinese Mai Masri, quella dell’indimenticabile
“Frontiere di sogno e di paura” sui ragazzi dei campi profughi
dall’una e dall’altra parte del filo spinato messo su dagli
occupanti sionisti emuli dei lager. Introduceva il direttore del
“manifesto”, Gabriele Polo, visto che la serata era in onore del
nostro indimenticabile eroe dell’informazione vera, Stefano Chiarini.
Per fortuna ha anche espresso un ricordo di Stefano Stefania Limiti,
del comitato chiariniano “Per non dimenticare Sabra e Shatila”,
che, con sobrietà e puntualità, all’altezza del nostro amico
scomparso, ha rimesso a posto le cose scardinate dal Polo. Già,
perché questo erede del noto ex-deturpatore del “manifesto” e oggi
fiatista de “La Stampa”, Barenghi, dopo quattro banalità sulla
profonda conoscenza che Chiarini aveva del Medio Oriente, ammesse
morsicandosi la lingua, ha saputo infilare un reiterato complimento
di “fazioso”, cinque volte la definizione “uomo di parte”,
“chiaramente di parte”, “assolutamente di parte”, fino al conclusivo
“uomo di una parte sola”. In altre parole, un integralista islamico,
un settario, un estremista, un fanatico, un facironoso. Tutte
qualità che risultano anatema nel paese che, con entusiasmo pari
alle stonature, intona il cantico dei cantici dell’inciucio. Povero
Stefano, s’è ben visto chi ti rendeva la vita grama
nell’”equilibrato” manifesto di un corrispondente israeliano come
Schuldiner, che distribuisce torti e ragioni in modo da rendere
assolutamente paralleli i due piatti della bilancia, quello dei
massacrati e quello dei genocidi, o di una Giuliana Sgrena, devota a
tutti gli stereotipi che lubrificano le guerre sulle quali poi versa
calde e inutili lacrime. Stefano Chiarini, come sa chiunque abbia
dato un’occhiata al Medio oriente senza gli occhiali del luogo
comune imperialista, non era affatto di parte, a meno che non si
chiami parte la realtà. Quelli che ora, polosamente, si occupano di
Medioriente o di internazionale in generale, sono nani al confronto.
Denunciare i macellai di Sabra e Shatila, ribattere le puttanate
tossiche che si spargono su popoli e leader che la criminale cosca
occidentale vuole eliminare, sfondare la muraglia delle menzogne e
delle truffe imperialiste, sioniste, delle élites capitaliste,
inoculare nei tossici da disinformazione pere di verità accertata
sul terreno, vuol dire essere di parte, di una parte sola? Ma che
cazzo dici, Gippì?
Dici ciò di cui anch’io personalmente
ho lunga pratica, che cioè appena esci dal senso comune, dalla
gabbia degli stereotipi sciattamente e pigramente e
opportunisticamente assunti, da quello che è il pensiero dominante,
la maggioranza vociferante, diventi “di parte”? Una stronzata sul
filo di quella che da decenni ci dipinge la stampa anglosassone, la
più perfidamente e astutamente di parte padronale che esista, come
lo standard aureo, come quella obiettiva, imparziale, da imitare.
Purtroppo per Stefano non finiva lì.
Il migliore giornalista di questioni mediorientali che avessimo in
questo paese dei Polo-Barenghi, si sarà rivoltato nella tomba a
vedere il filmaccio di questa irriconoscibile Mai Masri. A chi possa
essere venuto in mente di dare a questo lavoro l’onore di
commemorare Stefano Chiarini deve essere stato impiantato in capo
un chip fabbricato dal Mossad.
Ma, per carità, non era mica di parte
quel film su Beirut, figurarsi. Mai Masri è una garanzia. Non è mica
di parte fare un film sulla Beirut che viene trascinata
all’invasione israeliana dall’assassinio mossadiano del primo
ministro Rafiq Hariri, in cui si vedono e intervistano, invece, una
dozzina di fighetti deculturizzati e originalmente ignoranti della
media e piccola borghesia cristiana e sunnita – magliette
qualunquiste, etti d’oro al collo -, totalmente incapaci di
articolare anche un solo pensiero pertinente sulla crisi libanese.
Non è mica di parte dedicare il 90% dell’estenuante carrellismo
masriano all’illustrazione della famigerata “rivoluzione dei cedri”
(quella che l’oligarchia libanese, foraggiata da oltremare e da
Israele, allestì contro hezbollah e contro il proletariato libanese
sul modello serbo, ucraino e georgiano), facendo girare telecamere e
microfoni per giorni e notti tra le tende dell’accampamento
allestito in Piazza dei Martiri, quello nel quale si alternavano
oratori come Gemayel e Geagea, assassini responsabili di Sabra e
Shatila e da sempre ascari di Parigi, Washington, Tel Aviv e ora
anche di Roma.
Non è mica di parte commuovere
presunti stupidotti in platea mostrando questi giovani virgulti
dell’ incoscienza da discoteca mentre, attorno a focarelli notturni,
cianciano inanità su come sarebbe bello se le varie confessioni si
unissero, con un’unica voce nel coro di questi sprovveduti che, nei
cinque secondi che Masri gli da, dice che forse in tutto questo
casino libanese c’entra un po’ Israele che ha invaso, bombardato,
ammazzato e occupato il paese dal 1978 in poi.
Non è mica di parte quella sciocchina,
giovane filo conduttore della storia, che completa il suo girovagare
tra fustaccioni da camping e da università, pensando di iniziarsi
lacrimando alla pace e alla fraternità, in un accampamento allestito
da fascisti e finanziato dalla Cia. Non è mica di parte girovagare
esclusivamente tra questi rampolli di una borghesia grassa e rozza e
non far spuntare neanche il naso di un esponente di quel
proletariato e sottoproletariato della banlieu di Beirut e di tutti
i campi libanesi che di questa gente è la controparte nobile,
matura, consapevole, quella che fa Libano, libertà, giustizia
sociale. E non mercimonio con il nemico dalle monete d’oro, dalla
frusta, e dall’attentato terrorista.
Bush-Ratzinger: matrimonio di fatto
Inciuci, inciuci, inciuci. Alla lebbra
qualunquista (cioè di destra) di una Mai Masri bertinotizzata,
stupefacentemene e dolorosamente per noi, si affianca la peste
bubbonica della perfetta bipartisaneria Bush-Ratzinger. S’era già
capito, direte, fin dai tempi del papa polacco che riscattava le sue
propensioni belliche e colonialiste (Croazia, America Latina,
Africa, mondo) con gli eterni vuoti cliché vaticanesi sulla pace e
sui poveri. Sì, ma Woytila ero più furbo dell’inquisitore fattosi
panzerpapa. Per i benevolenti lo salvava la “carica umana” e un buon
naso pubblicitario. Non aveva l’occhio torvo e l’espressione
umanitaria stravolta dall’ipocrisia. Non era arrivato a congiungersi
carnalmente con l’intero esercito dei nazisionisti di Washington
facendo proclamare dal suo giornale “terrorista” chi aveva osato
gettare la luce del ricordo sul connubio papa-Pinochet e Francisco
Franco, eroi cattolici da omaggiare in vita e in morte . Lui, il
pastore tedesco che sta fermo come torre che non crolla – e lo
ribadisce martellando in capo chi da lì si muove - nel paesaggio
virtuale inventato da alcuni furbacchioni duemila anni fa, dà del
terrorista a chi da questa fissità deduce una certa assenza di
evoluzione. E Bush e i suoi scherani, dall’altra parte dell’oceano,
non s’impastano in questo paesaggio dogmatizzando, contro
l’evoluzionismo, Adamo, Eva, il serpente, la mela e castronerie a
seguire? E non ripetono con lui che l’Islam ha da mori’ ammazzato,
visto che, come sentenziava l’imperatore Patologo seicento anni fa,
sono una massa di lestofanti? E non fanno trenini di esultanza per
tutta la Casa Bianca a vedere che il criptorquemada detto B-16,
subito dopo che Bush ha annientato il Brasile (e gran parte del
mondo) imponendogli, con al guinzaglio Lula, di dedicare metà delle
sue foreste alla coltivazione di agricarburanti, cibo per veicoli,
anziché per umani, va lì a garottare qualsiasi opposizione spedendo
all’inferno, insieme alle donne, tutta la Chiesa progressista
brasiliana, unica rimasta nel continente a sostenere la causa degli
esclusi, affamati, derubati, senza terra, sepolti dal mais
transgenico per serbatoi di carburante.
Inciuci, signori, inciuci! Più gente
entra più bestie si vedono. L’inciucio è cresciuto a usanza
universale in questo paese, arriva a fondere in amoroso ludibrio
sinistre e destre, che è poi il connubio classico tra fanciulla
innocente e ingenua e vecchio marpione. All’università di Teramo
hanno azzardato l’invito a una conferenza del prof. Robert Faurisson,
principe dei negazionisti della Shoah, o, a essere precisi, dei
ridimensionisti. Onore al merito: uno deve essere libero, a termini
di Costituzione e di Carta dei Diritti dell’Uomo, di interpretare la
storia come ritiene opportuno, di dire castronerie e cose sublimi.
Del resto, non c’è storia senza revisionismo. Ma, perbacco, non vi
risulta, cari teramani, che vacilla un po’ l’assunto della libertà
d’espressione, cara alla sinistra, se l’evento viene sottoscritto e
promosso dalla più fetida banda di neonazisti alla Claudio Mutti, da
piduisti alla Sinagra, e da ultradestri cultori dell’Europa
carolingia, sanfedista e imperialista, alla Associazione Identità
Europa di Franco Cardini?
Il fondo glocal del barile
Non si salva nessuno. Perfino nel mio
paesello, nell’Alto Lazio, pensate cos’è successo all’insegna dell’italiota
ecumenismo alla cani e porci. E’ una primizia nazionale assoluta ed
è il segno che i destini del paese partono da laboratori clandestini
di provincia. L’Unione propone, in vista delle amministrative,
elezioni primarie per il candidato-sindaco. Esce a sorpresa un
candidato eterodosso, non previsto dai soliti noti del notabilato di
centrosinistra, espressione di un fermento ambientalista e
partecipazionista, anti-cemento, anti-lobby, che si è andato
formando. La lobby, zeppa di vecchie volpi diessine delle
costruzioni e degli inghippi trasversali, diessini, margheriti,
buoni-per-ogni-stagione vari, non ci sta, annulla le primarie, il
candidato e la sua lista di gente nuova e perbene, cancella la lista
dell’Unione e ne fa una civica, con dentro tutto e il contrario di
tutto, salvo i virgulti nuovi e freschi che erano venuti spuntando.
Pensate c’è, con DS, Margherita e un buontempone cementificatore che
si dice addirittura dei Comunisti Italiani, perfino l’UDC,
ottimamente rappresentato da un ex-assessore al bilancio di una
bancarottiera e malavitosa giunta uscente, postfascista e fascista,
che, fatto il salto della quaglia di tutti i galantuomini dotati di
talento acrobatico, è passato dai malversatori di AN alla lista
civica centro-centro. Così, mentre in parlamento i partiti ancora
fanno finta di tergiversare, qui il grande centrodestra è già realtà
e i picciotti di Casini-Cuffaro-con-la-coppola restano al comando
grazie all’amplesso con gli eredi di Moro e Berlinguer. Come dice il
titolo, siamo al fondo e quelli scavano.
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