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“INCOMPATIBILE!”
Saluto
d’addio agli ascoltatori della mia rubrica radiofonica “Mondocane,
fuori dal coro, contro il coro, oltre il coro
(alla luce di altri addii).
18/12/2005
Mi si permetta di ritenere doveroso,
oltrechè gradito, questo saluto a coloro, e pare fossero parecchi e
anche affezionati, che per alcuni anni mi hanno seguito nelle
evoluzioni controinformative pazientemente ospitate da una nota
radio di Roma e del Lazio (ma anche dell’Italia, grazie al suo
sito). Questa emittente è una importante e benemerita voce di
movimento e anche, insieme a varie pubblicazioni marxiste, di un
gruppo extraparlamentare e di un sindacato di base. Sono preziose le
sue trasmissioni su Cuba, immigrati e altre questioni
dell’antagonismo sociale e politico. Sono indispensabili i
finanziamenti che riceve in cambio di servizi istituzionali. A
questa radio, che mi ha consentito per molto tempo di sparare
virulenti filippiche contro quasi tutti e in specie contro
fasulloni, opportunisti e ciarlatani di tanta sinistra,
nell’impossibile aspirazione a una bonifica da generazioni
auspicata, non posso che esprimere gratitudine. Una gratitudine che
mi illudo sia ricambiata con altrettante buone ragioni per il mio
assiduo contributo che, seppure per molti irritante, per moltissimi
bizzarro e per tutti sopra le righe, mi illudo che non sia stato
privo di originalità, professionalità, sincerità e competenza e,
quindi, di interesse per l’attento pubblico della radio e delle
pubblicazioni consanguinee che spesso attingevano alla mia pur
incompatibile penna.
Non mi è stato dato modo, visto il
“licenziamento in tronco” oggi di prammatica (se il termine
“licenziamento” è congruo per un collaboratore volontario, gratuito
e balzellon balzelloni), di esercitare questo mio diritto-dovere
nella sede appropriata, cioè all’interno della mia rubrica
radiofonica, nel qual caso avrei rinunciato volentieri
all’intrusione nelle caselle postali dei miei corrispondenti. Ma
siccome la questione, oltrechè personale, è politica e siccome
scommetto la coda di Nando che i preposti alla radio non si
esporranno a una difficile, allorquando onesta, spiegazione della
mia scomparsa dall’etere, eccomi qua, a pochi giorni dall’ultima
trasmissione, nella quale ho raccontato le mie impressioni dalla
banlieu parigina fiorita nella recente rivolta, e alla vigilia di
quella del martedì successivo in cui mi sarebbe piaciuto infilare
qualche ago nel pallone stratosferico gonfiato dai media e
rispettivi padrini a proposito delle “elezioni” nell’Iraq intriso di
democrazia quanto i democratizzati fallujani di fosforo bianco. Non
faccio nomi, perché chi sa sa e agli altri che gliene frega. Da chi
in dovere e potere mi venne dunque detto che la collaborazione era
“sospesa”. Queste cose, tra compagni, vanno fatte in maniera
morbida: “sospesa”, “sai, ora ci sono le feste… l’anno nuovo… un
nuovo palinsesto da elaborare… Poi ne riparliamo, eh?” Uno a non
sentirsi dire “fuori dai coglioni”, quasi quasi si commuove e invita
la controparte a brindare a prosecchini.
Poi, con audace sfida del ridicolo, mi
venne data la “causale”. Una causale della rimozione assolutamente
al di fuori e al di là di qualsiasi giusta causa, ce ne guardi
iddio, che a invocarla tra compagni, come mi insegnò Sandro Curzi,
si dimostrerebbe cattivo gusto borghesuccio e poi, non essendoci una
base di riferimento, non se ne ricaverebbe neanche un baiocco. E’
mio obbligo imprescindibile soddisfare la vostra curiosità, pur
tiepida, circa questa “causale”, le motivazioni di un allontanamento
che si estende, tongue in cheek,
come dicono bene gli inglesi per descrivere retropensieri evidenti
quanto un cazzotto in bocca, per feste natalizie lunghe quanto la
coda di paglia di chi licenzia sotto mentite spoglie. E qui di
seguito vi riferisco la causale datami e, successivamente, quelle
che Antonio Gramsci, nelle vesti di Maga Magò, mi ha spifferato in
sogno. Il personale sta nella prima, il politico, ovviamente, si
annida nelle seconde.
Causale ufficiale.
“Fulvio, i tuoi rapporti con la redazione stanno sottozero. I
compagni non ti reggono. Ce l’hanno con te. Non hai notato come ci
sia il gelo nei tuoi confronti. No, no, per carità, niente di
politico! Anzi, sai benissimo che la pensiamo allo stesso modo. E’
solo questione di rapporti umani andati a puttane”. Perché, che ho
fatto? “Mah, tante cose, sai quella discussione con X, quando ti sei
seccato perché dalla regia ti faceva cenno di stringere prima ancora
che tu avessi sforato. Non le è mica andata giù, sai. E poi, quella
lettera di Sandra su come sono andate le cose sul convegno
latinoamericano (vi spiego dopo. N.d.r.)... abbiamo voluto glissare,
ma non è stato bello, devi capire…” Ma se con i ragazzi della
redazione non ci conosciamo nemmeno, se non c’è masi stato più di un
buongiorno, ciao, arrivederci, bella trasmissione, lo prendiamo un
caffè, mai un diverbio, mai un sorriso forzato… “Beh, Fulvio, allora
ciao, eh. Ci vediamo.”
Ciao. Pensierino a latere: ho fatto 16
anni in RAI, TG1 e TG3, decenni nelle redazioni di giornali e radio.
Mai mi era capitato di vedere un direttore contorcersi dietro alle
evanescenti figure dei suoi redattori per mimetizzare i propri
propositi, con ciò sminuzzando la propria figura di detentore della
potestà gestionale e politica (indiscutibilmente robusta e verticale
nell’ambito di questa radio e delle strutture collegate) e il suo
ruolo di moderatore dei conflitti interpersonali. Immaginatevi il
direttore del TG3 che prende per l’orecchio la subordinata, la
trascina fuori da Saxa Rubra e le fa: “Giovanna Botteri, vattene a
casa perché a Bianca Berlinguer le fai venire il vomito”.
Comprensibile, giustificabile, forse sacrosanto, ma del tutto
irrealistico. Ci sarebbe un Comitato di Redazione che esploderebbe
in un corto circuito di risate omeriche e di ontologico-legale
contestazione. Ma tant’è. Mai sperimentato tanto mobbing quanto tra
i gruppetti della sinistra “radicale”. Qualche volta ti costringono,
vero guaio, a rimpiangere quanto meno le “buone maniere”
dell’avversario di classe.
Causale intuita 1. A
giugno alcuni compagni, compreso il sottoscritto, alla luce dei
grandi sommovimenti latino-indio-americani, avevano suggerito a
compagni del movimento intorno alla radio di organizzare un grande
convegno a Roma con la partecipazione, per la prima volta, dei più
rappresentativi esponenti delle lotte di quel continente, dai
bolivariani del Venezuela ai dirigenti dei movimenti sociali e
indigeni che hanno fatto saltare gli equilibri istituzionali della
borghesia colonialista e filoimperialista in Ecuador, Bolivia,
Argentina… Sulla base di un accordo di principio, alcuni di noi
viaggiarono quest’estate e poi in autunno in lungo e in largo per
alcuni di questi paesi e contattarono i più significativi di questi
esponenti, da Evo Morales a Oscar Olivera (quello della guerra vinta
per l’acqua a Cochabamba), a Luis Macas, massimo leader indigeno
dell’Ecuador, a Blanca Chancoso, carismatica presidente
dell’associazione delle donne indigene, a dirigenti della
rivoluzione bolivariana. In precedenza avevamo incontrato i
piqueteros argentini e i Sem Terra brasiliani. Al ritorno, la
sorpresa. I compagni rimasti a casa, responsabili della radio e
della Rete, zitti zitti e su impulso di un compagno docente
universitario, avevano alterato il carattere dell’iniziativa,
facendone un summit di teste d’uovo, studiosi di America Latina e
amici del Nostro, sicuramente egregi, già ripetutamente presenti in
Italia, di varie università europee e extraeuropee. Da convegno di
mobilitazione e informazione mirato al pubblico più vasto,
interessato a conoscere figure, ruoli, metodi ed obiettivi delle
lotte, inediti da noi, con gente espressa direttamente dal conflitto
sul territorio, a seminario accademico di ricerca e analisi.
Legittimissimo e di elevata dignità intellettuale, ma, secondo molti
di noi, di minore urgenza e risonanza politica per la sinistra
antimperialista italiana di quello inizialmente programmato, anche
se di maggiore interesse per questo circuito accademico ed
editoriale integrato. Voi che dite?
Questo, quanto al contenuto. Poi c’era
la questione del metodo dello scippo che, credo doverosamente,
sollevammo utilizzando modi urbani e dialettici che ci imponemmo
nonostante un indubbio sconcerto per essere stati del tutto
emarginati, durante la nostra assenza
per missione concordata,
dall’impresa da noi concepita e in comune programmata.
Mal ce ne
incolse. Ci fu obiettato che i giochi
ormai erano fatti, gli inviti spediti e accettati, tutti i soldi
disponibili spesi. Ma soprattutto, con notevole disinvoltura
etico-logica, si rigirò la frittata e ci si mostrò dolorosamente
offesi per noi aver messo in discussione l’ineccepibile probità dei
nostri interlocutori e, anche allora, ci si imputarono “rapporti
umani” compromessi e ci si fece capire che era meglio che girassimo
al largo. La lesa maestà non è prerogativa esclusiva né del Re Sole,
né di Bertinotti. Riuscimmo comunque a far arrivare e partecipare
un compagno impegnato ad alto livello nella rivoluzione bolivariana.
A nostre spese personali. Stavolta non si obiettò. Ma il mio
microfono alla radio emise i primi scricchiolii.
Causale intuita 2.
Chi scrive, come è noto da tempo a chi legge, si occupa
accanitamente di terrorismo e, in posizione di forte isolamento
locale, ma non del tutto privo di buona compagnia soprattutto
all’estero dove la controinformazione è robusta, scientifica e non
si fa intimidire dalle scaltre e del tutto strumentali o sceme
accuse di “dietrologia” e “complottismo”, impiega notevoli sforzi
per documentare il megainganno dell’imperialismo guerrafondaio
nordamericano-israeliano e dei relativi ascari, fittamente
germogliati anche a sinistra. Contro la supina accettazione, per
ignoranza, pigrizia, opportunismo, paura, complicità, del teorema Al
Qa’ida-terrorismo islamico nemici globali degli Stati Uniti e suoi
alleati, alla base del paradigma bertinottiano della “spirale
guerra-terrorismo” e tanto funzionale alla guerra preventiva globale
imperialista e alla repressione interna nei paesi industrializzati,
in non pochi abbiamo prodotto valanghe di elementi storici, logici e
di fatto che indicano negli Stati Uniti i veri responsabili, non
solo indiretti, ma gli strateghi, autori e manipolatori (attraverso
vuoi propri servizi terroristici, vuoi manovalanza locale) di tutta
la strategia terroristica. Una strategia dalla cui vittoria o
sconfitta dipendono oggi nientemeno che le sorti del mondo, poichè
ha spalancato alla banda di gangsters di Washington e Tel Aviv la
strada verso il nuovo fascismo, i massacri per il controllo delle
risorse, la liquidazione di modelli sociali e politici alternativi,
la eliminazione di ogni sovranità nazionale, la liquidazione del
diritto internazionale, il dominio mondiale e, inevitabilmente, la
distruzione dell’umanità (una confutazione dell’assurdo teorema
dell’autenticità di Al Qa’ida vi verrà inviato a giorni).
Corollario di questa analisi non poteva non essere lo sforzo, fatto
anche alla radio, di illustrare verità celate, menzogne evidenti,
mistificazioni, sulla situazione in Iraq, la Resistenza,
l’invenzione di un Al Zarkawi fittizio, nonché la costante denuncia
della strategia di sterminio umano, economico, sociale e culturale
di Israele nei confronti del popolo palestinese espropriato e delle
tecniche propagandistiche intimidatorie utilizzate da gran parte
della comunità filoisraeliana per rovesciare il rapporto
vittima-carnefice e per criminalizzare, come in Iraq, la sacrosanta
lotta armata di un popolo schiacciato, letteralmente e
figurativamente, contro il muro delle esecuzioni di massa. Potete
immaginare i brividi di certi committenti della radio a sentir
chiamare Wolfowitz, Rumsfeld, Cheney, Rice, Libby “nazisionisti”?
A fronte di questo lavoro
giornalistico, “Contropiano”, periodico della Rete dei comunisti, ha
fatto circolare in questi giorni un documento che ripropone, a
conferma dell’assunto propagandato con forsennata potenza di fuoco
dai bushiani, insieme a tutta la congerie di classi dirigenti
capitaliste internazionali, l’apodittica affermazione che Al Qa’ida
è davvero il nemico globale degli Stati Uniti. Mica le masse
rivoluzionarie del Sud America, mica Cuba o la Resistenza irachena,
mica la lotta dei lavoratori in tanta parte del mondo, mica gli
ecologisti, mica il comunismo rivoluzionario (a volte ritornano),
mica la difesa nazionale. No, Al Qa’ida. Così accreditandone
un’autenticità e autonomia a cui nessun analista serio ha mai
creduto, ma che, come ipnosi collettiva, costituisce il puntello
fondamentale della mostruosa architettura della guerra globale e dei
dilaganti stati di polizia. Così riesumando una consumatissima
teoria senza riscontri di Fausto Sorini del PRC e ripercorrendo il
fanghiglioso sentiero tracciato per primo dal Campo Antimperialista
di Perugia quando avallò l’11 settembre come operazione dei
combattenti afgani di Osama bin Laden, impliciti compagni di strada
e che neanche sbagliano tanto. Al Qa’ida, magari in un primo tempo
creazione Cia antisovietica in Afghanistan, ma poi miracolosamente
sfuggita al controllo dei più attrezzati servizi segreti del mondo
(!) e divenuta punta di lancia di una presunta borghesia nazionale
araba, saudita in particolare, decisa ad autonomizzarsi in chiave
califfesca e fondamentalista dal controllo USA. La teoria del “New
York Times” e di Luttwack. Questo, mentre si deve riconoscere che
addirittura ancora nel 2002, cioè dopo l’11 settembre dell’evidente
autoattentato USA, gli sgherri di Al Qa’ida operavano al servizio
della Cia in Algeria e in Macedonia e in molti altri posti. Nel
frattempo Osama si era già fatto le torri gemelle e il Pentagono.
Già, e Valpreda e Pinelli hanno
messo le bombe a Piazza Fontana…
A sostegno di questa tesi, cui hanno
brindato tutti coloro che dall’esistenza di un terrorismo islamico
nemico dell’Occidente hanno tratto la propria fortuna politica (fascistizzazione
del potere borghese) ed economica (petrolio, droga, armamenti), non
si portano ovviamente né prove, né riferimenti concreti. Si tratta
di un’interpretazione speculativa, sull’onda delle tonnellate di
piombo di stampa e di ordigni rovesciate su un’opinione pubblica
lobotomizzata dall’assenza di contrasto. Speculazione dalle
conseguenze tragicamente funeste, anche se solo di piccola breccia
in questo caso si tratta, operata da piccolo gruppo nel fronte
mondiale, soprattutto statunitense e latinoamericano, della difesa
della verità. Ma, a essere maligni, speculazione che non può non
essere gradita, al di là delle buone intenzioni degli autori, alle
forze che di radio e contorni detengono le condizioni di
sopravvivenza materiale e a coloro, frequentemente con la kippa sul
cranio, mai con la kefìah, ai quali gli autori della teoria,
sorprendendo molti, si stanno impegnando a portare i propri voti,
insomma a coloro che hanno subito con insofferenza e collera il
suono, a volte il tuono, di un fastidioso, impertinente e a volte
smascherante latrato di bassotto in Mondocane.
Ragazzi, è un’abitudine, un destino,
forse una nemesi per chi sognava che il giornalismo fosse l’arte di
sbugiardare i bugiardi. Sentite queste paginette di storia del
giornalismo democratico. Mica ci sono solo Berlusconi e Santoro e
Biagi. Nel 1967 mollai la BBC a Londra per fare l’inviato alla
Guerra dei Sei Giorni in Palestina e convincere Paese Sera che il
filoisraelismo suo e del partito erano sbagliati. E vabbè, fu
decisione mia, ma forzata dallo sviscerato sostegno BBC agli
invasori israeliani. Mica si stava male nella Londra degli anni’60 e
alla BBC s’imparavano buone cose. Nel 1970 fui ancora io ad andare
via da Paese Sera ma prima che mi cacciassero per la grave colpa di
militare nel movimento studentesco, poi in Lotta Continua, di cui il
PCI e i suoi organi si erano fatti repressori e delatori. Nel 1999,
piuttosto di essere congelato in uno stipendio senza lavoro dalla
nuova RAI sotto D’Alema per essere in totale disaccordo sulla
fetenzia dell’”intervento umanitario” in Jugoslavia, mollai il TG3
per fare su quella guerra informazione video per conto mio. Nel
maggio del 2003, l’episodio più interessante perché verificatosi tra
comunisti “democratizzati”.
Sandro Curzi, direttore in ginocchio
da Bertinotti, mi buttò fuori su due piedi da “Liberazione” perché,
avendo già innervosito abbastanza i futuri compari di governo di D’Alema-Fassino-Prodi-Rutelli-Pannella
su Jugoslavia, Palestina e Iraq, mi ero permesso di dire alcune
verità circa i finti dissidenti - veri mercenari condannati a Cuba.
Ciliegina rifondarola sulla torta (e questa la devo a tutti coloro
che, informati da me o dai manifesti a Milano, pensavano di
ascoltarmi sul Venezuela in un dibattito del PRC il 13 dicembre a
Precotto e non mi ci trovarono): per aver confutato una teoria
appassionatamente, inconsapevolmente, ma pericolosamente apologetica
su un Vietnam ahinoi in piena deriva capitalista e filoamericana (da
me direttamente conosciuto), che, tra le altre tristezze liberiste,
manda ora i suoi ufficiali nelle scuole di guerra USA, formulata su
“Liberazione” da un pur rispettabilissimo nostalgico di glorie
appassite, sono stato inesorabilmente escluso dall’iniziativa da
autorità partitiche al solito perfettamente sincroniche con la
conduzione torquemadesca del partito, “innervata” (termine
raccapricciante, ma che piace tanto ai redattori di “Liberazione”)
da Bertinotti.
Ecco qua, dunque, niente medagliette
da martire dell’informazione altra, ma
una bella linea rossa dalla quale lo
scapestrato che scrive giustamente viene fatto pendere di tanto in
tanto e che gli attraversa non del tutto piacevolmente, lo ammetto,
vita e cuore. Magari, amici, ho strapensato, straparlato, strafatto.
Magari, da guastafeste incancrenito, fissato con compatibilità
veterorivoluzionarie non capisco le compatibilità che altri portano
sul groppone. Sono cose che succedono quando si ha l’abitudine di
andare “in direzione ostinata e contraria” (Fabrizio De André). Si
finisce con l’essere incompatibili. Ma siamo tutti compagni, no?
Anche coloro che scrivono queste nuove paginette carine del
giornalismo italiano, quasi copiate da quelle del noto Curzi… Allora
dialettizziamoci, rispettandoci un po’, piuttosto che utilizzare un
vero o presunto potere sulla vita, sul lavoro, sulla verità, anche
sulle fisse, degli altri. Cerchiamola insieme questa verità, giacché
è rivoluzionaria. Senza non si combina un granché e, come sapete, si
resta in pochini. E ”pochi ma buoni” è proprio un motto da pipparoli
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