|
LIBERAZIONE?
11/2/04
Il tabloid del PRC che, nella testata,
si fregia del titolo di “giornale comunista”, ha ieri toccato il fondo
nel suo lungo precipitarsi verso la decomunistizzazione, come del
resto ispirata e condotta da elementi determinanti della direzione del
partito. Il guaio è – ma è un guaio quasi fisiologico – che alla
decomunistizzazione corrisponde anche una deveritizzazione, nel senso
dell’abbandono della verità di un’informazione alternativa, che aveva
tentato con qualche successo di sottrarsi alla manipolazione del
potere, ma che col tempo e la deriva ideologica è rientrata nei
ranghi e ha assunto parametri, paradigmi e assunti del meccanismo
mediatico di persuasione e deformazione dell’imperialismo. Se ve lo
siete perso, andatevi a leggere sul sito del giornale l’articolo
centrale così, senza scrupoli o vergogne, intitolato: “Ritorno in Iraq
dopo una vita in esilio. Un paese violentato dai crimini del regime
(non degli invasori-occupanti! N.d.r.), la distruzione della guerra
(non se ne parla.N.d.r.), il terrorismo e l’integralismo (cioè la
resistenza. N.d.r.) – A Bagdad, 25 anni dopo. La solitudine del Tigri
(sic) e la resistenza pacifista (sic)”.
Alla caduta di ieri – l’ articolo-velina
Cia di un cosiddetto “rappresentante in Italia del Partito Comunista
Iracheno” (tale Latif Al Saadi), pubblicato su due pagine, con corredo
promozionale di fotografie e titoli solidali e senza commento alcuno,
a segno di totale identificazione – ci si è arrivati con scivolamenti
progressivi. Ricordo alcune tappe: Il sostanziale applauso al colpo di
Stato della Cia e del MI5 britannico, attuato con i sicari della banda
Otpor, contro il legittimo e antimperialista governo di Milosevic, al
termine di una lunga operazione di sbriciolamento della Jugoslavia
sostenuta da “Liberazione” facendo proprie tutte le patacche e
menzogne antiserbe e anti-Milosevic della propaganda imperialista. Il
titolo del 5 ottobre 2000, morte della libera e sovrana Federazione
jugoslava, fu “Belgrado ride” e i mercenari (successivamente
ampiamente confessi) di Otpor furono acclamati e invitati come
democratica e progressista componente del Movimento allora No-global.
Un abbaglio che ancora brucia, brucia sulla pelle di un paese
distrutto, svenduto, impoverito, privato di protezioni e diritti, di
sovranità e autodeterminazione, e di decine di migliaia di vittime del
cui assassinio o sradicamento furono mandanti tutti coloro che
sostennero l’inganno del “nazionalismo serbo”, della “pulizia etnica”,
delle “fosse comuni” (mai trovate), delle falsi “stragi serbe” di
Sarajevo o Sebrenica, dei “lager della morte serbi” costruiti da
giornalisti mercenari. Dunque anche “Liberazione” che, forse per una
tardiva resipiscenza, o perché all’affannosa ricerca di una scappatoia
dalle sue responsabilità, di Jugoslavia e dell’immane tragedia in cui
sono sprofondati quei popoli colonizzati da UE, Nato e USA non parla
più. Il cosiddetto “neoliberismo”, cioè la strage umana continua
perpetrata dall’iperprotetto “mercato” delle grandi potenze, va
denunciato dappertutto. Ma non, per carità, in Jugoslavia, o,
analogamente, nell’est europeo, sfuggito agli “orrori del sanguinario
Novecento”, resuscitato nella democrazia occidentale e quindi morto di
fame e di mafia.
Nel corso della mia collaborazione al
“giornale comunista” ne ho viste di tutti i colori, fino allo
sbracamento attuale nella scempiaggine del dibattito su
violenza-nonviolenza, riconoscibilissima cortina fumogena per
lubrificare la penetrazione che pezzi di partito vorrebbero effettuare
nei confronti dello Stato borghese e delle compatibilità uliviste e
riformiste varie con l’impero della guerra e del mercato. In quest’ultimo
contesto, tutti hanno potuto convincersi fino alla nausea dell’oscena
strumentalizzazione, in deforme pacifismo e antistoriche abiure,
dell’anelito al tranquillo e buon vivere proprio della borghesia e
degli affamati di “partecipazione costi quel che costi”, che si tratti
di assessorati, funzionariati, o ministeri, ripagati solo parzialmente
da alcune sacrosante mazzate materialiste sul ben recitato dogmatismo
idealistico, totalitario, peraltro violentissimo, delatore e
ricattatorio e, più di ogni altra cosa, opportunista, quali quelle di
Grassi, di Catone, di Ferrando, di Giannini e di alcuni altri che
hanno tentato di porre un argine di decenza alla sceneggiata. In preda
a sbandamenti New Age (rincoglionimento post-hippy vezzeggiato dalla
Cia), si è arrivati a proporci l’esempio e la lezione di monaci
tibetani, pensate, nel segno “buddista” di “anche Bush è noi”, in
coerenza con gli omaggi resi da Bertinotti e alleati “riformisti” a
quel turpe agente della Cia e stupratore del suo popolo che è l’irridentista
Dalai Lama, ultimo germoglio di una sanguinaria tirannia feudale che
aveva il dominio sulla vita e sulla morte del proprio popolo, nonché
sui suoi figli rapiti e manipolati dalla casta monacale per perpetuare
un dominio medievale assoluto e pedofilo. In tutto questo, come nel
caso della Jugoslavia e di Milosevic, di Saddam e di Cuba, della
Cecenia e della Russia destabilizzate e insanguinate da bande di
mercenari Al Qaida eterodirette dalla Cia, i responsabili sanno
benissimo come stanno le cose. Ma perseverano. Sono in malafede. In
compenso hanno staccato il biglietto per il salotto buono della
politica, anche europea, con quella grottesca riesumazione, nella
stretta morsa delle regole e approvazioni UE, del fallimentare
eurocomunismo piovutaci addosso con l’improvvisato Partito della
Sinistra Europeo.
E se non sanno come stano le cose
sull’argomento più fondante e determinante di tutti, il terrorismo,
vuol dire che devono cambiare mestiere e passare in un qualche ufficio
di pubbliche relazioni della Quinta Strada. Internet, voce quasi unica
ma ricchissima e infinitamente rivelatrice, offre a chi voglia sapere
ogni dettaglio di prova sulla paternità degli attentati dell’11
settembre, lasciapassare delle guerre di sterminio angloamericane,
sulle falsità, carenze, sabotaggi della versione ufficiale, sulla
matrice imperialista e sionista del terrorismo planetario (cosa che
non vieta, ovviamente, che le centrali imperialiste del terrorismo si
avvalgano dell’opera inconsapevole e manipolata e, dunque, della
copertura, di sicari locali, magari islamici, opportunamente
fanatizzati per farsi saltare in aria lasciandosi dietro e-mail,
video, nastrini e biglietti Al Qaida. Del resto, non furono gli USA ad
avviare il motore del fanatismo politico islamico, distribuendo
manuali di jihad terroristica, stampate negli USA con stanziamenti NED
(National Endowment for Democracy, una vetrina Cia), nelle madrassa
coraniche di Pakistan e Afghanistan e inventando Al Qaida e i Taleban?
L’infame teoria della “spirale
guerra-terrorismo”, martellata da “Liberazione” e dai suoi controllori
ormai fino alla nausea, è quanto di meglio gli artefici imperialisti
della stessa “spirale” potevano augurare alla proprio opera di
giustificazione della guerra permanente e preventiva e della
fascistizzazione galoppante delle società occidentali in cui crescenti
settori sono giunti al limite della sopravvivenza economica e della
compatibilità ambientale. Se tu accrediti il ruolo di vittima agli USA
per gli attentati dell’11/9 e per tutti gli altri, hai voglia poi a
levare geremiadi contro la guerra e la repressione. Hai convalidato il
pretesto, hai attenuato il crimine. Come quando, infingardo e succube,
proclamavi con Ponzio Pilato “ne con la Nato, né con Milosevic”.
La vergogna morale e ideologica
dell’appoggio preventivo e apodittico di “Liberazione” alle frodi, ai
raggiri, alle diffamazioni che la manipolazione politico-mediatica
imperialista infligge a popoli aggrediti, occupati, sterminati e che
osano difendersi secondo le più elementari e sacrosante leggi del
diritto internazionale, della biologia e della sopravvivenza della
specie, della giustizia, della verità, che si tratti di “Road Map” o
accordi di Ginevra, rifiutati da masse palestinesi da tempo
smaliziate, anche nei confronti di certi propri dirigenti memorabili
per corruzione e doppiogiochismo, questa vergogna subito rinnovata
nell’equiparazione, davvero infame, tra legittima, nobilissima e
vincente resistenza di popolo all’occupazione coloniale in Iraq e
terrorismo, è stata coronata da un intervento autenticamente abbietto
nella posizione di massimo rilievo del giornale di ieri.
Consapevolmente dimentichi di vari
interventi di lucidi lettori che più volte avevano messo in guardia
contro un interlocutore come il cosiddetto PC iracheno, primo partito
spuntato sotto l’egida dei massacratori yankee (mentre un altro, il
Partito Comunista del Lavoro, è stato subito stroncato dai carabinieri
italiani, perché indisponibile al collaborazionismo) e subito dotato
di sedi, agibilità politica, mezzi di comunicazione, i responsabili di
“Liberazione” Curzi e Gagliardi, i sottoresponsabili Cannavò e Cossu,
gli elzeviristi autorevoli, i corsivisti, gli editorialisti, i
redattori tutti non hanno ritenuto di apporre l’ombra di una chiosa
sulle menzogne e le oscenità sciorinate da questo Latif Al Saadi su
due pagine del giornale. Non li ha messi in guardia neppure il dato,
che ha reso questi personaggi maleodoranti a tutte le sinistre
mondiali, della loro partecipazione al Consiglio di Governo
Provvisorio nominato su basi spartitorie e divisorie
etnico-religioso-tribali dai carnefici di 55.000 civili iracheni (solo
nell’ultima guerra) e dominato da criminali come Ahmed Chalabi,
condannato a 22 anni per furto, truffa e bancarotta, sicario Cia (cui
pure ha sottratto, subito perdonato perché di meglio non si trova in
Iraq, 6 milioni di dollari nel corso dell’esilio a Londra e
Washington), o come il contrabbandiere e narcotrafficante curdoJalal
Talabani, al soldo degli USA fin dagli anni’70. Un Consiglio
Provvisorio che tra le sue prime malefatte ha abolito il “diritto di
famiglia” iracheno, che aveva fatto di quella società la più
progredita ed emancipata del mondo islamico e che non è che lo
strumento malavitoso del disfacimento coloniale della nazione
irachena, della svendita delle sue risorse alle multinazionali
occidentali, della distruzione dell’avanzato assetto sociale ed
economico che neppure 13 anni di embargo genocida e di continui
bombardamenti erano riusciti a distruggere del tutto. E se volete una
gemma dello spione iracheno, basta la sua esaltazione della nuova
“libertà di stampa garantita dagli occupanti”! E’ del tg di oggi la
notizia che, dopo l’espulsione delle televisioni indipendenti Al
Jazira e Al Arabia, che riferivano sugli orrori dell’occupazione e sui
successi della resistenza, a opera del Consiglio fantoccio di cui il
sedicente PC iracheno è membro e complice, gli USA hanno ordinato il
proprio totale controllo su tutti i mezzi d’informazione. Quelli servi
e bugiardi operino, quelli onesti no. Altra perla è l’accusa a Saddam
di aver “svuotato l’anima storica degli iracheni”, quando invece un
popolo ridotto al sottosviluppo più estremo da 40 anni di feroce
dominio coloniale, in pochi anni aveva potuto riguadagnare la propria
coscienza
storica, aveva ricuperato
l’incomparabile patrimonio culturale dei suoi 6000 anni di storia, era
diventato un faro della rinascita intellettuale araba. Il mercenario
iracheno parla di raffinerie lasciate in uno stato di abbandono e
invecchiate anche prima che arrivasse la guerra e non spende una
parola sull’incredibile ingegnosità ed operosità degli iracheni nel
tenere in piedi strutture e servizi prima bombardati nel 1991 e
seguenti e poi privati dall’embargo dei pezzi di ricambio più
elementari.
Il venduto Al Saadi, nell’illustrare la
miseria, le devastazioni, il precipitare nel sottosviluppo di un paese
che era tra i più benestanti e socialmente equi del Terzo Mondo, non
ha una parola a da dire sul micidiale embargo che uccise un milione e
mezzo di persone, 500.000 bambini, annegandone altri milioni
nell’uranio e nei suoi effetti letali di millenni. Anzi, se oggi
miseria e disoccupazione, distruzione e decadimento culturale vi sono,
di chi è la colpa se non del “criminale regime”. Nel corso di trent’anni
di resistenza all’imperialismo e di solidarietà fattiva per il popolo
palestinese e tutte le organizzazioni di massa arabe, ricostruitosi
nella meraviglia del mondo dopo un solo anno dalla fine della prima
guerra del Golfo, l’Iraq era diventato il cuore della nazione araba e
della resistenza ai complotti colonialisti e all’espansionismo
israeliano. La sua totale alfabetizzazione, la sua prodigiosa
industrializzazione, il rilancio di un’agricoltura rimasta a livelli
preistorici sotto i colonialisti britannici, il suo sviluppo
sanitario, scolastico, artistico, letterario, sociale erano
paragonabili solo a quelli di Cuba. Il manutengolo Cia del PC iracheno
parla di disoccupazione retaggio del regime, quando l’Iraq era, fino
all’embargo, l’unico paese del mondo con piena occupazione per la sua
popolazione e per altri due milioni di arabi emigrati da paesi con
governi graditi agli USA, a Israele e a Al Saadi.
E se su quanto sopra qualcuno dovesse
avere dei dubbi, qualora non possa recarsi in Iraq per trarre
testimonianze e documentazioni da quel popolo, faccia leva
semplicemente sulla constatazione di un sedicente PC iracheno (quello
vero, “Tendenza Patriottica”, lotta nella resistenza armata insieme a
militanti di altre formazioni antimperialiste, dai nasseriani ai
baathisti, ai socialisti) che accetta di fare da copertura a sinistra
per l’occupazione e la terribile e cieca repressione
imperialista(18.000 cittadini rastrellati a casaccio, terrorizzati,
trattati in violazione di ogni diritto umano e internazionale,
torturati nei campi di concentramento, imprigionati senza scadenza,
senza imputazione, senza prove, senza processo, senza difesa).
Traditori del proprio popolo in lotta, venditori di dignità,
provocatori e spie. Ospite di “Liberazione” chi pugnala alle spalle la
lotta di tutto un popolo e osa definirsi “comunista”. L’autore della
“solitudine del Tigri”, afferma che “durante la guerra la maggioranza
del popolo iracheno ha scelto subito da che parte stare…”. Quella
dell’aggressore stragista. Il collaborazionista parli per sé e per i
suoi complici nel tradimento e nella svendita del proprio paese. Per
il popolo iracheno parla una resistenza che qualsiasi comunista non
lobotizzato dall’ansia di potere (spericolatamente poi mascherato da
rifiuto zapatista del potere!) non può non definire eroica. E non ci
sarebbe neanche bisogno di essere comunisti. Basterebbe essere
giornalisti. O informati e soprattutto onesti almeno quanto quel
lettore qualsiasi che ha tentato di bonificare l’inchiostro andato a
male del giornale scrivendo le sue obiezioni alle nefandezze del
cialtrone iracheno in una lettera intitolata “Il governo fantoccio e
il Pc iracheno”. Grazie Antonello Zecca di Marano!
Si poteva pensare che, quando Rina
Gagliardi, una specie di molosso di guardia alla linea che caccia a
pedate e irridendo alla “sacra giusta causa” chi non sta negli angusti
limiti della sua capitalsostenibile visione delle cose, ridicolizzò e
respinse la mia intervista con il presidente della Jugoslavia
martirizzata, l’ultima prima della prigionia dei patrioti jugoslavi
nel carcere USA-Nato dell’Aja (ovviamente subito pubblicata dal
“Corriere della Sera”), spiegando che si sarebbe trattato, orrore!,
“di un appiattimento sulla linea di Milosevic”, si trattasse di una
caduta professionale per eccesso di subalternità politica, magari ai
futuri partners di governo. Si poteva sospettare, già con un po’ più
di disgusto, che la sua incredibile intervista sdraiata al bombardiere
della Jugoslavia e pulitore etnico al soldo dell’imperialismo, Massimo
D’Alema, o l’analogo omaggio redazionale al rivalutatore del moderno
Craxi contro il premoderno Berlinguer, fossero scaltre mosse tattiche
per sondare il terreno della governabilità comune. Ci si poteva
augurare che quando mi respinse un reportage di ritorno dal Vietnam
dichiarando quel paese “venduto, perduto, finito”, o quando a
malincuore ne accettò un altro sull’Irlanda del terrorismo unionista
contro i bambini delle scuole cattoliche, commentando “quanto mi è
antipatica l’Irlanda”, si trattasse di limiti oggettivi di
intelligenza politica e di competenza professionale.
Si doveva però arrivare a un sospetto di
strategia lucida e coerente, quando lei, tirandosi dietro il “compagno
scomodo”(per chi?) Sandro Curzi, fatti tre inchini al segretario
comandante, mi cacciò da “Liberazione”. Cacciato per aver scritto su
Cuba assediata, strangolata, diffamata, che lì non di nobili
dissidenti, di intellettuali indipendenti, di minoranze sofferenti, di
liberal-giornalisti si trattava, ma, come poi ampiamente e
inconfutabilmente dimostrato, di terroristi mercenari arruolati in una
micidiale complotto USA di destabilizzazione terroristica in vista di
quell’aggressione risolutrice che Washington pianifica da quarant’anni.
Strategia lucida e coerente di
subalternità alla criminale disinformazione-diffamazione imperialista.
Ma la subalternità, quando si viene alla resa dei conti, non è
complicità? Come definirebbe questa roba un qualsiasi patriota
iracheno che, nella tradizione di millenni di lotte di liberazione
inevitabilmente pagati all’istituzionale violenza del padrone con
immensi tributi di sangue, assolve al suo dovere di lottare da
partigiano per la libertà del suo popolo? Connivenza col nemico? E non
estenderebbe tale inesorabile giudizio a chi scrive l’11 febbraio,
all’interno del suo conventuale peana al violentissimo integralismo
nonviolento: “ … non possiamo dire che la resistenza irachena sia
l’omogeneo e conseguente frutto di un processo di liberazione. Ci
sembra piuttosto un terreno di degenerazione della coppia
guerra-terrorismo che sta a dimostrare ancor di più la distruttività
d’ogni guerra e occupazione”.
In altre parole: patrioti iracheni in
armi uguali a Bush-Cheney-Rumsfeld-marines! L’arroganza messianica e
millenarista di questi neo-nonviolenti col culo al caldo si sublima
nella filosofia della resa, allargata in transfert, tanto
opportunistico quanto psicotico, dal proprio al destino di tutti. Non
meravigliatevi di questi sconci: l’autore è colui che, sputando in
faccia a milioni di palestinesi con le spalle al muro e il coltello
nella gola, giura che “Intifada fino alla vittoria non è mai stato e
mai sarà il nostro slogan”. A perenne memoria: è Gennaro Migliore,
responsabile, si fa per dire, esteri del PRC.
Che le forze comuniste nel partito si
possano riappropriare di un giornale e di una testata traditi e
vilipesi.
Intifada fino alla vittoria!
|