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TRA
GOVERNI DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E GOVERNI DI
CRIMINALI DI GUERRA
DALL’ “INTERVENTO
UMANITARIO”
ALLA
“RIDUZIONE DEL
DANNO”
Lidia Menaguerra, il Marcos
smascherato, il “manifesto”allineato e in crisi: l’ora
delle verità.
Ciò che succede, il male
che si abbatte su tutti, avviene perché la massa
degli uomini abdica alla sua volontà. Lascia promulgare
leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al
potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà
rovesciare…
(Antonio Gramsci)
Siamo rimasti in tre:
Bernocchi, Cremaschi e noi
Era quell’asfissiante
pomeriggio del 27 giugno 2006 ed eravamo in trecento, come
quelli di Leonida alle Termopoli che fermarono l’impero
mangiamondo dell’epoca. Caddero tutti, ma che fa. Da lì
nascemmo tutti quanti, Spartaco, Robespierre, Marx,
brigate Garibaldi e irachene comprese. Nel torvo palazzo
di fronte, inutilmente decorato di sole e di storia,
qualche centinaio di larve si apprestavano a rosicchiare
le carni afgane squartate dai barbari nazisionisti. Più in
là, oltre il Giordano, un’altra larva, il Karzai
palestinese, gongolava abbracciato a un re ascaro,
torturatore appaltato dall’impero, Abdallah, e al
macellaio del proprio popolo, Olmert, ultimogenito della
madre di tutti i terrorismi. Erano impegnati, costoro a
concludere la festa danzando su un tappeto di donne e di
bambini palestinesi disintegrati nel corpo o nell’anima.
Le regole d’ingaggio vengono direttamente dal Jahvé della
Bibbia, quello che regala paesi altrui ai suoi:
Passa a fil di spada ogni
maschio, prendi per te le donne, i bambini, le bestie e
tutto quel che trovi…non lasciare in vita nessuno, votali
tutti allo sterminio, demolisci i loro altari, spezza le
loro stele, brucia le loro sculture…” Una
lezione appresa perfettamente dalla “civiltà occidentale”
(dite a Magdi Allam e al suo emulo su “Liberazione”, Guido
Caldiron, di trovare qualcosa del genere nel Corano…), e
in via di continuo perfezionamento ad opera degli arditi
incursori di Jahvé installati a Washington e Gerusalemme
Nel nostro palazzo, coerentemente, oltre ad allungare le
zampe sui contadini afgani, ci si strappava i capelli per
la sorte di quel “soldato-bambino d’Israele” (così
Sansonetti su “Liberazione”) sequestrato da ineccepibili
combattenti per la liberazione di un popolo intero sotto
sequestro, destinato a estinzione forzata, alla
Mein Kampf.
Trecento con l’Italia, tutti
gli altri col palazzo
Eravamo trecento contro la
guerra senza se e senza ma e alle nostre spalle,
visibilissimi, c’erano tre quarti dei nostri concittadini.
Non c’era, e la storia lo ha registrato nelle sue pagine
più nefande, il “movimento”. Quella fantasmagoria che
aveva navigato in una brodaglia di giuggiole per la
definizione di “Seconda Potenza Mondiale” con cui il
New York Times
gli aveva ottenebrato il senso delle proporzioni e la
percettività analitica: Arci, Cgil, Liliput, Pax Christi,
Beati Costruttori di pace, Attac, Disobbedienti, Manitese,
Attac, Legambiente, nonché quel serraglio pseudocomunista
bertinottiano che Prodi aveva giustamente definito “mero
folklore”…Questi eroi dell’integralismo nonviolento, messo
il grembiulino della “riduzione del danno” per coprire le
baionette ricevute in cambio di qualche residuo etto di
dignità, stavano di là, nel palazzo, a servire il tè
all’umanitario per eccellenza, Massimo D’Alema.
Perfettamente in pace con se stessi, poichè sinceramente
convinti dal loro sensale, ora presidente della Camera,
Bertisconi (“Siamo in Afghanistan per una missione di
pace”), secondo cui la non violenza è privilegio esclusivo
dei buoni, dei deboli, e delle vittime, dato che la Nato,
già di per sé missionaria di pace, democrazia e diritti
umani, può, come tale, fare quel che cazzo le pare. Si
chiama disarmo unilaterale e incondizionato e garantisce,
oltre alla benevolenza dei potenti, l’eliminazione di quei
fastidiosi popoli e classi che si ostinano a volersi far
rappresentare da chi si proclama di sinistra.
Descamisados e neocravattati
Dal nostro lato della piazza
tutti quei violentoni che insistevano a credere che la
pace cammina sulle gambe della Resistenza irachena, dei
fedayin palestinesi, dei medici di Cuba, degli
abbattitiranni del Nepal, dei veterani di Mugabe, della
rivoluzione di Chavez, delle avanzate delle Farc, degli
occupanti di fabbriche in Argentina e di cantieri in Val
di Susa. Sventolavano le bandiere dei Cobas. Sosteneva
Piero Bernocchi (unico, con Giorgio Cremaschi della Fiom,
esponente di organizzazione di massa non ridotto dal
danno) che sulla guerra non esistono mediazioni e
compromessi, come non se ne danno per chi fucila l’unico
orso bruno della Germania, che s’è pappato quattro di
cinquanta milioni di galline e ricorda i palestinesi che
pretendono il 22% di una terra che, peraltro, era tutta
loro. Impressionava la massiccia assenza delle Rdb e della
Rete dei Comunisti. In compenso, la trinità
politico-radiofonico-vernacolare che ne vanta 700mila
iscritti, non s’è voluta privare del piacere di una
passarella, prima di rientrare ordinatamente nei ranghi
arcobaleno dei bilanci comunali. Un megacapanello di
descamisados appesi alle parole di Bernocchi e di qualche
altro che diceva cose analoghe, con, lievemente
distaccato, ma all’orlo nobile, già pencolante verso i
vicini ori, velluti, stucchi e lacché, il gruppetto dei
promossi al palazzo per grazia del segretario-presidente
PRC. Belli incravattati, questi ernestini già
rivoluzionari, giacchetta proletariamente sulle spalle,
giulivamente ciarlieri, indifferenti a quanto si diceva al
megafono, assisi sul trono del proprio, un po’ottuso,
compiacimento di
parvenues del potere. Un paio di costoro
dicevano che voteranno contro la conferma dello stupro
afgano voluto dai bombaroli della Jugoslavia, a meno che…
L’ “a meno che” si presenterà sotto forma di 18.000 euro
al mese, più cravatta, barbiere e trasferta. Meno
distrattamente partecipi i rappresentanti del PdCI, su cui
incombeva peraltro l’autodafé della rivendicata (ancora!)
strage jugoslava “per evitare il massacro del Kosovo”,
quelli del neonato Partito Comunista dei Lavoratori, un
paio di Donne in nero (e tutte le altre)?
Da Berlusconi a Berlusconi
Abbiamo assistito
all’ennesima nemesi all’italiana. Dal Berlusconi in
proprio, a Berlusconi per interposta persona, come
giustamente ribadisce il solito Bernocchi: taglio di
sanità, scuola, salari; stangate micidiali agli eterni
stangandi; precariato a strafottere,
liberalprivatizzazioni come se piovesse, Legge 30,
concertazione, CTP, Bossi-Fini, TAV da spaccare montagne e
comunità e mafizzare quel che si puo’ ancora di Grandi
Opere, cuneo fiscale da imbandire tavole padronali
e…missioni di pace. Nonviolenza-pacifismo, mi sembrate
quelle due bambine finite squartate in un fosso del
Belgio. Tutto come ai tempi dell’avanspettacolo da
angiporto Berlusconi-Calderoli, solo che questi, ora, di
fronte non hanno più dei botoli ringhianti alla bassotto
Nando, ma una cucciolata di carlini addomesticati e
scodinzolanti. Scodinzolanti – e qui sta il busillis, come
conferma l’eterno Bernocchi – anche di fronte alla
parentela di sangue (e il caso di dirlo!) con il Grande
Alleato dei 70 interventi bellici o tirannogenici in mezzo
secolo, dal disegno di nazificazione universale, con il
suo guru israeliano che, mimetizzato dall’olocausto di
allora, insegna come lo si rifa in veste medievale: fame,
sete, peste, carcere e tortura, bagni di sangue e
soluzione finale, tipo Gerico e catari, con sponsor come
Furio Colombo, Guido Caldiron, Walter Veltroni, Mario
Pirani, Piero Fassino e l’orrenda Bonino a coprire, con
il coro del “terrorismo islamico”, le urla di madri, padri
e figli “terminati”. Alleati di un governo anche con il
PRC, presto Sinistra di comodo Europea, che però si salva
l’anima esibendo spillette arcobaleno e subcomandanti
zapatisti.
La “riduzione del danno” di
femministe e preti non violenti
C’è gente che pare
provarci gusto a imbrattare la vecchiaia di una vita, pur
di alti e bassi, ma tuttavia difendibile. Pensate al
povero Pietro Ingrao, mugugnante santone, ma per decenni
fedele alla linea a costo di gettare dalla torre i
migliori dei suoi monaci, che in dirittura d’arrivo si
acquieta nel grembo di Bertinotti e con lui, a forza di
non violenza, mena colpi demolitori alla pace con
giustizia, alla resistenza dei popoli e al comunismo. Su
ambiguotte pasionarie
della nonviolenza, come Lisa Clark dei Beati
Costruttori di pace, e il suo padre spirituale, Tonino
Dall’Olio, di sciagurata sarajevana memoria, ogni
perplessità risulta confermata: “Sull’Afghanistan credo
che ci sia un inizio di cambiamento”, “E’ il male minore
(il decreto rinnova-spedizione) e ti assicuro che non è
poco. Soprattutto se valuti quel che accade con gli occhi
degli afghani, di chi la guerra la subisce…” Impudico al
parossismo. Più desolante è il triste e tristo declino di
Lidia Menapace, ultraottuagenaria già eticamente
distintasi nella bulimica disinvoltura con cui è volata a
prendere il posto al Senato di un Marco Ferrando
annichilito dalle bombe “etico-patriottiche” di Bertisconi
e dei macellai dell’Iraq. La prestigiosa
femminista-pacifista è la madre superiora di quella muta
di machofemministe di “Liberazione” che, sionisticamente,
si arrampicano verso il potere sospinte dal vittimismo del
“perché gli uomini ammazzano le donne?” (perchè nessuno
gli ha mai ribattuto: “Perché le madri ammazzano i
figli?”) e che vantano avere loro e solo loro pace e
nonviolenza nel più sperduto dei cromosomi. Se “menare”
vuol dire picchiare, allora, Lidia, portalo ben visibile
il tuo cognome. Se lo si deve intendere come “portare”,
meglio che cambi in Menaguerra, risparmiandoci i gas
lacrimogeni della “riduzione del danno” che hai imparato
a spararci addosso scrivendo su “Liberazione” (30/6/06)
lacrimevoli e spudorate giustificazioni per la tua
adesione alle spedizione degli afghanicidi. Questi figli
di brava donna vi hanno ventilato la prospettiva di stormi
di cacciabombardieri AMX ed elicotteri da combattimento,
centinaia di killer professionisti in più, orde di carri
armati, incursioni con
Enduring Freedom
nel mattatoio del Sud Afghanistan, altrimenti l’uscita
dalla Nato, dall’ONU, dalla “comunità internazionale”,
dalla squadra di calcetto, la squallida solitudine del
reietto, accanto a tipacci come Chavez o Fidel.
Naturalmente un megabluff alla confindustriale, un
chiedere cento per avere ottanta, un “non t’ammazzo più,
ti lascio il colera”, per poi farvi correre rinfrancati,
alto il vessillo della “riduzione del danno”,
sull’autostrada dell’esistente, trainati dal carrozzone
bipartisan dei bari, ruffiani e assassini, con tanto di
autogrill e colonnine SOS, anzi ONG. Gli afghani li
massacreremo solo a Herat e Kabul (di cui si tace che
sono polveriere quanto il Sud) e, perlopiù, sotto gli
occhi di un bell’Osservatorio con dentro D’Alema e
Borghezio, Parisi, l’ominicchio che si crede
feldmaresciallo, e Castelli, simbolo della giustizia di
Thor. La sovranità di un paese strategico per i nostri
interessi narcopetroliferi la violeremo un po’ di meno, ai
nostri alleati nazisionisti abbiamo dato una bella
dimostrazione di autonomia e, soprattutto, manderemo
qualche avvoltoio ricostruttore per la colonizzazione
umanitaria, non importa quanto postribolare si sia
dimostrata in Kosovo. E se nutriamo le Ong, quale
movimento della società civile mai potrà rimostrare?
Davvero, Lidia, pensi che quella spilletta fornitavi in
serie dal Bertisconi possa nascondere la lebbra che vi sta
mangiando la credibilità, pezzo a pezzo? Non ascoltare me,
che sono il noto maschilista violento, addirittura
eterosessuale. Ascolta le tue sorelle di pace, quelle che
non percorrono quell’autostrada infame, ma insistono ad
attraversare deserti. Doriana Goracci, Donna in nero: “A
voi, saltimbanchi della politica, la parola che avete
sempre pronta. VERGOGNA, in saldi di pace, come gli
stracci nelle vetrine d’Italia”. Nella Ginatempo,
incorruttibile combattente contro la guerra:”Se un premier
non vuole rischiare di cadere può cambiare il decreto e
ottenere i consensi necessari avanzando sul piano della
pace e non su quello della guerra. No al doppio ricatto di
D’Alema. Quello sul governo e quello sulla Nato. Contro la
guerra alla Jugoslavia, i greci dissero di no alla Nato…”
Benintenzionate quinte
colonne, un tempo “utili idioti”
Nella truppa coloniale,
oltre ai furbastri e cinici, in abito talare o gonna,
spuntano anche i più o meno naives, quinte colonne seppure
benintenzionate. Viene subito in mente la dialogatrice non
violenta a tutti i costi, la poderosa Luisa Morgantini,
che nonviolentemente gratifica di “bugiardo, opportunista
e stronzo” tutti quelli che non credono nell’equilibrio
tra sangue e sanguisuga. Tra i cattolici, mai esenti da
simili equilibrismi, spicca Giovanni Franzoni, molto
venerato ex-dom e ex-Comunità di San Paolo. Hanno per
segno distintivo il culto del dialogo, dell’incontro, del
conoscersi che poi si aggiusta tutto, sempre a scapito
della resistenza fino alla vittoria dell’oppresso
sull’oppressore. Da anni si trascinano dietro turbe
variopinte di coloro che rabbrividiscono di fronte alle
soluzioni nette, alla parola “vittoria”. Per Franzoni il
voto pro-colonizzazione, magari un po’ più “umanitaria”,
dell’Afghanistan “non implica che si sia favorevoli alla
guerra …i parlamentari, anche se hanno militato nel
movimento con i pacifisti, devono votare con criterio
politico (mi
veniva da tradurre:
gesuitico) e non per solidarietà
extraparlamentare (mi veniva da tradurre: non per
solidarietà con i tre quarti degli italiani)” A compenso
di questa caduta nella più “a perdere” delle “mediazioni”,
Franzoni si eleva poi alle vette a lui congeniali della
“riconciliazione nazionale” e, con tanti saluti a una
Resistenza irachena che sacrosantemente ha già respinto e
frantumato le tossiche proposte di dialogo sorte dalla
disperazione degli occupanti e dal terrore dei ladroni
collaborazionisti, inneggia alla riconciliazione tra curdi
e baathisti, sciti nazionalisti e sciti pro-iraniani,
tagiki e talebani, palestinesi e palestinesi, palestinesi
e israeliani, insorti e collaborazionisti, fino
all’onirico congiungimento di “Capezzone con Diliberto”. E
tra acqua e fuoco no, Giovanni? Peccato che non l’avessero
capito i partigiani che, anziché sparare ai nazisti,
potevano ben dialogarci… Ecco cattolicamente risolte tutte
le contraddizioni e chi ha più filo (cannoni e istinti
belluini) da tessere, tesserà. Franzoni, ci sei o ci fai?
Quello che più irrita, qui, è questa saccenteria
grilloparlantesca che ci intorcina le sinapsi mentre una
volta di più un grosso evento, in questo caso le
Olimpiadi, viene sfruttato dagli israeliani per fare
qualche altro passo avanti nella soluzione finale in
Palestina. Una Auschwitz a pizzichi e bocconi. Cosa che
non impedisce a Franco Giordano, neosegretario del PRC,
designato da chi ama i poveri di spirito, di indicare ai
nostri caudilli alamarati nuovi scenari d’intervento: se
proprio dobbiamo stare in Afghanistan, perché non andiamo
anche in Darfur, dove “gli americani non hanno nessun
interesse geostrategico”? Disse, mentre nelle orecchie
ancora ci rimbombavano gli appelli di Colin Powell, Donald
Rumsfeld e Condoleezza Rice per un intervento armato
contro il Sudan (colpevole di opporsi a una secessione
come al solito innescata da mercenari tipo Uck, al soldo
dell’imperialismo). Che vertigine la parabola dei
nonviolenti!
“Carta” s’incarta e sotto il
passamontagna niente, anzi gli Usa.
E’ quasi comico nella sua
patetica funzione di maestrino delle buone maniere il
versante romano della trimurti anti-Stato nazionale e
anti-pubblico., degli apostoli della sussidarietà e del
campanile, Sullo-Negri-Revelli. Gigi Sullo, direttore
nonviolento di “Carta” e di Ya Basta, che da troppi anni
rompe le palle ai comunisti ed antimperialisti, agendo da
intendenza per Bertisconi e propalando le narcofiabe
dell’imbonitore mascherato per fighetti adolescenti, non
poteva perdere l’occasione per impartirci l’ennesima
lezione “a nome del nucleo promotore delle campagne
pacifiste fin dal 2002”. Zavorrato dall’ambiguità dei
vasellinari delle guerre che si stracciavano le vesti sia
per bombe (vere) su Belgrado, sia per le nefandezze
(false) di Milosevic, nondimeno il Sullo è persuaso di
poter bastonare quella parte di “sinistra radicale” che,
non riuscendo a trattenere il vomito sul decreto di guerra
e suoi votanti appecoronati, “giocano a fare proclami
oltranzisti”. E, citando il sodale di non-violenza e
non-potere, MarcoRevelli, ricorre anche lui, al seguito
del sempre più rivoluzionario Russo Spena (capogruppo PRC
al Senato) e di quella testa da matrioska di Gennaro
Migliore (incredibilmente capogruppo alla Camera), al
toccasana dei sicofanti di complemento: “limitare il
danno”. “Dopodiché, toccherà al movimento per la pace…di
svolgere il di scorso, diffondere informazione, proporre
alternative e magari fa notare che la guerra non sia così
lontana…” Comodo, vero? Dopodiché, dopodiché, dopodiché.
Vi paiono grotteschi contorsionismi da altro che furbetti
del quartierino? Lo sono, ma raggiungono l’apice del
virtuosismo quando questo autentico prodigio della
nonviolenza-nonpotere-però-in- Afghanistan-è-un’altra-cosa
rinnova la sua devozione a quell’autentico figlio delle
mignotte di Langley che può permettersi di gironzolare
mascherato, motociclato o cavallato per tutto il Messico,
aggredendo e diffamando l’unica speranza di quel popolo di
uscire dalla tenaglia di colonialismo yankee e criminalità
capitalista interna, il candidato presidenziale Lopez
Obrador. E, quindi, facendo il gioco della destra e degli
yankees. Che Fregoli sei, Sullo, e che paraculi i tuoi
fratelli zapatosi di Ya Basta con la loro lavazziana
multinazionale del Caffè presunto zapatista: in Messico
con Marcos contro
il socialdemocratico Obrador, “pessimo come
tutti gli altri”, e in Italia
a favore
dell’ultraliberista e atlantista Prodi e la sua
“riduzione del danno”. Per 12 anni costoro si sono
affiancati, inalberando l’icona Marcos che doveva
offuscare quella ben più vera del Che, alla
globalizzazione imperialista nell’assalto allo stato
nazionale – leggi sovranità – degli altri, nella
nonviolenza autocastrante. Hanno rincretinito alcuni
liceali con le fiabacce di colui che ha spento i fuochi di
resistenza india e dato la caccia agli evangelici del
Chapas per conto del furbissimo vescovo Samuel Ruiz. Ora
si ritrovano con il “punto di riferimento intergalattico”,
astutamente costruito dai PR di Wall Street, ridotto a
reperto dell’infiltrazione, con sotto il passamontagna
niente. Personalmente l’avevo smascherato otto anni fa. E
così, finalmente, anche su Marcos e Sullo e quel suo
“movimento della pace”, graditissimo ai “cani della
guerra”, possiamo metterci una croce. E ripartire scevri
da equivoci e collateralismi. E , soprattutto, da infamoni
nonviolenti.
Il manifesto sta male. Il
manifesto fa male?
In questa turpe vicenda di
drogati di poltrone imbellettati di riduzione del danno,
il migliore, l’unico, quotidiano della Sinistra fa
l’anglosassone: non prende posizione, non fa campagna,
cita l’uno e poi l’altro, una lettera pro, un’altra contro
e continua la sua elegante passeggiata nello struscio
dell’élite sinistrorsa. Ultimamente ha lanciato il
periodico allarme fallimento e chiusura e, giustamente,
registra l’accorruomo di tanti assetati di informazione
vera che, come il sottoscritto, vivrebbero una notte
ancora più nera senza il lumicino in Via Tomacelli. Io ci
ho scritto, su un “manifesto” ancora bimbetto, e avrei
volentieri continuato se non mi fossi lasciato persuadere
a raccattare centocinquanta processi per reati di stampa
facendo il direttore di “Lotta Continua”. Almeno una roba
inqualificabile come Adriano Sofri non l’avrei incontrata
(per quanto, più tardi, anche il “manifesto” di Riccardo
Barenghi con i suoi trasporti per i marines…). Questo per
dire che il giornale mi è caro e non sopporto di
rinunciarvi. Ma con il “manifesto” si vince, o si riduce
il danno? Domanda sciocca, ma spontanea: e se il
“manifesto”, oltre a intristire i suoi affezionati lettori
con versioni via via formalmente meno accattivanti e
leggibili, oltre a rendere spesso inaccessibili le sue
ultime pagine, quelle culturali, con astruserie da
conventicola di iniziati, pagasse lo scotto per essersi
sempre più appiattito sugli stereotipi della (dis)informazione
di regime e di impero?
Stereotipi e “complotti”
Il giornale
dell’indimenticabile Luigi Pintor riproduce acriticamente
le imposture della guerra psicologica dei poteri
costituiti: dal “terrorismo e fondamentalismo islamico” (Sgrena),
all’antislavismo di Dakli che ha suonato la musica delle
destabilizzazioni imperialiste dal Kosovo alla Cecenia,
dalle “tragedie umanitarie” tipo Darfur alle “primavere
di Belgrado”, che entrambe coprono le operazioni di
regime change
ordite dagli strateghi del nuovo colonialismo; da cadute
in trappole come le interviste a tale Loretta Napoleoni,
consulente del centro per la repressione globale Usa
chiamato Home Security,
fatta passare per esperta di cose
internazionali, agli inaccettabili articoli di Zvi
Schuldiner che, con un colpo al cerchio israeliano e tre
alla botte palestinese, mette sullo stesso piano
“estremisti dell’una e dell’altra parte”; dalla totale
assenza di approfondimenti sull’Iraq, quando non c’è
l’impeccabile Stefano Chiarini, che sotterra il ruolo
fondamentale della Resistenza e condivide il quadro
strumentale di un paese in preda a indistinte barbarie,
all’incredibile coazione a ripetere delle balle su
Sebrenica e della presunta
contropulizia
etnica in Kosovo, laddove nessuna pulizia etnica è mai
stata condotta dai serbi. Peer arrivare al diapason della
mistificazione con la menzogna del millennio, dalla quale
dipende il futuro di tutta l’umanità: l’11 settembre.
Mistificazione che va a braccetto con la stupefacente
incoronazione a “compagno di strada” (Galapagos) del
neogovernatore di Bankitalia, Mario Draghi,
screditatissimo uomo della Goldman Sachs, di George Soros,
cioè della pirateria finanziaria internazionale che fece
fuori la lira e svendette per bruscolini l’industria di
Stato italiana. I lettori del “manifesto” non sono degli
sprovveduti. Frequentano altre fonti. Che costano anche di
meno. Io credo che provocano sconcerto attorno al
“manifesto” paginoni tanto scandalosi quanto
irresponsabili come quello (“Quelle trame occulte della
storia”, Roberto Ciccarelli, 2/7/06) che ha imbrattato
tutta la storia di questo valoroso giornale con un vero e
proprio sabotaggio del giornalismo investigativo, l’unico
che è davvero indispensabile in un mondo che ci prende per
il culo da mane a sera. Ciccarelli vorrebbe rifilarci
quella che ha tutta l’aria di una grottesca velina Cia e,
se non lo fosse, la Cia dovrebbe passargli una laurea ad
honorem. L’autore si lancia a testa bassa contro tutti
quelli che accusa di “paranoia da cospirazionisti”.
Arriva a citare il nazisionista del giro teocon Daniel
Pipes a conferma del suo assunto idiota che accusa di
idiozia coloro che “elevano pettegolezzi a livello di
verità scientifica”. I “pettegolezzi” sarebbero le
ricerche di centinaia di non lobotomizzati su quell’abisso
di puttanate che è la storia delle Torri Gemelle e
seguenti. Il bersaglio su cui Pipes-Ciccarelli lanciano i
loro B-52 è lo tsunami di controinformazione scientifica
scaturito dalle voragini e contraddizioni della versione
ufficiale. Lavoro difficile, assai rischioso, ostacolato,
perseguitato, basato su documenti ufficiali, centinaia di
testimonianze, registrazioni, immagini, condotto da decine
di prestigiosi accademici, giornalisti, investigatori
degli Usa e non solo. E se non bastasse, anche dal
comitato dei famigliari di molte delle 3000 vittime, che
hanno addirittura chiesto ai tribunali l’incriminazione di
Bush e della sua cosca per aver ordito il crimine che
avrebbe dovuto dare l’avvio all’impero mondiale.
“Psicopatici del complotto” anche costoro, Ciccarelli?
Dunque non è cospirazione? Siamo paranoici complottisti in
cerca di un “nemico inesistente” (sic)? Non era
cospirazione neppure la “strategia della tensione” con le
sue stragi di Stato? Ma allora c’erano un movimento vero,
giornalisti veri e due giornali autenticamente contro e si
smascherò il complotto con un libro, “La strage di Stato”,
che oggi nessun “manifesto” ha il coraggio e la saggezza
di scrivere. Non era cospirazione della banda Kissinger e
co. l’Operazione Condor per le dittature fasciste in
America Latina? E il Watergate? E la donazione di
Costantino? E la mafia, la massoneria, il Vaticano e le
sue operazioni sporche (Polonia!) vogliamo indagarli, o
rischiamo la stigmate dei “complottisti”? Caro
“manifesto”, non ci stiamo. Non ci stiamo neanche a
sciropparci quei due paginoni con cui ci hai voluto dare
il quadro dell’informazione “altra”, quella di rete,
citando i siti del “Sole 24 ore” della “Federconsorzi”,
della Disney, e negandoci anche un solo indirizzo di
coloro che, a migliaia nel mondo, si fanno il mazzo,
rischiano galera e strani “suicidi” anche solo per
scartabellare negli archivi nazionali e scoprirvi che di
11 settembre gli Usa e Israele ne hanno fatti a bizzeffe.
Provate un po’ a cercare nei
National Security
Archives qualche notiziola sull’ “Operazione
Northwoods”, quella con cui il Pentagono programmava di
ammazzare centinaia di cittadini statunitensi per avere la
scusa di attaccare Cuba. Paranoia?
Naturalmente, se prescindete
dagli, assolutamente non innocenti, depistaggi di
Ciccarelli, vivreste più scomodamente, ma, forse, con più
lettori. E dareste una mano alla salvezza del mondo.
Intanto, complotto per complotto, perché non ci raccontate
chi era il “quarto uomo” in macchina con Giuliana Sgrena,
di cui hanno ripetutamente detto il vostro direttore,
Gianni Letta, Nicolò Pollari e che dopo tre giorni è
svaporato? E’ una domanda dietrologica??
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