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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

TRA GOVERNI DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E GOVERNI  DI CRIMINALI DI GUERRA DALL’ “INTERVENTO UMANITARIO” ALLA “RIDUZIONE DEL DANNO”

Lidia Menaguerra, il Marcos smascherato, il “manifesto”allineato e in crisi: l’ora delle verità.                                    

 

Ciò che succede, il male che si abbatte su  tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà. Lascia promulgare  leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare…

(Antonio Gramsci)

     

Siamo rimasti in tre: Bernocchi, Cremaschi e noi

Era quell’asfissiante pomeriggio del 27 giugno 2006 ed eravamo in trecento, come quelli di Leonida alle Termopoli che fermarono l’impero mangiamondo dell’epoca. Caddero tutti, ma che fa. Da lì nascemmo tutti quanti, Spartaco, Robespierre, Marx,  brigate Garibaldi e irachene comprese. Nel torvo palazzo di fronte, inutilmente decorato di sole e di storia, qualche centinaio di larve si apprestavano a rosicchiare le carni afgane squartate dai barbari nazisionisti. Più in là, oltre il Giordano, un’altra larva, il Karzai palestinese, gongolava abbracciato a un re ascaro, torturatore appaltato dall’impero, Abdallah, e al macellaio del proprio popolo, Olmert, ultimogenito della madre di tutti i terrorismi. Erano impegnati, costoro a concludere la festa danzando su un tappeto di donne e di bambini palestinesi disintegrati nel corpo o nell’anima. Le regole d’ingaggio vengono direttamente dal Jahvé della Bibbia, quello che regala paesi altrui ai suoi: Passa a fil di spada ogni maschio, prendi per te le donne, i bambini, le bestie e tutto quel che trovi…non lasciare in vita nessuno, votali tutti allo sterminio, demolisci i loro altari, spezza le loro stele, brucia le loro sculture…”  Una lezione appresa perfettamente dalla “civiltà occidentale” (dite a Magdi Allam e al suo emulo su “Liberazione”, Guido Caldiron, di trovare qualcosa del genere nel Corano…), e in via di continuo perfezionamento ad opera degli arditi incursori di Jahvé  installati a Washington e Gerusalemme  Nel nostro palazzo, coerentemente, oltre ad allungare le zampe sui contadini afgani, ci si strappava i capelli per la sorte di quel “soldato-bambino d’Israele” (così Sansonetti su “Liberazione”) sequestrato da ineccepibili combattenti per la liberazione di un popolo intero sotto sequestro, destinato a estinzione forzata, alla Mein Kampf.

Trecento con l’Italia, tutti gli altri col palazzo

Eravamo trecento contro la guerra senza se e senza ma e alle nostre spalle, visibilissimi, c’erano tre quarti dei nostri concittadini. Non c’era, e la storia lo ha registrato nelle sue pagine più nefande, il “movimento”. Quella fantasmagoria che aveva navigato in una brodaglia di giuggiole per la definizione di “Seconda  Potenza Mondiale” con cui il New York Times gli aveva ottenebrato il senso delle proporzioni e la percettività analitica: Arci, Cgil, Liliput, Pax Christi, Beati Costruttori di pace, Attac, Disobbedienti, Manitese, Attac, Legambiente, nonché quel serraglio pseudocomunista bertinottiano che Prodi aveva giustamente definito “mero folklore”…Questi eroi dell’integralismo nonviolento, messo il grembiulino della “riduzione del danno” per coprire le baionette ricevute in cambio di qualche residuo etto di dignità, stavano di là, nel palazzo, a servire il tè all’umanitario per eccellenza, Massimo D’Alema. Perfettamente in pace con se stessi, poichè sinceramente convinti dal loro sensale, ora presidente della Camera, Bertisconi (“Siamo in Afghanistan per una missione di pace”), secondo cui la non violenza è privilegio esclusivo dei buoni, dei deboli, e delle vittime, dato che la Nato, già di per sé missionaria di pace, democrazia e diritti umani, può, come tale, fare quel che cazzo le pare. Si chiama disarmo unilaterale e incondizionato e garantisce, oltre alla benevolenza dei potenti, l’eliminazione di quei fastidiosi popoli e classi che si ostinano a volersi far rappresentare da chi si proclama di sinistra. 

Descamisados e neocravattati

Dal nostro lato della piazza tutti quei violentoni che insistevano a credere che la pace cammina sulle gambe della Resistenza irachena, dei fedayin palestinesi, dei medici di Cuba, degli abbattitiranni del Nepal, dei veterani di Mugabe, della rivoluzione di Chavez, delle avanzate delle Farc, degli occupanti di fabbriche in Argentina e di cantieri in Val di Susa. Sventolavano le bandiere dei Cobas. Sosteneva Piero Bernocchi (unico, con Giorgio Cremaschi della Fiom, esponente di organizzazione di massa non ridotto dal danno) che sulla guerra non esistono mediazioni e compromessi, come non se ne danno per chi fucila l’unico orso bruno della Germania, che s’è pappato quattro di cinquanta milioni di galline e ricorda i palestinesi che pretendono il 22% di una terra che, peraltro, era tutta loro. Impressionava la massiccia assenza delle Rdb e della Rete dei Comunisti.  In compenso, la trinità politico-radiofonico-vernacolare che ne vanta 700mila iscritti, non s’è voluta privare del piacere di una passarella, prima di rientrare ordinatamente nei ranghi arcobaleno dei bilanci comunali. Un megacapanello di descamisados appesi alle parole di Bernocchi e di qualche altro che diceva cose analoghe, con, lievemente distaccato, ma all’orlo nobile, già pencolante verso i vicini ori, velluti, stucchi e lacché, il gruppetto dei promossi al palazzo per grazia del segretario-presidente PRC. Belli incravattati, questi ernestini già rivoluzionari, giacchetta proletariamente sulle spalle, giulivamente ciarlieri, indifferenti a quanto si diceva al megafono, assisi sul trono del proprio, un po’ottuso, compiacimento di parvenues del potere. Un paio di costoro dicevano che voteranno contro la conferma dello stupro afgano voluto dai bombaroli della Jugoslavia, a meno che… L’ “a meno che” si presenterà sotto forma di 18.000 euro al mese, più cravatta, barbiere e trasferta. Meno distrattamente partecipi i rappresentanti del PdCI, su cui incombeva peraltro l’autodafé della rivendicata (ancora!) strage jugoslava “per evitare il massacro del Kosovo”, quelli del neonato Partito Comunista dei Lavoratori, un paio di Donne in nero (e tutte le altre)?

Da Berlusconi a Berlusconi

Abbiamo assistito all’ennesima nemesi all’italiana. Dal Berlusconi in proprio, a Berlusconi per interposta persona, come giustamente ribadisce il solito Bernocchi: taglio di sanità, scuola, salari; stangate micidiali agli eterni stangandi;  precariato a strafottere, liberalprivatizzazioni come se piovesse, Legge 30, concertazione, CTP, Bossi-Fini, TAV da spaccare montagne e comunità e mafizzare quel che si puo’ ancora di Grandi Opere, cuneo fiscale da imbandire tavole padronali e…missioni di pace. Nonviolenza-pacifismo, mi sembrate quelle due bambine finite squartate in un fosso del Belgio. Tutto  come ai tempi dell’avanspettacolo da angiporto Berlusconi-Calderoli, solo che questi, ora, di fronte  non hanno più dei botoli ringhianti alla bassotto Nando, ma una cucciolata di carlini addomesticati e scodinzolanti. Scodinzolanti – e qui sta il busillis, come conferma l’eterno Bernocchi – anche di fronte alla parentela di sangue (e il caso di dirlo!) con il Grande Alleato dei 70 interventi bellici o tirannogenici in mezzo secolo, dal disegno di nazificazione universale, con il suo guru israeliano che, mimetizzato dall’olocausto di allora, insegna come lo si rifa in veste medievale: fame, sete, peste, carcere e tortura, bagni di sangue e soluzione finale, tipo Gerico e catari, con sponsor come Furio Colombo, Guido Caldiron, Walter Veltroni, Mario Pirani, Piero Fassino e l’orrenda Bonino  a coprire, con il coro del “terrorismo islamico”, le urla di madri, padri e figli “terminati”. Alleati di un governo anche con il PRC, presto Sinistra di comodo Europea, che però si salva l’anima esibendo spillette arcobaleno e subcomandanti zapatisti.

La “riduzione del danno” di femministe e preti non violenti

C’è gente che pare provarci gusto a imbrattare la vecchiaia di una vita, pur di alti e bassi, ma tuttavia difendibile. Pensate al povero Pietro Ingrao, mugugnante santone, ma per decenni fedele alla linea a costo di gettare dalla torre i migliori dei suoi monaci, che in dirittura d’arrivo si acquieta nel grembo di Bertinotti e con lui, a forza di non violenza, mena colpi demolitori alla pace con giustizia, alla resistenza dei popoli e al comunismo. Su ambiguotte pasionarie della nonviolenza, come Lisa Clark dei Beati Costruttori di pace, e il suo padre spirituale, Tonino Dall’Olio, di sciagurata sarajevana memoria, ogni perplessità risulta confermata: “Sull’Afghanistan credo che ci sia un inizio di cambiamento”, “E’ il male minore (il decreto rinnova-spedizione) e ti assicuro che non è poco. Soprattutto se valuti quel che accade con gli occhi degli afghani, di chi la guerra la subisce…”  Impudico al parossismo.  Più desolante è il triste e tristo declino di Lidia Menapace, ultraottuagenaria già eticamente distintasi nella bulimica disinvoltura con cui è volata a prendere il posto al Senato di un Marco Ferrando annichilito dalle bombe “etico-patriottiche” di Bertisconi e dei macellai dell’Iraq. La prestigiosa femminista-pacifista è la madre superiora di quella muta di machofemministe di “Liberazione” che, sionisticamente, si arrampicano verso il potere sospinte dal vittimismo del “perché gli uomini ammazzano le donne?” (perchè nessuno gli ha mai ribattuto: “Perché le madri ammazzano i figli?”) e che vantano avere loro e solo loro pace e nonviolenza nel più sperduto dei cromosomi. Se “menare” vuol dire picchiare, allora, Lidia, portalo ben visibile il tuo cognome. Se lo si deve intendere come “portare”, meglio che cambi in Menaguerra, risparmiandoci i gas lacrimogeni della “riduzione del danno”  che hai imparato a spararci addosso scrivendo su “Liberazione” (30/6/06) lacrimevoli e spudorate giustificazioni per la tua adesione alle spedizione degli afghanicidi. Questi figli di brava donna vi hanno ventilato la prospettiva di stormi di cacciabombardieri AMX ed elicotteri da combattimento, centinaia di killer professionisti in più, orde di carri armati, incursioni con Enduring Freedom nel mattatoio del Sud Afghanistan, altrimenti l’uscita dalla Nato, dall’ONU, dalla “comunità internazionale”, dalla squadra di calcetto, la squallida solitudine del reietto, accanto a tipacci come Chavez o Fidel. Naturalmente un megabluff alla confindustriale, un chiedere cento per avere ottanta, un “non t’ammazzo più, ti lascio il colera”, per poi farvi correre rinfrancati, alto il vessillo della “riduzione del danno”, sull’autostrada dell’esistente, trainati dal carrozzone bipartisan dei bari, ruffiani e assassini, con tanto di autogrill e colonnine SOS, anzi ONG. Gli afghani li massacreremo solo a Herat e  Kabul (di cui si tace che sono polveriere quanto il Sud) e, perlopiù, sotto gli occhi di un bell’Osservatorio con dentro D’Alema e Borghezio, Parisi, l’ominicchio che si crede feldmaresciallo, e Castelli, simbolo della giustizia di Thor. La sovranità di un paese strategico per i nostri interessi narcopetroliferi la violeremo un po’ di meno, ai nostri alleati nazisionisti abbiamo dato una bella dimostrazione di autonomia e, soprattutto, manderemo qualche avvoltoio ricostruttore per la colonizzazione umanitaria, non importa quanto postribolare si sia dimostrata in Kosovo. E se nutriamo le Ong, quale movimento della società civile mai potrà rimostrare? Davvero, Lidia, pensi che quella spilletta fornitavi in serie dal Bertisconi possa nascondere la lebbra che vi sta mangiando la credibilità, pezzo a pezzo? Non ascoltare me, che sono il noto maschilista violento, addirittura eterosessuale. Ascolta le tue sorelle di pace, quelle che non percorrono quell’autostrada infame, ma insistono ad attraversare deserti. Doriana Goracci, Donna in nero: “A voi, saltimbanchi della politica, la parola che avete sempre pronta. VERGOGNA, in saldi di pace, come gli stracci nelle vetrine d’Italia”. Nella Ginatempo, incorruttibile combattente contro la guerra:”Se un premier non vuole rischiare di cadere può cambiare il decreto e ottenere i consensi necessari avanzando sul piano della pace e non su quello della guerra. No al doppio ricatto di D’Alema. Quello sul governo e quello sulla Nato. Contro la guerra alla Jugoslavia, i greci dissero di no alla Nato…” 

Benintenzionate quinte colonne, un tempo “utili idioti”

Nella truppa coloniale, oltre ai furbastri e cinici, in abito talare o gonna, spuntano anche i più o meno naives, quinte colonne seppure benintenzionate. Viene subito in mente la dialogatrice non violenta a tutti i costi, la poderosa Luisa Morgantini, che nonviolentemente gratifica di “bugiardo, opportunista e stronzo” tutti quelli che non credono nell’equilibrio tra sangue e sanguisuga. Tra i cattolici, mai esenti da simili equilibrismi, spicca Giovanni Franzoni, molto venerato ex-dom e ex-Comunità di San Paolo. Hanno per segno distintivo il culto del dialogo, dell’incontro, del conoscersi che poi si aggiusta tutto, sempre a scapito della resistenza fino alla vittoria dell’oppresso sull’oppressore. Da anni si trascinano dietro turbe variopinte di coloro che rabbrividiscono di fronte alle soluzioni nette, alla parola “vittoria”. Per Franzoni il voto pro-colonizzazione, magari un po’ più “umanitaria”, dell’Afghanistan “non implica che si sia favorevoli alla guerra …i parlamentari, anche se hanno militato nel movimento con i pacifisti, devono votare con criterio politico (mi veniva da tradurre: gesuitico) e non per solidarietà extraparlamentare (mi veniva da tradurre: non per solidarietà con i tre quarti degli italiani)” A compenso di questa caduta nella più “a perdere” delle “mediazioni”, Franzoni si eleva poi alle vette a lui congeniali della “riconciliazione nazionale” e, con tanti saluti a una Resistenza irachena che sacrosantemente ha già respinto e frantumato le tossiche proposte di dialogo sorte dalla disperazione degli occupanti e dal terrore dei ladroni collaborazionisti, inneggia alla riconciliazione tra curdi e baathisti, sciti nazionalisti e sciti pro-iraniani, tagiki e talebani, palestinesi e palestinesi, palestinesi e israeliani, insorti e collaborazionisti, fino all’onirico congiungimento di “Capezzone con Diliberto”. E tra acqua e fuoco no, Giovanni? Peccato che non l’avessero capito i partigiani che, anziché sparare ai nazisti,  potevano ben dialogarci… Ecco cattolicamente risolte tutte le contraddizioni e chi ha più filo (cannoni e istinti belluini) da tessere, tesserà. Franzoni, ci sei o ci fai? Quello che più irrita, qui, è questa saccenteria grilloparlantesca che ci intorcina le sinapsi mentre una volta di più un grosso evento, in questo caso le Olimpiadi, viene sfruttato dagli israeliani per fare qualche altro passo avanti nella soluzione finale in Palestina. Una Auschwitz a pizzichi e bocconi. Cosa che non impedisce a Franco Giordano, neosegretario del PRC, designato da chi ama i poveri di spirito, di indicare ai nostri caudilli alamarati nuovi scenari d’intervento: se proprio dobbiamo stare in Afghanistan, perché non andiamo anche in Darfur, dove “gli americani non hanno nessun  interesse geostrategico”? Disse, mentre nelle orecchie ancora ci rimbombavano gli appelli di Colin Powell, Donald Rumsfeld e Condoleezza Rice per un intervento armato contro il Sudan (colpevole di opporsi a una secessione come al solito innescata da mercenari tipo Uck, al soldo dell’imperialismo). Che vertigine la parabola dei nonviolenti!

“Carta” s’incarta e sotto il passamontagna niente, anzi gli Usa.

E’ quasi comico nella sua patetica funzione di maestrino delle buone maniere  il versante romano della trimurti anti-Stato nazionale e  anti-pubblico., degli apostoli della sussidarietà e del campanile, Sullo-Negri-Revelli. Gigi Sullo, direttore nonviolento di “Carta” e di Ya Basta, che da troppi anni rompe le palle ai comunisti ed antimperialisti, agendo da intendenza per Bertisconi e propalando le narcofiabe dell’imbonitore mascherato per fighetti adolescenti, non poteva perdere l’occasione per impartirci l’ennesima lezione “a nome del nucleo promotore  delle campagne pacifiste fin dal 2002”. Zavorrato dall’ambiguità dei vasellinari delle guerre che si stracciavano le vesti sia per bombe (vere) su Belgrado, sia per le nefandezze (false) di Milosevic, nondimeno il Sullo è persuaso di poter bastonare quella parte di “sinistra radicale” che, non riuscendo a trattenere il vomito sul decreto di guerra e suoi votanti appecoronati, “giocano a fare proclami oltranzisti”. E, citando il sodale di non-violenza e non-potere, MarcoRevelli, ricorre anche lui, al seguito del sempre più rivoluzionario Russo Spena (capogruppo PRC al Senato) e di quella testa da matrioska di Gennaro Migliore (incredibilmente capogruppo alla Camera), al toccasana dei sicofanti di complemento: “limitare il danno”. “Dopodiché, toccherà al movimento per la pace…di svolgere il di scorso, diffondere informazione, proporre alternative e magari fa notare che la guerra non sia così lontana…” Comodo, vero? Dopodiché, dopodiché, dopodiché. Vi paiono grotteschi contorsionismi da altro che furbetti del quartierino? Lo sono, ma raggiungono l’apice del virtuosismo quando questo autentico prodigio della nonviolenza-nonpotere-però-in- Afghanistan-è-un’altra-cosa rinnova la sua devozione a quell’autentico figlio delle mignotte di Langley che può permettersi di gironzolare mascherato, motociclato o cavallato per tutto il Messico, aggredendo e diffamando l’unica speranza di quel popolo di uscire dalla tenaglia di colonialismo yankee e criminalità capitalista interna, il candidato presidenziale Lopez Obrador. E, quindi, facendo il gioco della destra e degli yankees. Che Fregoli sei, Sullo, e che paraculi i tuoi fratelli zapatosi di Ya Basta con la loro lavazziana multinazionale del Caffè presunto zapatista: in Messico con Marcos contro il socialdemocratico Obrador, “pessimo come  tutti gli altri”,  e in Italia a favore dell’ultraliberista e atlantista Prodi  e la sua “riduzione del danno”. Per 12 anni costoro si sono affiancati, inalberando l’icona Marcos che doveva offuscare quella ben più vera del Che, alla globalizzazione imperialista nell’assalto allo stato nazionale – leggi sovranità – degli altri, nella nonviolenza autocastrante.  Hanno rincretinito alcuni liceali con le fiabacce di colui che ha spento i fuochi di resistenza india e dato la caccia agli evangelici del Chapas per conto del furbissimo vescovo Samuel Ruiz. Ora si ritrovano con il “punto di riferimento intergalattico”, astutamente costruito dai PR di Wall Street, ridotto a reperto dell’infiltrazione, con sotto il passamontagna niente. Personalmente l’avevo smascherato otto anni fa. E così, finalmente, anche su Marcos e Sullo e quel suo “movimento della pace”, graditissimo ai “cani della guerra”, possiamo metterci una croce. E ripartire scevri da equivoci e collateralismi. E , soprattutto, da infamoni nonviolenti.

Il manifesto sta male. Il manifesto fa male?

In questa turpe vicenda di drogati di poltrone imbellettati di riduzione del danno, il migliore, l’unico, quotidiano della Sinistra fa l’anglosassone: non prende posizione, non fa campagna, cita l’uno e poi l’altro, una lettera pro, un’altra contro e continua la sua elegante passeggiata nello struscio dell’élite sinistrorsa. Ultimamente ha lanciato il periodico allarme fallimento e chiusura e, giustamente, registra l’accorruomo di tanti assetati di informazione vera che, come il sottoscritto, vivrebbero una notte ancora più nera senza il lumicino in Via Tomacelli. Io ci ho scritto, su un “manifesto” ancora bimbetto, e avrei volentieri continuato se non mi fossi lasciato persuadere a raccattare centocinquanta processi per reati di stampa facendo il direttore di “Lotta Continua”. Almeno una roba inqualificabile come Adriano Sofri non l’avrei incontrata (per quanto, più tardi, anche il “manifesto” di Riccardo Barenghi con i suoi trasporti per i marines…). Questo per dire che il giornale mi è caro e non sopporto di rinunciarvi. Ma con il “manifesto” si vince, o si riduce il danno?  Domanda sciocca, ma spontanea: e se il “manifesto”, oltre a intristire i suoi affezionati lettori con versioni via via formalmente meno accattivanti e leggibili, oltre a rendere spesso inaccessibili le sue ultime pagine, quelle culturali, con astruserie da conventicola di iniziati, pagasse lo scotto per essersi sempre più appiattito sugli stereotipi della (dis)informazione di regime e di impero?

Stereotipi e “complotti”

Il giornale dell’indimenticabile Luigi Pintor riproduce acriticamente le imposture della guerra psicologica  dei poteri costituiti: dal “terrorismo e fondamentalismo islamico” (Sgrena), all’antislavismo di Dakli che ha suonato la musica delle destabilizzazioni imperialiste dal Kosovo alla Cecenia, dalle “tragedie umanitarie” tipo Darfur  alle “primavere di Belgrado”, che entrambe coprono le operazioni di regime change ordite dagli strateghi del nuovo colonialismo; da cadute in trappole come le interviste a tale Loretta Napoleoni, consulente del centro per la repressione globale Usa chiamato Home Security, fatta passare per esperta di cose internazionali, agli inaccettabili articoli di Zvi Schuldiner  che, con un colpo al cerchio israeliano e tre alla botte palestinese, mette sullo stesso piano “estremisti dell’una e dell’altra parte”; dalla totale assenza di approfondimenti sull’Iraq, quando non c’è l’impeccabile Stefano Chiarini, che sotterra il ruolo fondamentale della Resistenza  e condivide il quadro strumentale di un paese in preda a indistinte barbarie, all’incredibile coazione a ripetere delle balle su Sebrenica e della presunta contropulizia etnica in Kosovo, laddove nessuna pulizia etnica è mai stata condotta dai serbi. Peer arrivare al diapason della mistificazione con la menzogna del millennio, dalla quale dipende il futuro di tutta l’umanità: l’11 settembre. Mistificazione che va a braccetto con la stupefacente incoronazione a “compagno di strada” (Galapagos) del neogovernatore di Bankitalia, Mario Draghi, screditatissimo uomo della Goldman Sachs, di George Soros, cioè della pirateria finanziaria internazionale che fece fuori la lira e svendette per bruscolini l’industria di Stato italiana. I lettori del “manifesto” non sono degli sprovveduti. Frequentano altre fonti. Che costano anche di meno. Io credo che provocano sconcerto attorno al “manifesto” paginoni tanto scandalosi quanto irresponsabili come quello (“Quelle trame occulte della storia”, Roberto Ciccarelli, 2/7/06) che ha  imbrattato tutta la storia di questo valoroso giornale con un vero e proprio sabotaggio del giornalismo investigativo, l’unico che è davvero indispensabile in un mondo che ci prende per il culo da mane a sera. Ciccarelli vorrebbe rifilarci quella che ha tutta l’aria di una grottesca velina Cia e, se non lo fosse, la Cia dovrebbe passargli una laurea ad honorem. L’autore si lancia a testa bassa contro tutti quelli che accusa di  “paranoia da cospirazionisti”. Arriva a citare il nazisionista del giro teocon Daniel Pipes a conferma del suo assunto idiota che accusa di idiozia coloro che “elevano pettegolezzi a livello di verità scientifica”. I “pettegolezzi” sarebbero le ricerche di centinaia di non lobotomizzati su quell’abisso di puttanate che è la storia delle Torri Gemelle e seguenti. Il bersaglio su cui  Pipes-Ciccarelli lanciano i loro B-52 è lo tsunami di controinformazione scientifica scaturito dalle voragini e contraddizioni della versione ufficiale. Lavoro difficile, assai rischioso, ostacolato, perseguitato, basato su documenti ufficiali, centinaia di testimonianze, registrazioni, immagini, condotto da decine di prestigiosi accademici, giornalisti, investigatori degli Usa e non solo. E se non bastasse, anche dal comitato dei famigliari di molte delle 3000 vittime, che hanno addirittura chiesto ai tribunali l’incriminazione di Bush e della sua cosca per aver ordito il crimine che avrebbe dovuto dare l’avvio all’impero mondiale. “Psicopatici del complotto” anche costoro, Ciccarelli? Dunque non è cospirazione? Siamo paranoici complottisti in cerca di un “nemico inesistente” (sic)?  Non era cospirazione neppure la “strategia della tensione” con le sue stragi di Stato? Ma allora c’erano un movimento vero, giornalisti veri e due giornali autenticamente contro e si smascherò il complotto con un libro, “La strage di Stato”, che oggi nessun “manifesto” ha il coraggio e la saggezza di scrivere. Non era cospirazione della banda Kissinger e co. l’Operazione Condor per le dittature fasciste in America Latina? E il Watergate? E la donazione di Costantino?  E la mafia, la massoneria, il Vaticano e le sue operazioni sporche (Polonia!) vogliamo indagarli, o rischiamo la stigmate dei “complottisti”? Caro “manifesto”, non ci stiamo. Non ci stiamo neanche a sciropparci quei due paginoni con cui ci hai voluto dare il quadro dell’informazione “altra”, quella di rete, citando i siti del “Sole 24 ore” della “Federconsorzi”, della Disney, e negandoci anche un solo indirizzo di coloro che, a migliaia nel mondo, si fanno il mazzo,  rischiano galera e strani “suicidi” anche solo per scartabellare negli archivi nazionali e scoprirvi che di 11 settembre gli Usa e Israele ne hanno fatti a bizzeffe. Provate un po’ a cercare nei National Security Archives qualche notiziola sull’ “Operazione Northwoods”, quella con cui il Pentagono programmava di ammazzare centinaia di cittadini statunitensi per avere la scusa di attaccare Cuba. Paranoia?

Naturalmente, se prescindete dagli, assolutamente non innocenti, depistaggi di Ciccarelli, vivreste più scomodamente, ma, forse, con più lettori. E dareste una mano alla salvezza del mondo. Intanto, complotto per complotto, perché non ci raccontate chi era il “quarto uomo” in macchina con Giuliana Sgrena, di cui hanno ripetutamente detto il vostro direttore, Gianni Letta, Nicolò Pollari e che dopo tre giorni è svaporato?  E’ una domanda dietrologica??

 

 

 

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