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LA COMMEDIA DEL
“RIFORMISMO”
LA COMMEDIA DEL
TERRORISMO:
LA SPIRALE DI
BERTINOTTI E LA RETTA DI CHOSSUDOVSKY
30/06/2004
Che Fausto Bertinotti fosse un umorista di
prim’ordine, molti di coloro che osservano il sub-sub-comandante con
sobria obiettività, senza il velo di quell’adorante mitizzazione che
allo schivo segretario del PRC dà tanto fastidio, lo sapevamo da tempo.
Era bastato l’inarrestabile crescendo di gag con cui ci aveva sbalordito
e divertito oltre ogni misura nel corso degli ultimi due anni. Uno
scoppiettìo irresistibile con vertici di assoluta demenzialità, tale da
consegnare agli archivi dell’obsoleto addirittura il meglio della
creatività di uno Stanlio, o di un Groucho (il quale, diversamente dal
suo cognononimo, per Fausto è morto solo fisicamente). Il tutto esaltato
da una capacità di fingersi serio e convinto che neanche Buster Keaton,
massimo maestro dell’impassibilità.
Basta riandare, in una memoria talmente
fitta di battute e scenette da risultare irrecuperabile nella sua
travolgente totalità, a numeri come quello di “Marcos cammina
domandando”, di “Toni Negri, o delle moltitudini”, al thriller
surrealista “Casarini contro Lenin”, all’ineguagliabile corto
demenziale, con goldoniano scambio di personaggi, “D’Alema, Fassino,
Amato, Rutelli, Mastella, il mondezzaio Bassolino e io medesimo alla
corte di Re Luca (Casarini o Montezemolo?)”, del paradossale lazzo con
Kossiga che tiene lezioni di marxismo-leninismo sotto la lapide di
Giorgiana Masi e azzanna e mastica il memoriale di Aldo Moro che un
irriducibile Sergio Flamigni (1) continua ad agitargli sul muso.
Spiccano nello scintillante pot-pourrì farse dal sapore plautesco come
il buffo nonsense “I nonviolenti contro Abu Ghraib”, o come il Partito
della Sinistra Europea, fatto passare al volgo idolatra per l’Arca
dell’Alleanza, custode delle tavole della legge, ma che, in men che non
si dica, con grande artificio scenico, diventa l’Arca di Noè che
trasporta la coppia transgenica Sinistra Riformista- Sinistra Radicale,
detta anche Alternanza-Alternativa, oltre il diluvio bushlusconiano. Del
resto quella di far passare un’idea, una persona, una situazione per il
suo contrario è, nella sana tradizione della Commedia dell’arte, il
nocciolo arlecchinesco della comicità bertinottiana. Lì lo spiazzamento
dello spettatore diventa assoluto e la celia assume portata epica.
Pensate alla scenetta di Bertinotti sorridente, come un qualunque
Berlusconi nella foto ricordo con Bush, in fila con gli altri leader
dell’Ulivo, adorno di sciarpa tibetana, che fa passare il Dalai Lama,
già sanguinario tiranno di un popolo di servi della gleba cui i suoi
monaci rapivano i figli e oggi capostazione Cia in India, per galantuomo
e guida spirituale dell’umanità. A uno che gli riesce un colpo
illusionista del genere, far credere al pubblico che si chiami
Riformismo (quello con cui la sinistra radicale andrà a governare) la
politica dello spedire soldati a falciare pastori in Afghanistan,
cospargere di bombe la Jugoslavia in combutta con gangster kosovari,
decretare con Treu che non sei proprio più nessuno e nulla ti spetterà
neanche se sputi sangue fino a cent’anni, fare della scuola una
dependance della Parmalat, estendere il raggio Nato fino alle isole
Tonga, decretare l’ONU il consesso degli dei…è meno difficile di quanto
lo fosse per Berlinguer convincerci che quello storico era un
compromesso e non, come risultò, un’inculata bestiale. Questo è vero,
altissimo, teatro dell’assurdo e il pubblico, a vedersi rappresentare
come partner riformista della sinistra “alternativa” un’accozzaglia
deideologizzata, de-eticizzata, grevemente arrivista, totalmente
senz’arte né parte, più a destra di Blair, un miscuglio di rinnegati
vergognosi della propria storia e del proprio popolo e di reazionari
voraci quanto lo possono essere democristiani frustrati in combutta con
massoni ex-pannelliani, assapora davvero il più sublime degli sketch.
Della volta in cui la satira del Nostro
raggiunse la forza di una beffa falstaffiana abbiamo già parlato in
altra occasione. Esaltiamoci ancora una volta al ricordo. Fu quando
duecentomila marciarono contro gli sgherri, in uniforme e senza, dei
neonazi Usa-Sion e, quasi tutti, in solidarietà con una resistenza
irachena che stava affascinando l’intero mondo degli oppressi e
sfruttati. Quel giorno, un indimenticabile 4 giugno, “Liberazione” se ne
uscì con il paginone centrale definito di indicazioni di lotta e,
invece, strabordante di esilaranti cazzate, redatte dal solito santone
orientale, tipo: “svestirsi in segno di protesta” , “negare il pene o la
vagina”, “rifiutare di usare denaro”, “esporsi agli agenti naturali”,
“annientare l’avversario psicologicamente con la non violenza”… Bè,
ragazzi, siamo al sublime. E pensare che qualcuno, oltre a Lisistrata,
ci aveva creduto!
Certo, nella compagnia di giro che
rallegra gli italiani, a volte simpaticamente sconcertandoli e
prendendoli in contropiede, non mancano i comprimari, le spalle, i
figuranti. Tra i primi non possiamo non sottolineare la creatività, del
tutto degna del maestro, di una Ritanna Armeni che, novella Lucia
Annunziata (prodotto d’alambicco composto da un po’ di “manifesto”, un
po’ di Ulivo, una quota di RAI, un’altra di Fiat, un’altra ancora di D’Alema
e una robusta dose di Sharon), stupisce il colto e l’inclita con i suoi
travolgenti cambi di personaggio: giornalista in militanti sottanoni del
“manifesto” qui, dama portavoce in eleganti tailleur di Bertinotti là,
e, al contempo, paladina del berluschissimo Stefano Folli alla testa del
Corrierone, ma poi, colpaccio di scena, da settembre co-conduttrice di
“Otto e mezzo” al fianco e al servizio dello spione CIA Giuliano
Ferrara, nota “fetecchia”, in successione di Luca Sofri, figlio sciocco
ma benemerito dell’altro spione, e di Barbara Palombelli, balbettante
espressione della nullità che il marito Rutelli secerne come fosse un
maritozzo alla panna. Per vocazione spalla di una qualsivoglia
Segreteria e in quanto tale spalla del segretario nazionale e,
simultaneamente, della segretaria e consorte Patrizia Sentinelli (nomen
est consequentia rerum), Roberto Musacchio è una specie di
Vianello inflaccidito accanto a una Mondaini con un pelo da istrice
sullo stomaco. La burla di presentarlo alle elezioni europee ha avuto il
gradimento – per la verità un po’ forzoso, visti i paterni ammonimenti a
non esagerare con l’autopromozione dei compagni candidati accreditati di
maggiore successo sul territorio, pervenuti dal direttore della
compagnia – di alcune migliaia di benevoli spettatori, quanto bastava
comunque per una serie di esilaranti repliche a Strasburgo e Bruxelles.
Di Musacchio mi ricordo una recente performance di grande rilievo
macchiettistico, come sempre al fianco del primattore. Fu recitata in
occasione di una “matinè del comico” intitolata “Guerra e terrorismo”,
allestita ahimè per pochi intimi nella sede della Federazione del PCR a
Roma, alle nove del mattino di lunedì, scelta rigorosamente proletaria,
che vide il Musacchio, già ricco di allori tributatigli in vari festival
dell’umorismo ecologico, esibirsi in una sconvolgente commedia degli
equivoci. Lo scenario era l’Iraq e si era parlato dell’abietto ruolo di
utili idioti del colonialismo, nonché di nacrotrafficanti e tagliagole,
istigati alla ribellione secessionista da Kissinger e vari suoi compari
dell’associazione a delinquere di Tel Aviv, rivestito dai curdi dei
capimafia collaborazionisti Talabani e Barzani. Facendo finta di non
conoscere la differenza tra curdi turchi, curdi iracheni, curdi iraniani
e siriani, e neppure tra Turchia e Iraq, Musacchio s’infervorò fino alla
lacrime nell’elogio di codesti curdi collaborazionisti dell’occupante
statunitense, riandando con vibrante indignazione alle veglie del Celio,
tenute invece per Ocalan e per i suoi, di curdi, che all’epoca venivano
massacrati dall’esercito turco e, se fuggivano dai fratelli iracheni,
pure da costoro. Fu un vertice storico dell’umorismo
politico-geografico.
Spirale, per lo Zingarelli, “curva piana
caratterizzata da infiniti giri intorno a un punto” e, figurativo,
“sviluppo costante e a intensità crescente, di un sentimento, fenomeno e
sim.”, situazione che non sembrerebbe discostarsi molto dalla paranoia.
Per retta, o linea retta, tutti quanti dalle elementari sappiamo che si
intende la distanza più breve tra due punti. La spirale, per sua natura
sfuggente, paradossale, insinuante, evasiva e al tempo stesso
ossessivamente insistente e, dunque, il tormentone umoristico per
eccellenza, è quella di Bertinotti. Oggi dà spettacolo nella versione
“La spirale guerra-terrorismo”. La retta, al contrario, è semplice fino
all’ovvietà, evidente, fattuale, rigorosa, univoca, perentoria, precisa
e, perciò, di fantasia e humour totalmente priva. La pratica Michel
Chossudovsky, ordinario di economia politica all’Università di Toronto,
insieme al suo gruppo di ricercatori e investigatori denominato “Global
Research” (www.globalresearch.ca),
considerati ovunque i più attendibili contrinformatori degli USA. In
quanto adepto di quest’ultimo, ne avevo citato alcuni elaborati
all’insegna della linea retta, appunto, in un confronto con il
segretario nazionale del PRC, nel succitato arengo seminariale su
“Guerra e terrorismo”. Venni annichilito da un argomento che non ammette
né contrasto, né dubbio: “Quello che dice Grimaldi mi lascia ammutolito
e, dunque, non è degno di risposta. Pensare di attribuire alla Cia le
questioni dell’accumulazione capitalistica è semplicemente ridicolo”.
Meditai che negare che la Cia e servizi analoghi siano lo strumento per
agevolare l’accumulazione capitalistica fosse non meno ridicolo.
Infatti, dimentico di trovarmi al cospetto
di quella colossale invenzione scenica dell’umorismo bertinottiano che è
la “spirale”, anziché apprendere l’arte del volteggio tra contrari e
affini che caratterizza questa spiritosa forma geometrica, avevo
percorso il tratto rozzo e breve tra A e B. Anzichè ai protagonisti
della massima compagnia comica internazionale, ormai consegnati all’epos
dell’humour, come
Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld, Tenet, Libby, Perle, Condoleezza, Faith,
Negroponte, con il buttafuori Bush-the-Little
ispiratori storici della spirale, avevo fatto riferimento all’insulso e
banalotto Chossudovsky, all’altrettanto elementare Mike Moore, il
cinematografaro, al giornalista investigativo francese, esperto in
ovvietà, Thierry Meyssan (“L’incredibile menzogna”, Fandango Libri), a
tutta una serie di polverosi documenti della stessa Commissione
d’indagine del Congresso USA, all’ex-ministro tedesco Von Buelow, che
aveva subito detto “se lo son fatto da sé”, addirittura al Comitato
delle Famiglie delle Vittime dell’11 settembre, consesso
comprensibilmente privo di disponibilità alle facezie, a tonnellate di
documenti di investigatori indipendenti, ma anche legati al primitivo
“due più due fa quattro” e, infine, all’atteggiamento grettamente logico
di popoli e politici del Sud del mondo colonizzato o neocolonizzato, da
me interrogati in gran numero.
Vediamo di spiegarci. Dalla grande scuola
comica statunitense era stato fissato il punto iniziale della spirale:
gli attentati dell’11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono.
Passando, come è nella sua natura, al lato opposto, la spirale aveva
suscitato la guerra all’Afghanistan. Rientrando, sollevandosi via via
come un serpente a sonagli al suono del flauto, sul lato iniziale, la
spirale aveva creato una schiera di “terroristi islamici”, mimetizzati
da annosi venditori di kebab e tappeti in Luisiana e a Minneapolis, e
subito era rimbalzata in alto e dall’altra parte dove aveva partorito il
Patriot Act, una
legislazione sommamente immaginifica e burlona che imprigionava senza
mandato e deteneva senza difesa, telefonate e giudizio, oltre a
consentire evoluzioni sui corpi dei prigionieri di classica marca
circense (qui qualche efficace suggerimento per aumentare il potenziale
buffonesco era venuto dal senatore-domatore Livio Togni, che Bertinotti
aveva personalmente tratto dalla gabbia delle tigri e sollevato al
soglio parlamentare, dove, infatti, aveva subito votato con la
maggioranza per l’intervento in Afghanistan…). Altro guizzo della
spirale guerra-terrorismo ed ecco l’impatto con la burla “armi di
distruzione di massa-legami con Al Qaida-dittatore sanguinario”, di cui
almeno una delle tre freddure la farsa bertinottiana recepì ed esaltò.
Nuovo giro e la spirale s’infila in un Iraq messo a ferro e fuoco, per
poi ritrovarsi dal lato opposto in zona “terrorismo”, con circa 20
milioni di violenti che fanno saltare per aria gli occupanti. Si riparte
e dal versante “guerra” ecco che ci ritroviamo affettati e impalati ad
Abu Ghraib e in tutte le prigioni USA del mondo e subito rimbalziamo nel
terrorismo delle decapitazioni, a partire da quella di Nick Berg, tutte
fatte da quel fregoli dell’ubiquità e dei travestimenti che è il
neo-Osama, Al Zarkawi, con le sue bombe di Madrid, Istambul e Riad,
altra burla di pregiata fattura Cia. E così la spirale vive, serpeggia,
si fa voluta come di fumo, inventa, danza di calembour in calembour, ma
senza mai perdere d’occhio il canovaccio di base, quello fissato dai
teatranti di Washington: la guerra è la risposta – per i neocon-neonazi
necessaria, per Bertinotti solo sbagliata - al terrorismo. A cui si
aggiunge la svolta bertinottiana, ma non solo sua, chè qui i comici
abbondano, per la quale il terrorismo è la risposta – ancor meno
divertente della guerra - alla guerra e allo sfruttamento. La spirale è
tutta qui. Si tratta, per la verità, di salto mortale logico e, perciò,
del massimo effetto esilarante, alla luce dell’elementare constatazione
che senza terrorismo (vista la momentanea scomparsa della minaccia
comunista) non ci sarebbe ragion di guerra e dunque, coloro che, per
Bertinotti, ricorrono alla freddura della guerra, per chiudere il
cerchio della commedia, del terrorismo hanno un bisogno esistenziale.
Tale da far apparire guerra e terrorismo non tanto i contrapposti di una
spirale, ma l’inseparabile e funzionale coppia maschio-femmina senza la
quale non c’è verso di avvitarsi al potere.
Ed è qui che entra in scena Chossudovsky,
con il suo seguito di intellettuali, giornalisti investigativi,
politici, ricercatori, con Gore Vidal, Noam Chomsky, Ramsey Clark, Mike
Moore, gli inascoltati pompieri di Manhattan, le testimonianze di
congiunti, cittadini, giornalisti, seppellite insieme ai 3000 corpi del
WTC, mille altri, che tutti, nel corso di questi anni dall’11/9/4, chi
in modo scoperto e documentato, chi lavorando con i ferri della logica e
della storia, chi denunciando, chi alludendo, hanno sgretolato la
spirale di Bertinotti, dei suoi maestri d’arte e dei suoi attor giovani,
e dalle suggestive elissi dell’invenzione burlesca ci hanno riportato
alla scontata e materialisticamente prevedibile linea retta, la più
breve tra A e B. Dalla poesia alla prosa. Dagli impatti sulle Torri
Gemelle sono andati dritti alle scuole di volo dei presunti dirottatori,
scoprendo che chi aveva frequentato qualche lezione di pilotaggio sui
minuscoli Chessna non poteva in alcun modo aver pilotato i giganteschi
mostri elettronici Boeing 757. Chi li ha pilotati? Forse gli apparecchi
elettronici, già collaudati sui “Predator” e che si trovano nascosti
nella centrale Cia della Torre numero sei, inspiegabilmente crollata,
obliterando tutto, nel pomeriggio di quel 9 settembre. Sempre in linea
retta sono ripartiti dalle torri per arrivare ai nastri delle telecamere
che negli aeroporti USA riprendono anche il succhione che hai sul collo
e non hanno trovato né uno, né 18 dirottatori arabi, del resto in buon
numero riapparsi in vita a casa loro. Dal crollo simmetrico delle torri,
ore dopo gli schianti, sono arrivati, dritti come fusi, ai testimoni
delle esplosioni tra pompieri e giornalisti e alle leggi della fisica e
della dinamica illustrate dai costruttori delle stesse torri, per cui
tale crollo simmetrico non poteva assolutamente verificarsi per il solo
impatto in alto, che la temperatura di 800° sviluppata dagli incendi non
poteva fondere strutture d’acciaio centrali, lontane dalle fiamme,
resistenti almeno a 1400°, che un crollo del genere poteva provocarsi
esclusivamente con cariche esplosive piazzate in anticipo, soprattutto
alla base degli edifici, alle quali cariche vanno dunque attribuite
tutte le vittime dell’attentato. Lineari come un filo a piombo sono
arrivati in picchiata dalla polverizzazione delle torri alla scomparsa,
nel giro di 24 ore, di tutti i rottami metallici, fatti sparire dalla
stessa ditta che aveva asportato le macerie dell’edificio dell’FBI a
Oklahoma City, e in entrambi i casi, con i metalli, scomparvero le prove
di cosa li aveva fatti precipitare. Sempre procedendo per linee rette
dal botto dell’11/9 alla borsa di New York, hanno incontrato tale Buzzy
Krongart, direttore operativo della Cia, ma fino a tre mesi prima
dirigente della A.B.Brown e amicissimo di Bush –the
Little, il quale con quella finanziaria e la Deutsche Bank,
giorni prima degli attentati aveva orchestrato un gigantesco insider
trading sulle azioni di compagnie aeree e assicurazioni che sarebbero
state sconvolte dagli attentati stessi. Partendo ancora da A hanno
trovato un altro B in Florida. La Florida è quello Stato in cui una
banda di falsari aveva alterato i risultati delle elezioni e, con un
vero colpo di Stato, aveva conquistato la presidenza degli Stati Uniti,
dopo aver auspicato negli anni precedenti, con Condoleeza Rice, un
“altro evento traumatico tipo Pearl Harbour per smuovere gli americani
dal loro isolazionismo pacifista” e arrivare alla guerra preventiva e
permanente del complesso militar-industriale e dei petrolieri. In
Florida hanno potuto ammirare la fredda audacia di Bush che, pur
avvertito di un attacco senza precedenti al suo paese, continuò, fino a
torri disfatte, a celiare e fiabeggiare in una scuola elementare,
sdegnando di mettersi al sicuro e di allestire le difese. Una linea
retta come un missile Cruise l’hanno seguita dalla dichiarazione
ufficiale secondo cui il Pentagono sapeva con 50 minuti di anticipo che
un Boeing si stava avvicinando (e nulla ha fatto per intercettarlo),
fino al buco di appena tre metri fatto nel muro dell’edificio dal
“Boeing” largo 39 metri e alto 12, senza stupefacentemene lasciare il
minimo rottame sul prato antistante, neanche un’ala, neanche un motore,
neanche una scatola nera, neanche una valigia. Con una raggiera di linee
rette hanno poi collegato l’11 settembre alla valanga di avvertimenti,
con descrizione circostanziata di aerei e torri, pervenuti dai servizi
di mezzo mondo e che la giunta di Washington aveva coscienziosamente
spazzato sotto il tappeto. Parrebbe semplice: chi nasconde, ha qualcosa
da nascondere. Ma è troppo terra terra per chi virtuoseggia tra le
elissi.
Continuando semplicisiticamente in linea
retta, hanno tracciato il collegamento tra il punto A dei 20 famigliari
di Osama bin Laden fatti lasciare gli USA all’indomani dei botti, con
aerei gentilmente messi a disposizione dal governo, mentre tutta la
flotta civile del paese era stata bloccata a terra, e così anche i
famigliari delle vittime di New York, e il punto B, costituito dagli
ormai universalmente noti legami affaristici e famigliari tra i bin
Laden e i Bush, dettagliatamente illustrati nel suo film da Moore, salvo
un particolare trascurato: i due sono anche azionisti della Carlyle, il
più grande gruppo di armamenti del mondo, con un’associata – Bioport –
farmaceutica che, guarda caso, è l’unica a produrre il vaccino
anti-antrace. Quel vaccino che alla Bioport ha fruttato miliardi quando
negli USA si è sparso il panico da lettere all’antrace (sei vittime).
Qualcuno di questi triviali dietrologi ha poi tracciato tutta una serie
di linee rette da Washington ad Al Qaida (arabo: Al Qa’ida, sbagliano
dunque coloro che anglofonicamente scrivono Al Qaeda, o Al Queda), ma
non ha trovato il punto d’arrivo. Non c’è. Al Qaida, “la base”, era
null’altro di un edificio in cui arrivavano per essere istruiti e
mandati al combattimento gli indottrinati anti-sovietici spediti a Kabul
dalla Cia. C’era invece una gruppo di fondamentalisti islamici afgani,
pakistani e sauditi istruiti e addestrati dalla Cia negli anni ’80 della
cacciata dell’Armata Rossa dall’Afghanistan e poi usati dalla Cia, al
servizio delle mire strategiche di Washington, via via in Bosnia con
Izetbegovic, in Kosovo con l’UCK, in Algeria con il terrorismo “per la
predicazione e il combattimento”, oggi in Macedonia, con la minoranza
separatista albanese che deve contribuire ad aprire il corridoio 8 degli
idrocarburi dal Caucaso, e in Arabia Saudita per destabilizzare quei
paesi. Da lì c’è voluta la solita linea più breve tra due punti per
arrivare alla decapitazione di Berg, fatta su un corpo già morto e
esangue dal presunto Al Zarkawi, onnipresente per quanto inesistente,
come prima Osama, anche l’11 marzo a Madrid e poi a Riad, nella Saudìa
da liberare da arcaici e debilitati monarchi e affidare a un nuovo Paul
Bremer, e l’anno prima davanti alle sinagoghe di Istambul, in una
Turchia che qualcuno doveva punire per aver negato collaborazione agli
invasori USA in Iraq e per denunciare i maneggi israeliani tra i curdi
d’ogni risma. Uno Zarkawi” che, pronunciando la sentenza, però parlava
arabo come un israeliano, portava un anello d’oro proibito agli
islamici, tanto più se integralisti, aveva entrambe le gambe anziché una
sola, come decretato prima dall’informazione USA, teneva Ak-47
modificati in Israele, mentre Berg, pacifista, era stato minacciato in
patria dai fondamentalisti bushiani e l’FBI se l’era impacchettato e
portato via per poi consegnarlo a “Zarkawi”, il nuovo Osama, ricicciato
poiché l’altro era diventato logoro e inservibile, allo scopo di
criminalizzare la guerra di liberazione popolare in Iraq. All’interno
della quale operazione si arriva nuovamente, in brevissima linea retta,
alla rivelazioni al Sunday Times
di uno dei rapitori dei quattro mercenari armati italiani, secondo cui,
oltre che riscatto e come, i quattro erano stati addestrati in Israele.
Israele da cui si vede schizzare un’altra linea direttissima verso i
curdi siriani ed iracheni, lato secessionista del triangolo colonialista
che alla base vede gli USA e al vertice Israele e sull’altro lato la
dabbenaggine degli spiralisti nostrani. Infine, una linea cortissima è
stato facilissimo tracciarla tra l’11 settembre e le stragi utili solo
agli occupanti che cercano di sputtanare i guerriglieri baathisti,
comunisti, nasseriani e sciti che stanno scavando la fossa agli USA in
Iraq: quella dell’ONU, quella della Croce Rossa, quelle delle moschee,
la decapitazioni in video. Solo chi si fa avvolgere nelle spirali non
riuscirebbe a vederla.
Ragazzi, ci sarebbe da andare avanti per
decine di tomi, a partire dalle linee rette che la storia ha tracciato
tra l’11 settembre e l’autoaffondamento USA del proprio incrociatore
“Maine” nel Golfo dell’Havana per poter far guerra alla Spagna; tra l’11
settembre e la Lusitania, nave-ospedale nordamericana autoaffondata al
largo di New York, ma attribuita a siluri tedeschi per entrare in guerra
in Europa nel ‘15; tra l’11 settembre e Pearl Harbour, dove l’intera
flotta USA con 2800 marinai è stata fatta disintegrare in un attacco
giapponese previsto e saputo da Washington nell’esatta ora dell’evento,
per mobilitare l’America a favore della conquista dei mercati asiatici;
tra l’11 settembre e il Golfo del Tonchino, dove si è finta
un’aggressione vietnamita per poter subito radere al suolo Nord Vietnam
e Cambogia; tra l’11 settembre e il Piano Northwood, nel quale il
governo USA prevedeva di autobombardarsi Guantanamo, affondare naviglio
in rotta tra Cuba e la Florida, far saltare per aria beni e persone
negli Stati Uniti, far abbattere sopra Cuba un charter pieno di
studentelli nordamericani, di tutto dando la colpa a Cuba per poterla di
nuovo invadere e far fuori. Ci sarebbe da continuare…. Ma voi che sapete
l’inglese andate sul sito di Chossudovsky, leggetevi quanto documenta la
parte migliore dell’intellighenzia statunitense, visitate anche siti
come freearabvoice, o, sapendo l’italiano, misteriditalia.com,
luogocomune.net, sottovoce.it, antimperialism.net, peacereporter.net,
disinfo.com, controinformazione.it, uruknet.it. Vi vedrete scivolare
rapidamente lungo le aeree volute delle spirali bertinottiane, fino a
impattare, duramente, con il suolo, dritti come le rette di Chossudovsky.
E dalla poesia, dalla commedia, sarete finiti in una prosa che vi
racconta come la guerra e il terrorismo siano gemelli partoriti dalla
stessa pancia e dalla stessa mente diretti, alla faccia delle varie
manovalanze ignare e manipolate. E come, finchè non avremo delegittimato
la banda di Washington e dei suoi lavapiatti, illustrandone tutta la
terroristica criminalità, la “guerra al terrore”, convalidata, con
inutili riserve, da tanta Sinistra, ci sistemerà se non una volta per
tutte, almeno per un paio di generazioni. Chi parla di spirale
guerra-terrorismo sta già nell’ombra di Bush, rema contro.
O
mythos deloi oti, la
fiaba insegna che la spirale può condannare quanto vuole le guerre dei
neocon-neonazi sionbushiani, può mostrare raccapriccio per le torture
delle marines, può sbraitare quanto le pare in favore della pace, ma
finchè mette su piani paralleli, all’interno di una spirale da DNA
geneticamente mostruosizzato, la guerra statunitense e il colonialismo
stragista delle giunte militari israeliane, e poi il cosiddetto
“terrorismo” di chi lotta, resiste, spara, fa i botti, anche contro i
collaborazionisti, definiti perfidamente “civili”, per non morire, per
non darla vinta ai killer di popoli e del mondo intero, per offrire una
chance a tutti noi, assume il paradigma di fondo del nemico e resta
volente o nolente un utile idiota dell’imperialismo, della barbarie,
della morte. La spirale di Bertinotti, poi, si alimenta di tante
sottospirali: i suntini internazionali di Cannavò su Liberazione, che,
dopo aver amoreggiato con l’UCK in Kosovo, si precipita ad accreditare
un Al Zarkawi, capo Al Qaida, manifestamente uscito da una provetta di
Langley anche per il ragazzo del bar che capita in redazione; le
criminalizzazioni anti-Intifada davvero non innocenti del responsabile
esteri dal nome-beffa Migliore, un esperto particolarmente apprezzato
dal Partito Comunista Iracheno, da lui gemellato a Rifondazione perchè
collaborazionista degli USA e socio del governo provvisorio fantoccio,
delatore e sabotatore della resistenza dei comunisti veri che, essendo
non nonviolenti, al Migliore fanno schifo; le cortine fumogene jiddish
di Guido-Ariel-Caldiron, che sul genocidio dei razzisti israeliani
stende le opacità di estenuanti riletture dell’”antisemitismo dilagante”
(in un mondo di fascistica islamofobia e arabofobia, dilaganti davvero e
del tutto funzionali alla marcia delle SS imperialiste); tutta la canea
nonviolenta che ci disarma unilateralmente e la voglio vedere, domani,
quando qualche piduista-mafioso con codazzo neofascista sospenderà le
libertà democratiche, la Costituzione, internet, qualsiasi cosa rossa, i
viaggi all’estero e allestirà campi di raccolta non solo per pelli
scure, sempre in nome della “guerra al terrorismo”.
Tutto questo è subalternità
all’informazione del potere killer, è antiliberazione, è anticomunismo.
Fin dalla Jugoslavia della falsa “pulizia etnica”, risultata poi invece
fatta da Nato, croati e albanesi e fin da Milosevic, “dittatore”
nonostante regolarissime elezioni, con 18 partiti su 20 e il 90% dei
media contro, lautamente corrotti dall’Occidente. Fin dall’Iraq del
“mostro Saddam”, “gassatore di curdi” che invece ricevettero addosso il
gas iraniano, come all’epoca e anche oggi documentato da giornalisti sul
posto e dai servizi segreti di tutto il mondo, compresi quelli
statunitensi. Saddam che, a sinistra, per aver costruito un paese
progredito, emancipato e socialmente equo ed essere stato il caposaldo
antimperialista da Nasser in giù, sempre a fianco dei palestinesi, è
diventato addirittura “uomo degli americani”, trascurando l’inezia che
gli USA NON hanno armato l’Iraq, nonostante la visita diplomatica di
Rumsfeld, ma, insieme a Israele, l’Iran, finanziato dal 1981 al 1988 con
atti del Congresso USA, e ricettore di armi israeliane pagate con
dollari che poi sostennero i massacratori Contras in Centroamerica. Fa
il gioco degli altri, da Bush a Bushlusconi a D’Alema alla confindustria
all’apocalisse. E ora, caro Collegio di Garanzia di RC, processateci.
Insieme a Chossudovsky e alla Resistenza degli onesti, dei proletari e
dei popoli, di Fidel e Barghuti, in America e nel mondo. Quella
Resistenza cui Bertinotti insiste a negare la r maiuscola, visto che non
ha capito dove cazzo, oltre alla cacciata dello straniero, intende
dirigersi. Come se non bastasse. C’è il bell’esempio di giustizia
retributiva del “giudice” Chalabi, sotto la ferula di dabbenuomini come
l’ambasciatore John Negroponte (caposquadrone della morte in
Indiolatinoamerica)
La commedia è finita. Ognuno si assuma le
proprie responsabilità. La storia ci giudicherà, commedianti e “dietrologi”.
(1) Sergio Flamigni, autore di “La sfinge
delle Brigate Rosse, delitti, segreti e bugie del capo terrorista
MarioMoretti”, ennesima demistificazione di un infiltratissimo gruppo
dirigente brigatista che, sconcertantemente, viene ancora accreditato di
autenticità, oltrechè ovviamente dalla destra, da un vasto arco di
analisti e politici di sinistra, che va dalla Rossanda alla Gagliardi,
dal Manifesto a Liberazione ed è perfettamente speculare all’accredito
concesso a finti antimperialisti come Osama, o come il virtualissimo
Zarkawi e suoi simili, in irrazionale e, direi, superstiziosa avversione
ai “dietrologi”, cioè a gente che non beve le truffe strutturali del
capitalismo. I libri di Flamigni sono pubblicati da Kaosedizioni.
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