MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

LA COMMEDIA DEL “RIFORMISMO”

LA COMMEDIA DEL TERRORISMO:

LA SPIRALE DI BERTINOTTI E LA RETTA DI CHOSSUDOVSKY

 

 

30/06/2004

 

 

Che Fausto Bertinotti fosse un umorista di prim’ordine, molti di coloro che osservano il sub-sub-comandante con sobria obiettività, senza il velo di quell’adorante mitizzazione che allo schivo segretario del PRC dà tanto fastidio, lo sapevamo da tempo. Era bastato l’inarrestabile crescendo di gag con cui ci aveva sbalordito e divertito oltre ogni misura nel corso degli ultimi due anni. Uno scoppiettìo irresistibile con vertici di assoluta demenzialità, tale da consegnare agli archivi dell’obsoleto addirittura il meglio della creatività di uno Stanlio, o di un Groucho (il quale, diversamente dal suo cognononimo, per Fausto è morto solo fisicamente). Il tutto esaltato da una capacità di fingersi serio e convinto che neanche Buster Keaton, massimo maestro dell’impassibilità.

 

Basta riandare, in una memoria talmente fitta di battute e scenette da risultare irrecuperabile nella sua travolgente totalità, a numeri come quello di “Marcos cammina domandando”, di “Toni Negri, o delle moltitudini”, al thriller surrealista “Casarini contro Lenin”, all’ineguagliabile corto demenziale, con goldoniano scambio di personaggi, “D’Alema, Fassino, Amato, Rutelli, Mastella, il mondezzaio Bassolino e io medesimo alla corte di Re Luca (Casarini o Montezemolo?)”, del paradossale lazzo con Kossiga che tiene lezioni di marxismo-leninismo sotto la lapide di Giorgiana Masi e azzanna e mastica il memoriale di Aldo Moro che un irriducibile Sergio Flamigni (1)  continua ad agitargli sul muso. Spiccano nello scintillante pot-pourrì farse dal sapore plautesco come il buffo nonsense “I nonviolenti contro Abu Ghraib”, o come il Partito della Sinistra Europea, fatto passare al volgo idolatra per l’Arca dell’Alleanza, custode delle tavole della legge, ma che, in men che non si dica, con grande artificio scenico, diventa l’Arca di Noè che trasporta la coppia transgenica Sinistra Riformista- Sinistra Radicale, detta anche Alternanza-Alternativa, oltre il diluvio bushlusconiano. Del resto quella di far passare un’idea, una persona, una situazione per il suo contrario è, nella sana tradizione della Commedia dell’arte, il nocciolo arlecchinesco della comicità bertinottiana. Lì lo spiazzamento dello spettatore diventa assoluto e la celia assume portata epica. Pensate alla scenetta di Bertinotti sorridente, come un qualunque Berlusconi nella foto ricordo con Bush, in fila con gli altri leader dell’Ulivo, adorno di sciarpa tibetana, che fa passare il Dalai Lama, già sanguinario tiranno di un popolo di servi della gleba cui i suoi monaci rapivano i figli e oggi capostazione Cia in India, per galantuomo e guida spirituale dell’umanità. A uno che gli riesce un colpo illusionista del genere, far credere al pubblico che si chiami Riformismo (quello con cui la sinistra radicale andrà a governare) la politica dello spedire soldati a falciare pastori in Afghanistan, cospargere di bombe la Jugoslavia in combutta con gangster kosovari, decretare con Treu che non sei proprio più nessuno e nulla ti spetterà neanche se sputi sangue fino a cent’anni, fare della scuola una dependance della Parmalat, estendere il raggio Nato fino alle isole Tonga, decretare l’ONU il consesso degli dei…è meno difficile di quanto lo fosse per Berlinguer convincerci che quello storico era un compromesso e non, come risultò, un’inculata bestiale. Questo è vero, altissimo, teatro dell’assurdo e il pubblico,  a vedersi rappresentare come partner riformista della sinistra “alternativa” un’accozzaglia deideologizzata, de-eticizzata, grevemente arrivista, totalmente senz’arte né parte, più a destra di Blair, un miscuglio di rinnegati vergognosi della propria storia e del proprio popolo e di reazionari voraci quanto lo possono essere democristiani frustrati in combutta con massoni ex-pannelliani, assapora davvero il più sublime degli sketch. 

 

Della volta in cui la satira del Nostro raggiunse la forza di una beffa falstaffiana abbiamo già parlato in altra occasione. Esaltiamoci ancora una volta al ricordo. Fu quando duecentomila marciarono contro gli sgherri, in uniforme e senza, dei neonazi Usa-Sion e, quasi tutti, in solidarietà con una resistenza irachena che stava affascinando l’intero mondo degli oppressi e sfruttati. Quel giorno, un indimenticabile 4 giugno, “Liberazione” se ne uscì con il paginone centrale definito di indicazioni di lotta e, invece, strabordante di esilaranti cazzate, redatte dal solito santone orientale, tipo: “svestirsi in segno di protesta” , “negare il pene o la vagina”, “rifiutare di usare denaro”, “esporsi agli agenti naturali”, “annientare l’avversario psicologicamente con la non violenza”… Bè, ragazzi, siamo al sublime. E pensare che qualcuno, oltre a Lisistrata, ci aveva creduto!

 

Certo, nella compagnia di giro che rallegra gli italiani, a volte simpaticamente sconcertandoli e prendendoli in contropiede, non mancano i comprimari, le spalle, i figuranti. Tra i primi non possiamo non sottolineare la creatività, del tutto degna del maestro, di una Ritanna Armeni che, novella Lucia Annunziata (prodotto d’alambicco composto da un po’ di “manifesto”, un po’ di Ulivo, una quota di RAI, un’altra di Fiat, un’altra ancora di D’Alema e una robusta dose di Sharon), stupisce il colto e l’inclita con i suoi travolgenti cambi di personaggio: giornalista in militanti sottanoni del “manifesto” qui, dama portavoce in eleganti tailleur di Bertinotti là, e, al contempo, paladina del berluschissimo Stefano Folli alla testa del Corrierone, ma poi, colpaccio di scena, da settembre co-conduttrice di “Otto e mezzo” al fianco e al servizio dello spione CIA Giuliano Ferrara, nota “fetecchia”,  in successione di Luca Sofri, figlio sciocco ma benemerito dell’altro spione, e di Barbara Palombelli, balbettante espressione della nullità che il marito Rutelli secerne come fosse un maritozzo alla panna.  Per vocazione spalla di una qualsivoglia Segreteria e in quanto tale spalla del segretario nazionale e, simultaneamente, della segretaria e consorte Patrizia Sentinelli (nomen est consequentia rerum), Roberto Musacchio è una specie di Vianello inflaccidito accanto a una Mondaini con un pelo da istrice sullo stomaco. La burla di presentarlo alle elezioni europee ha avuto il gradimento – per la verità un po’ forzoso, visti i paterni ammonimenti a non esagerare con l’autopromozione dei compagni candidati accreditati di maggiore successo sul territorio, pervenuti dal direttore della compagnia – di alcune migliaia di benevoli spettatori, quanto bastava comunque per una serie di esilaranti repliche a Strasburgo e Bruxelles. Di Musacchio mi ricordo una recente performance di grande rilievo macchiettistico, come sempre al fianco del primattore. Fu recitata in occasione di una “matinè del comico” intitolata “Guerra e terrorismo”, allestita ahimè per pochi intimi nella sede della Federazione del PCR a Roma, alle nove del mattino di lunedì, scelta rigorosamente proletaria, che vide il Musacchio, già ricco di allori tributatigli in vari festival dell’umorismo ecologico, esibirsi in una sconvolgente commedia degli equivoci. Lo scenario era l’Iraq e si era parlato dell’abietto ruolo di utili idioti del colonialismo, nonché di nacrotrafficanti e tagliagole, istigati alla ribellione secessionista da Kissinger e vari suoi compari dell’associazione a delinquere di Tel Aviv, rivestito dai curdi dei capimafia collaborazionisti Talabani e Barzani. Facendo finta di non conoscere la differenza tra curdi turchi, curdi iracheni, curdi iraniani e siriani, e neppure tra Turchia e Iraq, Musacchio s’infervorò fino alla lacrime nell’elogio di codesti curdi collaborazionisti dell’occupante statunitense, riandando con vibrante indignazione alle veglie del Celio, tenute invece per Ocalan e per i suoi, di curdi, che all’epoca venivano massacrati dall’esercito turco e, se fuggivano dai fratelli iracheni, pure da costoro. Fu un vertice storico dell’umorismo politico-geografico.

 

Spirale, per lo Zingarelli, “curva piana caratterizzata da infiniti giri intorno a un punto” e, figurativo, “sviluppo costante e a intensità crescente, di un sentimento, fenomeno e sim.”, situazione che non sembrerebbe discostarsi molto dalla paranoia. Per retta, o linea retta, tutti quanti dalle elementari sappiamo che si intende la distanza più breve tra due punti. La spirale, per sua natura sfuggente, paradossale, insinuante, evasiva e al tempo stesso ossessivamente insistente e, dunque, il tormentone umoristico per eccellenza, è quella di Bertinotti. Oggi dà spettacolo nella versione “La spirale guerra-terrorismo”. La retta, al contrario, è semplice fino all’ovvietà, evidente, fattuale, rigorosa, univoca, perentoria, precisa e, perciò, di fantasia e humour  totalmente priva. La pratica Michel Chossudovsky, ordinario di economia politica all’Università di Toronto, insieme al suo gruppo di ricercatori e investigatori denominato “Global Research” (www.globalresearch.ca), considerati ovunque i più attendibili contrinformatori degli USA. In quanto adepto di quest’ultimo, ne avevo citato alcuni elaborati all’insegna della linea retta, appunto, in un confronto con il segretario nazionale del PRC, nel succitato arengo seminariale su “Guerra e terrorismo”. Venni annichilito da un argomento che non ammette né contrasto, né dubbio: “Quello che dice Grimaldi mi lascia ammutolito e, dunque, non è degno di risposta. Pensare di attribuire alla Cia le questioni dell’accumulazione capitalistica è semplicemente ridicolo”. Meditai che negare che la Cia e servizi analoghi siano lo strumento per agevolare l’accumulazione capitalistica fosse non meno ridicolo.

 

Infatti, dimentico di trovarmi al cospetto di quella colossale invenzione scenica dell’umorismo bertinottiano che è la “spirale”, anziché apprendere l’arte del volteggio tra contrari e affini che caratterizza questa spiritosa forma geometrica, avevo percorso il tratto rozzo e breve tra A e B. Anzichè ai protagonisti della massima compagnia comica internazionale, ormai consegnati all’epos dell’humour, come Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld, Tenet, Libby, Perle, Condoleezza, Faith, Negroponte, con il buttafuori Bush-the-Little ispiratori storici  della spirale, avevo fatto riferimento all’insulso e banalotto Chossudovsky, all’altrettanto elementare Mike Moore, il cinematografaro, al giornalista investigativo francese, esperto in ovvietà, Thierry Meyssan (“L’incredibile menzogna”, Fandango Libri), a tutta una serie di polverosi documenti della stessa Commissione d’indagine del Congresso USA, all’ex-ministro tedesco Von Buelow, che aveva subito detto “se lo son fatto da sé”, addirittura al Comitato delle Famiglie delle Vittime dell’11 settembre, consesso comprensibilmente privo di disponibilità alle facezie, a tonnellate di documenti di investigatori indipendenti, ma anche legati al primitivo “due più due fa quattro” e, infine, all’atteggiamento grettamente logico di popoli e politici del Sud del mondo colonizzato o neocolonizzato, da me interrogati in gran numero.

 

Vediamo di spiegarci. Dalla grande scuola comica statunitense era stato fissato il punto iniziale della spirale: gli attentati dell’11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono. Passando, come è nella sua natura, al lato opposto, la spirale aveva suscitato la guerra all’Afghanistan. Rientrando, sollevandosi via via come un serpente a sonagli al suono del flauto, sul lato iniziale, la spirale aveva creato una schiera di  “terroristi islamici”, mimetizzati da annosi venditori di kebab e tappeti in Luisiana e a Minneapolis, e subito era rimbalzata in alto e dall’altra parte dove aveva partorito il Patriot Act, una legislazione sommamente immaginifica e burlona che imprigionava senza mandato e deteneva senza difesa, telefonate e giudizio, oltre a consentire  evoluzioni sui corpi dei prigionieri di classica marca circense (qui qualche efficace suggerimento per aumentare il potenziale buffonesco era venuto dal senatore-domatore Livio Togni, che Bertinotti aveva personalmente tratto dalla gabbia delle tigri e sollevato al soglio parlamentare, dove, infatti, aveva subito votato con la maggioranza per l’intervento in Afghanistan…). Altro guizzo della spirale guerra-terrorismo ed ecco l’impatto con la burla “armi di distruzione di massa-legami con Al Qaida-dittatore sanguinario”, di cui almeno una delle tre freddure la farsa bertinottiana recepì ed esaltò. Nuovo giro e la spirale s’infila in un Iraq messo a ferro e fuoco, per poi  ritrovarsi dal lato opposto in zona “terrorismo”, con circa 20 milioni di violenti che fanno saltare per aria gli occupanti. Si riparte e dal versante “guerra” ecco che ci ritroviamo affettati e impalati ad Abu Ghraib e in tutte le prigioni USA del mondo e subito rimbalziamo nel terrorismo delle decapitazioni, a partire da quella di Nick Berg, tutte fatte da quel fregoli dell’ubiquità e dei travestimenti che è il neo-Osama, Al Zarkawi, con le sue bombe di Madrid, Istambul e Riad, altra burla di pregiata fattura Cia. E così la spirale vive, serpeggia, si fa voluta come di fumo, inventa, danza di calembour in calembour, ma senza mai perdere d’occhio il canovaccio di base, quello fissato dai teatranti di Washington: la guerra è la risposta – per i neocon-neonazi necessaria, per Bertinotti solo sbagliata -  al terrorismo. A cui si aggiunge la svolta bertinottiana, ma non solo sua, chè qui i comici abbondano, per la quale il terrorismo è la risposta – ancor meno divertente della guerra - alla guerra e allo sfruttamento. La spirale è tutta qui. Si tratta, per la verità, di salto mortale logico e, perciò, del massimo effetto esilarante, alla luce dell’elementare constatazione che senza terrorismo (vista la momentanea scomparsa della minaccia comunista) non ci sarebbe ragion di guerra e dunque, coloro che, per Bertinotti, ricorrono alla freddura della guerra, per chiudere il cerchio della commedia, del terrorismo hanno un bisogno esistenziale. Tale da far apparire guerra e terrorismo non tanto i contrapposti di una spirale, ma l’inseparabile e funzionale coppia maschio-femmina senza la quale non c’è verso di avvitarsi al potere.

 

Ed è qui che entra in scena Chossudovsky, con il suo seguito di intellettuali, giornalisti investigativi, politici, ricercatori, con Gore Vidal, Noam Chomsky, Ramsey Clark, Mike Moore, gli inascoltati pompieri di Manhattan, le testimonianze di congiunti, cittadini, giornalisti, seppellite  insieme ai 3000 corpi del WTC, mille altri, che tutti, nel corso di questi anni dall’11/9/4, chi in modo scoperto e documentato, chi lavorando con i ferri della logica e della storia, chi denunciando, chi alludendo, hanno sgretolato la spirale di Bertinotti, dei suoi maestri d’arte e dei suoi attor giovani, e dalle suggestive elissi dell’invenzione burlesca ci hanno riportato alla scontata e materialisticamente prevedibile linea retta, la più breve tra A e B. Dalla poesia alla prosa. Dagli impatti sulle Torri Gemelle sono andati dritti alle scuole di volo dei presunti dirottatori, scoprendo che chi aveva frequentato qualche lezione di pilotaggio sui minuscoli Chessna non poteva in alcun modo aver pilotato i giganteschi mostri elettronici Boeing 757.  Chi li ha pilotati? Forse gli apparecchi elettronici, già collaudati sui “Predator” e che si trovano nascosti nella centrale Cia della Torre numero sei, inspiegabilmente crollata, obliterando tutto, nel pomeriggio di quel 9 settembre. Sempre in linea retta sono ripartiti dalle torri per arrivare ai nastri delle telecamere che negli aeroporti USA riprendono anche il succhione che hai sul collo e non hanno trovato né uno, né 18 dirottatori arabi, del resto in buon numero riapparsi in vita a casa loro. Dal crollo simmetrico delle torri, ore dopo gli schianti, sono arrivati, dritti come fusi, ai testimoni delle esplosioni tra pompieri e giornalisti e alle leggi della fisica e della dinamica illustrate dai costruttori delle stesse torri, per cui tale crollo simmetrico non poteva assolutamente verificarsi per il solo impatto in alto, che la temperatura di 800° sviluppata dagli incendi non poteva fondere strutture d’acciaio centrali, lontane dalle fiamme, resistenti almeno a 1400°, che un crollo del genere poteva provocarsi esclusivamente con cariche esplosive piazzate in anticipo, soprattutto alla base degli edifici, alle quali cariche vanno dunque attribuite tutte le vittime dell’attentato. Lineari come un filo a piombo sono arrivati in picchiata dalla polverizzazione delle torri alla scomparsa, nel giro di 24 ore, di tutti i rottami metallici, fatti sparire dalla stessa ditta che aveva asportato le macerie dell’edificio dell’FBI a Oklahoma City, e in entrambi i casi, con i metalli, scomparvero le prove di cosa li aveva fatti precipitare. Sempre procedendo per linee rette dal botto dell’11/9 alla borsa di New York, hanno incontrato tale Buzzy Krongart, direttore operativo della Cia, ma fino a tre mesi prima dirigente della A.B.Brown e amicissimo di Bush –the Little, il quale con quella finanziaria e la Deutsche Bank, giorni prima degli attentati aveva orchestrato un gigantesco insider trading sulle azioni di compagnie aeree e assicurazioni che sarebbero state sconvolte dagli attentati stessi. Partendo ancora da A hanno trovato un altro B in Florida. La Florida è quello Stato in cui una banda di falsari aveva alterato i risultati delle elezioni e, con un vero colpo di Stato, aveva conquistato la presidenza degli Stati Uniti, dopo aver auspicato negli anni precedenti, con Condoleeza Rice, un “altro evento traumatico tipo Pearl Harbour per smuovere gli americani dal loro isolazionismo pacifista” e arrivare alla guerra preventiva e permanente del complesso militar-industriale e dei petrolieri. In Florida hanno potuto ammirare la fredda audacia di Bush che, pur avvertito di un attacco senza precedenti al suo paese, continuò, fino a torri disfatte, a celiare e fiabeggiare in una scuola elementare, sdegnando di mettersi al sicuro e di allestire le difese. Una linea retta come un missile Cruise l’hanno seguita dalla dichiarazione ufficiale secondo cui il Pentagono sapeva con 50 minuti di anticipo che un Boeing si stava avvicinando (e nulla ha fatto per intercettarlo), fino al buco di appena tre metri fatto nel muro dell’edificio dal “Boeing” largo 39 metri e alto 12, senza stupefacentemene lasciare il minimo rottame sul prato antistante, neanche un’ala, neanche un motore, neanche una scatola nera, neanche una valigia. Con una raggiera di linee rette hanno poi collegato l’11 settembre alla valanga di avvertimenti, con descrizione circostanziata di aerei e torri, pervenuti dai servizi di mezzo mondo e che la giunta di Washington aveva coscienziosamente spazzato sotto il tappeto. Parrebbe semplice: chi nasconde, ha qualcosa da nascondere. Ma è troppo terra terra per chi virtuoseggia tra le elissi.

 

Continuando semplicisiticamente in linea retta, hanno tracciato il collegamento tra il punto A dei 20 famigliari di Osama bin Laden fatti lasciare gli USA all’indomani dei botti, con aerei gentilmente messi a disposizione dal governo, mentre tutta la flotta civile del paese era stata bloccata a terra, e così anche i famigliari delle vittime di New York, e il punto B, costituito dagli ormai universalmente noti legami affaristici e famigliari tra i bin Laden e i Bush, dettagliatamente illustrati nel suo film da Moore, salvo un particolare trascurato: i due sono anche azionisti della Carlyle, il più grande gruppo di armamenti del mondo, con un’associata – Bioport – farmaceutica che, guarda caso, è l’unica a produrre il vaccino anti-antrace. Quel vaccino che alla Bioport ha fruttato miliardi quando negli USA si è sparso il panico da lettere all’antrace (sei vittime). Qualcuno di questi triviali dietrologi ha poi tracciato tutta una serie di linee rette da Washington ad Al Qaida (arabo: Al Qa’ida, sbagliano dunque coloro che anglofonicamente scrivono Al Qaeda, o Al Queda), ma non ha trovato il punto d’arrivo. Non c’è. Al Qaida, “la base”, era null’altro di un edificio in cui arrivavano per essere istruiti e mandati al combattimento gli indottrinati anti-sovietici spediti a Kabul dalla Cia.  C’era invece una gruppo di fondamentalisti islamici afgani, pakistani e sauditi istruiti e addestrati dalla Cia negli anni ’80 della cacciata dell’Armata Rossa dall’Afghanistan e poi usati dalla Cia, al servizio delle mire strategiche di Washington, via via in Bosnia con Izetbegovic, in Kosovo con l’UCK, in Algeria con il terrorismo “per la predicazione e il combattimento”, oggi in Macedonia, con la minoranza separatista albanese che deve contribuire ad aprire il corridoio 8 degli idrocarburi dal Caucaso, e in Arabia Saudita per destabilizzare quei paesi. Da lì c’è voluta la solita linea più breve tra due punti per arrivare alla decapitazione di Berg, fatta su un corpo già morto e esangue dal  presunto Al Zarkawi, onnipresente per quanto inesistente, come prima Osama,  anche l’11 marzo a Madrid e  poi a Riad, nella Saudìa da liberare da arcaici e debilitati monarchi e affidare a un nuovo Paul Bremer, e l’anno prima davanti alle sinagoghe di Istambul, in una Turchia che qualcuno doveva punire per aver negato collaborazione agli invasori USA in Iraq e per denunciare i maneggi israeliani tra i curdi d’ogni risma. Uno Zarkawi” che, pronunciando la sentenza, però parlava arabo come un israeliano, portava un anello d’oro proibito agli islamici, tanto più se integralisti, aveva entrambe le gambe anziché una sola, come decretato prima dall’informazione USA, teneva Ak-47 modificati in Israele, mentre Berg, pacifista, era stato minacciato in patria dai fondamentalisti bushiani e l’FBI se l’era impacchettato e portato via per poi consegnarlo a “Zarkawi”, il nuovo Osama, ricicciato poiché l’altro era diventato logoro e inservibile, allo scopo di criminalizzare la guerra di liberazione popolare in Iraq. All’interno della quale operazione si arriva nuovamente, in brevissima linea retta, alla rivelazioni al Sunday Times di uno dei rapitori dei quattro mercenari armati italiani, secondo cui, oltre che riscatto e come, i quattro erano stati addestrati in Israele. Israele da cui si vede schizzare un’altra linea direttissima verso i curdi siriani ed iracheni, lato secessionista del triangolo colonialista che alla base vede gli USA e al vertice Israele e sull’altro lato la dabbenaggine degli spiralisti nostrani. Infine, una linea cortissima è stato facilissimo tracciarla tra l’11 settembre e le stragi utili solo agli occupanti che cercano di sputtanare i guerriglieri baathisti, comunisti, nasseriani e sciti che stanno scavando la fossa agli USA in Iraq: quella dell’ONU, quella della Croce Rossa, quelle delle moschee, la decapitazioni in video. Solo chi si fa avvolgere nelle spirali non riuscirebbe a vederla.

 

Ragazzi, ci sarebbe da andare avanti per decine di tomi, a partire dalle linee rette che la storia ha tracciato tra l’11 settembre e l’autoaffondamento USA del proprio incrociatore “Maine” nel Golfo dell’Havana per poter far guerra alla Spagna; tra l’11 settembre e la Lusitania, nave-ospedale nordamericana autoaffondata al largo di New York, ma attribuita a siluri tedeschi per entrare in guerra in Europa nel ‘15; tra l’11 settembre e Pearl Harbour, dove l’intera flotta USA con 2800 marinai è stata fatta disintegrare in un attacco giapponese previsto e saputo da Washington nell’esatta ora dell’evento, per mobilitare l’America a favore della conquista dei mercati asiatici; tra l’11 settembre e il Golfo del Tonchino, dove si è finta un’aggressione vietnamita per poter subito radere al suolo Nord Vietnam e Cambogia; tra l’11 settembre e il Piano Northwood, nel quale il governo USA prevedeva di autobombardarsi Guantanamo, affondare naviglio in rotta tra Cuba e la Florida, far saltare per aria beni e persone negli Stati Uniti, far abbattere sopra Cuba un charter pieno di studentelli nordamericani, di tutto dando la colpa a Cuba per poterla di nuovo invadere e far fuori. Ci sarebbe da continuare…. Ma voi che sapete l’inglese andate sul sito di Chossudovsky, leggetevi quanto documenta la parte migliore dell’intellighenzia statunitense, visitate anche siti come freearabvoice, o, sapendo l’italiano, misteriditalia.com, luogocomune.net, sottovoce.it, antimperialism.net, peacereporter.net, disinfo.com, controinformazione.it, uruknet.it. Vi vedrete scivolare rapidamente lungo le aeree volute delle spirali bertinottiane, fino a impattare, duramente, con il suolo, dritti come le rette di Chossudovsky. E dalla poesia, dalla commedia, sarete finiti in una prosa che vi racconta come la guerra e il terrorismo siano gemelli partoriti dalla stessa pancia e dalla stessa mente diretti, alla faccia delle varie manovalanze ignare e manipolate. E come, finchè non avremo delegittimato la banda di Washington e dei suoi lavapiatti, illustrandone tutta la terroristica criminalità, la “guerra al terrore”, convalidata, con inutili riserve, da tanta Sinistra, ci sistemerà se non una volta per tutte, almeno per un paio di generazioni. Chi parla di spirale guerra-terrorismo sta già nell’ombra di Bush, rema contro.

 

O mythos deloi oti, la fiaba insegna che la spirale può condannare quanto vuole le guerre dei neocon-neonazi sionbushiani, può mostrare raccapriccio per le torture delle marines, può sbraitare quanto le pare in favore della pace, ma finchè mette su piani paralleli, all’interno di una spirale da DNA geneticamente mostruosizzato, la guerra statunitense e il colonialismo stragista delle giunte militari israeliane, e poi il cosiddetto “terrorismo” di chi lotta, resiste, spara, fa i botti, anche contro i collaborazionisti, definiti perfidamente “civili”, per non morire, per non darla vinta ai killer di popoli e del  mondo intero, per offrire una chance a tutti noi, assume il paradigma di fondo del nemico e resta volente o nolente un utile idiota dell’imperialismo, della barbarie, della morte. La spirale di Bertinotti, poi,  si alimenta di tante sottospirali: i suntini internazionali di Cannavò su Liberazione, che, dopo aver amoreggiato con l’UCK in Kosovo,  si precipita ad accreditare un Al Zarkawi, capo Al Qaida, manifestamente uscito da una provetta di Langley anche per il ragazzo del bar che capita in redazione; le criminalizzazioni anti-Intifada davvero non innocenti del responsabile esteri dal nome-beffa Migliore, un esperto particolarmente apprezzato dal Partito Comunista Iracheno, da lui gemellato a Rifondazione perchè collaborazionista degli USA e socio del governo provvisorio fantoccio, delatore e sabotatore della resistenza dei comunisti veri che, essendo non nonviolenti, al Migliore fanno schifo; le cortine fumogene jiddish di Guido-Ariel-Caldiron, che sul genocidio dei razzisti israeliani stende le opacità di estenuanti riletture dell’”antisemitismo dilagante” (in un mondo di fascistica islamofobia e arabofobia, dilaganti davvero e del tutto funzionali alla marcia delle SS imperialiste); tutta la canea nonviolenta che ci disarma unilateralmente e la voglio vedere, domani, quando qualche piduista-mafioso con codazzo neofascista sospenderà le libertà democratiche, la Costituzione, internet, qualsiasi cosa rossa, i viaggi all’estero e allestirà campi di raccolta non solo per pelli scure, sempre in nome della “guerra al terrorismo”.

 

Tutto questo è subalternità all’informazione del potere killer, è antiliberazione, è anticomunismo. Fin dalla Jugoslavia della falsa “pulizia etnica”, risultata poi invece fatta da Nato, croati e albanesi e fin da Milosevic, “dittatore” nonostante regolarissime elezioni, con 18 partiti su 20  e il 90% dei media contro, lautamente corrotti dall’Occidente. Fin dall’Iraq del “mostro Saddam”, “gassatore di curdi” che invece ricevettero addosso il gas iraniano, come all’epoca e anche oggi documentato da giornalisti sul posto e dai servizi segreti di tutto il mondo, compresi quelli statunitensi. Saddam che, a sinistra, per aver costruito un paese progredito, emancipato e socialmente equo ed essere stato il caposaldo antimperialista da Nasser in giù, sempre a fianco dei palestinesi, è diventato addirittura “uomo degli americani”, trascurando l’inezia che gli USA NON hanno armato l’Iraq, nonostante la visita diplomatica di Rumsfeld, ma, insieme a Israele, l’Iran, finanziato dal 1981 al 1988 con atti del Congresso USA, e ricettore di armi israeliane pagate con dollari che poi sostennero i massacratori Contras in Centroamerica. Fa il gioco degli altri, da Bush a Bushlusconi a D’Alema alla confindustria all’apocalisse. E ora, caro Collegio di Garanzia di RC, processateci. Insieme a Chossudovsky e alla Resistenza degli onesti, dei proletari e dei popoli, di Fidel e Barghuti, in America e nel mondo. Quella Resistenza cui Bertinotti insiste a negare la r maiuscola, visto che non ha capito dove cazzo, oltre alla cacciata dello straniero, intende dirigersi. Come se non bastasse. C’è il bell’esempio di giustizia retributiva del “giudice” Chalabi, sotto la ferula di dabbenuomini come l’ambasciatore John Negroponte (caposquadrone della morte in Indiolatinoamerica)

 

 La commedia è finita. Ognuno si assuma le proprie responsabilità. La storia ci giudicherà, commedianti e “dietrologi”.

 

(1) Sergio Flamigni, autore di “La sfinge delle Brigate Rosse, delitti, segreti e bugie del capo terrorista MarioMoretti”, ennesima demistificazione di un infiltratissimo gruppo dirigente brigatista che, sconcertantemente, viene ancora accreditato di autenticità, oltrechè ovviamente dalla destra, da un vasto arco di analisti e politici di sinistra, che va dalla Rossanda alla Gagliardi, dal Manifesto a Liberazione ed è perfettamente speculare all’accredito concesso a finti antimperialisti come Osama, o come il virtualissimo Zarkawi e suoi simili, in irrazionale e, direi, superstiziosa avversione ai “dietrologi”, cioè a gente che non beve le truffe strutturali del capitalismo. I libri di Flamigni sono pubblicati da Kaosedizioni.    

 

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