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CHI VIVRA’…
IRAQ!
e altre
impertinenze
15/04/2004
Il
titolo di questo Mondocane
fuorilinea richiama quello di uno dei miei documentari
video sull’Iraq che intendeva correggere l’antico detto tra il
saputello e il fatalista “chi vivrà vedrà”, con l’affermazione
perentoria della vita e, dunque, della vittoria di quel popolo,
contro assassini materiali e assassini per diffamazione. Oggi siamo
alla conferma di quello che, più che un auspicio, era un vaticinio,
meglio una convinzione. Solo chi fosse ottenebrato dall’ignoranza
strutturale di classi dirigenti mediocri quanto voraci e, al tempo
stesso, ubriachi di ego giudaico-cristianocentrico, o chi vi si
fosse adeguato con la non innocente imbecillità della “spirale
guerra-terrorismo” (non innocentemente spiraleggiante da Bush a
Rossanda e Bertinotti), o chi vi si fosse fatto tappetino con la
tanto opportunistica quanto suicida teoria della non violenza
assoluta, avrebbe potuto pensare che gli iracheni si sarebbero
comportati peggio di, che so, Cuba, il Vietnam, i palestinesi, le
brigate Garibaldi, gli algerini, o addirittura dei propri padri e
nonni che, per trent’anni insorsero incessantemente contro i
seviziatori coloniali più brutali della storia umana. Gran Bretagna
e suoi fantocci furono cacciati da una rivoluzione armata di
sciabole e schioppi e che, seppure non guidata – ma sicuramente
appoggiata - da un partito comunista , oltrechè alla liberazione
nazionale puntava verso un socialismo un po’ più radicale di quello
dalemiano con cui si dispone a cogovernare.
Dal 1958
e, soprattutto, dal 1968, dopo una ricaduta nel girone imperialista
grazie a un golpe reazionario nel 1963 dell’ala militare del Baath
(cui non fu estranea la Cia) che costò la galera a Saddam Hussein
(ala civile), l’Iraq governato dal Baath (partito socialista della
rinascita araba) in coalizione con comunisti e democratici kurdi
(fino al 1979: data del tradimento di mezzo PC iracheno, schieratosi
per ordine di Brezhnev con gli espansionisti khomeinisti e contro la
propria rivoluzione laica) ha rappresentato per il mondo arabo
quello che Cuba è stata per l’America Latina: un baluardo della
civiltà e del progresso contro il ritorno delle barbarie
colonialiste, occidentali, bianche, cristiane e sioniste. Oggi
l’Iraq, grazie a un intero popolo in lotta e a una formidabile
resistenza armata, sicuramente preparata dal partito fin da molti
anni prima dell’aggressione, è la trincea avanzata dell’umanità
contro il rigurgito di quella barbarie. Contro gli affannosi e
terroristici tentativi di innescare divisioni e conflitti civili (le
bombe dei provocatori, tradizionalmente israeliani e Cia, contro le
moschee e contro quella Croce Rossa che indagava sui misfatti
dell’occupazione), arrivando addirittura a inventare repressioni
anticonfessionali del precedente governo (da Elettra Deiana invece
accusato di islamizzazione), fino a episodi dell’intossicazione
scientifica come l’uccisione del padre di Moqtada al Sadr o la
gassazione dei kurdi di Halabja falsamente attribuite a Saddam, il
popolo iracheno dimostra la sua coesione antimperialista, forgiata
in decenni di costruzione della nazione e di maturazione politica
sociale e antimperialista.
Cosa ci
si aspettava, a destra come a sinistra? L’Iraq era un paese avanzato
in tempi record – imposti dall’assedio imperialista, che spiega
anche l’impossibilità di una democrazia di stampo borghese esposta
all’infiltrazione e alla corruzione del nemico, vedi Cuba - dal
sottosviluppo più nero, eredità del colonialismo, a modello sociale
per tutto il terzo mondo, con sanità, istruzione, casa, lavoro,
emancipazione laica assicurata a tutti, un’enorme creatività
culturale, riferimento per tutto il mondo arabo, un paese che si era
riappropriato delle proprie risorse, un paese ininterrottamente
schierato accanto alla resistenza palestinese, contro i cedimenti di
Sadat e dei regimi vassalli e contro l’imperialismo in tutta l’area
(al di là delle facezie, di chiaro intento denigratorio, su “Saddam
uomo degli americani”), un paese pienamente consapevole del suo
credito culturale, politico, sociale millenario nei confronti
dell’umanità intera. Si pensava che questo paese si rallegrasse con
chi per due volte gli ha reso al suolo quanto aveva costruito in
mezzo secolo di faticoso e vittorioso rinascimento, gli ha rubato la
sovranità, lo ha affidato a un tiranno sanguinario straniero,
rispetto al quale Saddam va avvicinato a Don Zanotelli, e a una
ciurma di malviventi della criminalità economica, già spodestata
dalla rivoluzione, chiamata “Governo provvisorio”, ne sta vendendo i
diritti sociali e tutto l’apparato pubblico agli avvoltoi
multinazionali garantiti da killer professionisti vuoi con le piume,
vuoi con i pennacchi, vuoi con i tesserini dei tagliagole mercenari?
Che donne, bambini, uomini iracheni si rallegrassero per essere
stati spazzati via a decine a Nassiriyah, fatti a pezzi come scrive
un militare inorridito a suo padre, da stragisti di pace italiani
che ponevano la libera circolazione sui ponti sopra la vita di una
comunità, cui, presenti “solo per ricostruire”, non avevano neppure
saputo ridare l’acqua potabile? O che ci amassero i martiri,
partigiani o civili, di Falluja, la “Nuova Jenin”, polverizzati a
centinaia nelle loro case da bombe a grappolo, artiglieria pesante e
F15 USA, corredati di macellai cosmopoliti in affitto chiamati
“vigilantes”? Stragi effettuate con lo stesso senso delle priorità
della civiltà occidentale per cui petrolio, automobili e asfalto
sono conquiste che possono essere benissimo nel nostro paese pagate
ogni anno con una decina di migliaia di morti. Queste le chiamano
sviluppo, quelle democrazia. Libera circolazione, appunto. E
privata. Come nella Nassiriya dell’ENI e della Cogefar.
Qui
siamo davvero a uno scontro non “di civiltà”, come propagandato dai
neonazisti USA e prontamente scimmiottato, non solo dal guitto
Bushlusconi, ma addirittura dalla “giornalista all’orecchio di
Bertinotti” Rina Gagliardi, su “Liberazione”, e anche, sotto vari
pseudonimi del capo, come Alessandro Curzi, Ritanna Armeni,
Salvatore Cannavò, Guido Caldiron (uno che ha l’ultravista per
antisemitismi che nessuno vede e, come tutta la comunità, diventa
strabico e orbo sull’autentico diluvio antislamico), bensì a uno
scontro “con la civiltà”. Una civiltà sola, oggi interamente
rappresentata dai popoli, dalle classi, dalle intelligenze che si
rivoltano e combattono contro i cannibali dell’imperialismo e i
trogloditi politici che ne assumono i paradigmi razzisti e
mistificatori, dal “terrorismo” inalberato come causa della guerra,
mentre di questa è il voluto e pianificato pretesto,
all’”antisemitismo” usato a mo’ di spranga su chi non rigiustizia i
martiri palestinesi, alla non violenza imposta come virtù e
necessità a copertura e depistaggio della più spaventosa esplosione
di violenza a memoria d’uomo, tutta da caricare sul cinismo genocida
di Israele, anglostatunitensi, sicofanti vari e protagonisti
politico-militari dei nascenti fronti interni.
Non
fosse per i partigiani e le masse dell’Iraq saremmo bell’e fottuti,
con tipi di oppositori e resistenti come sopra. Ancora una volta,
come per l’invenzione della ruota, del tempo con la scrittura, della
musica, dell’arte, dell’economia, del diritto, porta della
democrazia, della convivenza urbana, il popolo della Mesopotamia si
è erto a pioniere di civiltà e di liberazione degli esseri viventi.
A sua spese. Con le famose Ong filantropiche e caritatevoli in fuga
al primo sospetto di pericolo personale (restano alcune, ma, toh,
sono statunitensi o britanniche come Human Rights Watch, Occupation
Watch e Iraq Body Count, come è statunitense, tanto per distinguere
tra popoli e classi dirigenti, il più maturo e consapevole movimento
contro la guerra: niente civetterie con la mimetizzazione
imperialista dell’ONU, o con un “terrorismo islamico” costruito ai
tavolini di Langley e del Pentagono, o con la “non violenza”
proclamata solo per gli oppressi, nelle piattaforme di A.N.S.W.E.R.,
né propositi di osceni sbraghettamenti verso la convivenza
governativa con i responsabili e i complici dell’apocalissse post e
neonazista, massoni e mafiosi soft o hard che siano.
SPIGOLATURE
Cuore di
donna
Una
militante della Delta Force femminile bertinottiana, oggi un po’ in
disarmo, Graziella Mascia, reso il rituale omaggio al megapacco
della “guerra che alimenta terrorismo e barbarie” e all’inevitabile
“spirale” (quando il capo adotta un termine, è subito un’inebriata
eco da mille gole, fino al di lui abbandono di esso, seguito da
istantaneo silenzio generale), arriva davvero a vertici di umana
compassione. Scrive all’indomani del rapimento dei quattro italiani
a Falluja: “Ecco allora che senti il tuo destino come strettamente
legato a quello degli ostaggi in Iraq…” Sublime. Oriana Fallaci non
avrebbe potuto dirlo meglio. Una lezione memorabile di etica
universale e di carità woytiliana (penso alla papale benedizione
inferta ai cattolici croati che affogavano in oceani di liturgico
sangue la peste ortodossa e laica serba e, con essa, l’innaturale
connubio jugoslavo). Una lezione a chi, intossicato di residui
novecenteschi di violenza e nazionalismo, sentiva il suo destino
strettamente legato, che so, oggi per esempio a quello di oltre
mille subumani iracheni, donne, bambini, vecchi, sfoltiti a Falluja
dallo scenario della ricostruzione-pacificazione, con particolare
capacità selettiva allorché, con una gamba segata – magari da
qualcuno di quegli ostaggi “civili”, un terzo della forza
combattente per la democrazia in Iraq – o un occhio pendulo sulla
guancia, o il ventre spalancato da pensosa bombetta a grappolo,
ignaro dei giustizieri su carri e tetti, cercava immeritata
sopravvivenza in ospedale, o a casa sua, tra i cari, un’espiazione
terminale per mezzo secolo di intemperanze islamiche e nazionaliste.
Un film logoro, del resto, già visto a Sarajevo, Vukovar, Pristina,
Pancevo, Jenin, Gaza, Port-au-prince (remember Haiti, Curzi???),
Kabul…
Curiosa
e meditabonda coincidenza, peraltro, quella che vede, accanto alla
perorazione masciana pro-ostaggi e anti-terroristi, un altro
articolo, a firma Beppe Lopez, che scrive probabilmente in stato di
ebbrezza e non sapendosi quello che gli esce dalla penna., cose di
una certa (im)pertinenza. Spigoliamo: “La società dei servizi
produce soprattutto servi”… “basta guardarli i direttori generali e
dirigenti in prima fila a uno dei tanti festival nazional-popolari…
si crogiolano alle adulazioni più indecenti, si mostrano sorridenti
e soddisfatti invece che nascondersi…hanno promosso in massa i
redattori di fogli semiclandestini…”, “La società dei servizi
(intesi come servizi al capo) non seleziona i migliori, ma i
peggiori: seleziona i servi, li promuove e anche li onora…leccastivali
e voltagabbana di cui ci si dovrebbe vergognare… cortigiani e
portavoce… agitati, sudati, preoccupati nella calca di guardie del
corpo e di presenzialismi… navigatori fra le menzogne e le gaffes…hanno
mangiato la foglia, hanno fatto il salto della quaglia, hanno
cambiato giacchetta e si sono adeguati ai tempi” (qui è citato
Giorgio Bocca e mi si perdoni qualche aggiustamento strutturale). E
conclude, Lopez: “Non può essere che in questa società cinica e
feroce sia sorta anche una tipologia nuova di individuo, specie fra
gli intellettuali, politici, giornalisti,ecc. (Segretari no? N.d.r.),
capace di fare il salto del fosso una volta per tutte, perdendo
anche la capacità di sentirsi umiliato e, come diceva Petrolini, di
provare orrore di se?” Domanda tautologica. Per molto, molto meno
chi scrive fu cacciato su due piedi da “Liberazione”. Che lunga vita
arrida a Beppe Lopez.
CUORE DI
LIBERATO
Tra i
tanti noms de plume
impiegati da Fausto Bertinotti nel suo tabloid personale ce n’è uno,
Alessandro Curzi, che ricorre più spesso degli altri, in particolare
sotto gli editoriali, o a chiusura delle risposte alle eulogie
accuratamente selezionate per la rubrica delle lettere. Anche qui va
citato un recente colpo d’ala che, come quello della Graziella di
cui sopra, non potrà che rasserenare i Gran Maestri su entrambe le
sponde dell’Atlantico, come già fatto con i graditissimi dogmi della
non violenza, della spirale guerra-terrorismo (consacratrice della
interpretazione autentica bushiana dell’11 settembre) e della
resistenza uguale terrorismo. Sono due le colonne sulle quali il
criptobertinotti erige il firmamento del nuovo pensiero
universalista, quello che, come sentenzia un luminare New Age nel
recente libro sulla non violenza edito dal PRC, vede dopotutto anche
in Bush “un altro uomo da amare”. La prima è quella che sorregge
l’intero impianto della
ricostruzione-pacificazione-democratizzazione in Iraq: “la guerra –
ovviamente idiota e illegale”, aggettivi dovuti ai milioni dei
cortei – “ha liberato gli iracheni dal giogo di Saddam”. Chi
potrebbe dubitarne, vista la totale e incondizionata devozione che
tutto il popolo di 24 milioni tributa giorno dopo giorno ai
liberatori, fatta salva qualche banda, come dice il nostro ministro
porta a porta Fronte-Luminosa-Frattini, di “briganti di strada”, o
qualche setta fondamentalista e terrorista che nasconde il suo
fanatismo religioso dietro al mistificatorio sventolio di unitarie
bandiere irachene.
Ma il
secondo pilastro svetta ancora più alto e robusto e offre alla
grande Cupola democratica dei fratelli di qua e di là degli oceani
un sostegno per durare nei secoli e nei continenti (petroliferi). “E
rivendichiamo questo nostro sentire che ci accomuna a quell’America
che corse due volte in aiuto dell’Europa nel secolo scorso…” Ohibò!
Che siano confusi dal doveroso tributo di riconoscenza agli USA
tutti coloro che, in armi e deplorevolmente “angelizzati”, si
batterono, per fortuna invano, perchè una liberazione dal
nazifascismo diventasse una sanguinosa rivoluzione sociale (“E noi
faremo come la Russia / e suoneremo il campanel / e suoneremo il
campanello / falce e martello trionferà”: terribile!), anziché una
felice pacificazione tra ragazzi di Salò e ragazzi Garibaldi per le
eterne fortune di una via italiana alle confraternite e all’onorata
società, all’ombra della protezione Cia e delle sue filiali locali
P2 e Gladio, e con la vigile presenza di accorgimenti di difesa di
massa disseminati in 140 basi altrui, occhieggianti sui sereni
borghi italici. Andrebbe aggiunto, ma il criptobertinotti lo
sottintende ovviamente, che gli USA corsero in nostro aiuto quando
l’Armata Rossa dei bolshevichi e senzaddio, sacrificando cinica ben
20 milioni di giovani, stava estendendo la sua nera ombra, simile a
quella di Mordor (sempre Est è) sulla Terra di Mezzo elfica,
cristiana e occidentale, per quanto nazifascista. E poterono correre
in nostro aiuto solo grazie a un episodio che esaltò il loro senso
del sacrificio, quello che cacciò ai pesci 2800 marinai patrioti a
Pearl Harbour, bombardati da giapponesi di cui tutto si sapeva in
anticipo, ma di cui fu d’uopo esibire a un’opinione pubblica
indolentemente pacifista tutta l’immane ferocia e cattiveria.
Appunto perché si smuovesse a correre in aiuto di noialtri italiani.
Proprio come si smosse a correre in aiuto di afgani, iracheni, e
paesi canaglia vari, a ciò indotto dalle nefandezze di Osama bin
Bush nel giorno del signore 11 settembre 2001 e seguenti. Quelle
nefandezze sulle quali Bush e gli altri fratelli della costa –
all’insaputa di Bertinotti e di un altro suo pseudonimo, Daniele
Zaccaria, incaricato di accanirsi sulle follie dei dietrologi, ormai
un esercito incontrollabile - vollero chiudere gli occhi a tutti i
costi, a dispetto dei mille avvertimenti più che espliciti, pur di
non accettare che al mondo potesse manifestarsi tanta malvagità.
IL
BERTINOTTI MARXIATO
Intanto
Fausto Bertinotti, accompagnato dal nome paradosso Migliore e dalla
straripante donna in nero Morgantini, mentre in Iraq succedevano
tutte queste cose, si trovava in Palestina. E non abbiamo davvero
nulla da recriminare, tanto che non abbiamo neppure voluto confidare
agli amici palestinesi l’idiosincrasia dell’uomo dal burlesco
cognome per la loro unica speranza di vita chiamata “Intifada fino
alla vittoria”. Ce ne renda grazie il “Migliore” (le virgolette sono
inevitabili), che gli abbiamo evitato qualcosina di spiacevole!
Bertinotti, liberatosi di orpelli e obblighi elettorali
assessoral-europei (visto che il nostro marchietto si è già
allargato a includere una mezzaluna con la scritta “Sinistra
europea”? Sarebbe antistatutario e anche un po’ prevaricatore,
giacchè tale Sinistra aspetta ancora il suo congresso di fondazione
a maggio, ma volete che un Cronos che, oltre agli antenati, ora si
mangia anche i figli “giovani comunisti”, badi a queste inezie?)
ha ritrovato la verve delle sue battaglie d’antan in campo sindacale
e non ha esitato a spingersi là dove il cuore palestinese batte più
forte. Lasciata a Morgantini la cura dei gruppuscoli pacifisti del
dialogo israelo-palestinese, impegnati in meeting settimanali del tè
mentre Sharon e Bush concordano sul riconoscimento del 40% di quel
22% di Palestina che invasori europei sottrassero agli autoctoni nel
nome del Dio degli eserciti, purchè cinto da alte e paterne mura
protettive e bombardato a vita, il segretario del PCR non si è
risparmiato uno dei suoi clamorosi testacoda e si è voluto
incontrare con coloro che davvero rappresentano il sentire e volere
dominante del popolo palestinese: Fatah e Hamas, con perfino tanto
di scambio di gagliardetti tra un Giovane Comunista Disobbediente,
detto Fratoianni o anche, nel Forum Mondiale, Brother John, e un
barbuto dirigente della Jihad. Non dimentico, poi, dell’aggettivo
qualificativo “comunista” nel proprio stemma di famiglia, che
tuttora resiste alla corrosione della sinistra mezzalunetta
Europea, il leader della Sinistra Alternativa ha insistito per
incontrare a tutti i costi anche esponenti del Fronte Popolare e del
Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, con i quali
ha rinnovato i fasti dell’antica solidarietà internazionalista di
tutte le forze rivoluzionarie e della fede nelle capacità di ogni
popolo di liberarsi dal giogo dell’oppressore purchè preparato a
usare tutti i mezzi consentiti dalla Carta della tanto invocata ONU.
Che sono, appunto, tutti. All’udire resuscitare questi antichi punti
di teoria antimperialista, si sono visti Fratoianni e il cosiddetto
Migliore precipitarsi ad abbracciare alcuni militanti delle brigate
di Al Aqsa, implorarli di fargli usare l’RPG almeno una volto contro
carri Abrams israeliani, chiedergli di essere iscritti nella lista
dei prossimi martiri di Al Quds e di fargli intanto fare il video
con la benda sulla fronte e il Kalachnikov in grembo.
Cos’era
successo? Era successo che a Bertinotti, la sera prima, in una
grotta di partigiani sopra il Mar Morto, era capitato in mano un
polveroso rotolo che diceva, fra le altre cose:
“Oggi,
fra i cinesi, regna manifestamente uno stato d’animo ben diverso da
quello della guerra 1840-42. Allora il popolo non si mosse: lasciò
che il soldati imperiali lottassero contro gli invasori e dopo ogni
sconfitta si inchinarono con fatalismo orientale alla volontà
superiore del nemico (e sicuramente c’erano “gruppi di donne per il
dialogo”.
N.d.r.). Ora invece…le
masse popolari partecipano attivamente, quasi con fanatismo, alla
lotta contro lo straniero. Con fredda premeditazione, esse
avvelenano in blocco il pane della colonia europea di Hong Kong. I
cinesi salgono armati sulle navi mercantili e durante il viaggio
massacrano la ciurma e i passeggeri europei. Si impadroniscono dei
vascelli. RAPISCONO E UCCIDONO qualunque straniero capiti vivo nelle
loro mani. Perfino i coolies a bordo delle navi di trasporto degli
emigranti si ammutinano come per un’intesa segreta , lottano per
impossessarsi degli scafi, piuttosto che arrendersi, colano a picco
con essi, o muoiono nelle fiamme (kamikaze???)… A questa rivolta
generale contro lo straniero ha portato la brigantesca politica del
governo di Londra, che le ha imposto il suggello di una guerra di
sterminio. COSA PUO’ FARE UN ESERCITO CONTRO UN POPOLO CHE RICORRE A
QUESTI MEZZI DI LOTTA? Dove, fino a che punto, deve spingersi in
territorio nemico? Come può mantenervisi? I trafficanti di civiltà,
che sparano a palle infuocate contro città indifese e aggiungono lo
stupro all’assassinio (scoperto un traffico di bambine organizzato
da ufficiali USA a Bagdad, n.d.r), chiamino pure barbari, atroci,
codardi (terroristici, no? N.d.r.) questi metodi ; ma che importa,
ai cinesi, se sono gli unici efficaci? Gli inglesi (o israeliani, o
anglostatunitensi, o spagnoli, o italiani. N.d.r.), che li
considerano barbari, non possono negar loro il diritto di sfruttare
i punti di vantaggio della loro “barbarie”. Insomma, invece di
gridare allo scandalo per la crudeltà dei cinesi, come suol fare la
cavalleresca stampa britannica (e “Liberazione”, n.d.r.), meglio
faremmo a riconoscere che si tratta di una guerra pro aris et focis,
di una guerra popolare per la sopravvivenza della nazione cinese…”
Arrivato
alla firma dell’autore dello scritto, Fausto sobbalzò. Era Carlo
Marx. E sembrava scritto oggi e proprio per quei popoli sul cui
“terrorismo” impreca e piange “Liberazione” con tutti gli pseudonimi
del principale. Che ne fu folgorato. Altro che Saulo e Damasco. Dopo
tutto Marx era ancora citato come riferimento nelle carte del
Congresso e dello Statuto. I compagni di ventura del segretario
rimasero sgomenti – e, come sempre, ammirati – quando la mattina lo
videro uscire dalla grotta sul Mar Nero con tanta cenere sul capo,
un pezzo di roccia nella sinistra, una granata nella destra e sulle
labbra l’esclamazione: “Voglio vederlo io quello che oggi vuol fare
un partito SENZA rifarsi a Marx!”.
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