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L’IDRA A TRE TESTE
DELL’IMPERIALISMO
Il doppiogiochismo
iraniano
Il vittimismo
genocida israeliano
Il terrorismo
“islamico” USA
(con una coda
velenosa: la stampa “di sinistra”)
05/10/05
Fascisti, razzisti, piduisti, spioni, velinari venduti, servi
sciocchi, utili idioti, opportunisti, complici e apologeti di
crimini e, fieri e felici in questa compagnia, giornalisti al
servizio dell’affetto da vespite acuta Bertinotti come Ivan Bonfanti,
Guido Caldiron e Stefania Podda:
ecco il
parterre de monstres, la
crema politica e mediatica nazionale
che ha segnato la colossale toppata dell’infiltrato CIA
(confesso) Giuliano Ferrara e del suo pinocchietto Magdi Allam (a
forza di menzogne e provocazioni vicedirettore del Corsera) davanti
all’ambasciata iraniana. C’era, tra la patetica parodia pecorariana
del giorno prima (foglia di fico sulle vergogne) e la porcata del 3
novembre – prolungamento cadaverino del giorno dei morti – tutta
l’assenza degli italiani e tutta la presenza di una classe politica
ridottasi a oscenità fallaciana. Una classe politica finalmente
espressasi in tutta la sua autentica vocazione all’orbace da
tirapiedi (ieri dei nazisti, oggi dei nazisionisti di Washington e
Tel Aviv): sicofante, palo, serva e trombettiera di uno Stato
(attenzione, “Stato”, non “popolo”, ha detto il pur sempre
provocatore Ahmadinejad) razzista, fondamentalista, guerrafondaio e
genocida. Bertinotti, tu che furbetto te ne stavi alla finestra
sventolando il fazzolettino di seta, cosa ne dici dei tuoi alleati
nell’Unione che scelgono come unico Stato per cui spendersi a
dirotto
quello che si è costruito ed espanso
sui corpi e sulla terra di milioni di espropriati, cacciati,
torturati, strangolati, massacrati a suon di attentati terroristici
e poi di aggressioni con il più sofisticato armamentario del mondo
(già, per te niente al confronto con quei “disperati criminali” dei
kamikaze…)? Proprio quello Stato che, lui sì, un popolo lo ha
davvero cancellato dalla mappa, un altro sta collaborando a
estirparlo e altri ancora ha programmato apertamente di obliterare.
Che ne dici del tuo compare opusdeista e ontologicamente inciucista
D’Alema e del suo ciambellano Fassino che se ne stavano beati e
coccolati da striscioni con su scritto “Brigate ebraiche”, o
“Orgogliosi di essere sionisti”, dietro ai quali il più distratto
dei passanti avrebbe potuto percepire l’odore di oceani di sangue
succhiato da moribondi, sentire l’urlo di un popolo in agonia,
annichilito dallo stupratore, tradito dai suoi stessi
rappresentanti, intravedere desertificazione di civiltà?
Grazie allo spione confesso, dunque
traditore del suo paese e famiglio di un governo straniero, per
Sabina Guzzanti “fetecchia”, Ferrara, “giornalista” goebbelsiano,
volgare e maleducato, oscanemente deformato dalla bulimia sia di
materia che di veline Cia-Mossad, oltre al dato del definitivo
disvelamento dell’identità dei protagonisti dell’incombente Stato di
polizia à la Sharon,
abbiamo avuto anche quello dello svergognamento dei nostri
“operatori dell’informazione”. Non se ne è salvato nessuno e proprio
nell’occasione in cui le celentaniane verità e ragione stavano lì
limpide, enormi, alla portata del più miope degli occhi, del più
anchilosato dei braccetti dei nostri scribacchini. Salvo il solito
Manifesto,
particolarmente coraggioso di fronte alla canea del vittimismo
sanguinario sionista,
che però anche stavolta la sua brava caduta non ce l’ha voluta
risparmiare. Ed è stato quando si è lasciato rifilare due articoli –
“Le divisioni di Tehran” e “L’Iran ha l’atomica? Sì, grazie agli
USA” – di tale Farian Sabahi, noto disinformatore-intossicatore a
sostegno delle truffe imperialiste, che vaneggia di armi nucleari
che l’Iran avrebbe acquistato dal Kazakistan con il beneplacito USA.
La notizia è talmente idiota e propagandistica da non aver fatto
neanche alzare un sopracciglio a quelli dell’AIEIA che, pure, hanno
esaminato ogni zolla del territorio iraniano. Le “fonti”, poi, sono
di assoluta affidabilità, all’americana: “Un italiano esperto del
settore energetico” e “un medico iraniano che non torna in Iran da
ventisette anni”! Avrebbero dovuto, queste “fonti”, essere motivo
sufficiente per far cestinare l’evidente velina. Tanto più che il
personaggio si era già esercitato, approfittando anche qui del
candore (?) dei responsabili, su “Avvenimenti”, qualche tempo fa,
con un sedicente reportage sull’Iran che veniva descritto, con
l’ausilio delle solite “fonti” (ovviamente Mossad-Cia), come
ricettacolo di terroristi Al Qa’ida (a dispetto del fatto che Al Qa’ida
è un reparto della Cia).
Non mette conto parlare della stampa
padronale di qualsivoglia schieramento si voglia definire. Lì non
c’è giornalismo, ma solo obbedienza variamente articolata, esibita,
mimetizzata. Si va dall’universale accreditamento di Israele,
massima potenza nucleare, razzista, fondamentalista e guerrafondaia
nella regione, come vittima storica e sempiternamente attuale,
avvalorando una strategia di perfida falsificazione che tramuta un
lupo dalla voracità inestinguibile (mi perdoni il nobile e sociale
animale) in agnello assalito per ogni lato dalla storia e dalla
geografia. A questa falsificazione, grazie alla quale l’olocausto
diventa la copertura per l’attuazione di un progetto senza uguali di
sterminio di popoli e squartamento di paesi ed un ricatto morale per
l’intera umanità, non v’è chi non renda tributo. Con la formula
indebita dell’antisemitismo, utilizzata a mo’ di attacco
termonucleare, proprio dai razzisti antisemiti incuneatisi in
Palestina, contro chiunque osi dubitare della bontà della macelleria
militare, economica e sociale da loro perpetrata dal 1948 a oggi,
non solo in Medio Oriente, le “brigate ebraiche”, “orgogliose si
essere sioniste”, hanno cucito la bocca e lobotomizzato il cervello
a tutti. E così il proposito reiterato da 26 anni in Iran di non
riconoscere lo Stato
di Israele – cioè il suo impianto sionista, razzista e colonialista
– viene deformato nel progetto di cancellare il
popolo israeliano dalla
faccia della terra. La ricerca, legittima per chiunque non sia
inviso agli USA o a Israele, di energia nucleare per i propri
bisogni industriali, diventa la minaccia atomica a un paese che,
nell’area, è l’unico a minacciare da decenni con 400 ordigni
nucleari e vettori avanzatissimi di cielo, terra e mare, non solo la
nazione araba da disintegrare e, comunque, da bloccare nella sua
aspirazione storica e fisiologica all’ unità, nel segno della
laicità e della giustizia sociale, ma il pianeta tutto.
Ma è la stampa di sinistra, radicale o
conformista, a coprirsi di cretinaggine , o di collateralismo,
ostinata ormai quanto quella capitalista nell’ignorare nessi, storia
e retroscena e quindi a pervertire il ruolo stesso del giornalismo.
Ecco il tonitruante ingresso nel coro sionista di un rifondarolo
come Ramon Mantovani (uno, a forza di scimmiottamenti delle balle
Nato, dei becchini della Jugoslavia), degno predecessore nella
carica di responsabile esteri dell’ancora più inconsapevole Gennaro
Migliore, con il suo tambureggiare sulla “feroce dittatura
iraniana”. Ecco l’aperto apprezzamento per le dichiarazioni di
Ahmedinejad da parte di chi (Campo Antimperialista),
conseguentemente, era arrivato a esaltare l’azione “antimperialista
dei patrioti afgani del’11 settembre”, riuscendo in un colpo solo a
dire una puttanata doppia (che erano musulmani gli attentatori e che
erano patrioti). In mezzo ecco coloro che, con un minimo di sforzo
analitico, comunque zoppicante, accreditano le cattive intenzioni di
Ahmedinejad e propongono foschi scenari di imminente attacco
occidentale al suo paese. Ne esce in positivo solo Sergio Cararo, di
Contropiano, che, quanto meno, articola qualche introspezione sui
universalmente segretati connubi tra Iran e USA. Ne andrebbe tratta
l’irrinunciabile conclusione che non è l’Iran dei fratelli musulmani
delle teocrazie evangeliche o ebraiche ad essere in prima fila per
un attacco imperialista, ma che forse tutto questo chiasso serve a
nascondere i preparativi di aggressione alla Siria(già ben avviati
con il provocatore di turno di Kofi Annan, Detlev Mehlis, che, quasi
fosse un cialtroncello qualsiasi della vicenda Mitrokin, confeziona
i suoi rapporti sull’assassinio Hariri con la fandonie prezzolate di
un malvivente ampiamente pregiudicato).
E’ curioso dover constatare che è
proprio un giornalista israeliano, di solito non esente da ambiguità
nel suo sistemico porre su in piano di equivalenza i misfatti
israeliani e quello che chiama il “terrorismo” palestinese
(connotazione propria di tutti i cosiddetti “liberal” israeliani), a
indicare con discreta approssimazione il vero nocciolo della
questione. Cito Zvi Schuldiner sul Manifesto:”L’atteggiamento
fondamentalista e criminale del presidente iraniano, in teoria,
sarebbe destinato ad aiutare il popolo palestinese, ma quasi
sicuramente è uno dei migliori contributi per far dimenticare quel
che sta realmente accadendo in queste settimane. Il gentile
presidente fornisce inoltre un’opportunità inestimabile a tutti i
signori della guerra: adesso sappiamo che non succede nulla e che il
problema è l’Iran”. A parte il fatto che “l’atteggiamento
fondamentalista e criminale del presidente iraniano”, che è di
chiacchiere, sta al comportamento
fondamentalista e criminale, fattuale, di Israele come
una bertuccia sta a un gorilla, Schuldiner coglie nel segno. Cosa
sta effettivamente accadendo in queste settimane da cui il signor
Ahmedinejad ci avrebbe distolto? Da noi, dove la sparata iraniana ha
suscitato uno tsunami senza confronti in molti altri paesi, rimasti
altamente indifferenti, succedeva che il governo Berlusconi stava
affogando nella melma di un grottesco falso dei servizi con il
quale, accusando Saddam di volersi procurare uranio per la bomba, si
voleva, alla solita maniera cialtronesca nostrana, agevolare il
progetto bellico dei nazisionisti di Washington, provocandogli
invece una crisi istituzionale senza precedenti. Nella stessa
Washington, l’amministrazione, pur solo blandamente perseguita dalla
magistratura, già in crollo verticale di consensi, già assediata da
un movimento pacifista che al confronto il nostro fa pena, perdeva
pezzi come quel re di Andersen perdeva stracci e vedeva profilarsi
sempre più da presso, se non l‘impeachment del capo, lo sgretolarsi
della banda di gangsters che ne sorregge l’inettitudine strutturale.
In Israele si trattava di offuscare
con le nebbie iraniane l’ininterrotto stragismo di Sharon e Mofaz,
gli infanticidi di sistema, gli assassinii extragiudiziari,
detenzioni di massa e torture, a dispetto delle mille tregue
palestinesi la progressiva demolizione del pur disponibilissimo Abu
Mazen, l’indignazione mondiale per quel muro dell’apartheid che in
altri tempi aveva fatto del Sudafrica il paria delle nazioni e gli
aveva meritato sanzioni vincenti, l’ormai evidente riduzione dello
“Stato” palestinese al 15% della Palestina e a tre cantoni
ingabbiati in fame, siccità, strade, muri, reticolati e posti di
blocco come fossero Auschwitz. E poi i crescenti appetiti,
storicamente sanciti, su altr pezzi di mondo arabo. Anche in Iraq
c’era molto da cui depistare: una sconfitta sempre più evidente
degli occupanti per merito di una fortissima e validissima
guerriglia di liberazione; risposte angloamericane di carattere
psicotico-criminale consistenti nella polverizzazione di città dopo
città con dentro tutta la popolazione civile; le sanguinose
provocazioni di confine contro la Siria per aprire a Israele uno
spazio di intervento strategico con cui dar man forte alla
repressione in Iraq e al tempo stesso sbarazzarsi dell’ultimo paese
laico e progressista della regione; la clamorosa scoperta,
attraverso vari episodi non smentibili (ma universalmente taciuti in
Italia) a Basra e a Baghdad, che a condurre operazioni terroristiche
contro la popolazione civile sono squadre speciali
anglo-israelo-statunitensi, etichettate “Al Zarkawi”, con evidenti
conclusioni da trarre su chi, dall’11/9 in poi, conduce la danza del
terrorismo cosiddetto “islamico”; la rivelazione da varie fonti,
anch’esse non smentite, che i delinquenti di Washington, oltre a
voler porre il veto a un emendamento del Congresso che vieta alla
Cia di torturare a piacimento, hanno allestito nei paesi satelliti
(Polonia, Romania, Giordania, Israele, Saudia, repubbliche
asiatiche…) carceri per sospetti antimperialisti da rapire qua e là
e da torturare fino all’eliminazione, fuori dallo sguardo della
Croce Rossa ed enti affini. In effetti, roba da non farci convergere
troppa luce sopra per un apparato di dominio già in notevole deficit
di consenso a casa e in giro per il mondo. Luce, invece, da far
convergere con forza abbagliante sui patrioti di Hezbollah in Libano
e di Hamas in Palestina che, venendo collegati dalle solite “fonti”
all’Iran (mentre con i tentacoli sciti dell’Iran in Iraq non hanno
proprio niente in comune, anzi sono nella trincea opposta), grazie
alle esternazioni di Ahmadinejad potevano essere presi ulteriormente
a pretesto per sfasciare il Libano e dare in testa a siriani e
palestinesi. E dunque grande, grandissimo è il merito del
presidente iraniano per aver ribadito un concetto geopolitico e
ideologico niente affatto nuovo, ma tale da poter essere gonfiato
quanto la famosa rana da far arrivare alla dimensione del bue. Solo
che qui non pare verificarsi il salutare scoppio del bove. Che
avrebbe potuto succedere solo se qualcuno avesse infilato uno spillo
nella bolla.
Lo spillo è facile da trovarsi, nella
storia soprattutto. L’Iran è da oltre trent’anni che fa il gioco
dell’imperialismo e del sionismo. Tra preti, teocrazie,
integralisti, cinici furbacchioni del monoteismo, ci si intende.
Senza il consenso di Francia e dell’Occidente, Khomeini non sarebbe
mai potuto rientrare da Parigi a Tehran e scatenare la sua
“rivoluzione”, concretatasi principalmente nello sterminio di
comunisti, sinistre varie e curdi. Se gli USA non hanno attaccato
l’Iran nonostante la più grave offesa e aggressione mai subita da
tempi della pastetta nippo-americana di Pearl Harbour, l’occupazione
dell’ambasciata e il sequestro dei diplomatici, figurati se
l’attaccano ora perché dice sconsideratezze su Israele, o perché
cerca di dotarsi di quella centrale nucleare civile di cui sono
dotati amici e nemici. Se gli USA facessero anche solo “bau!” a
Tehran, gli salterebbe per aria definitivamente tutto il progetto
iracheno e, dunque, mediorientale. Messi con le spalle al muro dalla
Resistenza e costretti ad ammazzare alla cieca, gli occupanti
dell’Iraq, e ancor meno i loro miserabili fantocci (tra cui il PC
iracheno, gemellato al PRC e al PdCI!), non resisterebbero un giorno
in più se gli venisse meno l’appoggio iraniano. Vale a dire la
collaborazione militare e politica della potente gerarchia scita,
degli Al Sistani e degli Abdelaziz Al Hakim, con le loro formazioni
di tagliagole Al Badr e con i loro partiti quisling (cui
recentemente ha aderito anche il pretonzolo più ambiguo della
confraternita, Muktada Al Sadr, anche lui da sempre “iraniano”),
tutta roba direttamente all’orecchio degli ayatollah. E con evidente
e non sempre vincente fatica che questi gerarchi in turbante tengono
a bada il comune sentire popolare di revulsione e odio contro
l’occupante, tanto è vero che le continue provocazioni stragiste
antiscite perpetrate da agenti speciali angloamericani e dai loro
ascari sciti e curdi, nonostante centinaia di vittime civili, non
sono ancora riuscite a infrangere l’unità nazionale degli iracheni e
a provocare quella guerra civile che dovrebbe coronare la
spartizione del paese tra curdi, iraniani e occupanti occidentali.
La collaborazione con l’Iran contro i
Taliban da un lato e la nazione irachena dall’altro è per gli USA e
Israele una questione di vita o di morte e non viene annullata dalla
probabile presenza tra i nazisionisti di Washington e di Tel Aviv
anche di qualche fondamentalista ottuso al quale il delirio
espansionista e l’odio anti-islamico azzera ogni cautela e fa
progettare armagheddon di stampo olocausto anche contro l’Iran. Non
è detto che questi non riescano a fare il colpaccio, aiutati da
qualche provocazione alla 11/9. Ma tutti gli indicatori enfatizzano
al momento l’identità tattica di interessi tra nazisionisti e
iraniani nella liquidazione del panarabismo e nel vicendevole
espansionismo a scapito di laicità, sovranità, progresso.Del resto,
come detto sopra, il parallelismo, quanto meno tattico e dopo si
vedrà, tra persiani e colonialisti USA-Sion è di lunga data. Dopo
l’insediamento di Khomeini, pronube la Francia, la guerra Iraq-Iran,
sebbene favorita dalle potenze della liquidazione degli arabi, fu
fortemente voluta da Khomeini e non, come una propaganda finalizzata
a satanizzare Saddam Hussein a sinistra, dall’Iraq. Alla faccia di
quanto un superficiale osservatore, forse ancora brezhneviano (fu
Brezhnev a preferire l’Iran integralista all’Iraq laico e socialista
e a tradire il trattato di amicizia e mutua difesa con l’Iraq del
1972), come Giancarlo Lanutti (Liberazione), ha recentemente voluto
ricostruire, quella guerra fu scatenata dall’Iran. Fui testimone
diretto e oculare nel 1979-80 delle ripetute incursioni iraniane nel
curdistan iracheno e dei tentativi di sobillazione interna fatti nei
confronti dei curdi. Fu Khomeini a denunciare il trattato sui
confini concluso tra Iraq e Iran nel 1975 e a rivendicare anche la
sponda occidentale dello Shatt el Arab, mai stata iraniana. Fu
l’Iran a occupare manu militari due isolotti antistanti la stretta
lingua di costa che permetteva all’Iraq di esportare il suo
petrolio. Fu ancora Khomeini ad annunciare la chiusura dello stretto
di Hormuz, passaggio vitale per le petroliere irachene e valvola di
sicurezza dell’economia del paese, nel caso che l’Iraq non si fosse
piegato. E infine fu sempre l’Iran a infiltrare i suoi agenti e
provocatori tra le comunità scite del Sud per destabilizzare e
ricattare l’Iraq con operazioni terroristiche. Ed è il fiduciario
dell’Iran, il falsario e imbroglione Ahmed Chalabi, ad essere
tornato in prima fila nei favori dell’establishment bushiano, dopo
una breve crisi che lo aveva allontanato dalla sfera governativa dei
fantocci per una passeggera controversia USA-Iran dovuta ad alcune
intemperanze dell’”iraniano” Muktada. E’ sua la supervisione sulla
manomissione statunitense su petrolio e contratti in Iraq (l’uomo fu
condannato a vent’anni per bancarotta fraudolenta e furto in
Giordania, capeggiò per conto della Cia il Consiglio Nazionale
Iracheno dei fuorusciti, ha inondato l’Iraq di banconote false per
miliardi, sia ora, sia nel 1992).
Resta da riaffermare una lampante
verità sulla sporca mistificazione di “Saddam, uomo degli
americani”, sostenuta da un’unica fotografia di Rumsfeld che
effettua una visita diplomatica in Iraq nel 1982, da cui si è fatta
discendere la menzogna, ripetuta infinite volte, delle armi e dei
dollari forniti dagli USA a Saddam. Era vero tutto il contrario,
vero, noto, ma opportunamente dimenticato. Come ci si è voluti
dimenticare del dato reale, contraffatto dalla favola dell’Iraq
alleato dell’Occidente (mentre Israele gli polverizzava la centrale
nucleare, Saddam riuniva il Fronte del Rifiuto contro la resa di
Sadat a Israele, e unico, sosteneva politicamente e materialmente il
popolo e i combattenti palestinesi, teneva fuori dalla porta i
petrolieri angloamericani, convocava a Baghdad le organizzazioni
socialiste ed antimperialiste del Terzo Mondo), dell’alleanza
Israele-Iran, risalente ai tempi dello Shah e concretatasi durante
tutti gli otto anni di guerra con forniture israeliane di armi,
istruttori di volo e piloti all’Iran, senza contare che dal 1980 al
1988 il Congresso USA deliberò annualmente cospicui stanziamenti a
favore dell’Iran e USA e Israele, insieme, convinsero Khomeini a
rigettare tutte le proposte di armistizio e pace fattegli fin dal
1982 dall’Iraq. Per cui quel milione di morti della guerra, in
massima parte ragazzini fanatizzati dai Pasdaran mandati a saltare
per aria sui campi minati per aprire un varco alle truppe in cambio
di un’ascesa tra le vergini del Paradiso, va in massima parte
addebitata agli scaldaletto persiani. Dimenticanze? Eppure i
furfanti reaganiani che organizzarono la sudicia guerra dei banditi
contras contro il Nicaragua rivoluzionario con i quattrini ricavati
dalle vendite israeliane all’Iran, da Oliver North a Elliott Abrams
a John Negroponte, sono tuttora lì e operativi come non mai. Mentre
si è mai vista una, dico una, immagine delle due guerre mosse
dall’Occidente a Saddam da cui risultasse tra gli iracheni la
presenza di un carro, una carabina, una rivoltella, una bomba a mano
dei famosi armamenti forniti da Washington a Saddam? Solo armi
sovietiche di tre generazioni fa e qualcosa rimediato sul mercato
privato da Francia o Italia.
Amici, traiamone una conclusione.
Dell’informazione di regime e di impero sappiamo tutto, quasi tutto.
E’ dalle penne dell’informazione cosiddetta di sinistra che bisogna
guardarsi, sono quelle che vanno messe alla berlina per la loro
viltà e la loro subalternità vespista in funzione governativista.
Penso all’ancella del guerrafondaio sionista della “7”, Ritanna
Armeni (dell’organo di fiancheggiamento Liberazione), che schizza i
suoi ottusi veleni contro la comunità islamica d’Inghilterra in
occasione dell’autoattentato di Blair nel metrò (ve l’hanno mai
detto, tra mille altre cose, che testimoni hanno rivelato come i
pavimenti di quelle carrozze si fossero lacerate verso l’alto e che
quindi le bombe non erano in zaini posati sul pavimento, ma erano
state sistemate sotto
i vagoni, in precedenza, da ben altri “terroristi”?); penso alla
furia antislava dell’albanese Astrid Dakli (il Manifesto), sordo e
cieco sul terrorismo dell’UCK in Kosovo, ma impegnato a inneggiare
al terrorismo Cia che insanguina da anni la Cecenia; penso a Guido
Caldiron (Liberazione), monotematico filoisraeliano che ha
apprezzamenti orgasmatici per le “rivoluzioni colorate” allestite da
corruttori esterni e corrotti domestici nei paesi che
l’imperialismo-sionismo vuole fottere; a Maurizio Matteuzzi
(Manifesto) con quella fregola filo-Rabin - “uomo di pace”
smontatagli addirittura da un giornalista israeliano, Gideon Levy,
che ricorda il premier dello sterminio bellico, delle ossa spezzate
ai ragazzini palestinesi lanciasassi e della truffa del secolo,
Oslo; a Pietro Folena (Liberazione), che in stato di confusione
semantica per i troppi fregolismi perpetrati, spara stronzate sul
“fascismo iraniano”. Penso a quell’Ivan Bonfanti (Liberazione) che
si accredita presso l’internazionale del falso ripetendo alla grande
il rovesciamento della verità su Sebrenica, o commuovendosi sul fato
dei poveri, coraggiosi coloni ebrei, meritevoli di
“autodeterminazione” dopo che si sono autodeterminati da soli su una
terra rubata ai suoi titolari. Penso a quella Logan Ltd, società
israeliana come tutte in strettissimo contatto con i servizi di Tel
Aviv cui, sotto il Veltroni con la kippa in testa, Roma ha affidato
la sicurezza antiterrorismo della metropolitana, nientemeno, e
nessuno ha ricordato la catena di attentati e ammazzamenti che
queste presenze israeliane si tirano dietro da sempre (e ringrazio
che non devo utilizzare quasi mai quel metrò a quella gente
affidato). Ne ha di scrivani e di
noms de plume quel
Bertinocchio che, proprio oggi, auspica un ministero nel prossimo
“suo” governo per Emma Bonino, l’unica donna in Italia le cui zanne
possono concorrere con quelle di Condoleezza Rice, o di Golda Meir
di razzistica memoria.
Penso, penso, penso… al punto che mi
si è chiusa la bocca dello stomaco e mi è passata la voglia di
continuare. Ciao
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