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Una sinistra desnuda
al mercato
delle uniformi con
Pisanu, Olmert e Bush in trincea a Nassiriya,
con Coca Cola
e Fiat al caminetto olimpico
16/02/2006
E c’è chi ancora si sorprende.
Incamerata l’evidenza delle due destre in un’Italia finalmente
omologata al dualismo per fessacchiotti anglosassone, ci si pone
ora il problema di come definire una sinistra residuale che,
autodefinitasi radicale, forse su suggerimento boniniano, in vista
dell’orizzonte poltronaro che albeggia oltre le tornate
elettorali, nazionali e locali, si va spogliando di ogni
sembianza, alternativa ancor prima che antagonista. Di
conseguenza, alle bancarelle delle eccedenze statunitensi e Nato
va cercando quei panni trendy
(di tendenza) che la possano far confondere e
intrecciare con i frequentatori di caserme e commissariati che da
un paio di lustri ci disciplinano. E i cui lustrini ci parlano di
Belgrado, Kabul, Nassiriya, Napoli, Genova. Nonché della
fucilazione per alto tradimento di Marco Ferrando, non il primo
dei Patriot Act di
un Bertinotti che, essendo intimissimo del D’Alema bombardiere di
Jugoslavia, non poteva non soffrire l’estraneità di chi deplora
invasioni e sostiene difese. Chi frequenta queste cartacce sa che
Ferrando è il trotzkista di opposizione (ci sono anche quelli di
complemento) a un Bertinocchio in bulimia di liquidazioni e di
saldi di governo, che, già candidato alle politiche 2006 del PRC,
è stato visto giustiziato sulla pubblica piazza dal segretario del
suo partito, tra gli ebbri clamori dei futuri fratelli di loggia,
caserma e sacrestia. Il suo crimine? Aver messo in discussione la
legittimità di uno Stato che ignora vuoi decine di risoluzioni
dell’ONU, vuoi i trattati di non proliferazione nucleare, vuoi le
più elementari norme antibarbarie della convivenza umana come
racchiuse nei sacri trattati. E aver declinato una verità sussunta
da 25 milioni di iracheni, da qualche miliardo di abitanti della
Terra non adusi a Fox ed Emilio Fede, nonchè addirittura dalla
stessa ONU e, recentemente, anche dai guerrieri nazisionisti
globali, definendo “Resistenza irachena” quella che, ottemperando
allo stesso dettato della Carta dell’ONU, ha colpito coloro che i
governanti di cui sopra avevano collocato nel tirassegno di
Nassiria. Grazie a Bertinotti, il volgo e l’inclita hanno potuto
vedere trattare Ferrando peggio dei nazisti Saya, Tilgher e Fiore,
parimenti sgraditi all’altra parte, ma almeno difesi da una
propria leadership meno appecoronata. Tagliate così le “ali
estreme”, gli strateghi della canea reazionaria degli anni’70,
accomunati a un comunista perbene, escono trionfanti dalle loro
discariche. Bravo, compagno Bertinotti!
Cogliendo l’opportunità della
vigilia di una manifestazione nazionale in difesa di un popolo che
un bel concerto di assassini di Stato vorrebbe rimuovere dalla
carta geografica (altro che Ahmadinejad!), istruendo il suo
chierichetto dal cognome-burla, Gennaro Migliore, a dissociarsi
dall’evento per assenza nella piattaforma di vituperi contro il
“terrorismo”, il pompiere al merito Bertinotti ha intagliato altre
due tacche nella sua carabina ammazza-comunisti. Contro Ferrando
ha anatemizzato, da coerente compagno, sul giornalone del
Petit Sharon: “Le idee
di Ferrando non solo sono incompatibili con la linea politica del
PRC, ma anche oggettivamente
irresponsabili ed eticamente ripugnanti” . Quanto ad
Hamas, democraticamente vincente contro una genga di razziatori e
collaborazionisti e leccastivali, ecco la rispettosa esternazione
nei confronti della maggioranza assoluta dei liberi elettori
palestinesi:”Ha segnato l’irrompere sulla scena in modo vincente
del fondamentalismo religioso
con tutto il suo triste bagaglio di terrorismo e di intolleranza
civile.” Dove sia “l’etica ripugnante”, “l’intolleranza
civile” e il “triste bagaglio di terrorismo”, lo lasciamo decidere
a chi, anche per queste valutazioni, si senta felicemente
“incompatibile” con l’intemerato ex-sindacalista vocato a
distruggere, a D’Alema e Berlusconi piacendo, “il secolo
sanguinario” e le sue irriducibili propaggini. E del quale l’unico
aspetto equo e solidale rimasto è il “caffè zapatista” (o
piuttosto yabastista)
Ciò che a questo punto va
incastonato nella consapevolezza dell’universo mondo è il ruolo
assunto, ormai con proterva spudoratezza, da Fausto Bertinotti. Ha
superato a pieni voti il periodo di prova confindustrial-atlantico
quale puntello del ricupero, dopo la fase manicomiale di
gaglioffi, mafiosi, nano e ballerine, di quei rincalzi d’emergenza
del capitalismo imperialista che vantano come unica migliorìa un
lifting coprizanne delle labbra. Ora si è guadagnato le stellette
mettendo in ceppi, quanto meno etico-politici, chi mette in
discussione la naturalezza di uno Stato razzista e militarista
fondato sulla parola di Jahve e chi riconosce ai popoli il
diritto di sparare a occupanti venuti a spazzarli via. Pensate al
vecchio Pecchioli dei felici anni ’70 e ditemi se questa non vi
pare delazione. Ditemi se non è un, quanto meno oggettivo,
supporto alla Gestapo di Stato. Pisanu e Bush ringraziano e
preparano mandati, magari per voli CIA. Il cerchio
collaborazionista si chiude. Quello della pista del Circo delle
Meraviglie bertinottian-radicale nel quale, signori e signore, più
gente entra e più bestie si vedono (con sempre la doverosa scusa
alle bestie).
Godetevi una succinta selezione
dallo spettacolo. Nel trattamento dell’Iraq su “Liberazione”,
ormai solo per brevi trafiletti per non disturbare il manovratore,
si riequilibrano le immagini dei torturatori anglosassoni con quel
“video-shock” (?) della Resistenza in cui un guerrigliero spara
sui militari occupanti, e si commenta: “una sequenza cruenta che
sembra paradossalmente ricalcare quel colpisci e terrorizza
teorizzato da Bush”. Nientemeno. La fucilata a un torturatore come
il fosforo su 300.000 fallujani. Tutti uguali, carnefici e
vittime. E Bush tira un bel sospiro. Anche per come nei succinti
articoletti sul processo a Saddam Hussein, processo di fantocci
degli occupanti, si sorvola leggiadramente sulle aberrazioni
fisiche (torture e soprusi) e giuridiche che caratterizzano la
farsa. Del lontanissimo e analogamente diffamato Milosevic, in
simile tritacarne pseudogiuridico, non mette ovviamente più conto
parlare. Se ne adombrerebbe il sodale inciucista, Massimo D’Alema,
che non per nulla ebbe a rilanciare la Nato oltre i confini
dell’impossibile. Il foglio italiano più caro alla comunità di
quel Pacifici che aveva sollecitato la schedatura, tipo Ovra, dei
non partecipanti al tripudio sionista del confesso Cia Giuliano
Ferrara e della “Sinistra per Israele”, non si pone limiti,
soprattutto per quanto attiene agli obiettivi dello Stato-guida.
Cercate la pagine 4 del 14 febbraio 2006 e vi ritroverete sotto
una grandinata di buoni auspici ed eulogie, guidata dal noto
fiduciario Guido Caldiron, a sostegno della destabilizzazione del
Libano operata dalla trimurti USA-Israele-Francia. Sotto il
predicozzo sul “nuovo Libano interetnico”, si lavora al progetto
colonialista di rompere la storica fratellanza tra la Siria da
disintegrare e il Libano da fascistizzare sotto la ferula di
falangisti e collaborazionisti sunniti e di isolare e disarmare le
forze libanesi e palestinesi, garanti della resistenza
antisraeliana e della sovranità nazionale. Neanche mezza sillaba
circa lo scandalo della commissione ONU sull’assassinio
antisiriano di Hariri, guidata da un vecchio arnese tedesco della
Cia, Detmer Mehlis, e che si è trovata sbugiardata dalla
dimostrazione che i suoi due testimoni antisiriani erano
mascalzoni pregiudicati, corrotti dai soliti trenta denari. Quale
è la distanza tra tutto questo e i prestatori d’opera dell’islamofobia
guerraglobalista Magdi Allam e Oriana Fallaci? Del resto, cosa
aspettarsi da un foglio che pubblica senza commenti i rigurgiti
razzisti di un Jean Marie Le Pen, i terrorismi verbali dei teorici
neocon e respinge l’ultima intervista da me fatta a Slobodan
Milosevic (“non possiamo appiattirci sul dittatore”), poi
correttamente pubblicata nientemeno che dal Corriere della Sera?
Ampi e complici spazi sono poi
offerti agli interventi a chi copre a sinistra la deriva
bertinottiana. Erede del povero Livio Maitan, questa opposizione
trotzkista di complemento chiamata “Erre”, è il residuo anello di
congiunzione tra il monarca e l’ala mozzarellara del movimento,
quella rientrata dallo tsunami rivoluzionario del Forum Sociale di
Caracas inviperita per essere stata messa in un angolo da qualcuno
– i vincenti rivoluzionari latinoamericani - che anziché blaterare
di “altro mondo possibile”, lo sta mettendo in piedi, ricuperando,
oltrettutto, una prospettiva dai guru del movimento detestata: il
socialismo. Accarezzando il bertinottismo, con solo qualche
leggera passata contropelo, questa corrente esprime tutte le
ambiguità e gli entrismi di certi trozkismi. Il generale,
Salvatore Cannavò, insiste a prendere fischi per fiaschi, o nemici
per amici, come quando inneggiò a Otpor, “costola serba del
Movimento” che, inventata, finanziata e pagata dalla Cia e
dall’agenzia dell’export democratico USA,
National Endowment for Democracy
(NED), era impegnata come quinta colonna
nell’aggressione e nella frantumazione della Jugoslavia. Errore(?)
poi pervicacemente ripetuto in tutte le altre occasioni nelle
quali la NED
riversava manuali d’istruzione e fiumi di dollari nelle tasche dei
rivoluzionari colorati per assicurare al campo dei colonizzati
paesi-chiave come Ucraina, Georgia e Libano. Nel contesto sono
ancora peccatucci veniali, per quanto non meno insidiosi, i
patetici halleluja sollevati attorno a un Marcos declinante, il
cui zapatismo è stato gettato alle ortiche perfino da un
appassionato della prim’ora come Ignacio Ramonet (di
Le Monde Diplomatique),
dopo aver visto questo mascherone del marketing movimentista
uscire dai recessi del suo strutturale equivoco per tagliare le
gambe a Lopez Obrador, già ottimo sindaco di Città del Messico e
unica speranza messicana per uscire almeno un poco a sinistra
dalle prossime presidenziali. Oppure la riesumazione delle pie
salme Tobin Tax e Bilancio Partecipativo che, dopo Chavez, è come
voler rimettere in circolo le carrozze Landau e le crinoline. Ma
Berti e le/i signore/i di San Vincenzo di certo associazionismo
“nonviolento” non demordono. Hanno ancora qualcosa da fare
insieme: calmierare la forza e la crescente radicalità di un
movimento antiguerra che gli sta sfuggendo di mano. Le occasioni
migliori? Le manifestazioni nazionali, queste sì dal basso, per
Palestina e Iraq e contro guerra e imperialismo.
Spiccano nelle liturgie di
fiancheggiamento imperialista le compulsive reiterazioni
anticubane di un Antonio Moscato, membro della stessa congrega
paratrotzkista. Di questo iroso personaggio mi ricordo in
particolare un confronto con me a Lecce quando la sua promozione
dei banditi separatisti del Kosovo, l’UCK narcotrafficante e
lanzichenecco della Nato, a patrioti dell’autodeterminazione,
svaporò di fronte ad alcuni corposi dati circa il patrocinio dato
a costoro da Al Qaida (succursale CIA), da mafia, tedeschi e
statunitensi per una pulizia etnica che, insieme a quelle croata
in Krajina e musulmana in Bosnia, è risultata l’unica vera
pulizia etnica effettuata nei Balcani. La parallela e coerente
bile anticubana di Moscato ha raggiunto il diapason nella coazione
a ripetere, a destra e a destra, contumelie contro i dirigenti
cubani che nasconderebbero scritti di Ernesto Guevara
stigmatizzanti le politiche economiche dell’URSS. Naturalmente non
è vero, quegli scritti nell’isola sono a disposizione di chiunque
li voglia leggere, ma intanto si presta una buona mano alle
implacabili campagne di diffamazione della rivoluzione che, colpa
inenarrabile, ne ha innescato altre tutt’intorno (e non a tutte si
potrà tagliare la testa come alla disgraziata, piccola Haiti).
L’omino collerico di Lecce completa la satira di se stesso,
facendo una rivelazione epocale: negli ultimi tempi della sua
vita, tra un’imboscata, un attacco di asma, uno scontro a fuoco e
una corsa per la pelle nella foresta boliviana, il Che pare si sia
messo a leggere Lev Trotzki! Ne consegue, per Moscato, il
miracolo, ineluttabile quanto indimostrato come il mistero
dell’immacolata concezione: un Che trotzkista. Occhio, ragazzi,
chè se leggete Jabotinsky vi metamorfizzate in sionisti. Quanti
rivolgimenti nella tomba infliggono al buon Leone questi suoi
millantanti seguaci!
Procedendo lungo il solco tracciato
da Maitan e difeso da Moscato e Cannavò, incenerito sul rogo
politico l’ottimo Ferrando (forse l’unico di cui Trotzki non
vorrebbe vergognarsi), si arriva a più nebulosi fiancheggiamenti
dell’Ordine Costituito percorrendo quella fossa delle Arianne che
è la “spirale guerra-terrorismo” (ultimamente, ahinoi, subita ma
anche rilanciata, con argomentazioni da Bar Sport, dai compagni di
“Contropiano”, abbagliati sulla Via di Damasco dalla vulgata
bushiana di “Al Qaida, nemico globale degli USA”). E’ di questi
giorni una serie di iniziative sull’Iraq, in fase di
democratizzazione secondo la valutazione degli esportatori di
democrazia, nelle quali primeggiano autentici collaborazionisti
dei quisling che fiancheggiano il genocidio iracheno, come tale
Hassan Jumaa Awad, di una fittizia Unione generale dei lavoratori
del petrolio di Basra, gentilmente spedito in Europa, dotato di
prontissimi visti, da quel potere costituito che agli oppositori
manda in casa rastrellatori del ministero degli interni con il
mandato di sparare alla nuca e buttare al lato della strada.
L’ascaro petrolifero, già bollato come tale dalla Resistenza, se
ne viene per fingere di poter parlare di privatizzazioni sotto il
tacco degli stivali angloamericani, della Exxon e dell’Eni, ma
soprattutto per promuovere collaborazionismi delinquenziali,
fintamente controversi, e per rimpolpare l’ormai esangue
demonizzazione di Saddam (sotto il quale a lavoratori, donne,
bambini e anziani arridevano condizioni che gli avrebbero
invidiato gli svedesi) e dei partigiani iracheni. Gli figura
accanto tale Gilbert Achcar, autore di uno “Scontro tra barbarie”,
Edizioni Alegre, di cui già dal titolo si capisce come sia
l’ennesimo soffietto alla guerra dell’elite USA contro il
“terrorismo”, con il ricorso alla contrapposizione paritetica dei
barbari in divisa ai barbari terroristi in stracci. Un ennesimo
avallo, in sintonia su Al Qaida “nemico globale degli USA” tra
Fallaci, Bertinotti, Contropiano, Fassino, a un terrorismo
islamico guidato da Osama e Zarkawi. Onde per cui guerra globale e
perenne. Sennò che cosa? Le donne in nero? Dispiace che questo
Achcar, libanese maronita, collabori a un giornale non tutto da
buttare come Le Monde
Diplomatique. Spiace, ma non sorprende quando si sia
appena ascoltato Ignacio Ramonet mettere sullo stesso piano, per
terrorismo subito, Cuba e la madre di tutti i terrorismi,
Israele…Immagino la perplessità dell’ottimo Gianni Minà, sedutogli
accanto al Teatro Vittoria, mentre si stava presentando il
fondamentale libro-documento su un terrorismo anticubano praticato
dagli stessi che si sono inventati Al Qaida per tramortire mezza
umanità e mettere un chiavistello sulle bocche, se non sui corpi,
di chi non ci sta.
Tout se tien, come
dicono i francesi quando rivelano l’intima coerenza di tessere
apparentemente sconnesse. E così possiamo melanconicamente
affiancare ai tanti prodigi “etici” di cui sopra, i contorsionismi
di Bertinotti e dei suoi epigrafi a giustificazione di un
programma del Centrosinistra che sta a quell’altro, per lavoro,
salari, scuola, ambiente, militare, alleanze criminali,
immigrazione, diritti civili, laicità, come la cortigiana sta alla
battona. Ne discende in cascata logica la dura reprimenda a coloro
che insistevano a sfottere dei pupazzi in tuta al trotto con
torcia olimpica quali vessilliferi di una organizzazione criminale
che governa il circo del doping universale e specula per miliardi
su un territorio devastato e da devastare, nel segno di sponsor
che distribuiscono i mezzi per le carneficine planetarie e che
inzaccherano di porcherie il sangue di giovani consumatori. I due
mostruosi trampolini olimpici, emuli di Cap Canaveral, a cosa
serviranno una volta spenta la torcia e considerato che di
praticanti di quello sport in Piemonte non ce n’è neanche uno? A
lanciare missili sugli anti-Tav? Non ne parlano i chissenefrega
sportivisti con cui tale Darwin Pastorin, un narcisetto facile
alla lacrima, inonda “Liberazione” prendendo a pretesto i Giochi,
in una “Torino felicemente multirazziale, piena di energie
positive”, per infliggere al pubblico lo sciacquone dei suoi
ricordi personali a bagnomaria nel Po. Quel Po nel quale ogni
tanto la “Torino felicemente multirazziale” tira pistolettate a
ragazzini di colore bruno in fuga da pogrom razzisti, o da qualche
CTP himmleriano.
Chiudo questa carovana di robe
ignobili, con una nota triste assai. Tutti sappiamo con che
disperata e spesso duramente provata speranza ci attacchiamo alle
lunghe pagine del “Manifesto”. Perché, compagni del Manifesto, ci
dovete dare sulle dita che a quelle pagine sono appese, ci
tagliate la flebo che a quegli articoli e a quelle vignette ci
lega? Transeat per
quella “ragazza del secolo scorso” che si ostina a inciampare
sugli stereotipi dell’Iraq aggressore per conto USA dell’Iran
(quando è dimostrato il contrario), o del “fondamentalismo
islamico con la sua corda terrorista”, o ancora sul vecchio
nebbiogeno legittimista attorno ai provatissimi e fetidi
inquinamenti delle BR. In compenso altre volte ci conforta. Ma
quando a una Mariuccia Ciotta, direttrice, che svillaneggia i
bravissimi deviatori di tedofori Coca Cola in nome dei bimbetti
torinesi privati del gaudio olimpicistico, a una Giuliana Sgrena
che piange sulle vittime irachene e al tempo stesso fomenta un’islamofobia
da Riccardo Cuor di Leone, facendo suoi tutti gli stereotipi del
caso, si aggiungono vere e propri reati di intossicazione
mediatica, ci si chiede se il “quotidiano comunista” non stia per
liberazionarsi.
Penso alla riproposizione degli “stupri dei cetnici”, dei pianti
su una Sarajevo martire dei serbi (dove gli unici martiri sono
centomila serbi uccisi o scacciati), ad avallo della prima
megamenzogna motore del nuovo ciclo di guerre. Penso ai paginoni
di promozione a cerchiobottisti criptosionisti, quali Amos Gitai,
senza che il giornale, a volte acuto sulla questione mediorientale
(grazie Stefano Chiarini!), ne smascheri l’opera subdola che
compatisce i palestinesi solo se vittime in sofferenza e mai,
dioceneguardi, quando combattenti che praticano il sacrosanto
diritto di respingere l’occupante. Un Gitai che mai mette in
discussione Israele nella sua forma attuale, mentre Hamas è
naturalmente l’espressione di un intollerante integralismo
terrorista. E se prima non ci si poteva mettere d’accordo con i
terroristi, quando mai lo potrebbe la democratica società
israeliana con i fanatici del velo e del proibizionismo?
Infine, sperando che si tratti di
una svista dell’insipienza, va segnalato un autentico buco nero
nell’unico quotidiano che ci rimane. Intitolato “L’avvocato del
diavolo”, un editoriale di tale Enrico Piovesana vomita falsità e
infamie antirusse sulla Cecenia e a mo’ di bombardamento
all’uranio ci fa piovere addosso fetenzie giornalistiche come “ lo
zar dagli occhi di ghiaccio”, “il peggiore crimine contro
l’umanità commesso dalla seconda guerra mondiale” (Vietnam,
Guatemala, Salvador, Iraq, Palestina, Haiti, Somalia, Irlanda,
dove siete?), “rastrellamenti notturni, saccheggi, stupri,
violenza, riscatti in denaro chiesti dagli ufficiali russi ai
famigliari delle vittime, pratiche naziste, squadracce
collaborazioniste, bravo il solo Boris Eltsin, stragi del mercato
(ricordate quelle sofriane, false, di Sarajevo?), tutti i maschi
tra 14 e 65 anni imprigionati, torturati fino alla morte con
metodi medievali per estorcere false confessioni… molti di loro
con il ventre aperto, svuotato degli organi venduti al mercato…”
Vai a vedere perché mai la maggioranza dei ceceni ha preferito
elettoralmente restare in Russia, piuttosto che in mano a quelli
di beslan e ai loro padrini NED. Una prosa, quella del Piovesana,
alla Fallaci e dalle stesse fonti ispirata. Chi mai si ricorda più
di Abu Ghraib? Nessuna sorpresa, se si legge la ditta per la quale
questo splatterista intossica: “Peace
Reporter”. Non è la prima volta che il “Manifesto”
ricorre, pronubi gli antislavisti viscerali che vi si annidano, a
questa fonte. Velina per velina, non è più schietto far scrivere
direttamente a Dick Cheney?
Stiamo andando per stracci. Un
sondaggio di Fox News, la catena di Murdoch, come dire degli
emiliofedi un po’ meno bietoloni, rivela: il 33% dei loro
ascoltatori pensa che si siano trovate armi di distruzione di
massa in Iraq; il 67% è convinto che l’opinione pubblica mondiale
ha appoggiato l’invasione, il 35% crede in Al Qaida “nemico
globale” e socio di Saddam. Contro il 5% degli spettatori della TV
pubblica. Non è carino trovarsi, compagni, tra quel 35% di
spianati dalle cannonate della più grande sparaballe mediatica del
mondo.
La notizia, comunque, l’ha data il
“Manifesto”. Nell’angolino della Tv. Grazie Norma Rangieri.
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