|
Allora non potevamo essere gentili
(Berthold Brecht)
e adesso questi sono di una
gentilezza!…
(dove
si parla dell’Urbe Caput Mundi, di animali, pulizie etniche,
innovazioni, bombe e utili idioti)
11/03/2004
Piove e fa un freddo da gelare anima e
testicoli. Roma va sott’acqua, in paralisi e in apnea, come sempre e,
con incrementato impegno, da quando a governare la modernizzazione,
tra Giubileo e Notti Romane, si sono messi tipi sinistri come il
gallinaccio della covata Pannella, cicciobello Rutelli, o il
kennediano neocraxista Veltroni. Si pensava che a un peggio dei Tupini,
Signorello, Carraro, oggi governatore-baro della bisca calcio, Roma
non sarebbe sopravvissuta. E’ infatti è morta. Morta nelle discariche
nelle quali Rutelli fece scaraventare affreschi e mura della Villa di
Agrippina sul Gianicolo, polverizzate dalle sue ruspe per la voragine
che avrebbe dovuto accogliere pullman di superstiziosi integralisti
diretti in Vaticano, Stato imperialista e mercantile, ma ahinoi anche
corpo mistico intoccabile e immarcescibile, di cui il nostro paese è
il protettorato preferito e dove la P2 apre sportelli, segretari
comunisti fanno i chierichetti e le destre, da Berluscazzo a Mastella,
si alternano a fare le guardie svizzere. Morta è Roma in un’alluvione
di rifiuti e sporcizia non raccolta e in una raccolta indifferenziata
ad oltranza, all’uopo impostata dal legambientino Mario Di Carlo,
quanto in un trasporto pubblico addestrato a scansarsi di fronte alla
smisurata e immortale tenia di quello privato, anch’esso impostato
dall’ecologo Mario Di Carlo, quello che ha otturato la Roma dei vicoli
e dei parcheggi in tripla fila con bus-dinosauri di 18 metri. Quanto
al festaiolo Veltroni, ha ordito un piano per far la festa a più
cittadini di quanti pagani ne liquidò Teodosio: manti stradali che,
tra Porta Cavalleggeri e Tor Spaccata, tra Primavalle e Mentana,
insomma a 360 gradi, sono sicuri e praticabili quanto i campi
infiorati di bombe a grappolo dei contadini iracheni. Una cospirazione
contro l’incolumità di noialtri motociclisti, ricompensa per essere le
due ruote la salvezza della città dall’ischemia. E’ su tutto
un’atmosfera che sta facendo della capitale una città giovane,
gagliarda, dall’altissima selezione darwiniana: via bambini, vecchi e
infermi, strozzati dallo smog, o a ripararsi bronchi e polmoni in
Olanda. Muore Roma, privata delle due condizioni primarie della vita:
respirare e muoversi. Ave Walter,
morituri te salutant.
A tutti questi trionfi urbani e
urbanistici (come dimenticare le iperdimensionate vongole voraci di
Renzo Piano, chiamate “Auditorium”, che divorano estetiche e spazi un
tempo ameni nel fiocco flaminio del Tevere) dette e da il suo fattivo
contributo la sinistra-sinistra: svetta imperturbabile sulla tolda
della nave in perpetuo naufragio la capogruppo di Rifondazione
Comunista, incurante dei 30.000 elettori rifondaroli scomparsi,
sbigottiti ancor prima che Bertinotti proclamasse, chiamandolo
“comunismo innovato”, la fine del comunismo. Voti finiti a mare tra
una consigliatura e l’altra (peraltro sostituiti dagli incensamenti
annusati per un po’ nei templi dei Disobbedienti), ma, per questi
successi, la capogruppo venne elevata al soglio della segreteria
nazionale del partito. Ascoltando, da sotto il tavolo, il ringhio del
bassotto Nando, poi, va menzionato il ruolo svolto dalla coalizione
“progressista, pacifista, radicale (vengono i brividi), femminista,
ecologista, democratica”. E chi non lo è? Ora lo sono addirittura i
capisaldi teorico-ideologici del “nuovo che avanza” tra le rughe dello
zombie eurocomunista (Carrillo-Berlinguer-Marchais, tre autentici
superuomini), rimpannucciato e imbellettato nelle nuovissime spoglie
del Partito della Sinistra Europea. Ruolo accanitamente perseguito
nella salvaguardia dell’altra vita animale in città: un giardino
zoologico umbertino, cui gli amministratori democristocraxisti avevano
riservato lo stesso amore che Sharon riserva a Gaza, transubstanziato
dai progressisti in “bioparco” (“parco della vita”, per chi s’è
scordato il greco), e cioè con aiuole e ristoranti per bipedi grandi e
altalene per bipedi marmocchi, donde osservare con benevola
disposizione d’animo il vivace, vagamente lunatico andirivieni, in
cinque metri per cinque, di ergastolani leoni, gorilla e foche,
innocenti ma sequestrati a vita per salvarli dall’estinzione.
Garantisce nientemeno che il WWF e, dunque, siamo apposto. Estinzione
per altri versi assicurata da quegli stessi bipedi visitatori
nocciolinanti, quando imperversano con cemento, asfalto e seghe
elettriche nelle terre d’origine di quei detenuti. E Nando insiste e
mi vuol far scrivere di quelle fontane che, a Roma non predisposte per
la bevuta canina, invitano al tuffo canicolare per il modesto pedaggio
di 500 euro di multa, o di quegli spazi verdi, preziosamente rari e
perciò ambiti come diamanti, riservati a cento cani pigiati
teneramente l’uno contro l’altro (e guai se s’allargano: perché non si
sentano isolati e prendano freddo c’è subito la preoccupazione del
vigile con in mano santini comunali da 100 euro).
Tutto questo è molto gentile. Ma non è
che da questa gente ci si poteva aspettare molta gentilezza.
Sarà perché vive in una città di questo
tipo che è morto anche Vauro, il noto vignettista del Manifesto.
L’abbiamo osannato in tanti, nelle sue vignette, spesso autenticate
fucilate liberatorie, abbiamo trovato espressa la nostra rabbia, i
nostri entusiasmi, le nostre tristezze, le nostre virtuali scudisciate
a gente come Veltroni o Rutelli, le esecuzioni extragiudiziarie di
tipetti come Sharon, Previti, Bondi, Emma Bonino, o la banda Bush. Ci
aveva placato gli sdegni, o le amarezze causateci da altri “manifestaioli”,
in particolare dall’antislavismo viscerale di un albanese come il suo
collega Astrid Dakli, viandante manifestaiolo per Kosovo e Cecenia
con l’occhio chiuso sulle efferatezze di consanguinei terroristi,
“indipendentisti” consacrati dalla Cia (e con l’altro occhio
giustiziere mirato su “nazionalisti” slavi, che però sembrerebbero
consacrati dalla storia e dal diritto). Ora lo dichiariamo defunto,
che gli stia bene o no, anche se proverà mille volte di riscattarsi:
dietro a ogni vignetta futura sentiremo la puzza della volgarità che
ha riversato nel numero del 9 marzo 2004. Ve lo siete perso? C’erano i
soliti due tipetti. Il primo fa: “Allora chi ha vinto Sanremo?” Il
secondo, terrorizzato, palpandosi le palle e facendo le corna: “Lui!”
(“Lui” è quel disgraziato di Marco Masini che, per una decina d’anni è
stato espulso dal mestiere canterino, dal mercato, dalla serenità,
perché qualche delinquente imbecille aveva messo in giro che portava
sfiga e una muta di stronzi c’aveva creduto). Si difende, Vauro,
sparlando ulteriormente di Masini e giustificando l’abominio della
vignetta nientemeno che con il fatto che Masini pare portato sugli
altari dall’amicizia con qualche nazionalalleato. Ma che c’entra? In
questo caso chi è il “fascista” ignorante, Masini? E pensi piuttosto
alle sue, di amicizie con quel Gino Strada – peraltro ineccepibile
lottatore antiguerra (finchè non invoca l’ONU) - che va a costruire
ospedali dove non ci vuole niente, nel Kurdistan iracheno da anni a
stelle e striscie, oppure, ora, in altre parti d’Iraq, dove di
ospedali e medici ne hanno più del Sud Tirolo e dove, magari,
servirebbero attrezzature, farmaci, lenzuola, plasma, acqua potabile,
tutta roba in effetti di poca resa pubblicitaria e che avrebbero
sottratto l’osso al Vauro pierre del santone? Di Vauro – che pure, con
Altan e Elle Kappa, era il più bravo dei fustigatori vignettisti – mi
sovviene quando mi dichiarò, apripista dei censori di “Liberazione”,
ospite non più gradito (e pagato) del suo giornale satirico “Boxer”,
per eccesso di “jugoslavismo”. O perché ero semplicemente uno “sporco
nazionalista serbo”?
Definizione, quest’ultima, che mi è
rimasta incollata addosso per tutta la guerra alla Jugoslavia e anche
parecchio dopo. Era il tempo in cui si proclamava la salvifica virtù
del “né-né”, né con la Nato, né con Milosevic; in cui Milosevic, il
più democratico e interetnico dei governanti dei Balcani e forse
d’Europa, veniva massacrato come dittatore e i pulitori etnici croati,
bosniaci, albanesi kossovari, beatificati da Adriano Sofri, si
trasformavano in vittime di inventati pulitori etnici serbi. Ora siamo
all’ultima fase della vera pulizia etnica in Kosovo, alla soluzione
finale per quei serbi che, lasciati dietro dai 300.000 espulsi o
ammazzati, come i palestinesi di Gaza s’illudevano di sopravvivere
pensando che i vampiri avevano fatto il pieno di sangue. E pensiamo a
chi ai quei vampiri reggeva lo strascico, con una mano che faceva
né-né e con l’altra che decorava la banda Cia di Otpor (quelli del
golpe di “Belgrado che ride”) con la massima onorificenza no-global.
Siete stati zitti come struzzi per tre anni, Manifesto e Liberazione,
per tutto il tempo in cui la rovina dei popoli dell’ex-Jugoslavia
veniva completata dagli ascari etnici di Nato, Onu, Usa e D’Alema e
l’ultimo simbolo dell’unità degli slavi del Sud, Slobodan Milosevic,
veniva macinato dalla “giustizia” imperialista all’Aja. Non è vero,
Salvatore Cannavò? Non è vero Tommaso De Francesco, con la tua
contropulizia etnica degli
schipetari? Ora che vanno a fuoco gli ultimi serbi e la loro anima si
sbriciola con le immagini secolari dei loro monasteri, balbettate
osceni pietismi e tornate sull’osso che avete contribuito a
rosicchiare, da eccelsi “non violenti”, democratici, dirittoumanisti.
Con la credibilità sotto i tacchi.
Così, avendo sistemato, con Vauro e
Strada, altri due santoni della liturgia politically correct,
vituperato per vituperato, posso anche avanzare verso i tabù dei tabù,
quei totem che, a sfiorarli, finisci peggio degli uranizzati di Salto
di Quirra, Perdasdefogu e Bassora. Ho una teoria per la quale quei
tabù sfondacoglioni hanno qualcosa in comune: il maschilismo sta
all’antisemitismo come certe femministe stanno ai cannoni
etico-politici del sionismo, quelli che ti sparano anatemi e
disintegrazioni morali, a volte anche professionali e sociali, non
appena chiedi perché è terrorista il palestinese che scoppia tra gli
occupanti e non l’israeliano che manda un’orda di tecnocrati in carri
o elicotteri a fare una carneficina di occupati, bimbi, donne e
passanti; oppure se solo osi mettere in dubbio l’ennesima sceneggiata
di dialogo e “accordi di pace” (vedi la presaperilculo di Ginevra,
giustamente respinta da un popolo stufo della corruzione-repressione
del suo gruppazzo dirigente ammanigliato con principi sauditi e
barbefinte USA), visto che finora sono sempre stati trucchi per far
riprendere fiato a Israele e diffondere nella “comunità
internazionale” indulgenza generale per i misfatti degli angustiati
colonizzatori dettati dalla “sicurezza” (sicurezza di un colonialismo
genocida). A nessuno viene più in mente una considerazioncella facile
facile: prima dell’occupazione dei rimasugli di Palestina lasciati
dall’ONU al popolo titolare di quella terra, prima delle stragi
sistematicate di civili palestinesi, chi mai si era fatto esplodere
nelle strade di Haifa o Gerusalemme Ovest? E se Israele la facesse
finita con l’occupazione di quei rimasugli e con il progetto
applaudito dal duo Pannella-Sofri come “l’israelizzazione del Medio
Oriente”?
Quando ti danno del maschilista sei
reietto e finito, come quando ti sparano “antisemita!” Non che le
sciagure del maschilismo e dell’antisemitismo non esistano e non
serpeggino per la storia schizzando veleno come serpenti a sonagli.
Chi lo metterebbe in dubbio. Succedeva anche nei secoli del
matriarcato, non meno sanguinari e gerarchizzati. Nella voracità di
potere i due generi si equivalgono perfettamente, basta vedere certe
arrampicate alla schiacciasassi in Rc, solo che uno dei due prevale.
E’ che a volte questi due vizi vengono adoperati come missili
all’uranio per scopi molto meno nobili di quelli pubblicizzati. E lì
ci vorrebbe il coraggio di smascherarli. “Antisemita”, per fare un
esempio di mille, era il sondaggio UE in cui cittadini europei al di
sopra di ogni sospetto, giustamente preoccupati per le carneficine di
palestinesi e i dichiarati obbiettivi israeliani di sistemare il
proprio “cortile di casa” dal Nilo all’Eufrate, alla maniera con cui
Washington sistema il suo sgolpettando e etnopulendo a piacere in
tutte le Americhe, avanzavano l’idea che Israele minacciasse la pace
più di ogni altro lanzichenecco operante sul globo. Irrimediabilmente
antisemita divenni io stesso allorché al cazzotto di un capitano
israeliano, capogita nel Sinai dopo la guerra dei Sei Giorni, risposi
con una sberla poichè, davanti alla distesa di cadaveri egiziani,
insepolti e in putrefazione, sentenziò: “Lì lasciamo lì, in vista,
perchè l’unico arabo buono è l’arabo morto”. Da “antisemita” mi toccò
l’espulsione da Israele nel giro di 24 ore. Altra espulsione, stavolta
dal Partito della Rifondazione Comunista, non è finora riuscita a
Gennaro Migliore, responsabile esteri e bimbo prodigio di Bertinotti.
E si mangia le mani, Migliore, che pure gentili e non violente bordate
di “antisemita” in pubblico non me l’ha risparmiate, sia perché così
sollecita la, peraltro benemerita, comitiva degli “ebrei contro
l’occupazione” (a dispetto della mia annosa amicizia con l’autentica
opposizione ebraica dentro e fuori Israele), che tarantoleggia quando
mi vede sfilare con la bandiera irachena o augurare buon salute all’Intifada,
sia lo stesso Migliore (quanta ironia in un cognome!) che ha bandito
dal partito l’inverecondo e criminale slogan “Intifada fino alla
vittoria”, che io invece recito tre volte al giorno piegandomi verso
Gerusalemme.
Quanto al maschilismo, bè ragazzi, non
c’è proprio scampo. E’ l’arma totale. Lo era – tenete presente
Gimbattista Vico e i suoi ricorsi! - fin dai tempi dello
spappolamento di Lotta Continua, quando alcune donne di quell’organizzazione,
accanitamente sostenute da Adriano Sofri, futuro confessore del
ministro craxista Martelli e sicofante di ogni guerrafondaio che
volesse far fuori un po’ di umanità, prima aiutarono Lc a togliere il
disturbo anteponendo la contraddizione di genere a ogni altra e poi
convolarono a nozze rigorosamente matriarcali, quale con Craxi, quale
con D’Alema. E’ la scala su cui alcune sorelle di Golda Meir,
Madeleine Albright, Condoleeza Rice, Margherita Boniver, Emma Bonino,
Pat Nixon, Teodora, Giovanna d’Arco o, oggi, la governatrice di
Nassirya, Barbara Contini, si arrampicano verso spazi di indiscussa
ginocrazia, dando del maschilista a chiunque si gratti il capo di
fronte all’asserzione che le donne, “dando la vita”, sono
strutturalmente democratiche e pacifiste e gli uomini no. Democratiche
e non violente come qualche migliaio di generazioni di mamme che si
sono tenute a bagnomaria figlie e figli fino al loro incanutimento,
virtualmente risucchiandoli nell’utero perché non cadessero preda di
nessun altro potere assoluto. o vittima di quell’orrendo mondo di
fuori dove imperversano i maschi. Fate un po’ un’analisi di classe e
troverete che ovunque donne e uomini si battono per la libertà, contro
il colonialismo, contro l’oppressione, a un certo momento saltano
fuori “donne per la pace”, “donne per il dialogo” che, con il discorso
dell’intesa sovracontraddizionale tra mamme e spose, ontologicamente
superiori a chi va combattendo, spuntano la spada della lotta e
offrono spazio e tempo ai dominatori. Sono inesorabilmente signore
della buona borghesia e appaiono puntuali quando il dominatore sta per
finire con le spalle al muro. L’ho visto succedere in Irlanda del
Nord, Palestina, Afghanistan, Jugoslavia, America Latina, Algeria. E’
sempre, pronta, la “società civile”, non violenta e buonsensista, ad
applaudire entusiasta.
Vedete, siamo già in zona di
titolo:”Allora non potevamo essere gentili”. Fausto Bertinotti, in un
memorabile intervento, ha rievocato quella frase riferita da Berthold
Brecht alla sollevazione di popoli che non potevano non rompere,
facendo cocci, il coperchio d’acciaio fuso nei millenni sopra le loro
teste da padroni e padrone, si chiamassero Ivan o Caterina, Elisabetta
o Hindenburg, Francisco Franco o Papessa Giovanna. L’ha evocata per
affermare che ci si sbagliava, che gentili bisognava essere anche
allora e che gentilissimi tocca essere tanto più adesso che i mostri
guerra e terrorismo (ha la fissa della criminale mistificazione
bushiana detta “spirale guerra-terrorismo”: pensa ancora che i due
termini siano antagonisti, anziché gemelli politici e soci d’affari)
mettono a ferro e fuoco il pianeta. Ho avuto qualche dimostrazione
dell’innovazione-trasformazione-cambiamento che ha introdotto la
“gentilezza”. A partire da alcune importanti donne.
A qualcuno sarà filtrata, tra le crepe
del silenzio mediatico, la notizia dei cinque patrioti cubani,
ergastolani a Miami da tre anni per aver comunicato all’FBI che in
quella città esuli dell’isola preparavano nuovi piani terroristici
contro il loro paese, dopo i tanti già attuati con oltre 3000 morti
ammazzati in 40 anni. Pensavano, gli ingenui, che, vantandosi gli USA
di essere i crociati della lotta contro il terrorismo ovunque si
manifesti, di aver adempiuto al proprio dovere. Il fatto che invece a
essere arrestati, processati e condannati fossero loro, mentre i
terroristi venivano invitati al tè da George Tennet, capo della CIA,
gli ha aperto gli occhi su chi, affermando di essere vittima del
terrorismo mondiale, ne è in effetti il padre. Roba che tutto il Terzo
Mondo aveva già capito a partire dagli attentati dell’11 settembre,
senza peraltro riuscire a convincerne Bertinotti e il suo
establishment. In particolare il suo personalissimo quotidiano dove
appena due letterine di lettori, assai più sagaci di tutta la
redazione messa insieme, hanno saputo insinuare qualche lucido dubbio
nel coro universale della Madrid squarciata dal “terrorismo islamico”.
Per la prima volta, all’inizio di marzo, sono venute in Italia due
donne cubane, la moglie di uno dei “cinque” e la loro avvocatessa:
Adriana e Armanda. Li ha presentati un’altra donna, Maria de Los
Angeles, ambasciatrice di Cuba. Tre donne a raccontare, prima a una
conferenza stampa a Montecitorio, poi alla Casa Internazionale della
Donna, quale fossero, non solo la schifosa ingiustizia della
vendutissima magistratura della Florida, ma anche la vita, la
frustrazione, la sofferenza, le privazioni, gli incubi, la
disperazione di mogli, madri, sorelle e di piccoli figli, la
componente statutariamente più vulnerabile e più offesa, espressione
quanto mai diretta ed emblematica di una condizione femminile colpita
dall’ipermaschilismo yankee. Ci aspettavamo quell’atto di gentilezza
di cui Bertinotti parla e che viene affermato come congenito nelle
donne. Ci aspettavamo, all’una o all’altra occasione, magari anche al
presidio successivo davanti all’ambasciata USA, che so, le
parlamentari sinistre Elettra Deiana, Titti De Simone, Luisa
Morgantini, la segretaria nazionale Patrizia Sentinelli, l’on.
Graziella Mascia, la notabile Imma Barbarossa, la dirigente Flavia
d’Angeli, la portavoce Ritanna Armeni, la “biro del capo” Rina
Gagliardi, tutta la gentile gerarchia rifondarola così assidua nella
difesa delle donne afgane, iraniane, delle “quote” femminili apriori e
a prescindere. Niente. Abbiamo visto solo Maura Cossutta del PdCI,
evidentemente unica a non essersi liberata dal virus maschilista che
infetta quell’isola. Un’isola da evitare rigorosamente, visto che si
ostina a restare rivoluzionaria, ma anche armata e, ahinoi, assai poco
gentile nel caso qualcuno la volesse ricondurre agli ordini di un
pupazzo statunitense coi canini fuorimisura. Evidentemente la
“gentilezza innovata” post-Brecht imponeva alle compagne di starne
lontane.
Oggi dobbiamo essere gentili. Come
Elettra Deiana, onorevole, che torna da un Iraq, che lei ha compreso
fin nel profondo in soli tre giorni e spara stereotipi tanto
presuntuosi quanto fasulli, ma si sottrae al confronto con chi ha
percorso e studiato quel paese per un quarto di secolo e, rotolando
via dal cinema romano Tibur, grida a pieni polmoni nella sala
affollata: “Vai a fare in culo, Grimaldi!” O come Chicca Perugia,
segretaria federale, la quale, quando con me e mia moglie Sandra in
Palestina, per dieci giorni nello stesso albergo, stessa mensa, stesso
autobus, stesso gas CS sparato dagli israeliani, stesso parapiglia per
sfondare le barriere dei terminator con la stella a sei punte, riesce
graniticamente e gentilmente a far finta di non conoscere questi due
compagni della sua stessa federazione, appestati divergenti dal
gentile capo, terroristi che continuano a gridare “W l’Intifada”! O
come il demoproletario Russo Spena, che evita accuratamente il
contatto con i due lebbrosi, ma viaggia per otto giorni lingua in
bocca con la gentile gerarchia dei Disobbedienti (ante-divorzio con
bastonate a Roma, Venezia e altrove) O, ancora come Marco Consolo,
ambasciatore viaggiante di Rc in America Latina, che si presenta a un
dibattito di partito sul Venezuela cui pure io, appena tornatone, sono
invitato, stringe la mano a tutti, ma fa un largo giro intorno al
sottoscritto e poi intima, da compagno gentile, “se c’è Grimaldi, non
vengo io”. O come l’illustre accademico della Sapienza e intellettuale
Rc che appiccica gentili tatzebao ad anatema contro Grimaldi perché
costui avrebbe insultato il caro compagno Luca Casarini, collaboratore
di Liberazione, nientemeno, quando si è chiesto perché mai tale
compagno dovesse stringere amicizia con la soldataglia USA in Serbia
chiamata Otpor. O quell’altro capetto del partito, con in mano la leva
di potere del controllo sugli annunci delle iniziative di Rc in giro
per l’Italia, da pubblicare doverosamente sul giornale, che, con la
massima gentilezza, cestina gli annunci che informano della presenza
del deviante Grimaldi in duecento dibattiti all’anno tra Bolzano e
Palermo. O, solo per farla finita, come Gennaro Migliore, ministro
degli esteri di Rc, che in pubbliche assemblee addita Grimaldi al
Mossad come “antisemita”, felicemente cacciato da “Liberazione” per
un’improvvida difesa dello stato canaglia Cuba e, auspicabilmente,
presto definitivamente fuori dalle palle. Nulla di sorprendente, in
fondo: questo è un partito in cui, se metti in discussione qualche
virgola dell’assunto politico della genealogia di vertice, come minimo
rischi di gentilmente non essere più salutato. Diventi una rotonda da
circumnavigare e schizzar via. Stalin a fare l’uomo e la donna nuovi
non c’è riuscito, si sa. Ci stanno provando questi, all’insegna del
motto: Gentilesse oblige.
Sono i risultati della nuova palingenesi gentile e non violenta,
quella che si sottrae alla terribile consequenzialità tra mezzi e
fini, per la quale se una volta hai usato la forza contro il potere,
strutturalmente assassino, poi, inesorabilmente, ti saranno cresciute
selve tropicali di peli sullo stomaco e adopererai organicamente
violenze assassine per sempre, perché infettato da quel retrovirus
nucleare che è il potere, da chiunque maneggiato. Chissà come vedono,
i capi della nuova Rc innovata, papista ed europea, le scudisciate con
cui il mitico Gesù scacciò i mercanti dal tempio. Chissà se si
chiedono come avrà fatto il Che, dopo aver sparato per anni addosso
alla muta di pitbull addestrati e pervertiti negli allevamenti USA
(questa il bassotto Nando non me la perdona, ma lo dico per comodità
di analogia), a marciare gentilmente con tutto un popolo verso la
gentilezza del socialismo? Basta, non facciamo i provocatori! Non
ripete forse Bertinotti, quando gli chiedono cosa ne facciamo dei
partigiani, che la gentilezza vale
hic et nunc? Non è
chiaro? Con i partigiani basta non “angelicarli”. Quanto a iracheni e
palestinesi che si facciano gentilmente accoppare e non creino
problemi filosofici. E soprattutto non ci infastidiscono con le nostre
radici, quando eravamo solidali, a volte combattenti a fianco, dei
popoli oppressi. Per librarsi verso il futuro le radici vanno
tagliate, lo sa il liceale dopo la prima pagina di botanica, specie
quando ci si accinge a connubi, un tempo considerati contro natura
(ahi, i mezzi che pregiudicano i fini!), con i partner-rivali di
Berlusconi, Amato, Fassino, Rutelli, D’Alema, solo temporaneamente
disarcionati dal destriero dell’apocalisse turbocapitalista e
guerriera, quella che lavoratori e popoli li fa finalmente volare come
stracci. C’è qualcuno che sospetta che se tagliamo le radici del
Rinascimento e della Riforma, dell’illuminismo e della rivoluzione
francese, finiamo nel pallone, o nella cattedrale di Padre Pio.
Qualcun’ altro opina che se Roma è durata mille e più anni è perché
ogni mattina s’inchinava a Romolo e Remo, a Giove e a Vesta, a Socrate
e a Epicuro. Certi “comunisti” invece hanno incominciato a parlare di
“esaurimento della forza propulsiva” del più grande evento
dall’invenzione della ruota in Mesopotamia, fin da mezzo secoletto
dopo tale evento e hanno completato il taglio delle radici mandando a
ramengo quegli apostoli che, nel suo, la Chiesa si tiene da due
millenni e ancora ne prospera. “Siamo nani sulle spalle di giganti” ha
detto Bertinotti. E se l’è subito dimenticato. Cosa non si dimentica
per uno strapuntino di potere, ambito però nella coerenza del rifiuto
rigoroso del mostro Potere. Aporia? E allora? Siamo un partito che si
è votato alla democrazia partecipata, alla società orizzontale. Dunque
decide uno e gli altri ripetono. Qualcuno sospira, ma poi ripete.
Sono già lunghissimo. Ma mi è venuto
l’uzzolo di chiudere con il botto. Quello di Madrid. O è quello di
Casablanca? O quello di Riad, o di Bali, o di Istanbul, o dell’11
settembre, di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, dell’Italicus,
di Bologna, di Sarajevo…? Che c’entra? C’entra, c’entra! C’entra da
morire.
E’ che le Parche lassù un tempo
tagliavano il filo della vita, oggi l’innovazione gli ha fatto capire
che ad agevolare dipartite di massa basta tagliare il filo della
memoria. L’hanno capito perfettamente gli “innovatori”, coloro che
nella trantica ripetizione della parola “innovazione” – sempre
alternata a “non violenza” - ritrovano ritmo e bacini elettorali e
trasmettono in giro dolci narcosi. Così nessuna Liberazione, o
Manifesto, o Rossanda, o il fenomeno bifronte Curzi-Gagliardi
(meraviglioso sincretismo di “compagno scomodo” con compagna comoda)
ha avuto dubbi nel ripetere la vulgata: “terrorismo islamico”, “Al
Qaida” (colleghi, si scrive così e non Al Qaeda, o, peggio, al Queda;
la fonesi araba è Al Qa’ida, sono gli inglesi che per dire “i”
scrivono “e” e qui tutti a pecorone). Informazione alternativa?
Informazione antagonista? Controinformazione? Vera informazione? Ubbìe
da dietrologi ammalati di complottismo. Se, di fronte a un pianeta sul
quale da secoli, da millenni (compresi quelli del matriarcato
pre-ellenico o recente!), il potere dei pochi, lo Stato dei ricchi,
stermina poveracci e faticatori (come quelli nelle Torri Gemelle
nell’ora prima dell’arrivo del ceto manageriale, come quelli nei treni
dei pendolari e nei quartieri dormitorio madrileni), qualcuno mette in
salvo quel filo della memoria, allora Madrid, come l’11 settembre e
come Piazza Fontana, è strage di Stato. E non dirlo, nemmeno
ipotizzarlo (questa facile e inesorabile verità l’hanno documentata i
migliori intelletti statunitensi, ma da noi tutti a cuccia), alla
lunga vuol dire scivolare nel collaborazionismo. Senza “terrorismo
islamico”, senza la manovalanza di quell’Al Qaida che nessuno ricorda
nemmeno che è stata creata dalla Cia in Afghanistan e usata dagli USA
fino a ieri in Bosnia, Kosovo, Cecenia, fino ad oggi in Macedonia,
come diavolo farebbero gli alieni a stelle e striscie e i loro
gremlins col cappello in bocca a ramazzare quanto di utile rimane sul
globo, sfoltire l’umanità di troppo, ricondurre a docile e impaurita
sottomissione propri cittadini fuori dal privilegio e stringere il
cappio intorno a potenziali concorrenti? Come farebbero a ricondurre
contraddizioni ed alterchi alla terapeutica “solidarietà nazionale” e
dunque al riflusso della condizione umana, senza un po’ di bombe, a
fine annni ’70 come a inizio anni 2000? Basta la domanda. Al resto
bastano le bugie smascherate su tutte le stragi di Stato, fino a
quella dell’11 settembre.
Chi a sinistra non urla queste cose, o
dorme nell’”innovazione”, o nell’”innovazione” salotteggia. Senza
accorgersi che può innovare quanto vuole, ma nella grandinata di
menzogne da Madrid e su Madrid, gli è arrivato in capo una verità dura
come un sasso: Izquierda Unida dimezzata. Aveva avvallato la patacca
dell’Eta per la carneficina di Madrid. Attenti, cari compagni, ad
avvallare. Vedete cosa succede? Avete visto cos’è successo al
miserello PCF per aver avvallato bombe su Jugoslavia e quant’altro?
Partners svaporati prima ancora di fondarsi nel Congresso
(partecipativo? Orizzontale?) della “Sinistra Europea” alle Idi di
maggio.
C’è qualcuno che ritiene queste
asserzioni, queste intemperanze, queste critiche incompatibili con lo
stare nel Partito della Rifondazione Comunista. Come se questo autobus
fosse di proprietà del conducente. L’ho sentito alternativamente
borbottare e gridare diverse volte negli ultimi tempi. C’è chi,
percepito l’umore di Cesare, vuol incatenare Giugurta, legarlo al
carro dell’imperatore e trascinarlo nella polvere del Foro fino a un
pollice-verso nell’arena. C’è anche chi, come sempre nella storia
delle prevaricazioni, si volta dall’altra parte e leva la tunica sugli
occhi per non vedere, o reagire, dicendo di aspettare tempi migliori.
Noi non ci rivolgeremo ai pretori per avere giustizia e verità. Anche
se potremmo: sono tanti i punti dello Statuto che in alto sono stati
violati. Ma noi continueremo a fare nodi su nodi per ricongiungere i
fili spezzettati della memoria. Quei fili invisibili che si annodano
intorno al collo di chi, ancora una volta, la bandiera l’ha gettata
nel fosso, credendo di camminare più spedito e senza che lo menassero.
E invece quel filo lo appesantirà. Si dovrà tirar dietro miliardi di
assoggettati, derubati, caduti, di vittime, di combattenti poco
gentili ma da sempre i più gentili, di vincitori. Di oggi, di ieri, di
domani. Gli peserà sulle spalle la volontà della loro speranza. E a
quella sua “innovazione”, tirataci addosso con la gentilezza di un
maglio, ma nient’altro che scaduto reperto di robivecchi, non ci
arriverà. Neanche come ruota di scorta. Glielo assicura la
storia.
P.S. Lettera al direttore di Liberazione
del 17/3/04
“Gentile direttore, il terrorismo da
decenni a questa parte, ma forse da sempre, ha avuto lo scopo di
colpire la gente qualunque per creare un’opinione attraverso il
terrore. L’opinione è quella che chi colpisce nel mucchio ha torto e
chi rappresenta l’ordine costituito ha ragione, perché può intervenire
a reprimere il disordine. In altri termini, il terrorismo è dalla
parte del potere. Chi lo perpetra può anche essere in parte in buona
fede, ma non credo, tuttavia chi lo finanzia (e dirige) va cercato tra
chi se ne giova, cioè tra i poteri forti.” Angela Donatella Rega.
Lettera al direttore di Liberazione del
13/3/05
“Cara Liberazione, il terrorismo in
Spagna e in Europa viene in un momento in cui gran parte della
popolazione sembra riconoscere i suoi sbagli riguardo
all’avvicinamento alla destra. A quanto pare la destra americana è
intenzionata a spingere per un rovesciamento dei rapporti di forza
anche in Europa e sta organizzando le destre europee per conquistare
una “nuova Europa”…ma ora stanno accelerando e lo fanno sfacciatamente
con tutti i mezzi a loro disposizione. I governi americani sono i più
astuti prestigiatori del vittimismo. Nella guerra contro la Spagna
affondarono la propria nave (Il Maine) a Cuba accusando la Spagna. La
“Lusitania” (nave ospedale USA) portava siluri agli inglesi durante la
grande guerra (e fu affondata, ma non dai tedeschi). Prima della loro
entrata nella seconda guerra gli americani avevano affondato un
sottomarino giapponese già prima di Pearl Harbour (e poi lasciarono
che i giapponesi affondassero tutta la propria flotta per poter
scatenare la guerra) ed erano in stato di allerta. Nel Golfo di
Tonkino bombardarono la propria nave da guerra per poter poi
bombardare il Vietnam (questo è nel Congressional Record). In Italia
assistemmo ad uno stato di tensione e terrorismo nei primi anni ’70,
scatenato dalla Cia. Come mai questi atti di terrorismo vengono sempre
in momenti quando ci vogliono togliere diritti democratici e
perseguire le loro guerre imperiali?”
Sante Camo.
Commento: Non c’è peggior cieco di chi
non vuol vedere
|