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BERTINOT-IN-MY-NAME!
Lettera aperta ai compagni de
“L’Ernesto”
02/06/2004
Per
chi non fosse dell’area dell’Ernesto, o non ne avesse sentito
parlare:“L’Ernesto”, che prende
il nome da una rivista politica bimestrale, è una componente del PRC che
fa riferimento a Marx, Lenin e Gramsci, valuta in modo meno liquidatorio
di Bertinotti l’esperienza del movimento operaio nel corso dei decenni
passati, ribadisce la necessità della rivoluzione anticapitalista ed è
collocata oggettivamente alla sinistra della maggioranza, come del resto
le altre opposizioni interne del partito, con l’eccezione della
componente trotzkista “Bandiera Rossa-Erre”, la cui ambiguità la
mantiene in equilibrio trai contestazioni formali al segretario e
disinvolti entrismi ai poteri interni ed esterni. Pur tuttora presente
nella segreteria nazionale, L’Ernesto all’ultimo congresso ha presentato
emendamenti fortemente alternativi alle tesi della maggioranza
bertinottiana su temi come la forma partito, l’imperialismo, la storia
del movimento operaio, la centralità della contraddizione
capitale-lavoro, raccogliendo quasi il 30% dei consensi. Ha espresso
riserve, soprattutto di metodo, sulla fondazione del Partito della
Sinistra Europea, ma condivide con la maggioranza bertinottiana sia la
piena disponibilità a entrare nelle amministrazioni di centrosinistra,
sia la prospettiva dell’alleanza di governo con l’Ulivo di Amato, D’Alema,
Fassino, Rutelli, contrastata dalle altre opposizioni interne, come
anche dal nuovo trasversale Movimento degli Autoconvocati del PRC (M.A.R.C.).
Chi scrive ha militato per oltre cinque anni nell’”area dell’Ernesto”,
diffondendone analisi e valutazioni in occasione di centinaia di
dibattiti pubblici e ha pubblicato articoli e reportage in quasi ogni
numero dell’omonima rivista, dando un certo contributo alla crescita
della componente)
Cari
compagni,
è da un po’ che non ci sentiamo più,
meglio, che non vi sento più. Più o meno da quando ho deciso di
partecipare al movimento degli autoconvocati e al loro programma di
contestazione aperta delle “svolte” bertinottiane in direzione del
partito “liberaldemocratico, nonviolento, pacifista, femminista,
ecologista, democratico europeo”, dell’alleanza addirittura di governo –
da voi condivisa nello sconcerto di tanta parte della nostra base – con
un Ulivo dagli stessi programmi imperialisti, guerrafondai, antipopolari
e liberisti della sua scorsa esperienza governativa, della dichiarazione
di “morte non solo fisica” di Marx, Lenin, Engels, Gramsci, del
revisionismo di destra su foibe e Resistenza, dell’abbandono della forma
partito e del ruolo di forza politica in lotta per l’egemonia e
impegnata nella lotta di classe. Svolte che annunciano con assoluta
perentorietà una nuova “Bolognina”, solo appena più graduale e
astutamente mistificata dall’uso di termini come “rivoluzione” o
“comunismo”, peraltro in chiave del tutto impropria per quanto concerne
il consolidato significato scientifico di queste parole e la loro
identità nella storia e nell’immaginario collettivo di miliardi di
esseri umani.
Mi viene in mente un compagno che molto ha
saputo fare in uno dei momenti centrali della lotta di classe, fondando
e dirigendo un grande movimento contro la manomissione capitalista della
pubblica istruzione. Parlo di Antonio Ceccotti. Il compagno Ceccotti e
suo figlio, impegnato quanto lui e estramente preparato, rappresentavano
una presenza preziosa nella nostra area, di stimolo e di critica. Troppa
critica? Già, come me, Antonio era un vero rompicoglioni. La nostra
linea in definitiva compromissoria e mediatrice al ribasso con, tra
l’altro, la sciagurata amministrazione romana dei Rutelli e della nostra
Sentinelli (30.000 voti successivamente persi dal PRC!) aveva in
Ceccotti uno dei critici più puntuali e documentati. A un certo punto i
due, padre e figlio, sono stati di colpo isolati, nessuno gli ha detto
più niente, nessuna convocazione più alle nostre riunioni, eliminazione
dal Comitato Politico federale, dove Antonio figurava come una delle
presenza più lucide e combattive, neanche una telefonata d’addio.
Un’indecenza. Inconcepibile tra compagni. E già, aveva le sue fisse,
Ceccotti, la Cina, l’intransigenza, il furore anti-Disobbedienti….Meglio
mollarlo. Così, senza un momento di confronto, di discussione politica.
Brutta storia, compagni. E nemmeno l’unica. State facendo così’ anche
con me, e, financo, con la mia compagna, evidentemente non considerata
nella sua autonoma dignità, ma (femministicamente?) come un semplice
corollario
del reprobo. Ne siete proprio sicuri?
C’è qualcosa che non va, compagni. C’è
qualcosa che sa di stantio, di rigido, forse di sclerotizzato. A
compagni e compagne “di punta” dell’area si sono rizzati i capelli,
sento, a udire che erano nati gli “autoconvocati”, sopra e attraverso le
varie correnti e componenti del partito, innescati dalla percezione di
un segretario, numericamente e politicamente debole come non mai nel
partito e perciò, come Bush e Berlusconi, sollecitato all’accelerazione,
ai colpi di mano, ai fatti compiuti, alla personalizzazione estrema,
alla liquidazione brutale di rivali e avversari. Quando poi questi
compagni hanno saputo del mio intervento alla conferenza stampa in cui
il segretario di Rifondazione Comunista, attorniato da candidati
“comunisti” come Agnoletto, Morgantini, La Valle, presentava il suo
congresso di fondazione della Sinistra Europea (SE, una camomilla
all’arsenico), con il silenzioso spiegamento dello striscione
“Bertinot-in-my-name” (felicissima invenzione di un compagno
autoconvocato, non vi pare?), hanno reagito come i sacerdoti del
Sinedrio di fronte alle impertinenze del buon Gesù “figlio di dio” e
“re”: Anatema! Anatema! Eppure i compagni contestatori non avevano che
applicato un articolo dello Statuto che è presente al volitivo
Bertinotti quanto la teoria dei quanti al carismatico pedalatore Cunego.
Qui, cari compagni, proprio non ci
ritroviamo. Inutile insistere ad addobbare un leader di liturgiche
sacralità, in omaggio a un’idea di partito che potrà essere consolatoria
per chi in un grande partito comunista ha speso vita, energie, speranze
e lotte e non si rassegna all’idea che di quel partito sia stata fatta
carne di porco, non solo da Occhetto e compari transfughi, abiuranti e
dunque rinnegati, ma dallo stesso capo del poco di quel grande partito
che molti bravi comunisti hanno tentato di salvare. Mi ricordo di
Claudio Grassi (membro della segreteria nazionale del PRC e leader
dell’area dell’Ernesto) che si impennava sdegnato perché una compagna
bolognese, tra l’altro una delle più brave che abbia incontrato in un
partito in cui militanti di base e quadri intermedi hanno un valore
umano e culturale e danno un contributo specifico alla sopravvivenza del
partito infinitamente maggiori di un gruppo dirigente desertificato dal
capo unico e assoluto, perché, dicevo, una compagna bolognese aveva
definito “anticomunista” il segretario nazionale. Questo un anno fa,
quando Bertinotti aveva compiuto la scelta delle nozze governative con
il bombardiere della Jugoslavia D’Alema, massoni vari, demolitori dei
diritti operai e dello stato sociale come Amato e Treu, massacratori
dell’Afghanistan come Rutelli, Fassino e Mastella, tutti assatanati di
ritorni ai fasti liberisti, privatizzatori e filo-“altra America” del
fantino democratico sullo stesso e unico cavallo dell’apocalisse
capital-imperialista USA. Quando Bertinotti stava precipitandosi a
togliersi dalle secche di un partitino che i numeri delle direzioni e
dei comitati politici gli stavano facendo fuggire di mano. Quando
Prodi, futuro capoclasse (quello degli OGM sversati sull’Europa, quello
dei dati personali dei passeggeri trasvolatori ceduti ai servizi segreti
del terrorismo statunitense) dell’annunciato
nientepopodimeno-che-ministro-del- lavoro, o ministro degli
esteri-et-subcomandante Fausto, stava già annunciando per il 2006 il suo
reazionario programma di devastazione culturale, militarista,
antisociale e antisindacale. Quando Bertinotti aveva già lanciato un
partito disperatamente volenteroso e naif a rompersi le corna contro il
muro dell’art.18 per poi chiudere nella morsa letale D’Alema-Bertinotti,
la “speranza” Cofferati, per quanto fasulla, ma ricca di valido seguito
di massa, nonchè tutti i soggetti con i quali si immaginava si sarebbe
dovuto fare un fronte “alternativo” ai fantini Amato o Fassino:
Correntone, PdCI, Verdi, Girotondi, Fiom, quelli che al referendum
pro-18 avevano portato 10 milioni di voti. Milioni subito traditi e
disintegrati nell’abbraccio – o quanto ben musicato da Rina Gagliardi,
nome d’arte di Bertinotti sul giornale “Liberazione” – con i gemelli
–vai avanti tu, che a me viene da ridere – D’Alema-Fassino.
Mi ricordo, nei tanti momenti fattivi,
felici e speranzosi vissuti con voi dell’Area, delle sue feste, delle
sue assemblee dai troppi e un po’ malsani “sono d’accordo con la
relazione di Claudio”, ma anche con qualche eterodossa creatività, del
lavoro politico e d’informazione di cui ero investito. Mi ricordo con
minore buonumore i vostri visi inondati di soddisfatti sorrisi quando
comunicavate al colto e all’inclita che sì, la maggioranza, il
segretario, erano passati dalle scomuniche e dalle sprangate sui denti
agli “ernestini” (malamente da qualcuno chiamati “grassiani”), a una
nuova disponibilità di governare insieme il partito. La vostra
tranquilla certezza che, Sandro Curzi, presunto direttore del giornale,
presunto amico occhieggiante verso di noi, ma in effetti nient’altro che
un nome de plume di
Bertinotti, ci ammiccava sornione e ci avrebbe aperto colonne e pagine
del giornale. Mi pare strano che delle volpi della politica di partito
come voi, eredi della terribile tradizione burocratica e infinitamente
mediatrice del togliattismo (un punto che per molti dell’area, specie
dei trascuratissimi e preziosissimi giovani, rappresenta un nodo
gordiano da tagliare con netto e felice colpo di spada), abbiano potuto
fidarsi di questi coriandoli di carnevale. O era solo per tenere buoni
noi allorché in altre sedi superiori e stanze segrete si era addivenuti
a un qualche accordo (un sottosegretario? Una candidatura? Una
Federazione?). Penso, spero, di no. Comunque il tempo rivelerà.
Intanto, non erano passate 24 ore che le sprangate ripartivano, che un
noto compagno veniva cacciato dal giornale – con minimalista risposta
affidata ai giovani comunisti, strutturalmente intemperanti -, che una
federazione renitente e dunque perbene veniva commissariata, che nostri
dirigenti periferici venivano golpizzati, che la lista dei candidati
elettorali veniva spalmata di nullità obbedienti (in spregio
all’esaltato amore per i “Disobbedienti”) e che l’amanuense del capo, il
noto populista della “ggente”, continuava a riservare all’oltre 45%
degli iscritti al partito, ai lettori e alle forze d’opposizione interna
che li rapresentavano il solito 2-3% dello spazio: un commento di Grassi
là, un ricordo di Bucci qua, una nota di Pegolo su, un intervento di
Casati giù, un come sempre indimenticabile ed impeccabile Burgio di
sopra, un documento di Ferrando di sotto, il tutto nel corso di un
trimestre di soverchianti effusioni bertinottiste.
Ricordo anche la riprovazione dei compagni
quando mi presentai al censore vicario Curzi, alla festa di Liberazione,
con bavaglio sulla bocca e bandiera cubana in mano (ai novellini
rammento che fui cacciato da Liberazione, dopo cinque anni di
collaborazione, per aver scritto cose vere e giuste su Cuba, provate
incontrovertibilmente tali poco dopo, ma in dissonanza con gli omaggi
bertinottiani alle diffamazioni propagandistiche dei giustizieri della
“sanguinaria dittatura castrista che reprime il dissenso democratico”) e
mi beccai dal “resistente del 1944” l’appellativo di “pannelliano” e
“provocatore”. Altro anatema per aver violato le liturgie di un partito
solo nominalmente comunista e che nella sua parte autentica veniva
trascinato alla conversione in “partito femminista, liberaldemocratico,
pacifista, ecologista” e buono per tutti gli usi ai termini normativi e
finanziari dell’Unione Europea. Mi si disse che, antagonizzando il Curzi,
aveva chiuso l’ultimo spiraglio. Macchè, Claudio, siete sempre voi che
vedete spiragli là dove vengono fatte calare lame di ghigliottine
allestite dal supremo. Cosa vuoi che faccia un giannizzero di rincalzo
come Curzi, quando il suo sovrano gli ha dato l’ordine di decapitare! Le
diffamazioni e falsità poi su di me e sul mio lavoro poi propalate dai
fratelli de Rege alla guida del giornale e dallo stesso Bertinotti su
Liberazione e altri media, restavano senza replica, né mia, impedita, né
vostra, tralasciata, e senza difesa di verità e correttezza.
Credo, cari compagni, che, anche ignorando
sistematicamente il contributo che vi viene da una componente giovanile
che io ho sperimentato come la più intelligente, generosa e scevra di
incrostazioni, non solo della nostra area, non solo del nostro partito,
vi siate incartati in una sfera chiusa di passatismo che vi fa a volte
prendere lucciole per lanterne. Penso al vostro accomodarvi, per quanto
brontolante, alle ininterrotte soperchierie di un segretario che fa il
Cesare e ha per motivazione fondamentale l’istinto di sopravvivenza a
tutti i costi per se stesso e per un giro di necessariamente mediocri
cortigiani-pretoriani (tra i quali primeggiano donne in carriera dotate
di più machismo di Rambo: indimenticabile per me e per un centinaio di
spettatori attoniti il “vaffanculo, Grimaldi” urlatomi in un cinema
romano dall’onorevole Elettra Deiana, solo per aver chiesto la parola
dopo un suo delirante excursus sull’universo Iraq succhiato a tre giorni
scarsi di permanenza in quel paese; ricordo, tra le tante manifestazioni
di questi Berretti Verdi al femminile, le gentili parole con cui Imma
Barbarossa, altro caporale del Forum delle Donne, esprimeva tutta la sua
repulsione per L’Ernesto e i suoi seguaci, con particolare attenzione al
“militarismo, nazionalismo, maschilismo” dei miei lavori sulla
Palestina). E al tempo stesso ricordo Bianca, una compagna esperta,
sensibile e molto preparata, tradire tutta la sua vasta e intelligente
umanità, ripetendo, con sicumera e arroganza inconsapevolmente ma
irrimediabilmente imperialista, gli stereotipi propagandistici elaborati
sull’Iraq e su Saddam Hussein dalle centrali della costruzione del
nemico occidentali, nonché, per una volta in sintonia, dal Cominform
brezhneviano che doveva giustificare l’infame tradimento del trattato di
mutua difesa con l’Iraq operato ordinando al partito vassallo iracheno
di schierarsi con un Khomeini armato da Israele e finanziato dal
Congresso USA (vedere gli atti del Congresso per i finanziamenti
all’Iran dal 1981 al 1988, altro che Saddam “uomo degli americani”) .
Quel partito si spaccò, con una parte andata a combattere con gli
iraniani (147 dirigenti furono poi catturati e giustiziati per alto
tradimento, non “massacri di comunisti”, cara Bianca, tutto qui) e
l’altra, nobile, entrata nel Baath o andata in esilio a Damasco, ma
rientrata ora per combattere contro l’occupante. La prima fazione,
invece, quella khomeinista-brezhneviana, oggi scandalosamente gemellata
al PRC, fa parte del governo fantoccio, è al soldo della Cia da decenni
e sabota la resistenza: complimenti! E se ne vuoi sapere un’altra, cara
Bianca, da fonti che faresti bene a coltivare perché un po’ più
affidabili di quelle da te praticate, non fu l’Iraq di Saddam,
emancipatosi in vent’anni dal sottosviluppo coloniale più nero a paese
più avanzato per diritti sociali e sviluppo di tutto il Terzo Mondo,
accanto a Cuba, a gassare i kurdi: basta documentarsi con i rapporti dei
servizi segreti di tutto il mondo, Cia in testa: furono gli iraniani che
per colpa di un vento maligno colpirono con i gas quei kurdi. Un po’ più
d’attenzione, prego, nei confronti della più agguerrita scienza del
nostro tempo: quella della disinformazione. O vogliamo finire come
Bertinotti e il suo alter ego da escursione col cognome paradossale,
Gennaro Migliore, che, dall’accettazione dell’astuto paradigma dei
terroristi di Washington (quelli che da 150 anni tirano le fila di tutto
il terrorismo), la “spirale guerra-terrorismo”, sono arrivati, ai
poteri forti e al Vaticano piacendo, alla totale subalternità verso l’
epocale inganno dell’imperialismo, dalla Jugoslavia del “dittatore”
Milosevic e della “pulizia etnica”, alla Palestina dei “terrorismi
equivalenti”, all’Iraq della resistenza armata di popolo, diffamata e
stravolta in “caos” e, ancora, in terrorismo, alla Cecenia degli
“indipendentisti”, alla Tien An Men dei “dissidenti”, al Tibet
“oppresso”, al Vietnam “antidemocratico”. Un articolo sul quale Vietnam
dall’epigrafista di Bertinotti, Gagliardi, mi fu respinto “perché il
Vietnam ha calato le braghe, ha tradito, s’è venduto” E qui c’è proprio
da osservare: da che pulpito!
Troppe, cari compagni dell’Ernesto, ne
abbiamo sentite, troppe ne abbiamo viste, troppe ce ne hanno fatte. Mi
viene in mente il Togliatti dell’antistorica e antileninista svolta di
Salerno, quello dell’amnistia ai fascisti e, dunque, della loro
cooptazione in uno Stato che la stragrande maggioranza dei partigiani,
partito armato delle masse, avrebbe voluto e potuto diverso (basta
nascondersi dietro Yalta per il proprio quieto vivere), quello che nei
“soviet” della Fiat a quasi totale dominio comunista volle inserire
artificialmente, a fini di “pluralismo”, elementi monarchici, liberali,
moderati… Quello che smorzò ogni possibilità di un’evoluzione socialista
a favore di quella democristo-borghese, in fin dei conti
massonico-mafiosa, burocratizzando un partito che poi, fisiologicamente,
avrebbe prodotto i Berlinguer dell’ombrello Nato e del compromesso con
il capitalismo clerical-atlantico, ma, più ancora, i mutanti D’Alema,
Fassino, Veltroni, Napolitano, lo sballottato e confuso Ingrao
e…vogliamo andare avanti? Quello, insomma, che ha dato la decisiva mano
di calce per la costruzione di uno Stato borghese pressoché
irreversibile, rinviando la rivoluzione ai tempi dello sbarco su Plutone.
Intanto, però, prima arriverà il day after e, mangiandoci le mani,
discetteremo sulle occasioni e sul coraggio persi per salvare non solo
la rivoluzione socialista, ma l’umanità tutta. Sono cose per voi è
blasfeme, iconoclaste, lo so. Credo, invece, che siano le certezze
d’antan a fregarci, a farci invecchiare, a ucciderci. Ma come, non
potete sopportare un compagno che mette in discussione il “Migliore” di
fatto, e collaborate alla direzione nazionale e, presto, al governo del
Migliore, sconsolatamente solo di nome, e del suo capo – lo posso dire?
– energicamente e inequivocabilmente anticomunista???
Ricordo il nostro entusiasmo, cari
compagni, quando, al congresso, il compagno Grassi fece un intervento di
dura e orgogliosa contestazione della già allora evidente perversione
bertinottiana rispetto alle volontà e ai contenuti della rifondazione
antiliquidazionista. Del resto lo stesso impeccabile intervento sulla
situazione generale l’ha fatto nell’ultimo numero dell’Ernesto. Salvo la
ricorrente, pigra, imperdonabile a quei livelli, sciocchezza dello
stereotipo imperialista su “Saddam armato fino ai denti perché
riconsegnasse agli americani l’Iran caduto nelle mani degli ayatollah”,
la più perfida delle falsificazioni imperialiste su chi e per cosa
volesse quella guerra: fu il ricavato delle vendite di armi israeliane
all’Iran, unite ai rispettivi istruttori, che finanziò i macelli dei
contras in Nicaragua, né l’Iraq ricevette mai una sola rivoltella dagli
USA, come s’è visto nell’ultima guerra, mentre i sionisti bombardarono
la centrale nucleare irachena nel 1981: era quello il vero nemico, laico
e socialista, del sionismo-imperialismo, caro Claudio. A parte questa
caduta, per la verità non di poco conto, chi potrebbe mettere in dubbio
la puntualità di quella critica al vertice? Ma se le cose stanno così, e
stanno davvero malissimo, come si fa a star dentro a quel vertice? Che
poi, alla resa dei conti, hai un bell’offrire meravigliosi frutti
quando già ti sei impiccato all’albero che produce solo mele marce.
Quell’albero, non c’è niente da fare né da arzigogolare, è la
partecipazione di un partitino moribondo, passivizzato, cesarizzato,
demotivato, disarticolato nelle sue strutture di territorio e di lotta,
privato di orizzonti antagonistici veri e di una sua identità
teorico-politica forte, in rappresentanza di un suo blocco sociale, alla
consociazione governativa col nemico di classe, che ti masticherà, ti
metabolizzerà, ti espellerà. I rapporti di forza sono quelli, hai voglia
a fantasticare su contenuti e paletti.
E Bertinotti, l’Occhetto Soft, lo sa.
Tanto lui ormai viaggia sul lussuoso trans-Europe-Omnibus. Nel quale non
ci sono più né falci, né martelli, né panni rossi, né impertinenze, ma
solo soffici nuvolette, al meglio rosa, sui cui viaggiare comodi comodi,
insieme a una dozzina di autocrati-burocrati al crepuscolo della propria
valenza politica e sociale. Consolerà gli ernestini un
sottosegretariato, un assessorato, un funzionariato? Come la mettiamo,
sotto quei chiari di luna, con la nostra altalena tra
tatticcismi-opportunismi e promesse di rivoluzione? Come Togliatti e
Berlinguer? Siamo fuori tempo massimo. A meno che ci siamo rassegnati
all’arcigna difesa dello Stato borghese (ma democratico, ovvio!) che mi
esibisce un’anziana compagna di Roma quando si indigna e s’immusonisce
(spesso facciamo questo, anziché andare al confronto politico: è la
sindrome della “lesa maestà”, classica anche nei bertinottiani. Pensavo
che ne fossimo scevri, invece…) perché, citando la canzone su un
compagno ammazzato dalla polizia, do a quest’ultima, ohibò, dello
“sbirri”.
Se la nostra storia comune fosse finita,
voglio ricordare qualche fiore e alcune spine. La nostra impennata
dell’ultimo congresso, quando a coronamento di una vera proposta
alternativa, racchiusa in emendamenti davvero esplosivi, chiudemmo un
evento, la cui coreografia aveva perso la parola “comunista” dopo
Rifondazione, con un blitz dei soliti nostri giovani che appesero sotto
il naso del segretario cesarizzato un lenzuolo con “comunista,
comunista, comunista”. E ci facemmo pure le magliette. Bertinotti, ne
sono certo, me l’ha giurata da allora. Quel giorno arrivammo quasi al
30%. Sarebbe bastata un’intesa tecnico-tattica con i ferrandiani e gli
altri per mettere alle corde Cesare entro pochi mesi e salvare una
qualche prospettiva comunista per il nostro paese e i nostri figli..
Invece, come dicono molti di noi, rintronati di visceralismo, “con i
trotzkisti mai”, neanche due fermate sullo steso tram. Gli stanno sul
cazzo più di Cossiga. Quella forza ce la siamo giocata con successivi
acconciamenti-arretramenti. Oggi, ve lo dice uno che la base la gira
continuamente, alla faccia di tutte le scomuniche, quella forza si è
dissipata. Oggi non ci distinguono mica tanto più e leggere una buona
rivista non ripara la frustrazione. Tremo all’idea che si vada così al
prossimo congresso, zeppo, incongruamente, di cammelli in marcia sulla
pista della Sinistra Europea, tutto fuorché comunisti. Abbiamo una
ricchezza inutilizzata: i giovani dell’Ernesto e periferie vicine. Si
sta disperdendo nella malinconia, nella rabbia, nell’impotenza. A Roma
avevamo la possibilità di cinque nuovi posti nel Comitato Politico
Federale. E’ prevalsa una regola improntata alla più bell’acqua
burocratica, ovviamente torbida: dentro solo i segretari di circolo.
Affidabili, senza troppi grilli per la testa. Magari un Luca Fontana un
po’ sottosopra, che assale compagne che distribuiscono volantini a
Cesare non graditi. Feci una battaglia perché tra questi cinque ci fosse
almeno uno dei nostri giovani. Sono incomparabilmente più seri, bravi,
preparati – in spregio alla totale non-formazione voluta da Cesare -, ma
sono anche compagni che pensano senza guinzagli. Invano. Anzi, il
segretario del mio circolo, a malapena mi saluta più. Un po’ come
l’incredibile cognome Migliore e l’improbabile segretaria federale
Perugia facevano finta di non conoscermi durante due settimane
appiccicati l’uno agli altri in Palestina. Bel partito ha tirato su il
bertinottismo! E così la nostra squadretta, come del resto la nostra
organizzazione romana, immutabile nei numeri da anni, è gerontocratica,
inossidabile, impermeabile, stagnante e di una permalosità patologica.
Non tiene finestre aperte, Non corre rischi di correnti d’aria e di
allergia da polline di primavera. E anche un po’ familista. Si deve pur
vivere. E dunque disinfestare.
Ho passato in questi anni, dal 1998,
momenti esaltanti. Quando, in giro per le zone rosse d’Italia,
raccontavo la storia di popoli che, lì, erano ben più rispettati ed
amati, anche nelle loro scelte diverse, che non in certi angoli
polverosi del salotto Vip. Pochi grilli parlanti, tra i compagni di base
e moltissimo naso per annusare puzza di menzogna e mistificazione. Non
ero molto portato, con la mia compagna, a frequentare trattorie
post-riunione e gite tribali di fine-settimana. Mal gliene incoglie a
chi non sa quanto sia radicato da noi il clan, altro che Iraq! Ma le
cene e le serate post-dibattito, in qualche rustico locale di provincia,
con compagni incazzati di RC, con quelli che c’erano e se ne sono
andati, con quelli che, comunisti, non ci sono mai stati. Quelle sì che
allargavano il cuore e lo riempivano di affettività, ti colmavano la
mente di spunti e disvelamenti, ti facevano davvero sentire tutt’uno con
la parte più preziosa del nostro tessuto nazionale. Che non sia un
sudario! Dipende da noi, ormai solo da noi, comunisti e non
bertinottiani.
Compagni, questo segretario sembrava che
ci prendesse per mano, invece ce le ha infilate nelle manette, le mani.
Non sta scritto da nessuna parte che un segretario di partito comunista
debba esserlo vita natural durante, specie se il partito che dirige e
che dovrebbe trattare come una pianta da curare e rafforzare, lo
perverte, gli cambia i connotati a forza di cazzotti e i cromosomi a
forza di trapianti, piano piano lo uccide. Intorno al “carismatico”
leader è stato fatto il vuoto, i critici umiliati e illusi, i seguaci
scelti tra i mediocri o, altrimenti, mediocrizzati: corifei che
nell’ombra suonano le loro eulogie. Quale cittadino conosce un dirigente
del PRC che non sia Bertinotti? Ma viste le comparsate di qualche altro,
Mantovani, Cannavò, forse è meglio che in Tv ci vada solo lui. Quest’uomo,
venuto da storie del tutto diverse da quelle di tutti noi, ha reciso le
nostre radici e le ha gettate in discarica, ha infangato e obliterato
chi ci aveva seminati e chi aveva speso la vita e generazioni per farci
continuare il lavoro di riscatto dell’uomo, si è permesso di gettare
ombre sulla parte più nobile della nostra intera storia nazionale,
l’unica rivoluzionaria, si è accreditato per spoliazioni progressive
presso la peggiore e più deculturizzata classe dirigente che si sia mai
definita di “sinistra”, sbilanciandosi addirittura oltre quei limitari,
verso un mondo inquinato di poteri occulti e corrotti, è tornato a
esaltare la superstizione istituzionale, origine e causa della maggior
parte dei conflitti e delle sventure nella storia di duemila anni, e il
suo capo, intrigante nemico dell’umanità emancipata. Li ha chiamati
compagni di strada verso la pace e, pensate un po’, contro il
“neoliberismo”, arrivando infine fino a sussumere l’infame icona dello
“scontro di civiltà”.Tutto ha deciso e fatto, compreso un nuovo partito
UEista e acomunista (per non dire di peggio), fottendosene altamente di
comprimari, figuranti, comparse, corifei e, peggio, della base e dello
statuto dalla base voluto. E’ la negazione di un capo comunista, usa la
parola “comunista” degradandola a significati di assoluto comodo. E’ uno
specialista del testacoda, un funambolo dell’illusionismo: ci ha portato
a dichiarare morto e defunto l’Ulivo, si è sposato con forze
assolutamente equivoche come i capibastone disobbedienti, indicando
nella loro sterile e infantile demagogia ribellista l’orizzonte della
vera sinistra, salvo poi ricavarne un ilare astensionismo e qualche voto
a Verdi e DS e salvo poi riconvertirsi all’Ulivo “cambiato” (in
peggio), al centrosinistra più centro che mai, NON PER BATTERE
BERLUSCONI E LA FASCISTIZZAZIONE AVANZANTE, per quello bastava un
accordo elettorale e poi la propria libertà d’azione, infinitamente più
condizionante, MA PER SEDERSI AL TAVOLO DEL POTERE, PER GOVERNARE.
Partito di lotta e di governo? Ancora quell’ossimoro? Ma non facciamo
ridere!. Perciò la non violenza integrale, assoluta, universale
predicata ai proletari, agli esclusi, agli sfruttati, agli aggrediti,
nel momento, guarda un po’, della storicamente più feroce e sanguinaria
esplosione di violenza planetaria del padrone imperialista in preda a
lucidissima pazzia. E , dunque, nel momento dell’eroica e vincente
resistenza dei popoli. Popoli che molti di noi guardano, al meglio, con
paziente sussiego, al peggio con aristocratica sufficienza e con
ideologico cipiglio. Popoli dai quali, oggi, avremmo tantissimo da
imparare. A partire dalla dignità e dal coraggio. Disarmo unilaterale,
quello dei teologi della non violenza, imbecille, disumano, offensivo
per chi lotta e per chi muore, vile e collaborazionista. E’ così che si
decostruisce scientificamente un partito comunista.
Basta per deferirmi al Collegio di
Garanzia? Già fatto, tra le grida da nevrosi punitiva che alligna anche
tra gli ernestini davvero vecchi: “Espulsione! Espulsione!” Solo per mia
eccessiva osservanza dell’art. 3 dello Statuto, con un bellissimo
striscione:
BERTINOT-IN-MY-NAME!
Ne andrei fiero anche se fossi l’unico a
gridarlo.
Saluti comunisti e Intifada fino alla
vittoria.
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