|
DEMONIZZAZIONI
MILOSEVIC: BIFO DIFFAMA.GLI
“JUGOSLAVI” TACCION. L’IMPERIALISMO RINGRAZIA
26/11/05
Ho aspettato più di un mese una parola,
una presa di posizione, un contrasto, una polemica da coloro che si
occupano istituzionalmente e con impegno monotematico, più che delle
vicende della Jugoslavia (ex) dilaniata e gettata nel secchio
dell’immondizia imperialista, più che della grama condizione materiale,
morale e politica dei suoi popoli, più che delle mene mafiose e
colonialiste dei suoi vari proconsoli e viceré, di cose di dieci,
cinquanta, cento anni, ma anche, menomale, della sacrosanta difesa del
Presidente Slobodan Milosevic. Ho atteso che si esprimessero su una
chiassosa presa di posizione del noto Franco Berardi, detto, ancora alla
soglia della Terza Età, “Bifo”. Non mi è arrivato niente. E allora
adesso dirò qualcosa io che pur, distratto e pluralizzato da incombenze
professionali e militanti che mi fanno svarieggiare di luogo in luogo,
di scontro in scontro, di vicenda in vicenda, avrei assai meno titoli
per dire di coloro che della qualifica onoraria di “jugoslavo” fanno
insegna al proprio operare.
Bifo! Avrei fatto volentieri a meno di
occuparmene sin dagli anni ’70 con il relativo movimento che
strumentalmente si è voluto definire “del ‘77”, isolandolo in una sua
presunta specificità violenta, mentre non era che l’evoluzione
generazionale, culturale e politica del Movimento del ’68, non meno
proteso per naturale fisiologia alla violenza di massa. Un “77” portato
avanti più o meno dagli stessi protagonisti (se si vuole lasciare da
parte chi, imbrigliato da una scientifica manovra di destabilizzazione e
infiltrazione di regime, si fece burattino ai fili del Mossad e della
Cia nelle cosiddette Brigate Rosse, versione riveduta e corretta). Era
però spuntata, rifacendosi a esperienze anglosassoni di tipo tra hippy,
underground e situazioniste, una componente intrisa di intellettualismo
piccoloborghese e capeggiata da questo Bifo, che secerneva da Radio
Alice proposte di commistione tra spassi, lazzi e politica giocherellona
ai fini di subculturale diversivo dalla lotta di classe. Non che non
offrisse anche spunti sovrastrutturali da opporre al burocratismo
autoritario e dogmatico di vertici extraparlamentari in vena di rientro
e, più ancora, di un dinosaurico PCI in fase di deriva terminale. Ma
essenzialmente, tra autocoscienze e training autogeni, riferimenti
orientalistici, fumerie, beverie e femminismo ultramacho, eravamo in
piena vandea individualistica, del tutto funzionale a deviare il corso
dell’antagonismo rivoluzionario anticapitalista verso le recintate
aiuole dei margini consentiti. Un motore del riflusso, ampiamente
illustrato anche dalle pippe mentali e dai piagnistei intimistici del
quotidiano “Lotta Continua” finito in mano ai De Aglio, Martelli,
Ferrara. Si trattava, un tanto di
epater les bourgeoises dagli sfrigolii pararivoluzionari,
e un tanto di stupefare l’incazzatissimo proletario o
proletarizzato. Un tardivo make love
not war grondante compiaciuta controrivoluzione, che già
aveva stampellato la normalizzazione conservatrice in Gran Bretagna,
come la decapitazione della rivolta nero-giovanile negli USA. Un
percorso alla Bob Dylan, non eccessivamente lontano da quello, più
oscenamente ignudo, dei Sofri, Ferrara, Liguori, Panella, Mieli, Lerner,
Langer (più scaltro, quest’ultimo, tra sposalizi interetnici e
invocazioni di bombe Nato sui serbi, un pifferaio di lemmi votati
all’autodistruzione. Un po’alla Marcos che oggi, dalla macchia, si è
dato anche lui alla piazza e, insieme, alla demonizzazione, stavolta del
povero Obrador, sindaco benemerito di Città del Messico, che sarà pure
un misero socialdemocratico, ma rappresenta l’unica possibilità di
un’uscita non a destra dell’infelice colonia Messico, per la
consolazione anche degli altri popoli latinoamericani).
Oggi, rispuntato tra le pieghe di un
“movimento” che, al tempo stesso, solleva marosi e deposita detriti
(Rifondazione “Comunista” pretende di cavalcare i primi, mentre fa fare
scuola quadri ai secondi), Franco Berardi, ancora dicentesi “Bifo” a
ricupero della notorietà adolescenziale, è approdato a “Liberazione”,
organo dell’appena menzionato partito. Un partito di vivandiere che
insegue gridando come a Napoleone l’intendance
suivrà (l’amministrazione ti viene dietro, Montezemolo), un
giornale che del recupero e del rilancio del secondario e del deviante –
strategia di mercato particolarmente virulenta in tempi di drammatici
bisogni elementari, come quello di rompere il muso a padroni e rinnegati
– ha fatto sua una linea editoriale di demolizione dell’antagonismo e di
corteggiamento dell’esistente. E intellettuali che strepitano, come il
Bifo, di irrilevanze pseudoantagonistiche, subsoniche e sub-alterne, o
come le femministe che sul giornale planano a giorni alterni per
infliggerci l’interrogativo, epocale ai tempi di Falluja, “PERCHE’ I
MASCHI UCCIDONO LE DONNE?”, (ohibò, si potrebbe replicare, a essere
analogamente tifosi, pensando alle Albright, Rice, Meir, Del Ponte e
alle allegre comari di Abu Ghraìb: “perché le donne uccidono bambini e
popoli?”), o come i lesbo-gay-trans-quel-che-cazzo-riesci-ad-inventarti,
alla Vladimir Luxuria, perennemente arrotolato nelle turbe tutte
personali sue e dei suoi simili ( peraltro espresse nel suo caso con
intelligenza e comunque rispettabilissime, seppure non di rilevanza
collettiva nell’era di Jenin e Cochabamba), o come gli esegeti di ogni
scrittorucolo ebraico reperibile, a fini di ruffianeria criptosionista
(sulle pelle dei periti nei Lager, chiamati a far da schermo ai macellai
di Tel Aviv), nella gazzetta del Bertinocchio sono sempre i benvenuti.
Veniamo al nocciolo. Riprendo da Gianmarco
Pisa, dei Giovani Comunisti, cui va il merito di avere, unico, rilevato
e diffuso il fatto bifesco: “L’ultima impegnativa mail di Bifo dovrebbe
sollevare qualche riflessione, non tanto per i toni che usa, quanto
soprattutto per i paralleli storici che adduce. Quelli della
semplificazione, della stereotipizzazione e dell’analogia sono sempre
esercizi arditi, talvolta pericolosi, quasi sempre fuorvianti. Alcuni
passaggi non reggono l’equilibrio sul filo dell’argomentazione:
intelligenza storica e coscienza politica imporrebbero a Bifo una
riflessione e una correzione di certe sue ardite argomentazioni, che
spero lui stesso possa proporre…”
Scoperto che le auspicate riflessioni e
correzioni da Bifo non mi risultano essere venute, evidentemente avendo
lui ben altre incombenze sotto Bertinocchio che non quella di dar retta
a un giovane comunista qualunque, pare possa attribuirsi a questo
giovane comunista una gentilezza dialettica fin eccessiva. Perché, cosa
scrive il Berardi? Avendo evidentemente sentito un impulso irrefrenabile
al puntellamento storico della guerra preventiva globale e tornando a
frequentare gli amati stereotipi di cui alla denuncia di Gianmarco, ecco
cosa scrive: “Milosevic aizzò l’odio interetnico che non esisteva
ancora, perché aveva intuito che il suo potere, declinante nell’identità
comunista, poteva riaffermarsi nell’identità nazionalista e securitaria…
Fu quello il vero inizio della guerra civile jugoslava (a cui diedero
poi - evidenziazione mia – un
contributo il leader nazionalista croato Franjo Tudjman e le potenze
straniere, Germania e Vaticano in prima fila, che fomentarono la
carneficina)”. Come è suo costume, Bifo, da consumato cortigiano, veste
missili nucleari della guerra psicologica Nato-USA con gli abiti
dell’analisi pseudo-accademica, in lui apodittica per definizione.
Prendendolo generosamente sul serio,
Gianmarco Pisa, giovane comunista quanto l’altro è vetusto aiutante dei
mercenari giuridici del Tribunale dell’Aja, gli ribatte alcune ovvietà
storiche che cito: “Ma qui le date non tornano: l’attivismo vaticano –
corrispondente al pontificato di Woytila – nello scacchiere europeo
orientale data sin dall’inizio degli anni Ottanta, stesso periodo in
cui, finita l’era titina e iniziata quella – sullo scenario
internazionale – liberista, comincia a far sentire i suoi effetti la
crisi economico-finanziaria della Jugoslavia, pilotata dalla Banca
Mondiale. E’ questo il periodo dell’esplosione del debito pubblico e
della penetrazione progressiva del marco tedesco nel sudest europeo: i
fattori di destabilizzazione datano quindi da ben prima che Milosevic
prendesse il potere a metà degli anni Ottanta e sicuramente sono
antecedenti al 1989 di Kosovo Polije. Come si vede potenze straniere,
interessi internazionali e nazionalismi incrociati e configgenti non
furono causa accessoria (“diedero un contributo”, sostiene Bifo), ma
condizioni strutturali e decisive.” Non si poteva dire meglio:
correttezza del giovane comunista che disintegra la facilona malafede
dello stereotipista accademico.
Si potrebbero elencare altre deformazioni
e diffamazioni sparse, in complicità con Bifo, dalla presunta sinistra
delle vivandiere dell’imperialismo come, in particolare, dai ministri
degli esteri del valvassino Bertinotti, Gennaro- miodio-che-cognome –
Migliore, Marco Consolo e quel Ramon Mantovani che mi divertì moltissimo
quando si precipitò a casa mia per ammonirmi – me che ero appena
tornato dalle bombe umanitarie sulla Jugoslavia e dai macelli di verità
e di gente che ne aveva fatto il bombardiere Massimo D’Alema, futuro
partner di coalizione e governo – di “non fare il tifo per i serbi e per
Milosevic, perfidi nazionalisti e corrotti privatizzatori”. Il Mantovani
vantava una profonda conoscenza-esperienza di Jugoslavia: aveva
presenziato nientemeno che a mezza giornata di un congresso del Partito
Socialista di Serbia e da questo aveva tratto quelle sue saldissime e
indeffettibili convinzioni. Si potrebbe smascherare il servilismo di
tutta una sinistra affetta da bulimia governativa ed atlantica (fin dal
motto di Berlinguer: “Tutti sotto il manto della Nato!”) nel ricordare,
miserabile eco di calanco, le puttanate che agevolarono un intervento
umanitario-guerra di sterminio (formalmente con doppiezza deprecata),
prefazione al successivo bellicismo universale dei nazisionisti:
Milosevic e l’Accademia di Serbia che avrebbero pianificato la Grande
Serbia, mentre tutti i loro testi e dichiarazioni (compreso Kosovo
Polije, mai letto nella sua interezza assolutamente pacifista e
democratica) difendevano una Jugoslavia in cui la Serbia semmai aveva
la posizione più debole; la serbizzazione delle istituzioni jugoslave,
quando quelle, esercito compreso, erano dirette in preponderanza da
esponenti degli altri popoli; la pulizia etnica di Milosevic, mai
esistita (ma sciaguratamente riconfermata da un pur attento osservatore
come Tommaso De Francesco del Manifesto con l’estenuata ripetizione del
termine “contropulizia
etnica” attribuita ai razzisti kosovaro-albanesi) se non per un milione
di serbi (250.000 dal Kosovo) cacciati dalle altre repubbliche
fascistizzate e mafizzate dall’Occidente, circa 250.000 rom e tutti gli
ebrei espulsi a fucilate dal Kosovo e ora accampati intorno a Belgrado;
l’infame rovesciamento della verità nei fatti di Racak (falsa strage di
civili albanesi), di Sarajevo e di Sebrenica, innesco all’aggressione
Nato i primi, falsa vittimizzazione operata da marmaglie ONG i secondi,
pretesto per le bombe sui serbi i terzi; la beatificazione, come
movimento giovanile democratico, di Otpor e della radio Cia B-92, cioè
della banda golpista (in Serbia, come in Ucraina, Georgia, Libano) che
fu addestrata dalla Cia per rovesciare il legittimo governo jugoslavo
(beatificazione propagandata anche da spezzoni del movimento no-global
e, con incontenibile entusiasmo, dal acuto analista politico Salvatore
Cannavò, bonzo di “Liberazione”).
Particolarmente ripugnante, oltre allo
scoperto fiancheggiamento delle menzogne a fini di sterminio di popoli,
diffuse dai governi della barbarie planetaria, con ripercussioni
inevitabili sulla valutazione che questi corifei danno dell’equivoco
terrorismo-guerra-resistenza, è che questo Bifo spara sulla croce rossa.
Slobodan Milosevic, che ho avuto l’onore di conoscere e di ascoltare in
amicizia a lungo, un difensore accanito, onesto e coraggioso dell’unità
jugoslava e del rispetto ed equilibrio tra i suoi popoli, sequestrato
dai quisling di Belgrado, è un uomo malato, incarcerato nelle condizioni
più disumane da quattro anni, processato da un tribunale illegalmente
istituito dal solito maggiordomo Kofi Annan, sotto pressione USA e con
i dollari di George Soros e manipolato dalla negazione personificata di
quanto identifica un magistrato, Carla Del Ponte. L’osceno tribunale
degli stupratori dell’Iraq e dei loro burattini a Baghdad è stato
modellato su quello della Del Ponte e proprio come Saddam, tuttora
legittimo presidente e con ogni evidenza voluto tale dal suo popolo –
venduti iraniano-americani esclusi - , Milosevic ha saputo, pur nelle
drammatiche condizioni di salute sul cui esito letale gli aggressori
fanno conto, smascherare accusatori e giudici e fare dello
pseudoprocesso la tribuna della verità su carnefici e vittime in
Jugoslavia. Cose di cui né Bifo, né la gazzetta all’acido lisergico su
cui si esprime, né il monarca che la governa si interessano o prendono
atto. Gli stereotipi al servizio dell’esistente-dominante sono più
comodi. Ti tengono al calduccio.
La cosca Sofri ( con tutto il rispetto per
il diritto alla libertà, suo e di tutti, e con la massima comprensione
per i suoi problemi di salute) che le tecniche di obnubilamento del
Berardi le ha raffinate a livelli senza paragoni di ferocia teo-sion-con,
a suo tempo, come oggi, si è offerta a trasportare a destinazione sulle
proprie spalle gli ordigni preparati nell’antro del ciclope con la
stella di Davide al posto dell’occhio: fosforo, napalm, bombe a
grappolo, esecuzioni in massa, rottweiler e femmine sadiche di Abu
Ghraib, che fossero. Se la demonizzazione del nemico del nemico
dell’umanità, del resistente al macellaio di popoli e classi, è il
crimine preventivo e l’arma decisiva per tirarsi dietro l’indispensabile
consenso pubblico, il sostegno che gli danno questi sicofanti mira
all’accecamento delle vittime e di chi con loro solidarizza. Sostenere
le menzogne di ieri su Ho Ci Min, Fidel, Yomo Kenyatta, liberatore del
Kenya, Ben Bella, il Marcos dei partigiani greci, e quelle, identiche di
oggi su Milosevic, Saddam, Chavez, ancora Fidel e magari i bravi
cittadini di Val di Susa, è pari al sostegno demenzialmente suicida che
la sinistra tutta porge al paradigma guerra-terrorismo, alla menzogna
epocale di un terrorismo islamico antagonista dell’imperialismo e causa
delle sue guerre, e non da questo imperialismo, come infinite prove
stanno a dimostrare, inventato e diretto. Ma di questo parleremo in
seguito, a carte parlanti e scoperte.
Per ora chiudiamo con quel superBifo
chiamato Adriano Sofri, uno che la segreteria nazionale di Rifondazione
Comunista ha gratificato di un condivisibile appello alla grazia
(peraltro negato a decine di prigionieri politici) e che, come conviene,
pare tuonare da un balcone: “Italiani e stranieri, vi esorto alle
meritate demonizzazioni…demonizziamolo questo farabutto mediocre e
impunito di Milosevic…” La demonizzazione rientra tra i doveri del nuovo
cittadino liberaldemocratico (leggi “nazisionista”. N.d.r.) di fine
millennio. Alla demonizzazione non rinuncerò mai…” (Il
Diario 26/5/99).
Condoleezza Rice, una signora che gli
uomini non hanno ancora ucciso, e Ariel Sharon si spellano le mani. Caro
Bifo, hai ragioni da vendere quando sul tuo giornaletto scrivi questo
autodafé: “Gli intellettuali italiani non si sono mai distinti per
coraggio civico… mancano completamente di rispetto per sé…nella storia
italiana gli intellettuali si piegano facilmente a qualsiasi padrone”.
Già, anche a quelli che sbranano, per primo con le bugie, grandi
paesi, liberi e sovrani. Così il cerchio, di te che scrivi su
“Liberazione” con quello che scrive sul “Foglio”, si chiude.
|