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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

VITTORIA! VITTORIA?

IL PROCESSO

IL SUDAN DI SABINA

 

 

 

22/06/2004

 

 

 

Vittoria! Vittoria?

Rifondazione Comunista-Sinistra Europea – un logo tanto affascinante e innovativo da far ammutolire ogni pretestuosa protesta contro un presunto colpo di mano che sarebbe stato inflitto ai  comunisti radunati sotto l’antico simbolo – ha vinto: alcune centinaia di migliaia di voti in più e una percentuale che, grazie anche all’astuta astensione dei centrodestri e destri, è balzata avanti di un punto, 6%. Fra appena dieci elezioni, la cosca piduista-mafioso-golpista permettendo, saremo al 16% e potremo fare, chissà, come Craxi, l’ago della bilancia tra liberisti guerraioli di destra e liberisti guerraioli di sinistra. Ma forse è una prospettiva troppo radicale, meglio, nel frattempo fare comunella con l’idra Amato-D’Alema-Rutelli-Fassino-Mastella e vedere se si può grattargli via qualche scaglia dall’orrida corazza.

 

Tutto, fuorché incanaglirsi nell’osceno connubio con quanto di quasi sinistra c’è già nelle istituzioni – quel 13% che, unito, provocherebbe un prematuro e irriguardoso incanutimento al socio D’Alema – rischiando di venir meno a un sacro patto di rinascita nazionale che già ha rinchiuso Cofferati - e soprattutto quell’esasperato cofferatismo antisistema che l’incolpevole sindacalista s’era trascinato dietro – nel ridotto felsineo. Tutti insieme al governo nel segno di Luca Corsera di Montezemolo e del papa polacco (a proposito di polacchi, avete visto il paginone del “manifesto” che celebrava, per la penna di Rossanda e dei fanatici filo-slavi Dakli e Karol, la vita, e compiangeva la morte, di Jacek Kuron, braccio destro del liberatore Walesa e protagonista della primavera polacca? E noi che c’era sembrato un estremista di destra, quanto il suo partito, fottuto manutengolo della Cia e del Vaticano! Gli abbagli…Ma ricordiamo male, o era proprio Astrid Dakli che, aggirandosi per il  Kosovo – è albanese -  appena dopo 78 giorni di bombe Nato all’uranio, con caccia al serbo, criminalità organizzata UCK messa al potere dagli USA e demolizione degli antichi monasteri tuttora in atto, non vide nulla di tutto questo e si rallegrò della liberazione del suo Kosovo? Solo abbagli?)

 

Il PRC ha dunque preso il 6% . E’ certamente una vittoria. Una vittoria di Cesare. E quando vince Cesare gioiscono, si sa, anche venditori di lucerne e gladiatori, questi ultimi più pronti che mai alla suprema dedizione: morituri te salutant. A parte la celia, non si può non darne atto a quel mago che, sulla soglia del voto, ha saputo, molto meglio di Aznar con le sue bombe di Madrid e dell’esausto sciantoso da crociera nostrano con il suo “abbasso le tasse”, estrarre dal cilindro ben due conigli, che quello di Alice può andare a nascondersi: la dimensione europea, con all’occhiello altermondisti come gli stalinisti-movimentisti del PCF, giustizieri della Jugoslavia (jugoche?), sei antimonarchici del Granducato del Lussemburgo, prezzemolo scandinavo vario, una dozzina di greci collaborazionisti a tutti i costi, qualche addomesticato bolscevico spagnolo, tedeschi che hanno in uggia Liebknecht e Luxemburg peggio che noialtri  i “padri spirituali morti non solo fisicamente” (vedi Bertinotti sul “manifesto”). Vabbè, non era poi una novità assoluta: l’eurocomunismo, oggi Sinistra Europea,  l’aveva inventato il povero Berlinguer per porre uno scudo sovranazionale tra sé e i compagni che lo inseguivano, brandendo falci e martelli, dopo che Be-Be-Be-Berlinguer aveva sposato la borghesia capitalista, prosseneta Andreotti, e invocato su di sé, contro l’incombente pioggia di sovversivi, “l’ombrello della Nato”. Ma tant’è, riciclare vale talvolta inventare e il buongiorno s’è infatti visto dal mattino di lunedì 14 giugno. L’altra taumaturgia è stata la campagna sulla nonviolenza, così, senza trattino, valore assoluto, archetipo, afflato cosmico, legge mosaica. Anche qui nulla di nuovissimo: prodromi ancor grezzi erano stati i giulivi flagellanti della New Age a propulsione CIA, il tibetanesimo caro ai cultori dell’arianità (ma stranamente sgradito ai servi della gleba sotto il tallone dei lama che gli fregavano i bambini), i socialisti utopisti del romanticismo ottocentesco, i ghandiani, che giustamente al rajà Mahatma attribuiscono il merito di aver sottratto l’India alla presa dei comunisti che in trent’anni di “terrorismo” avevano sfiancato e costretto alla fuga i britannici con tutti i loro ghurka, e, last but not least,  Luisa Morgantini, vera e nera musa delle braccia alzate in Palestina come nel Kurdistan turco, in Iraq come a Cuba, in Kosovo (“salvato dai fascisti serbi”) come in Afghanistan.

 

E giustamente la musa ritorna, invero per il rotto della cuffia, in Europa., dove, perfettamente equanime e bilanciata, dannerà sia Sharon sia chi ne attacca la Gestapo, sia Bush sia chi gli fa zompare le SS in Iraq,  Con lei, in lista ovunque per ben quattro volte, star assoluta, candidato universale, protagonista dei punti cardinali, Bertinotti-poker. E chi lo metterebbe in discussione? L’ho visto l’altra sera a “Ballarò”, assolutamente vincente, carismatico, convincente. Oddio, di fronte aveva poca roba: il pozzo e il pendolo, con Fassino nel ruolo del pendolo e il sottosegretario di burro Sacconi in quello del pozzo, senza fondo e senz’acqua. C’era anche Storace, ma serviva come cabaret.  E’, il subcomandante Fausto, sicuramente il più bravo. E’ anche l’unico nel PRC che si veda inondato delle luci della ribalta. La tragedia è che lo è da sette anni; in sette anni si è assicurato che non maturasse ed emergesse proprio nessun altro nel suo partito. D’accordo, è monarchia assoluta, ma, caspita, se ti viene un raffreddore o, diononvoglia, un coccolone? Dopo che hai fatto terra bruciata, se non di corifei e yes-men, chi metterai in pista, lo scherzo nominativo Migliore?

 

Poi abbiamo un supereletto Agnoletto (persona stimabilissima) e un elettoralmente striminzito Musacchio, noto dalle parti di Viale del Policlinico perché principe consorte dell’autorevole Patrizia Sentinelli (Segreteria Nazionale di RC e già connivente del Rutelli sindaco di giubileiana memoria)), cosa che, peraltro, con l’elezione di questo “nobile compagno” (Rina Gagliardi su “Liberazione”, non la “Gazzetta di Pyongyang” su Kim il Sung) non c’entra un beneamato cazzo. Ha preso un mare di voti anche un periferico disobbediente romano, Nunzio D’Erme, zompato al volo sul torpedone “Eurotours SRL” di RC, molto presente nelle piazze, quasi del tutto assente in Consiglio comunale (le istituzioni che schifo, faccia Rutelli), amatissimo, per la verità, tra chi apprezza secchiate di merda su Berlusconi (e non siamo pochi) e inni all’esercito nonviolento e neoglobal dell’ossimorista Marcos (sono rimasti in pochissimi).  Ne ha presi anche di più, nello stesso pollaio, il plurionorevole Nichi Vendola, un combattivo politico antimafia ed erudito umanista, con dietro mezzo Mezzogiorno d’Italia.  Poi c’è Bertinotti-poker. Per rifondare il comunismo, quindi, su cinque uno che si dice comunista, un altro che pure si dice comunista, ma gli viene da ridere, e tre che a sentirsi definire comunisti chiamano i Ros. Fa niente. Abbiamo il 6%, sicuramente grazie  a D’Erme, Morgantini, Agnoletto, la Sinistra Europea e una Nonviolenza a cui la Resistenza pare ovviamente un po’troppo “angelizzata”. Alla fine toccava scegliere  tra il disobbediente e l’obbediente. Scelta ovvia per il padre-padrone, chi mai si metterebbe in casa uno che, sì, gli ha portato un po’ di voti, ma alla prima fermata cambia corriera e butta escrementi dal finestrino.E’ stata l’inglorioso cozzo di due opportunismi, ognuno dei quali serviva congiunturalmente all’altro e ognuno dei quali dell’altro se ne fregava altamente. Ora che poi i fratelli di cordata saranno gli Amato, D’Alema, Fassino, Mastella, Montezemolo, chè ti porti a tavola uno come D’Erme che non sa neanche che il coltello si mette a destra, la forchetta a sinistra e il vino si versa non oltre un terzo del calice?

 

Ma va a guardare il pelo! Cosa conterà mai il tasso di comunismo in quel 6%! Un 6% è un 6% e il resto sono variabili indipendenti, forse dipendenti, forse impazzite. Se  lo sono dette anche le opposizioni interne alla maggioranza, si sono rimboccate… le maniche? No, le coperte e hanno spento la luce. Domani è un altro giorno. Costituente. Di qua noi, “sinistra-sinistra”, come scrive Rina-Fede-Gagliardi, di là, ma a noi giunti, loro, i “riformisti”. Ah no? E non sono riforme il pacchetto Treu, l’art. 11 riformato a Belgrado e in Afghanistan e in Iraq pure dall’ONU,  la scuola aziendale di Berlinguer, le privatizzazioni di ogni bendidio, la Nato allargata all’universo mondo, la Leva riformata in professionale associazione a delinquere planetaria, i CC quarta e impunita arma d’Italia,  gli inceneritori e tralicci Enel dell’ambientalista Chicco Testa a punteggiare l’intero stivale, con Kyoto fatto passare per un balletto Kabuki e il Corpo Forestale dello Stato (unica polizia che non mena, ma protegge alberi) trasformato in gendarmeria municipale nelle regioni del pre-leghista Bassanini… Riformisti della più bell’acqua, c’è poco da sfrucugliare. Tanto quanto gli altri, quelli della nonviolenza, della “spirale guerra-terrorismo”, del “partito femminista, ecologista, pacifista, democratico” e dell’”ispirazione liberaldemocratica”, sono la “sinistra-sinistra” , come scrive su “Liberazione” una signora all’orecchio del capo, Rina-Emilio-Gagliardi. 

 

Compagni, c’è chi non si mette buono buono neanche con un 1% tondo tondo in più  Tocca rassegnarsi. “L’unico modo per essere liberi è essere contro (Josè Martì). “Sparate sul quartier generale”, sennò quelli s’abituano (Mao Tse Tung).  

 

Il Processo.

Kafka non c’entra. Anzi, c’entra: quelli che stanno di qua, come l’infelice signor K., o come Pinocchio davanti al giudice del paese di Acchiappacitrulli, non hanno la benché minima speranza di sfangarla.

Né di Venere né di Marte non si sposa e non si parte. Per i processi, tuttavia, ogni giorno è buono. Ce lo confermano Carla del Ponte e Giuseppe Stalin. Ma anche Rosangela Mura, che presiede il tribunale del partito, chiamato umanitariamente “Collegio di Garanzia”. Vogliamo o no essere, oltrechè garantisti, garantiti? Non è per essere garantiti che conduciamo epiche lotte da almeno un secolo? Giustamente anche i capi di un partito hanno diritto a essere garantiti. Per loro l’articolo 18 deve essere come il bambù per i Panda. Infatti sono molti più di quindici, mentre noi irriverenti non arriviamo ai quattro gatti. E così, disciplinatamente, proprio un bel martedì è partita la mia incriminazione e mi sono ritrovato, sì, sulla seggiola dell’imputato, però attorno a un tavolo democraticamente tondo, nessuno scranno del giudice, nessuna solenne toga di Pubblico Ministero, come invece in occasione di quei 150 processi per reati di stampa che nel corso del mio sparare inchiostro contro eminenti e notabili mi sono meritato (allora venni peraltro assolto per aver “diffamato” presidenti dell’Enel, delle FFSS, delle FFAA, della mafia, della massoneria, dei governi stragisti, del neofascismo. Oggi, pare, avrei fatto di peggio). Il bunker dei grandi delinquenti, però, c’era. Un’angusta cella premonitrice, senza finestra sull’esterno, ma fiancheggiata da un cupo corridoio, su e giù percorso da Chicca Perugia, nostra segreteria federale. Non mi ha degnato di uno sguardo, ma visto che non lo ha fatto neanche durante dieci giorni in Palestina, dove pur vivevamo, viaggiavamo, pranzavamo e subivamo i gas israeliani fusi gli uni agli altri, e neanche in due anni di riunioni e manifestazioni di partito, ne ho dedotto che non mi conosceva. Del resto, quello di far finta di non conoscersi è pratica statutaria di chi sta nella luce del Signore nei confronti degli infedeli smarriti nell’oscurità) .

 

  Loro erano in tre. Pubblica Accusa. collegio giudicante e giuria, tutto insieme. Altro che la sciagurata e strumentale separazione delle carriere del Bushlusconi, con i magistrati incatenati alla greppia di Previti e azzittiti dalla mordacchia di Cirami-Schifani. Per la verità, nei primi istanti avevo congetturato che uno dei tre sarebbe stato dalla parte del reo, tipo avvocato difensore, quantomeno d’ufficio. Ma non era figura prevista. Forse perché, anziché tre, avrebbero dovuto essere cinque. Magari su cinque, uno, il più scemo, avrebbe dovuto farmi da difensore. Erano peraltro bravissimi, si passavano la palla che neanche Totti, Del Piero, Inzaghi, fedeli al comprovato meccanismo del poliziotto cattivo (uno dell’area dell’Ernesto, la mia!), di quello buono e di quello super partes (due bertinottiani doc, una accorata, uno affilato) che riduce in poltiglia ogni interrogato meglio che Lyndie England ad Abu Ghraib.

 

Avevamo osato l’inosabile. A una conferenza stampa del segretario nazionale, una messa cantata, ci eravamo presentati, zitti zitti, con uno striscione: “Bertinot-in-my-name”. Guai a me che mi ero fatto incantare dalla quasi wildiana sintesi poetica dell’elaborato. Un verso affettuosamente ironico che faceva riferimento al laboratorio di organismi geneticamente modificati messo su dal biotecnologo di Torino. “Hai leso l’immagine del segretario e del partito!” tuonavano i giudici-giurati-accusatori, e si capiva che intendevano, come suole nelle monarchie assolute, “lesa maestà”. Feci tra me, tanto immodestamente quanto spontaneamente, un raffronto. Mi fulminò l’abisso che si apriva tra questa terrificante accusa e quella presunta “lesa immagine” mia che mi ero azzardato di sospettare allorché un notabile del partito, tale Ramon Mantovani, aveva intimato a chi si era sbilanciato a invitarmi a dibattiti sulla Jugoslavia di evitare tale tentazione, vista la mia indecente opposizione all’indiscutibile (e perciò indiscussa) formula del partito “Né con la Nato, né con Milosevic”; oppure quando l’epigono del Mantovani, uno chiamato addirittura Migliore, aveva proclamato in pubblico che chi, come il sottoscritto, invocava insieme all’incontinente popolo palestinese “Intifada fino alla vittoria”, era da considerarsi antisemita e da cacciare dal partito; o ancora in  occasione dei miei reportage da Baghdad sotto le bombe, dopo quarant’anni di mie ottusità mediorientali, che un Curzi-fedele-alla-linea-della-“spirale guerra-terrorismo” seppe bonsaizzare in “letterine al direttore”; o, anche, quando venni cacciato dal giornale su due piedi e neanche uno straccio di art.18, avendo osato di sospettare che quelli che, presi i dollari da Bush e fatto e programmato di fare dirottamenti e terrorismi vari, finalizzati a un’invasione di Cuba, non fossero proprio “dissidenti”, ma piuttosto veri mercenari al soldo del nemico; o, infine, allorché, per spiegare come Santoro andasse difeso alla morte, e Grimaldi, invece, a quella (quanto meno professionale) destinato, sia Bertinotti, sia i suoi due cavalli di razza alla testa di “Liberazione” diffusero su media vari malignità e falsità sul mio conto, senza diritto di replica. No, in quei casi non era “lesa immagine”, come potevo pensarlo: ubi major minor cessat del tutto.

 

Sospeso sul baratro di questo dubbio, mi riportò sulla retta via il sottile e convincente punto di uno degli inquisitori,  uno che il cui nome Franco veniva riscattato dal cognome Guerra, della mia area, particolare che mi colmava di orgoglio. Avevo tentato un patetico depistaggio, da autentico leguleio: “Lo statuto”, avevo opposto, “consente il dissenso e la critica  al vertice del partito, anche all’esterno del partito stesso”, tipo conferenze stampa alla Stampa Estera. Niente affatto. Con argomenti inoppugnabili Franco Guerra mi incenerì: “Per esterno al partito – seppe proclamare solenne - s’intendono gli attivi, le assemblee, i dibattiti all’interno dei circoli del partito”. Pofferbacco, il fascio di luce causidica mi annichilì, misero azzeccagarbugli che non ero altro.

 

La mia colpa era dimostrata in tutta la sua inverecondia. Ma non fu l’unica. Ne avevo fatte di peggio. In uno degli scritti che s’intitolano come questo, avevo presentato due candidature afferenti la Palestina, paese da me frequentato per quarant’anni e dai cui invasori rimediai botte, gassificazioni ed espulsioni. Si trattava, per Rifondazione, della nota Luisa Morgantini, già europarlamentare ultrapacifista, e di Bassam Saleh, compagno di Fatah e presidente della Comunità palestinese, che invece era stato ospitato nelle liste dei Comunisti Italiani. Mi sono assai famigliari, da anni, ambedue, sia per lunghi e preziosi viaggi tra la disperazione palestinese e il razzismo genocida israeliano, con la prima, sia per condivisione di lotte e marce e dibattiti con il secondo, più spesso che no osteggiati dal partito perché privi di candidi gigli sullo striscione d’apertura e bandiere israeliane al vento. Ne feci due ritratti. Essendo veterano, anche se per pochi, nobilissimamente violenti mesi, della lotta dei fedayin tra Giordania, Libano e territori occupati, mi venne qualche apprezzamento poco caloroso nei confronti di un pacifismo integrale predicato sia a Golia che a Davide, pacifismo equanime che però a Davide pare sottrarre la fionda, senza peraltro togliere a Golìa nulla della sua rambesca determinazione di schiacciare i piccolini. Meschino e fazioso: avrei dovuto celebrare con ceri e apologie gli “accordi di Ginevra”, tanto cari a Morgantini, come a tutti i nonviolenti, senza fare concessioni a un Bassam che, intemperante e incontentabile, insieme a 8 milioni di palestinesi, fuori e dentro la loro patria, le carte di Ginevra le appallottolava poiché, ancora una volta, lasciavano nella merda 4 milioni di profughi, negavano confini certi, continuità territoriale, sovranità, difesa, indipendenza economica, politica e militare al popolo espropriato e sterminato.  Non solo, pur senza pronunciarmi per l’uno o per l’altro, né dando indicazione di voto alcuna, avrei mosso un’indebita critica all’occhiuta candidata. Occhiuta perché, nel bailamme jugoslavo, tra bombe a tappeto Nato, tagliagole albanesi del Kossovo, pulitori etnici croati, affiliati musulmani Cia di Osama,  narcotrafficanti pseudoribelli e pilastri dell’economia statunitense, ONG impegnate in bordelli e traffici di corpi, Morgantini riuscì a individuare il vero pericolo, a inchiodare l’autentico mostro balcanico: i serbi di Milosevic, cioè quasi tutti quanti. E a Podgorica, capitale del regno mafioso del boss Milo Djukanovic, allestì, con le “donne in nero” di Belgrado, componenti di un arcipelago filo-occidentale foraggiato da George Soros (noto killer di economie non obbedienti al FMI  e destabilizzatore di socialismi), un tempestivo, opportuno e sacrosanto  “Seminario sul fascismo serbo”.

 

Dissi questo e lasciai libertà di voto. Ahi, il delitto! I guardiani dello Statuto, che impone sostegno degli iscritti alle liste elettorali del partito, percepirono in filigrana, con acume impareggiabile, una mia quasi scoperta simpatia per Bassam e me ne fecero giusta imputazione-amputazione. Obbiettai uggiolando: “Ma sono le liste che vanno sostenute, che c’entrano i candidati, oltretutto indipendenti, mica ho intimato di votare per i cossuttiani. E poi un lettore potrebbe anche simpatizzare con chi invita a dialogare con gli “Abrahms” di Sharon  e chi riesce a stanare fascismi serbi che solo Clinton, D’Alema, Hashim Thaci, il PCF e Mantovani sapevano esistere. Pretestuosità, contorcimenti, miserie.  

 

Chinai il capo e l’offersi al boia. A lui la scelta: mannaia o rogo. La Costituzione Europea potrà anche svilire e negare le “radici cristiane” del continente. Quelle, ormai cristianissime, del partito, il Collegio di Garanzia no! 

 

 

Il Sudan di Sabina

Vale la pena raccontare come capitai per la prima volta in Sudan. Correva l’anno 1971. Fresco come un bucaneve, giravo il mondo e scrivevo e fotografavo di guerre e rivoluzioni per giornali di sinistra come “Giorni-Vie Nuove”, “Astrolabio”, “Sette Giorni”. I giornali di sinistra pagano poco e a soprassalti: serve a mantenere alto il morale dell’inviato e persuasivo il carattere progressista della testata. Dopo essermi fatto tutta l’Eritrea a piedi con il Fronte di Liberazione Eritreo (quello buono; l’altro, l’FPLE, cristiano, ma caro ai marxisti e oggi al potere con USA e Israele, s’è visto come è andato a finire), le esauste risorse mi avevano costretto nell’ostello della gioventù di Khartum. Incrociai un giovane funzionario del Ministero dell’Informazione, militante del Baath, panarabo, nazionalista e socialista (quello al potere in Siria e con Saddam in Iraq), determinato a far sentire alle sinistre terzomondiste in Italia le ragioni della rivoluzione sudanese. Quella del colonello  Ghaafar Nimeiry, emulo di Nasser e dei Giovani Ufficiali della grande decolonizzazione araba. Mi prese con sé su una jeep e mi fece attraversare mezzo Sudan all’inseguimento del presidente che visitava città, villaggi, aziende, progetti di sviluppo. Lo beccammo nel sud, nella città di Wau, mentre cenava a una tavolatona all’aperto con ministri e notabili locali. Mi inserii tra frutta e whisky (Sudan allora laicizzato e dunque sbevazzone) e venni accolto dal Raìs e avvolto da una calda notte equatoriale, frastornata di cicale e di racconti del presidente che si spensero solo alle prime luci dell’alba.

 

Tutti a parlare di Sudan, di questi tempi. E già questo dovrebbe suscitare sospetti. Da qualche mese si sono intensificati i notiziari, i reportage sulla catastrofe umanitaria e politica determinata nella regione occidentale del Darfur dal governo di Omar el Bashir. Esercito e squadracce miliziane che si accaniscono su poveri profughi, eserciti di liberazione che si sollevano a difesa delle popolazioni discriminate quando non macellate, morti e fuggiaschi a gogò, la fame che imperversa per colpa del regime, le agenzie umanitarie che non glie la fanno, quelle dei diritti umani che sparano un dito sempre più lungo e puntuto – pare il naso di Pinocchio…- verso Khartum. E rivedo un film già visto allora. Nimeiry mi spiegò in lungo e in largo come la sua lotta antineocoloniale avesse provocato ogni sorta di incazzatura degli ex e neo-colonialisti: britannici, preti, europei vari, israeliani. Dicono tutti che la guerra separatista del Sud “animista e cristiano” (ci sono stato al Sud, a Giuba, di cristiano ci sono quattro chiese, una marea di santini comboniani, ma il 90% della popolazione crede ai suoi dei di acqua, terra, aria e fuoco), contro le soperchierie degli integralisti islamici al governo, sia iniziata nel 1981. Invece iniziò vent’anni prima, con gli stessi istigatori di oggi, appena il Sudan aveva tentato di avviarsi sulla via di una vera indipendenza. Tagliare i fili della memoria, come quando nessuno ricorda che gli USA tutte le guerre le hanno iniziate facendo prima un gran botto, tipo 11 settembre, da attribuire al “nemico”. Ora tra le  “efferatezze” del Sudan manca solo un suo missile su Disneyland, con 4000 bimbetti disintegrati (e pensare che nel 1997 Khartum, che se l’era trovato tra i piedi, offrì agli USA l’estradizione di Osama bin Laden. Quelli risposero: non c’interessa, speditelo in Afghanistan!).

 

Fin da quando la rivoluzione nazionalista e laica, con la nazionalizzazione delle risorse strategiche, con scuole e sanità, si affermò in Sudan, negli anni ’60, inziarono i casini nel Sud delle etnie negroidi. C’era già allora l’esercito di liberazione del Sud (SPLA), c’era già a capo John Garang, un generale fellone diventato gangster e combattuto più da bande rivali, in competizione per le ricchezze minerarie e lignee dell’Equatoria, che dall’esercito governativo. C’erano già allora le spie e le armi di Israele e Regno Unito, poi sarebbero arrivati anche gli statunitensi. Mentre la copertura mediatica e ideologica veniva fornita dai missionari comboniani, dall’800 nel paese con monaci, suore, aziende, affari finanziari e brighe eversive. Anche se allora mancava l‘appiglio dell’”integralismo islamico” e dell’”emarginazione del Sud nero, animista e cristiano”. In quell’anno Khartum aveva investito nel Sud, lasciato dagli inglesi in preda al tipico sottosviluppo da colonialismo ( inglesi poi sconfitti  con il generale Gordon nel 1885 in una delle più gloriose battaglie degli oppressi contro gli oppressori) quasi la metà del bilancio di uno Stato di cui quella regione era un sesto. E’ la società era stata laicizzata ed emancipata: indimenticabili le donne, alte, color fondente, con gli spacchi fino al bacino, che suonavano la tarantella sul pentagramma dei miei  pensieri.

 

Poi ci furono le trattative, i compromessi, gli accordi di pace. Ma regolarmente la rivolta si riaccendeva, anche se più tra rivali della secessione che tra questi e il potere centrale. Così per tutti gli anni ’70 e ’80. Coloro che da fuori rimestavano nel sangue e nei progetti di rapina, non si rassegnavano a lasciare in piedi e unito il più grande paese arabo e dell’Africa. Finalmente ora, nel 2004, rinunciato alla Sharìa per tutti, accordata una vasta autonomia al Sud, comprensiva della gestione di buona parte dei proventi petroliferi (petrolio sospettato al tempo di Nimeiry, confermato quando un golpe portò al potere una spia degli inglesi, il Mahdi, iniziato ad estrarre da cinesi, canadesi ed europei sotto l’attuale governo di Bashir), concordato un referendum su indipendenza o unità entro sei anni, il governo riteneva di poter far godere a uno dei popoli più evoluti e gentili del mondo la sua meritata dose di progresso e pace. Niente. Grandi paesi del Terzo Mondo, grandi unità di diversi, grandi potenzialità non possono restare in vita. L’imperialismo preferisce la Croazia fascistizzata, la Bosnia mafizzata, il Kosovo snaturato, il Kurdistan narcotrafficante, gli sciti sprofondati nel Medioevo, i sunniti alla fame, e magari i padani con per capitale l’ombelico di Bossi  e per confine là dove arriva il raglio di Castelli, preferisce tutto questo a ciò che storia, solidarietà, destino e progetto comune avevano messo insieme. In particolare, l’imperialismo e il suo rostro sionista hanno sul piloro la nazione araba, ancora rabbrividiscono al pensiero di cosa fece negli anni ’50 e ’60 ai cugini inglesi, agli alleati francesi, perfino agli straccioni all’iprite italiani. Sennò cosa avrebbe miscelato in provetta a fare, l’imperialismo, uno Stato ebraico là dove da millenni stavano palestinesi? Sennò a cosa servirebbe mai il Piano neocon-neonazi del “Grande Medioriente” dal Marocco all’Afghanistan  (Iran, Turchia e Afghanistan con la nazione araba non c’entrano niente, ma servono  a diluirla), il genocidio dei renitenti palestinesi, dei troppo arabi iracheni, gli attentati Cia-Mossad in Arabia Saudita, Turchia, Marocco, la mazzetta di 3 miliardi di dollari all’anno allo stalliere Mubarak, le sanzioni alla Libia, il terrorismo “islamico-Cia” in Algeria e, ora, il perenne terremoto innescato da Langley in Sudan? 

 

Perciò, appena conclusa in Kenya la pace nel Sud, ecco che i mastini da guerra, addestrati da San Pietro, Mosè e Mickey Mouse, sono ripartiti alla carica nell’ovest. Il coro si va facendo assordante, strepitano tutti: come sempre, i comboniani forniscono l’indiscutibile testimonianza oculare e informazione obiettiva, ONU e FAO, preoccupate,  parlano di difficoltà nel far arrivare i rifornimenti, Amnesty International e ONG ancora più occhiute sollevano i vessilli dei diritti umani finiti nelle sabbie roventi della repressione islamista. E subito spuntano ben due “eserciti di liberazione nazionale”, tipo UCK kosovaro,  chissà da chi muniti di armi moderne, e subito appaiono milizie terroristiche che agiscono per conto del governo e commettono stragi di innocenti (e magari sono gruppi di autoprotezione aiutati, sì, dal governo, ma contro le provocazioni degli eversori mercenari del complotto imperialista). E subito c’è anche un paese, il Chad, guardacaso miserrimo e di obbedienza statunitense, che si presta a soccorrere i profughi – Centomila? Un milione? – ma non ha di che nutrirli e se li vede appassire tra le mani. Non circola neanche un inviato di qualche giornale o tivù da quelle parti, ma tutti sfanfareggiano di indicibili massacri: centomila?, Un  milione? Tre milioni a rischio…

 

Così anche la giornalista, una di quelle vere, di “Liberazione”, Sabina Morandi.

Titola “Sudan, la guerra che non fa notizia”. Ammazza, Sabina, se non fa notizia! Ma se si sono dati tutti appuntamento sull’imminente decapitazione del Sudan, velinari, analisti, corsivisti, provocatori, esperti, tutti saldamente, come te, ancorati alla loro seggiola con sguardo sul Bar Pippo. Ci fai rabbrividire, come quei tuoi colleghi dei grandi media, vi cola sangue misto a resti cerebrali dalla penna: “Ogni giorno le condizioni di vita uccidono tra i sei e gli otto bambini, fra poco moriranno 300.000 persone di fame, almeno diecimila morti nell’ultimo anno e mezzo, fra 800mila e un milione di profughi”. La fonte? Human Rights Watch, figurarsi ! Basta il tono:”Il governo Sudanese  è responsabile di pulizia etnica e di crimini contro l’umanità. Nel Darfur vige il terrore”. Vi ricorda qualcosa? Il Kosovo forse? O le armi di distruzione di massa di Saddam? O i poveri “dissidenti” di Cuba? O i tibetani >>>>sterminati dai cinesi? E vai, Sabina, con le citazioni e con le fonti. Manca nessuno. Kofi Anan, l’ONU, il Fronte di Liberazione del Darfur, le Acli (quelle che addestrano mercenari con istruttori israeliani), Caritas, Comboniani… Non manca che la CIA, ma c’è UsAid, che è uguale, forse peggio, chiedilo ai latinoamericani, visto che sei capace di dar credito alla più fetecchia delle fetecchie tra le agenzie di penetrazione imperialista USA  E un minimo di memoria storica, di sapienza geopolitica e di occhi aperti sull’offensiva imperialista e neocoloniale contro i popoli con le risorse, contro le grandi nazioni, contro i governi refrattari alla prostituzione della sovranità. Quanto meno, se proprio ami spassionatamente l’Ansa e la CNN, un microscopico dubbio!

 

 

Occhio, Sabina, stai in un giornale di sinistra, un giornale che dovrebbe rappresentare un altro mondo, altre verità. Invece sei uguale a “Libero”, a “Repubblica”, al New York Times”, a Giuliano Ferrara, Gad Lerner e Paolo  Mieli, “first class journalist”, come dice Rina-Fede-Gagliardi. Forse neanche tu sei comunista e quindi, per forza, ti manca la chiave di lettura. E poi stai accanto a chi ci ossessiona e ci intossica un giorno sì e l’altro pure con la trappola neocon-neonazi della “spirale guerra-terrorismo”, ch’hai da fa… Magari se dessi un po’ retta al tuo attuale e mio antico collega Annnibale Paloscia (non per nulla come me di scuola Paese Sera, lo ricordo per irrorarmi un po’ della sua bravura) che dietro alle cortine di fumo dell’Ansa e della CNN ci sa guardare, le fonti alternative le sa trovare, la puttanata, per esempio, dei 300 ceceni a Nassiriya la sa dimostrare falso  alibi dei nostri nuovi carri e elicotteri con cannoni da 120, per spazzare via altro che 300 civili sui ponti…Che tonfo, Sabina! Hai concluso addirittura così: “Inutile aggiungere che abbandonare i profughi del Darfur al loro destino sarebbe semplicemente un crimine”. E allora vai con l’intervento umanitario! Come con i kosovari, vero? Questa l’ha proprio dettata Rumsfeld.

 

Ci sono stato nel Darfur, pochi anni fa, per il TG3, con un eccezionalmente bravo ambasciatore italiano che amava il Sudan forse più del suo stesso paese e ne sapeva grandezze, misteri, pericoli e nemici. C’era già allora la siccità, quella che, tra le altre cose, noi stiamo infliggendo, con i nostri giochetti climatici, a chi non ha i ghiacciai delle Alpi o dei poli alle spalle e i condizionatori alle finestre. Mentre penetravamo dal semideserto in un deserto sempre più deserto, con colonne di lunghi stracci bianchi migranti a piedi verso Est alla ricerca di acqua, l’ambasciatore distribuiva le taniche d’acqua ammonticchiate sul fuoristrada a gente in capanne isolate, gente con bambini o gonfi , o stecchiti al collo, che si doveva piegare controvento per non essere spazzata via dalla bufera di sabbia. E il governo ne aveva già accolto quasi tre milioni (dal Sud – chissà perché venivano tra i tagliagole islamici del Nord? – e dall’Ovest) in campi profughi dentro e attorno a Khartum, sfamati quasi senza aiuti ONU. Quando rientrai mi imbattevo in giornali, come quello di Sabina Morandi, che non parlavano di sciagure naturali, o piuttosto indotte dalle malefatte degli “sviluppati”, ma che parlavano di terribile repressione degli agricoltori dell’Ovest e del Sud del paese, a opera di arabi nomadi istigati dal governo islamico. Non mi restava che digrignare i denti.            

   

Fra poco, vedrete,  ci toccherà solidarizzare con l’Intifada sudanese, e lo faremo, come con quella palestinese e irachena, alla faccia degli sciacalli e dei pappagalli, ma qualcuno parlerà di terroristi integralisti all’interno della “spirale guerra-terrorismo”. Sabina, non ci cascare. Chiedi consiglio a Annibale. Non ne possiamo più di una stampa, presunta alternativa, che si fa trombetta delle patacche imperiali.

 

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