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DONNE IN NERO, ANZI NERISSIMO !
DALLA JUGOSLAVIA
ALL’IRAQ ALLA PALESTINA I PACIFISMI CARI A QUELLI CHE FANNO
LE GUERRE
22/01/2006
Voglio subito fare una premessa
importante. Tra le “Donne in nero”, organizzazione internazionale
di signore per la pace, contro la violenza e per il dialogo (credo
che così più o meno si descrivono) di cui l’europarlamentare Luisa
Morgantini è agguerrita capintesta, ci sono persone che mi sono
amiche, a cui voglio bene e di cui ammiro l’impegno, la tensione
morale, la buonafede, anche se non ne condivido la piattaforma
politico-culturale che, come quella di tutti i pacifisti
non-violenti, spesso ha come risultato più la criminalizzazione
della legittima autodifesa degli aggrediti che il ripensamento
degli aggressori. Detto questo, mi preme evidenziare come, ancora
una volta, tra corpo e testa, per dire persone e bonzi, vi sia
quella disparità di livello umano, etico in particolare, contro
cui nei tempi di borghesia dominante sbattiamo perennemente il
grugno. Basta pensare all’italiano lavoratore e pensatore medio e
poi, guardando in basso, sulla linea del tre palle-un soldo, a
Berlusconi, Fini, D’Alema, Fassino, Rutelli, Mastella, Bertinotti,
Schifani, Andreotti (i due ultimi nomi stanno bene insieme) e
compagnia cantante catto-mafio-massonico-sionista a scendere. O ai
vertici della Chiesa, con i vari papi e cardinali, principi del
più riuscito ricatto morale della storia, sodali dei nazi e dei
loro epigoni in Argentina, Cile, Washington, ovunque e, invece,
guardando in alto, ai preti e fedeli della Teologia della
Liberazione, o a quelli che, violando i precetti spudoratamente
ipocriti e strumentali della non-violenza, benedirono le armi dei
partigiani nelle varie, necessarie e sacrosante guerre di
liberazione. O, visione tanto raccapricciante quanto convincente,
ai notabili di Rifondazione Comunista, in perenne svolazzo
adorante, come putti del Tiepolo, intorno al taumaturgo aureolato,
assiso sulla nube più alta e luminescente e, ai loro piedi, la
turba, vuoi afflitta e recalcitrante, vuoi apecoronata, ma in ogni
caso affogata nel buio del dileggio e della non considerazione,
degli iscritti e militanti. Date un’occhiata alla lista dei
candidati al parlamento scaturita da uno
Shanghai di Fausto e
consorte sora Lella, giocato escludendo rigorosamente tutti i
bastoncini con il cerchietto rosso: dentro lavapiatti, paggi,
cortigiane, neòfiti appagati dallo strapuntino, profeti del
famolo strano, e
voyeurs da Finestra
sul cortile; fuori comunisti e onesti. Il pensiero corre agli
onirici orrori di Hyeronimus Bosch.
E’ da questo affresco di eletti e
dannati che emergono, indimenticabili, signore dalle facce
inesorabilmente grifagne e i corpi (oh “i corpi”! parola che non
cessa di essere incessantemente e voluttuosamente arrotolata nelle
fauci di queste mature teoriche del tardofemminismo da
bombardamento. Freud avrebbe da osservare qualcosa)
inesorabilmente strabordanti, a riflesso di un ego analogamente di
taglia grande. Chissà, forse è per riequilibrare la violenta
radicalità dell’opzione non-violenta che molte di queste dame,
alla prova del confronto dialettico con i non convinti
preferiscono i “corpo-a-corpo” di tipo
wrestling” . Penso ad
alcuni archetipi di queste ginocrate con i cui “corpi”
contundenti ho avuto personalmente a che fare: Imma Barbarossa,
Luisa Morgantini, Elettra Deiana, Rina Gagliardi. Alle quali va
appresso tutto un corteo di pubbliciste androfobe che scrivono con
le zanne. Imma Barbarossa, che ora nella segreteria nazionale del
PRC siede alla sinistra (ci vuole davvero poco) del Signore,
ricordo come mi assalì sul tabloid da retrovie “Liberazione” nel
momento in cui improvvidi compagni mi avevano candidato al Senato
nelle politiche del 2001. Le sue zanne affondarono su un mio
documentario, “Patria Palestina”, criminogeno sia per il titolo “patriarcal-maschilista”,
sia per non aver sparato anatemi contro gli
shahib con i sassi o
anche le armi in pugno e aver dunque fatto machistica propaganda
militarista. Non male azzannare alle spalle un compagno di partito
impegnato nella battaglia elettorale: perfetta scelta di tempo,
Curzi e Bertinocchio patrocinanti. Analogo servizio venne reso
dall’omonima del pulitore etnico svevo, distruttore dei liberi
comuni d’Italia, ma carissimo al papa, che se l’era dovuto appena
vedere con la rivolta popolare di Arnaldo da Brescia, quando in
occasione di un congresso del partito fece circolare un
licantropico libello contro la maggiore corrente di minoranza, in
cui questi “reperti dell’orrido novecento” venivano invitati in
massa a recarsi a quel paese che non c’è. Esemplare conduzione del
confronto dialettico come si conviene tra i trapassati
dall’orrenda dittatura del proletariato all’affettuosa democrazia
borghese, nonché femminista.
Elettra Deiana , lo dice
l’espressione stessa del volitivo cipiglio, non la manda a dire.
Personcina delicata e soprattutto nuovista come esige il suo nume
tutelare, suscitò increspature di stupore in un Comitato Politico
Federale quando decretò che la contraddizione capitale-lavoro, di
fronte a questioni epocali come il conflitto di genere, i diritti
dei gay e il taglio degli alberi, poteva, insieme a tutti i
vetusti circoli di partito che vetustamente vi insistevano,
andarsene al solito paese che non c’è. E qui Elettra mi ricondusse
col pensiero a una memorabile serata in casa di Fausto e Lella, al
termine del primo Gay Pride
nazionale a Roma, quando, con ancora nelle orecchie il fruscìo di
organze e paillettes e negli occhi lubriche calze a rete su irsuti
polpacci, il segretario del Partito nelle cui sedi, a suo
dispetto, ancora occhieggiavano gli augusti profili di Lenin,
Fidel, Engels e Gramsci, si levò dalla tavola e con parole alate
e commosse diede l’annuncio
urbi et orbi: “E’ nato il nuovo soggetto
rivoluzionario!” Tragicamente, dello storico vaticinio non rimase
che un giornaletto di partito metamorfizzato da organo della
classe operaia, dei lavoratori e delle avanguardie rivoluzionarie,
in bollettino di gay, trans, bi, lesbo, scambisti e quant’altro la
fervida fantasia degli ormoni al ballo delle debuttanti si
premurerà di suggerire allo scopritore e conducator di “nuovi
soggetti rivoluzionari”. Comunque l’impegno di Elettra, autentica
forza delle nature, non si limita alla liquidazione dell’arcaica
lotta di classe. Benemerita è la sua accanita battaglia contro la
guerra. Soprattutto perché fondata su basi di ricerca e analisi
davvero inconfutabili. Tornò da una sua prima visita di tre giorni
nell’Iraq di poco prima della guerra e illustrò al volgo ignaro di
un cinema le profonde conoscenze acquisite. Primo: Saddam, il
falso laico, sta islamizzando il paese sprofondandolo
nell’integralismo più oscurantista. Lo dimostra il vertiginoso
aumento delle donne velate. Secondo: Saddam, il tiranno
affamatore, ha messo in piedi un sistema di distribuzione di
viveri alla popolazione sotto embargo per schiacciare
l’opposizione prendendo la gente per la gola, meglio, per la
pancia. Terzo: Saddam, il sanguinario, consegnando le armi a
milioni di iracheni, intende militarizzare e maschilizzare
l’intera società. Reduce da una ventina di frequentazioni, anche
recenti, del paese in questione, volli inserire qualche lieve
modifica del quadro tracciato: l’aumento delle donne con velo era
dovuto all’immigrazione, dopo la prima guerra del Golfo, di un
milione di sciti fuggiti da un Sud annegato nell’uranio e, dunque,
nei tumori; e nel Sud forte è l’influenza di quegli ayatollah
integralisti che oggi, facendo strame e strage degli opposti
all’occupazione, garantiscono a USA e ascari vari la frantumazione
del paese e un relativo controllo almeno sul Sud. Il sistema di
distribuzione statale di viveri a ogni cittadino, giudicato
dall’ONU “il più efficiente e meno corrotto del mondo”, ha
permesso a 25 milioni di iracheni per 13 anni sotto blocco
genocida, di sopravvivere (e per grazia di Saddam prepararsi a una
resistenza che onora e salvaguarda l’umanità). Quanto alla
distribuzione di armi e l’addestramento al combattimento di sei
milioni di iracheni, non è forse il segno del consenso che Stato e
governo godevano, visto che ne basterebbe meno di uno, di milioni,
per rovesciare in poche ore un regime odiato? E non è stata forse
saggia preveggenza, constatato che è grazie a quel provvedimento
che oggi i guerraglobalisti sono impantanati e bloccati dalla
guerriglia irachena e impediti dal saltare addosso a Siria,
Venezuela, Bolivia, Cuba, Iran e a chiunque altro si sottragga al
bracconaggio imperialista?
Non ebbi modo di far giungere a
Deiana queste modeste osservazioni poiché, appena levato il dito a
chiedere la parola, la senatrice e dirigente del mio partito
scattò in piedi, si gettò sulle spalle il mantello e, con le
guardaspalle in gonnella a farle cerchio, saettò con la potenza
megafonica dei suoi polmoni, sulle teste di un centinaio di
sbigottiti convenuti, queste parole: “GRIMALDI, VAI A FARE IN CULO!”.
Non ultimo dei suoi meriti, questo del lessico, che le garantirà
il rinnovo del seggio tra quei commensali che questo linguaggio
praticano. Inevitabile l’accostamento con l’altra,
antropomorficamente non dissimile marescialla della panzerdivision
femminile bertinocchiana. Luisa Morgantini, donna in nero quanto
altre mai e perciò europarlamentare, molto, moltissimo ha fatto
per far emergere al mondo, contro i complotti negazionisti
israeliani e sionisti, la tragedia, la sofferenza, l’ingiustizia
dei palestinesi. Guai a non apprezzarlo senza riserve. Bassam
Saleh, palestinese da anni esule nel nostro paese, all’incontro, a
queste denunce ha offerto un dipiù: ai futili inviti al dialogo
tra le parti, quella occupante e stragista e quella occupata e
resistente, ha riconosciuto anche il diritto di battersi in armi
contro i robocop nucleari israeliani (anatema per Luisa),
permettendosi inoltre di condannare al secchione della storia
varie mediazioni a perdere tra buonisti israeliani e
panciafichisti palestinesi, tipo Accordo di Ginevra (caro a
Luisa), che cancellavano cinque milioni di profughi e
prospettavano una Palestina sovrana meno del Lichtenstein. Di
questi due, Luisa candidata europea per il PRC e Bassam, candidato
dei Comunisti Italiani, tratteggiai un profilo in tali termini in
un mio “Mondocane”. Mal me ne incolse: a un processo di partito
per lesa corifea della non-violenza si aggiunse, in occasione di
un pubblico presidio contro il Muro israeliano in Piazza Venezia,
la tonante obiezione della dialogante Morgantini. Partita alla
carica tra la folla dei manifestanti, giunse a large folate a
pochi metri dal reprobo e, indice atteggiato a Kalachnikov, scosse
gli astanti, i pini dell’aiuola e le giberne dei carabinieri con
l’anatema: “GRIMALDI, SEI UN BUGIARDO, UN OPPORTUNISTA E UNO
STRONZO”. Dopodiché, immagino, ripiegate le falde e riordinate le
corde vocali, tornò a illustrare al mondo le virtù di dialogo,
non-violenza e pace.
Per giungere al finalone, passo
rapidamente a Rina Gagliardi condirettrice del foglio
bertinocchiano. Al momento della mia cacciata da “Liberazione” per
aver scritto da Jugoslavia, Iraq e Cuba cose sconvenienti per chi
stava scalando governi e municipi con bugiardoni e guerrafondai
vari, un Sandro Curzi, direttore sì, ma acciambellatosi sotto il
tavolo, aveva mandato la Rina a reggere l’assalto di diverse
migliaia di compagni insofferenti a tali censure. La
condirettrice, agiografa in prima battuta di Bertinotti e, in
seconda, del compare D’Alema, forse perché entrambi insuperabili
volponi della tattica e bidonisti della strategia, mi onorò di
inquietanti attenzioni quando, come già ricordato, fui radiato da
“Liberazione”. All’alluvione di lettere di protesta che
condivisero, a dispetto dell’antifidelista Bertinotti, la mia
valutazione dei “dissidenti” cubani come provati terroristi al
soldo degli USA, questa nom de
plume del sovrano si rifugiò nell’asserzione che il
sottoscritto, fedifrago, aveva violato la consegna di occuparsi
nella sua rubrica di solo ambiente e poi, in sconsolante
contraddizione con se stessa, di aver deragliato dai binari della
“linea del partito”. Ma Gagliardi sa volare anche più alto dei
corvi e, recentemente, impugnata la spada affilata del
moschettiere del re, si è perigliosamente spinta verso il baratro
dell’autodafé. Assisa sulle spalle di colui che passa
nell’opinione generale come il protagonista più narciso e
autocratico di tutti i boss di partito, del campione assoluto
della sinistra politicista e manovriera, dell’ospite in giuggiole
di tutte le oscenità teleservili nazionali, ha sganciato missili
al cianuro contro coloro che nel partito cugino – parenti serpenti
– hanno deciso di confinare nella panchina del parco, tra i
piccioni, il vecchio padre-padrone Armando Cossutta. E qui la
Rina, corifea del croupier più fico tra i biscazzieri della nostra
classe politica, compie davvero un prodigio di transfert: coloro
che hanno fatto tale torto al leader “carico di storia e di meriti
anitifascisti”, compreso quello di aver chiamato alla testa del
partito nientemeno che Bertinotti (!), sono per la
ghostwriter del
principe “affetti da un virus”. E’ il virus “della commistione
organica tra il far politica e il bisogno di affermarsi
comandando… insomma quella spinta ad imporre la propria
individualità, o a far carriera a spese di qualcun altro, che
sembra una maledizione”. Ma si parla di Marco Rizzo e Diliberto,
gli esecrati congiurati, o si rovescia in strada il peggio di casa
propria? Chi è che parlava del bue che dava del cornuto all’asino?
Per Bertolino, le Iene, Grillo, Vergassola, Guzzanti e Benigni un
copione da primati d’ascolto.
Finisco alla grande. Le conoscete le
varie Monica Lanfranco, Angela Azzaro, Lea Meandri, Lidia Menapace
e ginolatre affiliate, che costituiscono su “Liberazione” e altri
malcapitati organi (non maschili, per carità!) le
sturmtruppen dell’androfobia
e dell’eterosessualità (di cui a momenti iniziamo a vergognarci).
Vi siete rotolati, come in un bagno di fango, nella loro prosa da
delirio fraseologico barocco sopra architetture concettuali di
panna un po’ andata. Nell’era delle Condoleezza Rice, delle
torturatrici di Abu Ghraib, delle Madeleine Albright e Carla del
Ponte, di pezzi di umanità rasi al suolo in Iraq, Palestina,
Afghanistan, in deserti di fame e sete e in precariati a
straffottervi, siete rimasti inchiodati ai vostri sensi di colpa
da una campagna mediatica dal titolo come una mannaia:”Perché i
maschi uccidono le donne?” Ebbene, assistete ora al salto nella
politica internazionale, nientemeno che dal trampolino Nato, della
più ineffabile di loro. Pensavate che i depistaggi di genere,
operati rispetto a questioni che coinvolgono la sopravvivenza
dell’umanità intera – guerre, terrorismi di Stato travestiti da
islamici, imperialismo, esaurimento delle risorse e sfascio del
pianeta, cancro da chimica, accumulazione di ricchezze da rapina,
armi di sterminio di massa stupefacenti compresi, fascistizzazione
galoppante – fossero una seccatura comunque tollerabile dato che
perlomeno erano finalizzati a promuovere diritti individuali e
civili disconosciuti? Che si trattasse di un semplice squilibrio
di prospettive e priorità? No, amici, qui si va direttamente
nella complicità con l’imperialismo e ci rimane poco da
ironizzare. Monica Lanfranco, sotto un titolo virgolettato che
proclama “Lesbiche e gay necessari per l’integrazione europea”, si
occupa di Jugoslavia e di Slobodan Milosevic.
Una premessa, un ricordo. Era il
maggio 1999 e sulla Serbia, Kosovo da liberare compreso,
grandinavano bombe mirate a ospedali, scuole, ponti, case,
fattorie, donne e bambini, vecchi, mucche, uccelli, cani
(pigiavano il pulsante la signora Albright con il servitore al
pezzo D’Alema). Mi incontrai in una sala pubblica dei sindacati,
nel centro di Belgrado, con una ventina di membri
dell’opposizione, Donne in nero in testa. Tutti questi democratici
della “società civile” (sostituto novista della classe dei
lavoratori, e, ancor più, dei partigiani in lotta per libertà e
giustizia) si risentivano alquanto dei missili
italo-anglo-franco-germanico-americani perché a volte passavano
rasenti alle loro civili persone, ma aspettavano con ansia
l’arrivo del libero mercato, la fine di quel tanto di socialismo
che una Jugoslavia contaminata dalle ricette del Fondo Monetario
Internazionale aveva salvato, attribuivano a Milosevic tutte le
nefandezze dell’immaginario di una borghesia frustrata nella sua
avidità, rendevano grazie a un loro benefattore: George Soros, il
brigante della speculazione finanziaria agli ordine delle elites,
incaricato di distruggere sovranità e far avanzare il rullo
compressore del capitalismo mafio-massonico-sionista. Prime tra
tutti, le Donne in Nero di cui, più tardi, Luisa Morgantini, a
Jugoslavia sbranata e divorata e delinquenti neonazi insediati in
Serbia, Croazia, Bosnia e Kosovo, capeggiò in Montenegro
nientemeno che un “Convegno di Donne in Nero contro il fascismo
serbo”.
Degna emula, Monica Lanfranco,
all’ombra di quel titolo mimetico su “gay e lesbiche fondamentali
per l’integrazione europea”, si avventa con i soliti artigli su
serbi e Milosevic. Su una Serbia dove non è che si tratta
dell’immane tragedia di un popolo devastato, colonizzato da
vampiri multinazionali, soggiogato, privato di sovranità, dignità,
lavoro, futuro, ma della “necessità di inquadrare le lotte per il
raggiungimento dell’eguaglianza delle identità sessuali nel
contesto generale della delicata (sic!) situazione politica del
paese”. Ed ecco una citazione dal documento delle Donne in Nero
che, non paghe dei precedenti ludibri belgradesi e montenegrine,
a fine anno hanno tenuto un incontro internazionale a Belgrado:
“Esprimiamo la nostra solidarietà con tutte/i le/i militanti di
questo movimento che durante e dopo il regime (sic) di Milosevic
ha contribuito allo sviluppo della società civile, la promozione
dei valori democratici e che continuamente ha resistito contro la
guerra, la militarizzazione (?), il nazionalismo (sic), il
fascismo (ancora!) e il patriarcato. Dal 1991, le lesbiche e i gay
hanno dimostrato in diversi modi la loro solidarietà con tutte le
vittime del dittatore (sic), trasformando la loro esperienza
quotidiana di oppressione in azioni di attività creativa.
Tuttavia, anche oggi, dopo che si è stabilito un governo
democratico(sic) in Serbia…” Del postribolo immondo in cui i
tagliagole UCK e Nato hanno ridotto il Kosovo, privato di 300.000
serbi, 200.000 rom, 100.000 goranci, ebrei e altri, tra massacrati
e cacciati (e ci raccontavano che su 1 milione 800mila kosovari il
90% erano albanesi!) non una parola, neanche fossero tutti
eterosessuali. Boia e affossatori della Jugoslavia pensano di
scolpire il volto della Lanfranco sulla montagna uranizzata sopra
Belgrado.
Compagni, questo sconcio va avanti
per sei colonne e, a parte essersi guadagnata l’autrice un sospiro
di sollievo e magari riconoscimenti concreti da colui, Massimo D’Alema,
che i serbi dalle loro tombe ringraziano per avergli evitato di
finire come “volgo disperso che nome non ha” sotto i talloni dei
vendicatori della sconfitta nazista nei Balcani, non fa che
scimmiottare nel piccolo balcanico l’esaltazione imperialista di
un’Oriana Fallaci di portata planetaria. Il “dittatore” langue in
condizioni di salute precarie nel carcere di Scheveningen, alla
mercè di sicari giuridici assoldati dai serial killer USA. Il
governo “democratico” plasmato dalla Nato, attingendo alla
criminalità organizzata serba, svende il paese a fette e ha fatto
fuori i diritti umani della collettività e degli individui,
dall’istruzione alla sanità, dal lavoro alla dignità, dalla casa
alla salvaguardia di un milione di espulsi dalle loro terre. In
Serbia qualcuno ricorda come il “dittatore”, accettando vittorie
municipali e regionali di oppositori, sopportando un sistema
mediatico al 90% in mano a padroni prezzolati dall’esterno e
difendendo con il pluralismo etnico-religioso la Jugoslavia contro
i nazionalismi razzisti alimentati da quisling fascisti nelle
repubbliche mercenarie, fosse stato uno dei governanti più
coraggiosi, progressisti, antimperialisti, antichauvinisti e
democratici d’Europa. E che per questo andasse rimosso. Onde, in
risposta a una pulizia etnica attribuita ai serbi ma inventata (e
ormai universalmente smentita), si potesse procedere nel mondo a
quello sfoltimento di presenze libere e giuste che Nato e briganti
UCK con il supporto di Al Qaida-Cia inaugurarono in Kosovo e che
oggi si sta tentando in Iraq, Afghanistan, dappertutto. Anche con
il conforto di certe nerissime Donne in nero.
Alle donne, ai gay, a tutti coloro
che si vedono utilizzati come gradini della scala gerarchica
ascesa da queste “sostenitrici”, va ricordato: occhio a chi vi
parla di Serbi e Milosevic, di Iraq e terrorismo, di democrazia e
non-violenza. E’ gente che spesso cuce guanti di velluto per gli
artigli dei violenti. E’ lì che casca l’asino. E anche la donna in
nero. Baciando la mano e fornendo una cartina di tornasole a chi
di loro non avesse capito.
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