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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

IL GIOCO DI MOQTADA. AL SADR, DEI SUOI AMICI. IRANIANI, TRA USA, ISRAELE, TEHRAN ED EUROPA.

Intanto in Sudan e in Siria…

 

 

08/03/2006

 

Dopo aver consumato e poi smarrito nei meandri dell’irrilevante alcuni finti rappresentanti della Resistenza Irachena (perlopiù vecchi arnesi dell’esilio antinazionale, foraggiato dalla Cia), Il Campo Antimperialista-Comitati Iraq Libero prova a tornare alla ribalta mediatica, l’unica che gli da un minimo di consistenza reale, lanciando nella mischia tale Jabbar Al Kubaysi che vorrebbe far parlare in occasione della manifestazione contro la guerra del 18 marzo, in Piazza Venezia a Roma. A tale scopo, evidentemente giocando sull’inettitudine e ambiguità politica della componente “istituzionale” nell’organizzazione dell’evento (CGIL, Arci, Tavola della Pace, Un Ponte per…, pacifisti vari), il gruppetto ex-trotzkista e ora post-classista  di Perugia, invita “gli antimperialisti” a schierarsi compatti davanti alla cassetta della frutta su cui Al Kubaysi dovrebbe ergersi. Naturalmente è fuori questione che questo personaggio parli. Trattasi del sedicente leader di una Alleanza Patriota Irachena che, pur non esistendo sul terreno della lotta di liberazione irachena, è a forza di comunicati riuscita ad accreditarsi, grazie a dabbenaggine e mancanza di informazioni, presso alcuni settori della critica all’occupazione. Dagli analisti più avveduti è stata presto smascherata come il tentativo di creare in laboratorio un interlocutore iracheno, verbalmente antiamericano, dotato però di disponibilità a ogni mediazione, per il futuro reingresso in Iraq di Stati imperialisti europei, una volta che la sconfitta anglo-americana richieda il soccorso di questi alleati.

 

E’ opportuno che i pochi che ancora sono tentati di concedere una qualche credibilità a questo Campo, passato per più guardaroba dello stesso Bertinotti, si chiariscano le idee sulla nuova star, non tanto del vociferante ma scarsamente incisivo Campo, quanto di un’operazione mimetica abbastanza sofisticata che rischia, come è sua intenzione, di confondere le idee ai sostenitori della Resistenza e, peggio, a sottrarre a questa il risultato politico della sua vincente lotta armata.

Al Kubaysi, ricordate, fu la sponda giordano-irachena di un tentativo promozionale del Campo al tempo del sequestro dei mercenari e delle cooperanti  del nostro paese. Pretese addirittura un ruolo di mediatore e si prestò all’umiliante farsa di una telefonata tra lui ad Amman e il leader del Campo a San Pietro (!), nel corso di una manifestazione pro-rapiti, miracolosamente nello stesso istante in cui le telecamere della RAI erano accese sul baffuto perugino. Dalla telefonata il Campo trasse il messaggio che, se solo la Francesina avesse mandato giù tre “pacifisti”, il dramma si sarebbe avviato a soluzione. Più tardi al Kubaysi, anche lui un reduce di lunga lena dall’esilio, totalmente avulso dalle questioni irachene, fu incarcerato dagli statunitensi, probabilmente perché con quelle millanterie era comunque entrato nel mirino. Liberato, diversamente dagli autentici dirigenti dell’opposizione, è tornato pimpante sulla scena autorizzato, a suo dire, dagli americani  “a dire tutto quello che voleva contro l’occupazione”(sic).

 

AL KUBAYSI, AL SADR E IL GROVIGLIO IRAN-ISRAELE-USA

Quello che conta oggi di questa ambigua figura è che si tratta di sostenitore di Moqtada al Sadr e che, quindi, di costui condivide il progetto fondamentalista scita-iraniano. Essendo Moqtada poi sostenitore di Ahmed Chalabi, Al Kubaysi implicitamente fa parte della stessa cosca. Sappiamo che Ahmed Chalabi, già capo della principale organizzazione di espatriati messa in piedi dalla Cia negli anni’80, tornò in Iraq sulla canna dei cannoni statunitensi. L’ultima traccia lasciata nel paese era stata una serie di massacri in autobus e cinema provocati dalle sue bombe nei primi anni ’90. Intimo anche del regime iraniano e di quello sionista, Chalabi, barcamenandosi con alterne fortune tra le sue tre o quattro parti in commedia, aveva mancato l’obiettivo della presidenza del consiglio, ma aveva ottenuto un posto forse ancora più rilevante (specialmente per uno che come lui è pratico di  rapine, condannato come fu, per bancarotta fraudolenta e truffa, a vent’anni in Giordania): quello di ras del petrolio.

 

A seguito della crisi innescata dalla distruzione della moschea scita di Samarra si era scatenata, non tanto la guerra civile da sempre auspicata dagli occupanti e pompata dai media asserviti, quanto un’autentica caccia al sunnita, condotta d’intesa dagli squadroni della morte dello Sciri e del partito Dawa (le formazioni facenti capo ai vicari americo-iraniani in Iraq, Al Sistani, ayatollah e Al Jaafari, premier-fantoccio) e dal cosiddetto Esercito del Mahdi di Moqtada. Con alle spalle lo stillicidio di esponenti sunniti fatti fuori, soprattutto intellettuali, tramite esecuzioni sommarie operate dalle bande del Ministero degli Interni, si massacrarono oltre 1300 sunniti e si distrussero decine di moschee. L’auspicata guerra civile che avrebbe portato alla spartizione del paese tra curdi, sciti e sunniti, sotto il congiunto controllo israelo-statunitense-iraniano, non si verificò. I suoi fautori, probabili attentatori di Samarra, magari con l’ineguagliata partecipazione tecnologica del Mossad, dovettero rimettersi al tavolo da disegno. In ballo, però, c’era una questione preliminare: chi avrebbe gestito la prossima fase tra due coalizioni che si erano andando formando ed opponendo: il blocco scita, ormai omogeneo e a telecomando iraniano, da Al Sistani a Al Jaafari, da Al Hakim a Moqtada al Sadr, e un blocco di nuova costituzione, al momento favorito dagli USA, composto da curdi, sunniti moderati disposti al dialogo e l’ex-premier-fantoccio Allawi, blocco contrario all’ipotesi integralista scita del califfato ad egemonia iraniana e che occhieggia verso l’Europa. Entrambi ovviamente impegnati in primis a togliere il primato dell’opposizione nazionale e laica alle formazioni egemoni nella Resistenza (composta secondo analisti militari USA per la stragrande maggioranza da forze dell’esercito di Saddam, militanti del Baath, milizie fedayin, brigate tribali, per una cifra oscillante tra 200mila e 400mila). E su questo si potrebbero leggere, volendo, i ricorrenti  comunicati ufficiali della direzione clandestina del Partito Baath la quale, ribadendo la sua strategia di cacciata dell’occupante e di rifiuto di qualsiasi compromesso, ancorché definito “riconciliazione nazionale”, non cessa di denunciare e smascherare questi tentativi di sabotaggio. Ovviamente i media trombettieri in Occidente si adoperano per mescolare tutto e annegare nel generale, indistinto carnaio iracheno, le 80-100 operazioni al giorno della Resistenza contro occupanti e fantocci (quest’ultimi indicati dal Baath come priorità della fase). Se ne vuole trarre la sensazione che l’Iraq  è percorso da bande di psicopatici che, se gli occupanti se ne andassero, sprofonderebbero il paese in un’apocalisse. Gli eccidi settari di Moqtada, dei partiti sciti e degli squadroni della morte del Ministero scita degli interni, sono gli strumenti che si offrono a tale rappresentazione.

 

Dunque i nuovi complici Ahmed Chalabi e Al Sadr, conclusa la mattanza dopo il convenientissimo attentato di Samarra, si sono riuniti con i vertici della gerarchia scita a Najaf  e, al termine, hanno sancito l’alleanza con dichiarazioni come: “Tutti gli ostacoli per formare un governo di unità nazionale saranno presto superati”. Aggiungendo che Al Jaafari sarebbe stato il candidato ideale per presiedere tale governo. “E’ nell’interesse di tutte le parti che l’Alleanza scita rimanga potente e unita”, concludeva il vecchio terrorista e ladrone Chalabi. Il patto tra Al Sadr, presunto “nazionalista” e presunta “opzione civile” dell’antioccupazione, e il triplo agente israelo-statunitense-iraniano era siglato. Ai civili sunniti era costato qualche migliaio di morti. Agli stessi credenti sciti la perdita del quarto luogo sacro della loro fede. Di Al Jafaari aveva rafforzato la posizione contrattuale nei confronti del presidente Talabani.

 

Ma quali erano questi ostacoli alla formazione del governo, tuttora in continuo rinvio? Il presidente curdo Jalal Talabani, spalleggiato dall’altro boss mafioso curdo, Massud Barzani,  briga perché lo scita filo-iraniano non torni a essere primo ministro e a portare avanti il discorso di un Iraq oscurantista, impresentabile all’opinione pubblica occidentale, in larga parte soggetto ai preti di Tehran. Non ha neppure gradito la visita di Al Jaafari in Turchia, dove si teme come il colera la costituzione di uno Stato curdo in Iraq e dove si è probabilmente vagheggiata una manovra a tenaglia turco-scita contro i curdi e contro la manomissione che questi programmano sul petrolio di Kirkuk, foriero di potenza economico-politica sia dei curdi, sia dei loro padrini israeliani. Con il botto della cupola d’oro di Samarra, il blocco scita-iraniano di Moqtada-Chalabi-Jaafari potrebbe aver voluto mandare un segnale di rara ferocia a chi gli metteva i bastoni tra i piedi.

 

UNA GUERRA USA-IRAN O UN’INTESA ANTIARABA?

Sullo sfondo di tutto questo c’è la crisi Iran-Occidente, con un assordante sbattere di sciabole soprattutto da parte di Washington. Su questa, che pare un’autentica messa in scena per distrarre da altre operazioni semisotterraneamente in corso, ha detto parole sagge uno dei più acuti commentatori: Immanuel  Wallerstein (Liberazione, 7/3/07/: “Dovremmo preoccuparci di un’ invasione dell’Iran da parte degli Stati Uniti, o di un attacco israeliano? In realtà no, perché gli USA adesso non hanno la forza militare per impegnarsi in un simile attacco, e perché Israele non può farlo da solo. Così molto rumore per nulla…”  Wallerstein parla di isterismo a proposito della psicosi di guerra, ma trascura di parlare, oltrechè del pericolo che per Israele costituirebbe una possibilissima rappresaglia iraniana e della necessità che hanno gli USA di garantirsi, con gli sciti iracheni, l’appoggio iraniano alla loro occupazione, di un dato geopolitico che la storia ha confermato e continua a riproporre. Sarebbe consigliabile che molti compagni, prima di entusiasmarsi per la “militanza antimperialista” di Tehran, prendessero leninisticamente in considerazione contraddizioni e confluenze. La contraddizione è evidente: l’Iran, Israele e gli USA si contendono tutti e tre l’egemonia regionale e il controllo delle rotte strategiche, militari, economiche, della droga, rotte che si spingono fino in Afghanistan e oltre. Questa contraddizione potrà un giorno esplodere in un conflitto, ma per ore è frenata da prioritarie confluenze geostrategiche. La prima preoccupazione di Tehran, Israele e USA, e quindi dei loro ascari in Iraq (Al Sadr, Chalabi, Al Jaafari, Talabani e co.) è di soffocare, con genocidi e progetti di Grande Medio Oriente, la rinascita del nazionalismo panarabo come è latente nelle masse dal Marocco al Golfo e come è oggi attualizzato dal formidabile ruolo assunto dalla Resistenza armata irachena, perlopiù guidata da un partito che mantiene l’unificazione araba e l’antimperialismo laico al primo posto del proprio programma politico.

 

Quando Israele e gli USA ci provarono con Saddam.

L’oleodotto Kirkuk-Haifa e, sullo sfondo, le guerre reali contro Siria e Sudan

Come Israele e USA collaborarono con l’Iran nell’aggressione all’Iraq (poi dalla propaganda occidentale rovesciata nel suo contrario) attraverso decisive forniture di armi, istruttori e fondi (Iran-Contras), così oggi si persegue lo stesso obiettivo con le varie articolazioni (dialogo, eccidi, terrorismo) della battaglia contro la Resistenza irachena. Lo scontro tra le varie fazioni in campo tra i due fiumi è uno scontro per il primato in una strategia che ha lo stesso fine antinazionale e nel quale USA e Israele cambiano via via i patrocini con il classico intento di non far emergere una forza dotata di eccessiva autonomia. Nell’attuale contesa per il premierato fantoccio si intravede un’ulteriore ragione per lo spostamento di statunitensi e israeliani verso le ambizioni di curdi e laici. Il Curdistan iracheno trabocca di agenti israeliani. Parecchi di questi si trovavano a bordo dell’elicottero tedesco precipitato sul confine con l’Iran un mese fa. Sponsor tradizionali dei secessionisti e narcotrafficanti Barzani e Talabani, gli israeliani hanno un interesse particolare per sostenere le rivendicazioni curde, sia di indipendenza, sia sul petrolio di Kirkuk. Da anni addestrano e armano le bande di peshmerga curdi impegnate nella pulizia etnica antiaraba e antiturcomanna a Kirkuk, Mosul e in tutto il nord. A parte l’interesse allo spezzettamento dell’Iraq, massimo nemico storico, Israele tiene in modo particolarissimo all’oleodotto Kirkuk-Haifa, autentico cordone ombelicale energetico da riattivare (e che, per inciso, comporta, per il suo passaggio attraverso la Siria, il cambio di regime a Damasco che, attraverso le manovre terroristiche e “arcobaleno” in Libano, si sta perseguendo). Agli stereotipisti del famigerato e strumentale “Saddam, uomo degli americani”, che sventolano sbavando la foto dell’incontro a Bagdad tra Rumsfeld e il presidente iracheno, a prova di una giravolta che avrebbe fatto di Saddam, da nemico principale, l’alleato in M.O. dei nuovi colonialisti, sono evidentemente sfuggiti i resoconti di quell’incontro. Tema unico del dialogo fu la pressante richiesta di Rumsfeld di consentire alla riattivazione della pipeline tra Kirkuk e Haifa. In cambio gli USA sarebbero stati meno sbilanciati verso l’Iran nella guerra in corso, magari fornendo indicazioni satellitari sui movimenti dei persiani. Come in un’occasione precedente, Saddam rifiutò e Rumsfeld e Israele ovviamente gliela giurarono una volta di più.  Non sono nuovi, quelli del Mossad, agli attentati contro templi: fecero saltare sinaghoghe in Iraq allo scopo di convincere gli ebrei là residenti in pace da secoli a emigrare  in Israele, ne hanno fatte saltare altre a Istambul, travestiti da Al Qa’ida, per punire i turchi della loro freddezza nei confronti dell’assalto all’Iraq. Sai quanti scrupoli avrebbero a far saltare moschee, specie quella di Samarra, dopo aver trasformato in bettole o hotel le moschee palestinesi e laddove la guerra civile e la spartizione sono appetiti da tutti gli sciacalli sul posto, anche se in competizione fra di loro.

 

Tornando ai clamori di guerra contro l ‘Iran, che siano fuoriluogo o, quanto meno, prematuri, lo dovrebbero far sospettare le manovre che si intravedono dietro le quinte e che fanno pensare piuttosto ad aggressioni imminenti nei confronti di due altri paesi, guardacaso arabi e non colonizzati: Sudan e Siria. Dopo i continui incitamenti di Colin Powell, di Condoleezza Rice, dello stesso Bush, controfirmati regolarmente dal notaio Kofi Annan e sciaguratamente agevolati da gran parte di un mondo pacifista e di sinistra obnubilato dalle balle umanitarie sul Sudan, è stato ora il Senato USA a votare all’unanimità la richiesta al presidente di intraprendere un’azione rapida ed efficace nei confronti del Sudan. Il pretesto è notoriamente, la megatruffa dell’ennesimo “intervento umanitario” in Darfur, dove è in atto una destabilizzazione secessionista portata avanti da mercenari dell’imperialismo, pari a quelli attivi in Iraq. Alla bisogna Washington ha chiamato ripetutamente la Nato e, vista la complicità di Germania e Francia nell’assalto alle nuove ricchezze petrolifere sudanesi e nella disintegrazione ancora di un altro grande Stato arabo, è molto probabile che in tempi rapidi si arrivi all’irachizzazione anche del Sudan. Non sarà Massimo D’Alema, nel futuro governo, ad obiettare, visto il suo titolo d’onore di mallevadore della Nato d’attacco e dello squartamento della Jugoslavia.

Va citato a questo proposito, in tutto il suo carattere fiancheggiatore, il solito “Liberazione”, gazzetta del partitinocrate Bertinotti, specializzata nello spostare l’accento dalla lotta di classe al culto della differenza di genere e di sesso e nel collateralismo con l’imperialismo in campo internazionale. Si veda il paginone dell’8 marzo in cui nell’articolo sul Darfur  si sciaborda nella risacca di tutte le invenzioni granguignolesche del Pentagono sul Darfur e si arriva, con impeto guerresco, a chiudere la sequenza di invocazioni statunitensi all’intervento con questo lamento pacifista: “Nessuno riesce ancora (sic) a colpire “diritto al cuore”(sic) questo regime”. Impazienza dei non violenti di menar le mani insieme ai lanzichenecchi della guerra globale.

 

L’ingestibile lenzuolo è poi imbrattato da un secondo sfogo delatorio, questa volta sui serbi e sull’ ex-presidente della Repubblica serba di Krajina, Milan Babic, ennesimo sucidato nella prigione olandese di Carla del Ponte, il quale, difensore del territorio serbo dal genocidio operato su di esso dalla Croazia, di novella indipendenza per grazie vaticana e germanica, tento di salvare vita e futuro della sua popolazione costituendola in repubblica a sua volta indipendente, ma dall’articolista definita “artificiale”. Coerentemente con l’ininterrotta crescita delle vittime della falsa “strage di Sebrenica”, da 5 a 6 a 8 a 10mila, i 300.000 profughi serbi della Kraijna contati dall’ONU vengono immiseriti a 30.000…

 

Quanto alla Siria, il commissario che, per un minimo di apparente decenza, ha dovuto sostituire l’infiltrato Cia Detmer Mehlis a capo della commissione d’indagine ONU sull’assassinio del premier libanese Hariri, ha rinnovato i fasti collaborazionisti del predecessore chiedendo l’arresto di tre alti ufficiali siriani. Così si insiste su una del tutto irreale partecipazione siriana ad un assassinio che ha favorito alla grande Israele, l’imperialismo e i suoi alleati fascisti interni, si cerca di rilanciare quella “rivoluzione dei cedri” che fortunatamente ha avuto per ora esiti meno nefasti di quelli di Serbia, Ucraina e Georgia, e si prepara l’attacco alla Siria o quanto altro occorra per il sopra menzionato cambio di regime. Truppe USA hanno già violato ripetutamente il confine con l’Iraq. I caccia israeliani hanno già rotto il tabù della guerra d’aggressione bombardando dalle parti di Damasco. Altro che Iran. L’Iran potrà anche entrare in ballo un giorno, ma per ora serve la sua complicità antiaraba e prima ci sono altre urgenze, alla faccia dell’isterismo nucleare occidentale. Eppoi, più si schiamazza attorno agli integralisti iraniani e meno si parla degli abomini imperialisti in giro per il mondo.  Per fissare l’albero, in tanti non vedono il bosco.

 

 

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