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UN POMERIGGIO CON
MOHAMMED HASSAN
L’Iraq: eroi, verità,
falsi amici, rinnegati e bernardini
04/04/2005
Emergiamo dall’osceno tsunami necrofilo
e algofilo (papa, Terry Schiavo, Ingrao. l’operettista amico degli
amici Ranieri) con cui i poteri che sono hanno voluto farci spiaggiare
nei deserti dell’irrazionalità e della venerazione del nemico
(oppressione, sofferenza, morte e, peggio di tutto, reazione ed
adeguamento), oscurando la realtà che ci concerne sul serio, a
incominciare dallo sterminio imperialista dei popoli e dal
bertinottismo non violento e compatibile che li/ci pugnala alle
spalle. Ne emergiamo, ripescati alla luce della ragione e delle cose
non mistificate, da una provvida, nel suo contesto addirittura
clamorosamente temeraria, iniziativa di un Circolo di Rifondazione
Comunista a Roma. Circolo dissidente e perciò vivo. Lì si è parlato di
Iraq e di Cuba e si sono fatte digressioni sul Venezuela di Chavez:
come dire il tridente con cui l’umanità sta affrontando con fiducia,
ottimismo e canti il mostro capitalista nella sua senile fase
imperialista. Negli stessi frangenti temporali, ci è piovuto addosso
un fiotto incontrollato, gelatinoso nel suo vacillare, di un vindice
dell’intesa antiamericana tra peripatetici comunisti e stabilissimi
nazisti: Aldo Bernardini, illustre epistemologo del diritto
internazionale, volenteroso frullatore di ossimori e aporie. Uno che
da autentico e inflessibile rivoluzionario, non disdegna nei confronti
di compagni la minaccia (solo la minaccia, chè non ce n’è per nessuno)
dell’odiata giustizia della borghesia (certi re si denudano da soli…)
Infine, sul noto foglio fiancheggiatore delle destabilizzazioni
imperialiste dalla Jugoslavia all’Ucraina, dalla Georgia al Libano,
dallo Zimbabwe al Darfur, “Liberazione”, un altro reduce da
saltabecchi a uso e consumo della propria confusione e, peggio, del
proprio opportunismo, ci elargisce la versione sua, sandrocurziana,
dell’interpretazione di Saddam Hussein proposta in bella consonanza da
Brezhnev e da Reagan+Bush+Bush e ripresa a occhi chiusi e cervello
narcotizzato da una totalità di sicofanti di destra e di “sinistra”.
Qui si parla di queste cose.
Al Circolo Camilla Severa di Monteverde,
a Roma, isola nel PRC tradito e umiliato, con ancora in piedi alcuni
frangiflutti contro il maremoto liquidazionista del segretario
nazionale rinnegato, mi ha fatto sorridere la scoperta che sia stato
rimosso un responsabile di circolo, un buttafuori più che altro, che a
quell’aggettivo, rinnegato, con assoluta pertinenza scientifica e
rigorosa documentazione fattuale da me applicato al Bertinotti
anticomunista, in piena sintonia con quanto più sommessamente vanno
dicendo base e opposizioni tutte, mi abbia aggredito, ingiuriato e
tentato, appunto, di buttar fuori. Risplendendo così di energumenica
lealtà davanti a qualche scranno di gerarca. In sua assenza,
conseguentemente, hanno potuto esprimere analoga valutazione, alla
mano più che di definizioni del soggetto, della prova dei
collateralismi imperialisti suoi e dei par suoi, due assai più
autorevoli esponenti del pensiero corretto e dell’informazione vera.
Luis Suàrez Salazar, fecondo scrittore cubano, autore anche di un
istruttivo, irrinunciabile, compendio illustrato e documentato di
“Mezzo secolo di crimini e impunità in America Latina e Carabi” (Zambon
Editore) da parte di USA e vassalli assortiti, utilissimo strumento
per illuminare le nefandezze dell’oggi e, soprattutto, la mmoria
dell’antico e sempre riproposto gioco delle provocazioni terroristiche
a fini di aggressione; e, appunto, Mohammed Hassan, già esponente del
governo rivoluzionario etiopico, diplomatico, oggi docente
all’Università di Bruxelles, comunista, uno dei più autorevoli e
rispettati analisti del mondo arabo, del Medio Oriente, delle
aggressioni imperialiste e israeliane, della resistenza dei popoli. Il
testo da lui presentato riempiva un vuoto lamentevolmente vasto e di
incancrenita durata: “Iraq, la Resistenza faccia a faccia con il
nemico occupante”, pure edito da Zambon. E plausi grati vanno
all’editore Zambon e ai compagni del partito che hanno avuto
l’intelligenza e il coraggio di allestire un incontro del tipo di
quelli che solitamente riservato alle nicchie dell’antimperialismo
ortodosso. Incontro da consacrare al merito della lacerazione di
menzogne e diffamazioni, degno di un pubblico di ben altra
consistenza numerica e che finalmente ha saputo riempire le lacune e
correggere le distorsioni artatamente confezionate, non tanto dal
nemico imperialista e dai suoi corifei, chè è mestiere loro, ma dai a
costoro subalterni “sinistri”, affetti da bulimia di sottopotere e per
questo disposti a vendersi anche il cadavere della mamma (chiunque li
abbia partoriti). Contemporaneamente è stata spazzata via anche la
mistificazione di quella combutta rossobruna, di cui Bernardini Aldo,
esimio accademico e autodefinito intellettuale, anche nell’ultimo
scritto (lo vedremo più avanti) rivendica l’opportunità “tattica” e la
fondatezza ideologica (!). Gruppuscolo esperto da anni in
travestimenti con scampoli storici vari, imperialisti e neonazisti,
miloseviciani e antimiloseviciani, eurasiatici e nazionalbolscevici,
identitari e comunitaristi, e che millantava falsa e grottescamente
contradditoria rappresentanza di una resistenza irachena inventata in
trent’anni di esilio, mistificata, un po’ a dominio baathista, un po’
islamica e, per il loro cappellano militare, l’operativo
franco-vaticano Padre Benjamin, amerikanamente sotto totale controllo
di Abu Musab Al Zarkawi, l’alter Bin Laden creato, insieme ai più
concreti sequestri di giornalisti e volontari, a scopo di
criminalizzazione dei partigiani iracheni. Ebbene, nel pomeriggio al
Circolo Camilla Ravera tutto questo è stato sistemato.
Trascuro, per la priorità dovuta
congiunturalmente a una verità ancora più compromessa di quella
relativa a Cuba e a Fidel, l’illustrazione che Luis Salazar ha fatto
di cinquant’anni di terrorismo USA nel continente e di come quella
sistematica politica di assoggettamento e annientamento non abbia
manifestazioni occasionali, ma connoti di sé la linea dei governi
statunitensi dalla nascita dell’Unione e prosegua, intensificata e
ulteriormente brutalizzata, oggi. E anche la descrizione da lui fatta
delle possenti forze che nei Caraibi e in Latinoamerica stanno
fornendo all’umanità la speranza di un vasto fronte antimperialista,
non più genericamente no-global, correttivo blandamente pacifista
degli ultrà con le zanne a croce uncinata di Washington e Tel Aviv,
senza attenzione a sistemi e meccanismi che necessitano di guerra. Un
fronte che ha oggi la sua punta avanzata nel Cono Sud del Venezuela
bolivariano di Hugo Chavez, non per nulla nel mirino dei tiratori
scelti e dei terroristi Cia. Il tributo reso dal compagno Salazar alla
resistenza irachena, vera trincea avanzata dell’umanità oppressa e
aggredita e che agli altri obiettivi statunitensi e sionisti dà il
prezioso respiro - e l’esempio - per attrezzarsi alla resistenza e
alla controffensiva, ha introdotto gli elementi conoscitivi, tanto
pervicacemente negati, quando non deformati dalla nostra “sinistra” ,
di Mohammed Hassan sull’Iraq di oggi e di ieri. Una conoscenza che si
deve definire una rettifica a 180 gradi di quanto di tossico e
subalterno, a seconda delle fonti, viene oggi somministrato a un
pubblico da lobotomizzare e soprattutto da confondere circa i suoi
amici veri e i suoi nemici veri.
Lo studioso etiope ha intanto fornito un
quadro dettagliato sia della composizione , sia del programma
(formulato dalle rappresentanze congiunte della Resistenza a Beirut,
ma totalmente ignorato dagli struzzi che ripetono “la resistenza
irachena non ci parla”, “la resistenza irachena è terrorista”) dello
schieramento nazionale anti-occupazione. Sottolineando che, ancora una
volta, come all’epoca delle decolonizzazione, ci si trova di fronte
alla necessità primordiale di una
rivoluzione nazionale democratica per
l’indipendenza nazionale e la sovranità, Hassan ha elencato come
componenti maggioritarie della resistenza armata i militanti del
partito Baath, socialista arabo, vera spina dorsale di tutto
l’apparato militare e, insieme, del suo supporto logistico, e i
giovani ufficiali dell’esercito iracheno, ambedue forze che, come
risulta dall’evidenza dei fatti, ma anche dalla documentazione fornita
addirittura da ispettori dell’ONU, erano state preparate alla guerra
di lunga durata contro l’occupante anni prima dell’invasione. Non per
nulla Saddam Hussein, accolto allora da ottuso scherno, aveva parlato
della prima guerra del Golfo come della “madre di tutte le battaglie”.
Definizione rivelatasi, se è vero che tra partigiani iracheni e
terroristi imperialisti si gioca il destino dell’umanità, come il
prodotto di un’intelligenza politica un bel po’ più acuta e
lungimirante di quella dei Wolfowitz e dei Rumsfeld e della guerra da
vincere in venti giorni e al costo di venti miliardi di dollari.
Al partito Baath e ai quadri delle forze
armate, con il loro dispositivo militare e la preparazione personale
predisposti da lungo termine in tutto il paese, con un’intelligence
che li ha resi capaci di valutare il comportamento di quasi ogni
cittadino iracheno e di infiltrarsi costantemente nelle strutture più
sensibili del potere fantoccio (diventato per il bertinottiano
“Liberazione” “governo”, “premier”, “ministro”, “assemblea”,
“polizia”, “esercito”, senza se e senza ma, tantopiù senza
“fantoccio”, “provvisorio”, “quisling”), si sono aggiunti i militanti
delle formazioni nazionaliste, nasseriani in primis, e i nazionalisti
islamici sia sciti che sunniti. Un ruolo crescente viene esercitato
dalla fazione dissidente del Partito Comunista (Quadri), impegnato
anch’esso in una lotta armata sostenuta dall’80% della popolazione
irachena, a perenne vergogna di partiti che in Italia e in Europa non
si peritano di definirsi comunisti e si sono affratellati con i
miserabili mercenari del Partito Comunista Iracheno, al governo fin
dal primo ingresso degli invasori a Baghdad. A questo proposito,
avrebbe dovuto far fischiare le orecchie all’esimio prof. Aldo
Bernardini, emozionato e un po’ delirante veneratore di Stalin, il
ricordo che Mohammed Hassan ha tratteggiato dei partiti comunisti
arabi, allora molto forti, quando si dettero la zappa sui piedi e
cedettero il primato a formazioni più aderenti alle aspirazioni
collettive della nazione araba (nasseriani e Baath) riconoscendo, sul
modello della Mosca di Stalin, gli illegittimi e brutalmente imposti
confini (con relativi massacri ed espulsioni di palestinesi) degli
occupanti israeliani. Si potrebbe aggiungere la memoria delle costanti
frenate di molti partiti comunisti alle più significative e vincenti
lotte anticoloniali degli arabi (sempre secondo il nefasto schema
staliniano di Yalta), dalla nazionalizzazione del Canale di Suez
(1956), a quella del petrolio iracheno, alla concessione
dell’autonomia e dell’autogoverno al Curdistan iracheno da parte di
Saddam (1972), fino addirittura all’appoggio del PC iracheno
all’offensiva integralista di Khomeini (e qui, in risposta a una
domanda prodotta dalla falsificazione di massa, si è potuto
rettificare l’assunto diffamatorio di “Saddam uomo degli americani”e
identificare il vero beneficiario, iraniano, del sostegno armato e
finanziario di Israele e degli USA per tutta la guerra Iraq-Iran: solo
l’1% degli armamenti iracheni in tutte le guerre proveniva da fonti –
commerciali – statunitensi, la quasi totalità essendo di produzione
sovietica, mentre dall’80 all’88 Israele forniva armi – contro soldi
ai contras – e il Congresso USA finanziamenti al regime degli
ayatollah).
Domande dal pubblico hanno permesso
anche di dimostrare la strumentale falsità
di alcune delle meno fantasiose e
folcloristiche attribuzioni al “mostro” Saddam (al di là dei neonati
kuwaitiani strappati dalla incubatrici, invenzione della Ruder&Finn
che sta sul libro paga del Pentagono per 18 milioni all’anno, o degli
oppositori del Rais infilati dai piedi in macina-carte sotto i suoi
occhi imbevuti di sangue, invenzione di una parlamentare laburista; o
dei calciatori scadenti fatti giocare con palle di piombo e ampiamente
torturati, invenzione di Maria Cuffaro Tg3). La gassificazione dei
curdi a Halabja, nel 1988, lo sterminio dei comunisti nel 1979. Sul
primo episodio, aggiunto a mo’ di zavorra dannante alla legittima
reazione delle forze regolari irachene a un tentativo di secessione su
istigazione Cia-Sion, condotto dalle tribù dei narcotrafficanti
Talabani e Balzani, hanno fatto giustizia nientemeno che tutti i
servizi segreti occidentali, Cia in testa, con documenti ampiamenti
diffusi sulla stampa USA, ma mai ripresi dalla nostra. Il gas a
cianuro che ha ucciso alcune centinaia di cittadini di Halabja fu
sparato dagli iraniani, l’Iraq non disponeva di quell’arma chimica.
Quanto alla carneficina di comunisti (400.000 secondo gli USA anni fa,
40.000 successivamente), secondo lo stesso partito quisling oggi al
governo sotto gli occupanti si trattò di circa 140 esecuzioni dopo
processi per alto tradimento: gli imputati, seguendo ordini di Mosca,
erano andati a combattere con Khomeini contro il proprio paese
socialista, antimperialista, antisionista e laico. Rettifiche fattuali
concernevano anche un presunto “triangolo sannita” che si estende
invece sul 60% del territorio nazionale e comprende il 50% della
popolazione irachena, alla faccia del presunto blocco scita
maggioritario per il 65% (come quando degli albanesi del Kosovo se ne
faceva il 90%, anziché il vero 60%, in gran parte dovuto a recente
immigrazione); oppure le elezioni (“commoventi” per Rossanda,
“democratiche” per “Liberazione”) imposte a un’infimo numero di
elettori precontati, con la minaccia delle fiamme eterne (Sistani), o
del ritiro delle razioni alimentari (Negroponte), o, ancora, del
taglio delle pochissime ore di luce e acqua per i quartieri riottosi.
Altre scaglie sono cadute dagli occhi
dei bravi compagni nel Circolo Camilla Ravera quando, su mia domanda,
si è parlato di un nodo cruciale: l’incapacità, anche da parte dei
meno opportunisticamente motivati, di affrontare la realtà della
Resistenza irachena, oltre le facilmente dissolvibili nebbie tossiche
della nonviolenza bertinottiana, per via del tabù sulla vera storia
dell’Iraq e dei suoi governanti dalla rivoluzione del 1958 a oggi.
Ammesso che Saddam e il regime erano quelli che si dice, torna assai
difficile riconoscere dignità e solidarietà ai partigiani iracheni,
evitando anche la trappola del “terrorismo” e delle carneficine di
civili, allestiti dagli squadroni della morte di israeliana e
negropontiana tradizione, ma usati per satanizzare la resistenza. Al
proposito, Hassan ricordava – nella lunga storia delle provocazioni di
regime, dal Reichstag all’11/9 - le bombe piazzate dall’aguzzino
fascista Rodolfo Graziani (quello onorato tuttora nelle dottrine e
negli obiettivi dei “camerati che sbagliano, ma mica tanto” di
Bernardini) nelle moschee e chiese ortodosse di Abissinia per darne
la colpa alla guerriglia etiopica e farsene scudo per i suoi
sistematici eccidi. Come ha potuto sorgere una resistenza così forte,
articolata, di massa, che compie tra le 60 e le 120 operazioni al
giorno, che ha liberato quasi tutte le città maggiori, che spazia da
un capo all’altro del paese, che ha messo in ginocchio le forze della
più potente armata della storia, che ha costretto al ritiro vassalli e
mercenari, che conta, secondo i comandi USA; su 100.000 combattenti
supportati ognuno da 10-20 appoggi civili? E se è vero, come è vero,
che in vista di questa guerra di lunga durata, madre di tutte le
battaglie, sei milioni di cittadini iracheni erano stati addestrati ed
armati dal precedente governo, come mai la presunta insofferenza verso
Saddam non ha mai provocato la minima rivolta, se non tra sciti
secessionisti istigati da infiltrati iraniani e dagli USA (gli stessi
che oggi collaborano con gli occupanti), visto poi che la conclamata
“persecuzione degli sciti” è una totale invenzione ed esponenti sciti
occupavano i massimi incarichi di governo e comando
nell’amministrazione, nelle istituzioni, nelle Forze Armate, ministri
degli esteri, ministri della difesa, capi di stato maggiore,
presidenti del parlamento…(Altro parallelo con la Jugoslavia, quando
tale “esperto” di esteri Ramon Mantovani ed i suoi suggeritori Nato,
di fronte all’assalto croato, papale, bosniaco, albanese,
imperialista, fazioseggiavano di “nazionalismo” serbo che avrebbe
epurato le altre nazionalità da tutti gli organi dello Stato. Qualcuno
schiaffeggiò questi disinformatori con l’elenco dettagliato delle
cariche di Stato jugoslave sotto Milosevic: in maggioranza non serbe!
A maggioranza relativa croate!)
E qui Hassan ci ha permesso di
affrontare il nodo appunto più insidioso: non vogliamo sapere la
verità sulla Resistenza irachena (un po’ perché solo la nostra, di
Resistenza, appare ideologicamente corretta, e qui parlano gli augusti
e un po’ miopi veterani dell’ euro-sovieto-centrismo alla Bianca
Bracci Torsi), perché non sappiamo la verità sull’Iraq di prima, non
l’abbiamo cercata, abbiamo abboccato e bevuto tutto quello che da
destra e, pedissequamente, opportunisticamente, subalternamente - da
sinistra, ci è stato somministrato. Già solo la logica, dice Mohammed
Hassan, ci dovrebbe indurre a comprendere come una Resistenza di tal
fatta non può non nascere da un’esperienza altamente positiva di
governo, di crescita della società, di maturazione politia, di
autostima collettiva, della costruzione di una nazione sui resti
degradati dell’impero ottomano e del successivo colonialismo
sanguinario britannico, di un progresso sociale, economico,
industriale e culturale che fece dell’Iraq per trent’anni, con Cuba e
il Vietnam, un modello per il Terzo Mondo, il bastione della
resistenza antimperialista e antisionista, il punto di riferimento
delle masse arabe in lotta per la loro emancipazione da regimi
corrotti e neocoloniali e, addirittura dopo 8 anni di aggressione
iraniano-sionista, il 50° paese su 140 nella classifica dell’Undp
(ONU) dello sviluppo umano. Ruolo di punta che l’Iraq è tornato ad
assumere oggi per le masse arabe oppresse, secondo Mohammed Hassna,
grazie alla grande forza della sua Resistenza. Resta l’eterna
imputazione, di cattivo sapore eureocentrico e occidentalista
anch’essa, della mancanza di pluralismo, di dittatura. Ma Hassan ci
ricorda come fino al 1979 il processo rivoluzionario sia stato
pluralista e condotto al governo dai democratici curdi, dal Partito
Comunista e dal Baath con la maggioranza dei consensi. La rottura
viene con la secessione curda e l’aggressione di Khomeini, entrambe
fomentate dall’esterno, USA e Israele, e quindi con un assedio, uno
stato d’emergenza, un’aggressione ininterrotta, un accerchiamento e un
embargo genocidi, che avrebbero reso assai difficile e rischioso per
la collettività nazionale praticare le piacevolezze dei nostri riti
democratico-plutocratici. All’Iraq interessava preservare i diritti
umani fondamentali: sanità, istruzione, casa, lavoro, cultura,
dignità, sovranità.
Un bel rovesciamento della prospettiva.
Devo dire che Mohammed Hassan non ha sconvolto più di tanto il suo
uditorio, come del resto riscontro anche nel mio peregrinare per
dibattiti e proiezioni in tutta Italia, autoprotezionisticamente
disertati dai dirigenti “di sinistra”, segno di una buona sensibilità
culturale prima ancora che politica dei compagni e ancor più segno
della loro crescente impermeabilità alle frodi bertinottiane.
Personalmente mi sono documentato in una trentina di viaggi in Iraq
tra il 1977 e l’aprile 2003, ho studiato per quanto ho potuto il paese
anche come collaboratore di giornali come “Ath Thaura” e “Baghdad
Observer” e di un autorevole “The Middle East” che non aveva i
pruriti vandeani di “Liberazione” (memorabile quell’ “i nostri
ragazzi” dedicato dal direttore Sansonetti ai quattro mercenari
sequestrati, come anche una risposta al lettore dell’immarcescibilmente
succube Sandro Curzi in cui mente e spapagalleggia sul “dittatore
sanguinario”, sul Baath “nazionalsocialista”, sui comunisti
“perseguitati e uccisi”, sull’autonomia curda “mai concessa”, sulla
guerra “mossa all’Iran”, sul “largo e aperto sostegno americano”, sul
“massacro dei curdi con il gas” , su tutta la panoplia di costruzioni
dei pierre del
Pentagono, del Dipartimento di Stato e dei neonazi a Washington e a
Tel Aviv. Aggiungo sull’uomo dei tempi che corrono, Curzi, un
peregrino, ma colorito ricordo personale. Mi cacciò tre volte, sempre
su ordine superiore: dalla redazione esteri del TG3, perché avevo
sputtanato la cooperazione internazionale di Craxi in Sudan e Somalia;
dalla missione in Sardegna per il sequestro del piccolo Faruk Kassam,
su richiesta del PM Mura, nemico anche del liberatore di Faruk,
Graziano Mesina, magistrato cui avevo dato fastidio per aver
individuato nel rapimento un episodio dello scontro sulla costa sarda
da cementificare tra Berlusconi e l’Agha Khan; da Liberazione, su
diktat del monarca in flanella, per aver difeso Cuba e l’Iraq dalle
diffamazioni reali).
Ci resta tra i piedi il povero, ma
prospero Bernardini. Ha voluto, ancora una volta e contro ogni suo
utile, cimentarsi in una risposta alle desolazione intellettuale dei
suoi pastrocchi ideologico-politici, datagli da chi, poiché non
proclama ma argomenta, intellettuale lo è davvero, anche se a volte un
po’ troppo ammodo, Bruno Steri. Collateralmente ha, appunto,
minacciato di divertente querela (dove mi vuoi fare il processo,
Aldone, nel Sinedrio?) il sottoscritto, vero suggeritore demoniaco
alle spalle dei se non altro educati e solo un po’ fessi Steri e
Andrea Martocchia. Se l’altra volta, per chi avesse avuto l’ozio di
galleggiare attraverso la sua pletorica profusione di parole, avevo
riflettuto su perché mai anziani accademici si tirino delle ruspe sui
piedi, penso che quanto ha saputo secernere stavolta ha prodotto un
rapporto propositi-risultati pari a quello di Sisifo e una proporzione
costi-benefici tipo operazione Gorbaciov. L’uomo è davvero un
paradosso: da un lato si inalbera e si inerpica sugli specchi per
respingere come menzogne e infamità le denunce, piovutagli addosso da
tutte le parti, di ormai costanti (e quindi strategici, non
“tattici”, Aldo!) connubi con elementi della schiumazza nazifascista
che, da un po’, ha trovato utilità a definirsi “antimperialista” (un
po’ come certe frange “nazionaliste” del Sismi e “democratiche” anche
della Cia). Dall’altro, leggero come una piuma, trasvola a
rivendicare, con frequenza visceralmente accanita, proprio quei
connubi, appunto tattici, estendoli ancora una volta a quell’arnese
della complottistica fascista e reazionaria P2 che è Augusto Sinagra.
Che ci volete fare. L’arredo rococò entro il quale colloca questo suo
argomentare è poi un vero delirio del falso scopo: per sparare a
coloro che, come Steri, Martocchia, il sottoscritto e l’intera
sinistra radicale, (ovviamente non definisco tale quella bertinottiana),
hanno preso le distanze dai suoi impuri imenei (noi, per Aldo, siamo i
“puristi”, vivaddio), inonda pagine su pagine di vituperi a Fassino,
D’Alema, e, di striscio, Bertinotti, del tutto ignorando le nostre
posizioni relative a tali figure e quindi sprecando fiato come una
gomma bucata. Si esercita anche in una pesantemente retorica
esaltazione della resistenza irachena, arrivando fino a quegli elogi a
Saddam che i suoi consoci rossobruni del Campo – che oggi vorrebbe più
distanti, insieme ai loro partners eurasiatici e agli scoperchiati
millantati crediti resistenzali - avrebbero difficoltà grossolane a
condividere. Il tutto su un vuoto di conoscenze e informazioni
sull’Iraq che è connaturato a chi, frequentando aerei e hotel, non ha
mai avuto la tentazione di porre i dolci piedi sullo scottante suolo
iracheno, o, quanto meno, di acquistarvi qualche familiarità
attraverso buone, non imperialistiche letture. Se poi l’esimio
accademico (per il quale nella corporazione tutto è lecito, compresi
gli scambi di favore con fascisti piduisti) volesse sentire cosa
pensano del suo “ragionamento” compagni sprovveduti di “praticità” e
“concretezza tattica” come i cubani, o i bolivariani del Venezuela, si
accomodi. Avrà qualche problema a darci del “gruppettaro”.
In mancanza di ciambelle di salvataggio
di una qualche attendibilità, il nostro professore si adorna di piume
di pavone e, specchiandosi nei volti altrui rimandatigli da lagune
olandesi, vanta la frequentazione con esimi esponenti della
chiaroveggenza politica, come Ramsey Clark o Slobodan Milosevic. Non
gli rimane altro che la deplorevole mancanza di conoscenza in costoro
delle piroette bernardiniane, sconoscenza tragica quando coinvolge
anche i distanti avvocati di Saddam Hussein e di Tariq Aziz cui un
astuto prete, 007 Benjamin, ha venduto come buoni legali come Taormina
(“I rapimenti li fanno le sinistre eversive italiane in combutta con i
terroristi iracheni”) e Bezicheri (“A noi!”). Si resta in attesa di
Sinagra. Ti sta bene anche questo, Aldo?
Saluti dal “gruppetto”, che secondo te
saremmo noialtri, a te e alle tue oceaniche masse. E occhio al
balcone!
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