MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

GRAZIE, GRAZIELLA E GRAZIE UN CORNO

brevi considerazioni su

DUE “EROINE”, DUE “SANTE”

UN TRIBUNALE SPECIALE CHIAMATO COLLEGIO DI GARANZIA

LA FUGA DI CURZIGLIARDI

 

06/10/2004

 

Due eroine, due sante

Solo e pensoso in più deserti campi, petrarchescamente formulo grazie e le affido al vento, magari una frizzante tramontana come quella degli euforici giorni pacifisti di fine settembre, perché giungano lontano, là dove rigoglia la civiltà assediata dal Mordor con la mezzaluna, a chi in questi deserti campi mi ha relegato perché vi si dissipino, insieme alle mie colpe, gli inutili rimasugli di una vita da reietto (termine, questo, sul quale a eterna gogna mi ha inchiodato il creativo Vender, membro della segreteria romana del cosiddetto PRC, appositamente addestrato nella Scuola delle Americhe ai più alti compiti di vindice dell’ortodossia  contro devianti e apostati). Questo, mentre affiggo sopra il mio giaciglio di penitenza la lettera a “Liberazione” del bravo Renato Pierri, sottolineata in pagina dalla copertina di Time (“European Heroes”), il più amerikano dei giornali, dalla quale sul mio pagliericcio fluisce come un perdono l’abbagliante sorriso delle due. Dice Pierri: “Si può senz’altro affermare che un esempio di santità lo hanno dato le due volontarie italiane, Simona Pari e Simona Torretta…” Dopodichè Woytila, una specie di Carl Lewis delle santificazioni, non ha tardato un minuto…

 

Grazie a Simona Torretta e a Simona Pari che hanno saputo ricomporre in unità quel che vani capricci e indebite autoreferenzialità avevano diviso: il governo del genocidio iracheno con i frantumi di quel paese, i crociati della civiltà superiore con gli angustiati del mondo islamico, la spia occidentale a capo dei commandos della Croce Rossa con Bertinotti. Grazie a Simona e a Simona per aver modestamente e sensibilmente taciuto su qualsivoglia dato, fatto, dettaglio, motivo, percorso, trascorso, esito della loro lunga prigionia, onde risparmiarci retroattive sofferenze, traumi ex-post, tardive apprensioni. E grazie per averci offerto, con sapiente partecipazione, la commovente fiction di una liberazione coronata dal colpo di teatro della loro comparsa qual zampillo d’acqua nel deserto, con tanto di cappuccio nero rigorosamente ancora in testa (sennò che cazzo di liberazione sarebbe stata!), di fronte al forzaitaliaccio senza macchia e paura che eizensteinamente sapeva sgranare su di loro, proprio al momento giusto, i cerulei occhi attoniti ( il pubblico ha infatti ben capito di doversi meravigliare, chè non capita mica ogni giorno di passare per caso dalle parti di Nonsodove e incrociare due fanciulle rapite, incappucciate, scappucciate, sorridenti, con addirittura una telecamera pronta sul posto). E ancora grazie per averci risparmiato il turbamento di quello sconsiderato affronto alle premurose e salvifiche istituzioni con cui tre predecessori giapponesi, pacifisti e sequestrati anch’essi, avevano rifiutato l’ offerta governativa di rimpatrio su aereo e con quattrini ufficiali dello Stato, perché occupante quanto gli altri invasori e fucilatori e, anzi, erano rientrati a proprie spese e con aerei di linea e corriera; in Giappone, come sappiamo, dalla pubblica opinione hanno avuto quello che questi sfrontati, fondamentalisti della coerenza, si meritavano.

 

Grazie anche per aver espresso i voti e le preci di ognuno di noi, inginocchiandosi per lunga pezza ai piedi del papa, così permettendoci di sorvolare sulle innumerevoli istigazioni allo sterminio degli infedeli che i suoi vescovi e giornali vanno auspicando e promuovendo dallo squartamento della Jugoslavia in poi. Grazie, grazie per aver sorriso, riso, ridacchiato, sogghignato, brillando, rilucendo, sfavillando, per le nostre piazze e su tutti i nostri schermi, proseguendo l’intento e l’opera del lungo sequestro che era poi quello di farci dimenticare le urla scomposte e gli imbrattamenti di sangue di tutta quella materia umana che contemporaneamente veniva sbriciolata a Gaza, Falluja, Samarra e ovunque i vostri rapitori si presentano non mimetizzati e in uniformi ufficiali. Già, perché il grazie più grande, smisurato, vi è dovuto perché, consapevoli o ignare, avete riaffermato l’identità terrorista e islamica dei vostri rapitori senza volto e senza nome, senza luogo e senza tempo, liberandoci dall’agghiacciante, ma patologicamente dietrologico, sospetto che, visti i come, quando e perché di questo e di altri sequestri e ammazzamenti di amici degli iracheni veri, anche voi foste state rapite, programmate per la decapitazione, dai servizi segreti storicamente impegnati in queste cose. Teorici integralisti del complotto, avevamo subito pensato a Mossad e Cia (con il Sismi a portare il caffè), sotto il comando del fuehrer degli squadroni della morte latinoamericani, John Negroponte, arrivato per la bisogna: primo, di criminalizzare una resistenza di popolo vincente prima che il suo mandante Bush  e i suoi sette nani sionisti andassero a bagno il 2 novembre elettorale; secondo, di seppellire sotto il sorriso delle Simone e le esultanze popolari le carogne e macerie disseminate per tutto l’Iraq e per mezza Palestina del camerata Sharon; terzo, di far sorgere dalle ceneri dell’iperesposizione di Osama un nuovo ammazzacristiani virtuale, Al Zarkawi (così salvando, dopo la patacca delle armi di distruzione di massa, almeno il legame Al Qaida-Iraq); quarto, di terrorizzare gli eventuali temerari che, come giornalisti, osservatori, cooperanti, amici, passanti-di-lì-per-caso, ancora intendessero aggirarsi per l’Iraq senza trasmettere le veline della canaglia Alaui e dei suoi padrini USA; and last but not least, di offrire al socio di minoranza nel PNAC, Berlusconi, l’occasione di un grande party dove tutti avrebbero potuto danzare e brindare nel nome delle Simone e dell’antiterrorismo e lui, il pupazzetto di Arcore, riemergere dalle polveri dei suoi patatrac, con le stampelle d’oro di ormai sacri e consacrati inciuci nazionalsolidali.

 

Infine, anche se tirate per i capelli, ma comunque coerenti, tante grazie alle ridenti ragazze per avere, seppure involontariamente, coperto con il loro dramma a lieto fine la sistematiche toppate dei nostri servizi segreti – peraltro abilissimi quando, nell’Iraq in corso di invasione, percorrevano gli abitati del paese per segnalare ai topgun dove piazzare i botti della democrazia in arrivo, onde meglio sfoltire il campo dalla presenza di esuberi umani intorno ai giacimenti di  petrolio – nonché quel misero rimedio della patacca di un’ambasciata italiana a Beirut che doveva saltare con un’autobomba, ovviamente islamica,  laddove è situata in un amplissimo spazio pedonale dove una vettura ci arriva solo dopo essere stata infilata per intero nei metal detector di qualche centinaio di agenti. Coerentemente, l’infelice balordo islamico subito arrestato per tale sciagurato progetto è subitissimo morto in carcere. Per infarto. Grazie. E grazie, ora che ci penso, anche per aver rigorosamente e disciplinatamente  taciuto su tutto e quindi anche sul riscatto. Un milione di dollari?  Tre milioni e mezzo di dollari? Nessun dollaro? Tranquilli, qui lo dico e qui lo nego: ovvio che c’è stato il riscattone pagato, neanche controvoglia, dal contribuente italiano; solo che se lo sono spartiti tra di loro. Se rapitori e liberatori erano tutt’uno, come potrebbero non essere tutt’uno ufficiali pagatori e appuntati pagati? Grazie, grazie di cuore.  

 

Abbiamo profuso grazie. Immaginiamo quante ne avrà profuse “Un Ponte per…”. Ma, sconvenienti e pure irritanti, ci sono rimasti in gola un paio di spinosi interrogativi. Perché nella sede del “Ponte per…” a Bagdad, organizzazione che so folta di persone perbene, veniva ospitata anche, non dico l’ICS, di cui, dopo la Jugoslavia, non fa neppure conto parlare, ma addirittura “Intersos”, venuta a celebrità recentemente per  essere agenzia legata a corporation statunitensi di mercenari e che in proprio recluta killer di complemento da aizzare contro i nemici della civiltà occidentale? E, mi consenta, come si conciliava l’altruismo pacifista e cooperante dispiegato per i bambini iracheni mitragliati, nelle loro scuole bombardate, con la precedente funzione di Simona Pari alle dipendenze dirette di tale Marco Minniti, sottosegretario alla Difesa quando questa “Difesa” era impegnata alla morte nella morte della Jugoslavia e dei serbi e che ora implora la Nato di sostituire un po’ di angloamericani nelle stragi di bambini iracheni? E cosa mai vorrà dire quel termine “monitoraggio” che si dice Simona Pari abbia condotto nell’Afghanistan incenerito e occupato e nei Balcani stuprati e occupati? E’ solo una curiosità.  Vorremmo poter dire grazie anche per quello, vedendole sorridere ancora. Inginocchiate davanti a Woytila. O a Scelli. O al governo. L’essenziale è che le due cooperanti siano libere. Libere come tutti noi. Libere di percepirci tutti – lo ha scritto qualcuno - come italiani e patrioti, senza classi, con guinzaglio o senza, con elicotteri da combattimento o bandiere arcobaleno; libere di omaggiare al tempo stesso i poveri musulmani e il governo di un pagliaccio liftato con la bandana; libere di non  spiegare un cazzo a chi per loro ha trepidato settimane e settimane fino all’angoscia, fino alle lacrime, ma di avallare col loro silenzio tonnellate di menzogne. Libere di farci “capire che la guerra e il terrorismo ci portano diritti alla morte e che c’è sempre da scoprire e da affermare la terza via: vivere”. Lo ha scritto un lettore di “Liberazione” da L’Aquila e peggio per chi gli ha gridato dietro: scemo, scemo!

 

Un tribunale speciale chiamato “Collegio di garanzia”

Fatevi un po’ i cazzi miei. Vi ci invito, non per eccesso di ego e autoreferenzialità, ma perché si tratta di cazzate di grande valore emblematico e generale, etico, politico, culturale e, perbacco, sociale. Si può dire che l’eponimo di Segreteria del Partito della Rifondazione Comunista sia “Collegio Nazionale di Garanzia”. Questo organo ce l’hanno tutti i partiti di ascendenza stalinista e,  forse, anche gli altri, non so, non li frequento, a parte PCI e PRC sono stato solo in Lotta Continua e lì quella cosa non c’era. Ma se al tempo del grande Giuseppe una castigamatti rapido e risolutivo di questo tipo era giustificato dall’assedio di provocatori, infiltrati, spie ed opportunisti attorno alla prima rivoluzione socialista del mondo, il Collegio Nazionale di Garanzia nelle mani di Fausto Bertinotti è strumento essenzialmente per disfarsi di rompicoglioni, eretici, renitenti, devianti, fuorilinea, più carini di lui, concorrenti, soprattutto comunisti. Questo Collegio, come ogni tribunale speciale che si rispetti e che, come tutti gli organi del suo genere, serve a rendere impunito e incriticabile il sovrano, ha anche le sue articolazioni locali, presidiate ovviamente da pretoriani più minuscoli, ma altrettanto subordinatamente simbiotici con il capo. Da questo organo, anzi, organetto, a giugno fui condannato a nove mesi di sospensione dal partito per aver: 1), “leso l’immagine del partito e del suo segretario” srotolando in pubblico uno striscione “Bertinot-in-my-name” (ganzo, eh?) e distribuendo in pubblico, rigorosamente a termini dell’art. 3 dello Statuto del PRC, un volantino che esprimeva poca fascinazione rispetto alla modifica unilaterale (cioè Bertinot-laterale) del simbolo del partito (modificabile solo dal congresso nazionale) e alle varie abiure che il segretario andava facendo di fronte a un ammirato uditorio turbocapitalista e elitar-borghese al fine di acchiappare qualche strapuntino di governo e sottogoverno; e, 2), per aver tratteggiato in una mia email a qualche amico due candidati alle recenti europee in modo – del tutto presunto – che, rispetto al palestinese Bassam Saleh, ne uscisse meno seducente l’immagine del Merkava non violento Luisa Morgantini. Che, peraltro, dopo aver straparlato di “fascismo serbo” nella Podgorica del mafioso Djukanovic, con nelle ampie narici ancora il lezzo di una Jugoslavia dalla Nato fatta carogna, oggi sta concentrando il suo attivismo sul fomentare “interventi umanitari” nel Darfur petrolifero, sobillato contro il resto del Sudan da un paio di milizie brigantesche al soldo della Cia, sul tipo dell’UCK kosovaro. La sentenza, perorata con particolare accanimento forcaiolo da un Franco Guerra, dell”Ernesto”, la mia area ideologica, fu di nove mesi di sospensione del partito, quanto bastava per togliermi dai piedi del prossimo Congresso Nazionale.

 

Prassi e compagni partecipi della vicenda, ma lasciati intonsi dall’Inquisizione romana, mi indussero a ricorrere all’organo supremo, quello che siede alla destra del Padre, il Collegio Nazionale. Fui processato – in assenza statutaria di difensore e in presenza statutaria di sette magistrati cumulanti, a dispetto del ministro verde-vomito Castelli, le funzioni di pubblico ministero, GIP, giuria e giudice – venerdì 24 settembre, giudicato nel pomeriggio dello stesso giorno e giustiziato, come suole,  all’alba dell’indomani: non più nove, ma solo otto mesi di sospensione dal partito e neppure per tutte e due le imputazioni, solo per la prima, la lesa maestà, visto che in privato e su email potevo anche permettermi di dire che Luisa Morgantini, tra Jugoslavia, Palestina e Sudan, era suprema nell’arte di menar il can per l’aja. Otto mesi, di nuovo quanto basta per evitare che io, ed eventuali altri turbati e turbolenti dissidenti turbino il disciplinato svolgersi del Congresso previsto per i primi mesi del 2005 e che è stato deciso (naturalmente da nessuno se non dalla lesa maestà) debba incoronare sovrano Gennaro Migliore, costola del padrino futuro ministro e uomo che tutto vanta salvo un rapporto decente con il proprio cognome. Quando, a difesa, opposi che la mia immagine e quella di tutti i critici del monarca erano state lese non una, non cento, ma mille volte da diffamazioni, censure e repressioni nonché revisionismi indebiti che offendevano e negavano le ragioni dell’iscrizione mia e di tanti di noi al PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA, l’espressione attonita sul volto degli inquisitori-sentenziatori diceva semplicemente: ma che c’entra?

 

C’era da stupirsi. Ma Bertinotti non aveva proclamato con la massima enfasi possibile, in perfetta sintonia con i futuri partner di governo e sponsor atlantici, di stare con i dissidenti, di amare i dissidenti, di farsi fare a pezzi per i dissidenti, passando perfino sopra il fatto che fossero terroristi mercenari al soldo del moloch mondiale? E già, minchioni, quelli erano dissidenti cubani, nobilissimi intellettuali, sacrosanti oppositori, legittime minoranze,  mica da confondere con la morbosa genìa di pseudodissidenti e autentici delinquenti italiani, giunti all’apostasia e allo sconvolgimento di ogni legge naturale con il criminale “Bertinot-in-my-name”!  Comunque, dove non arriva il Tribunale Speciale (a proposito il verdetto di condanna è passato con 4 voti contro tre: onore a Francesco Ricci, Guido Cappelloni e Beatrice Giavazzi, depositari, in un angolino del partito, dell’ultimo po’ di dignità e giustizia), arriva di persona San Michele Arcangelo con la spada fiammeggiante e il portaocchiali. E sia liquidato, commissariato, defenestrato e ridotto a silenzio cimiteriale chi resta anche solo sbigottito di fronte ai suoi caprioleggianti svolazzi in direzione di troni e cherubini quali D’Alema, Amato, Fassino, Rutelli, Montezemolo e Dio Padre Kerry (o chi per lui);  chi non si fa capace di un ritiro senza se e senza ma dall’Iraq che diventa intervento ONU (ossia Nato) tipo Afghanistan, Jugoslavia, Somalia, Libano, purchè i militari statunitensi si limitino davvero a “portare democrazia”; chi si adombra per come Bertinotti s’impegna a sostegno del paradigma bushiano guerra-terrorismo, cruciale per stabilire nella mente dell’opinione pubblica mondiale che la resistenza irachena e quella palestinese sono  guidate da terroristi e che questi popoli sono diventati un “fronte della guerra mondiale contro il terrorismo”; chi non si fa capace di come alla terapia del dolore umano, con l’abolizione del cancro della proprietà privata, “l’innovatore” abbia pensato di sostituire la fuffa e la muffa dei “beni comuni”; chi arriva a sdegnarsi ancora di fronte all’onnipotenza di questo virgulto sinistro del presidenzialismo plebiscitato, se non della monarchia assoluta, che alla frequentazione dei circoli preferisce lo zompo da un teleshow all’altro come fanno le mosche con quello che voi sapete, ormai liberato da qualsivoglia vincolo di statuto, democrazia interna, meccanismi di controllo e processi decisionali, nonché da qualche residuo di buona educazione; chi manifesta sconcerto rispetto a un organo di “garanzia” umiliato e ridotto a catena di trasmissione delle epurazioni di questo Stalin in sedicesimo e in tweed; chi anche solo piange lo smarrimento, anzi la lucida liquidazione, di ogni elemento che seppure solo da lontananze stellari ricordi la teoria, la storia e il progetto del comunismo, a vantaggio di “innovazioni” e “movimenti” che hanno la freschezza dell’organza nei musei Biedermaier, ma che il nostro e i suoi sicofanti (di cui appresso) osano chiamare “comunismo”, a definitivo confondimento degli ingenui; infine chi, come il sottoscritto, considera idiozia intellettuale (sussunta infatti solo da scemotti dotati di indomabile spirito gregario) e crimine politico l’assolutizzazione della “non violenza”, nonchè il travisamento, come comanda Bush, in “terrorismo” di una resistenza dei popoli – con tutti i mezzi! – al planeticidio imperialista, bendandosi gli occhi con interi prosciutti per non vedere – e dover denunciare – le canaglie imperialiste e le loro manipolazioni terroristiche da Osama a Zarkawi, dagli “indipendentisti” infanticidi ceceni agli “eserciti di liberazione del Sudan”, dai narcotrafficanti secessionisti del Kosovo ai manutengoli della mafia di Miami e della Cia che si avventano sulla rivoluzione cubana. Sarà questo pure un periodo esorbitantemente lungo, ma, compagni, la lista delle nefandezze di questo leader e dei saprofiti che lo sorreggono richiederebbe quanto meno un “libro nero del bertinottismo”. Non è detto che qualcuno non lo scriva. Ci consola un fatto incontrovertibile: i segretari vanno, le masse, il loro bisogno di riscatto e la volontà di vittoria delle loro avanguardie restano. Fra otto mesi, Bertinotti al massimo si sarà fregato il gruppo parlamentare (per quello che fa!) con i suoi soldi. Resterà una voragine, grande come il nostro futuro comunista, tutta da riempire.

 

P.S. Una divertente curiosità. Il Collegio Nazionale, cosiddetto di Garanzia, prima ha emesso una sentenza, su nostra denuncia, che riconosceva l’illegittimità della modifica del simbolo del partito (con l’aggiunta di una mezzaluna rossa e la scritta “Sinistra europea”) fuori da un Congresso e imponeva alla segreteria nazionale di ripristinare il simbolo precedente (sentenza da Bertinotti prontamente appesa nei locali igienici della sede nazionale). Subito dopo, coerentemente, ha condannato me a 8 mesi di sospensione proprio per aver denunciato la modifica del simbolo. Chi è che parlava di “due pesi e due misure”?

 

PP.SS. Insieme alle tantissime espressioni di solidarietà giuntemi fin dalla prima decapitazione, c’è stata una partecipazione di altro tipo, che dovrebbe far colpo sul mandante dell’esecuzione. Ne cito un passaggio: “Mi congratulo con Fausto Bertinotti per la saggia decisione di sospendere dal PRC un soggetto paranoico-demenziale come Fulvio Grimaldi, già estimatore dello stragista Milosevic e oggi sostenitore del terrorismo iracheno. Il PRC non può e non deve avere alcuna commistione con chi solidarizza col massacratore dei Balcani e considera i terroristi saddamiti o di Al Qa’idah come dei “resistenti””…Firmato: Abu Ibrahim Kalim, del Consiglio Direttivo dell’Associazione Musulmana Italiana. Peccato che tutti, se non il destinatario, bambino prodigio della borghesia e ruota di scorta del suo prossimo governo, sanno che questa Associazione è null’altro che l’articolazione pseudoislamica del Mossad in Italia. Chiedere all’organizzazione ufficiale dei musulmani d’Italia: UCOOII.

 

La fuga di Curzigliardi

Accompagnati da un’autocelebrazione del tipo al quale nessuna coppia di direttori di giornali aveva mai neanche immaginato di degradarsi, con un quotidiano riquadro di oscenità eulogiche intitolato “Grazie a Sandro e Rina per ciò che han fatto”, Sandro Curzi, l’ometto della “ggente”, e Rina Gagliardi, l’epigrafista di Bertinotti in vita, hanno mollato e, dopo aver allevato quelle che lo stesso Curzi a me aveva definito ripetutamente “serpi in seno”, con particolare riferimento all’ossimoro politico (“ Rivoluzione in poltrona”) Salvatore Cannavò, astuto analista internazionale di una geopolitica diventata Processo di Biscardi, si sono lasciati alle spalle una catastrofe. Parafrasando Tacito, hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato “Liberazione”. Partiti da un riconoscimento non proprio euforico della qualità del tabloid, 12.000 copie al tempo in cui vi bazzicavano regolarmente Cremaschi, Ivan della Mea, Nichi Vendola,  il sottoscritto e alcuni altri poi dimessi, hanno chiuso con un’altalena tra festivi e feriali dalle 3000 alle 6000 copie. Ma che vuol dire, se poi Roberto Nappi da Foggia non resiste all’impulso di dedicare al megatrombone in disarmo orchidee del tipo: “punto di riferimento sicuro di classe… il tuo impegno…il tuo idealismo… la tua coerenza (questa poi!)…continuerai a lottare per la nostra causa, la causa del comunismo con l’impegno di sempre” (il Comunismo si è spaventato a morte).

 

Sono andati avanti per giorni, addirittura, incuranti del cattivo gusto quando il più brutto quotidiano d’Italia era già passato nelle mani, sicuramente più dignitose, di Piero Sansonetti (durerà poco), imbrattando senza pudore pagine e pagine di elogi squinternati, “passione rivoluzionaria”, “espressione viva dei lavoratori, degli sfruttati, di coloro che lottano e resistono”, “centro di un’elaborazione culturale critica e antagonista” (nientemeno!), un “giornale che ha preso sul serio il nome che porta” (quando della sua proterva disposizione alla censura ordinata dal sovrano ho avuto esperienza diretta, cacciato senza spiegazioni, giustificazioni, repliche e art. 18, per aver scritto che i “dissidenti” cubani erano “al soldo di Mr. Casey”, come poi ampiamente documentato e ammesso). E’ il mio di pudore che mi impedisce di andare avanti in questa melassa, che culmina poi in un addio firmato del duo che pare l’epitaffio di Craxi a Garibaldi. Ma state sicuri che non solo missive del tipo idolatra sono giunte in direzione per salutare la coppia. Per esperienza diretta so bene con quale alto senso del pluralismo Curzi sapeva selezionare le lettere e aggiustare gli equilibri del pro e contro.

 

Quel giornale è stato rovinato dal servilismo, dal conformismo, dal controllo extraprofessionale esercitato in modo dispotico dall’ “editore di riferimento”. Non giornale di partito, ma giornale del segretario di partito, nel quale, chi era all’opposizione e magari aveva nel partito un seguito di quasi metà, doveva accontentarsi (e ahinoi si accontentava) di un due, tre percento dello spazio complessivo. Giornale che si offriva succube ripetitore ai peggiori paradigmi del capitalismo e del capitalismo imperialista e colonialista: diritti umani, democrazia, terrorismo, 11 settembre di Osama, dittatura di Milosevic, pulizia etnica e nazionalismo dei serbi, patrioti ceceni e massacratori russi, “dottoressa germe” e “dottoressa Antrace” per due delle più brave biologhe irachene, rivelatrici del genocidio all’uranio, e via scimmiottando da Cuba al Sudan, dal Congo a Chavez (prima che la brava Angela Nocioni imponesse un raddrizzamento), ulivo da uccidere, ulivo morto, ulivo da governo, centrosinistra unito, unità nazionale, via dall’Iraq ma dopo, anzi cessate il fuoco (alla lotta di liberazione!) e ONU, se non Nato, vista la “coalizione democratica” col  “principio di maggioranza”. Giornale che sulle lotte operaie e sociali arrivava sempre il giorno dopo, anche perché Bertinotti altro aveva da fare che innescare lotte; che sulla tragedia e sulle lotte di Palestina diveniva sempre più neutro, “ansatico”, su tre bambini israeliani uccisi sempre più sdegnato, su trecento bambini palestinesi ammazzati sempre più succinto, che nell’Iraq vedeva, come Negroponte dettava, solo “caos” e “terrorismo”, poiché bertinottianamente  “quella resistenza non meritava certo la R maiuscola”. Giornale infine che al “padre della patria” Francesco Cossiga, stragista e cospiratore, reo di alto tradimento, gladiatore e massone, offriva il ruolo di un maestro del pensiero che, dalle colonne del “quotidiano comunista”, poteva sparare i suoi insegnamenti su comunismo e non violenza, guerra e guerriglia,  Stato e antistato, senza che un’ombra di decenza imponesse una pur piccola chiosa. In compenso, giornale che mi rifiutò l’ultima intervista a Slobodan Milosevic prima di essere imprigionato e venduto al tribunale degli amerikani; che, però, stese un tappeto rosso di compiaciuta benevolenza al criminale di guerra D’Alema, alla sua espressione scheletrica Fassino, che ridusse i miei reportage dall’Iraq sotto assalto angloamericano a sminuzzate letterine al direttore, ma ospita in brodo di giuggiole il falsario storico e sionista Paolo Mieli, peraltro definito “first-class journalist”. Giornale che si chiude sulla deprimente vicenda di Curzigliardi titolando “Un giornale di veri comunisti rispettosi delle opinioni altrui”, sopra la lettera di un dipendente, Ghennadi, che arriva ad attribuire ai fallimentari responsabili “il merito di rafforzare le nostre convinzioni con un linguaggio rispettoso delle diversità (sic)… Anche a voi si deve la crescita del PRC e per questo ve ne saremo per sempre grati”. Di quanto sono calati gli iscritti? E i lettori? Del cinquanta per cento, o giù di lì?

 

E infine l’ultimo editoriale della reggenza, firmato in prima pagina e in omaggio al neofita del woytilismo Don Fausto, da Tonino dell’Olio, coordinatore nazionale di Pax Christi: “Da sempre nella storia la nonviolenza è stata strumento povero degli oppressi (uno pensa ai vietnamiti, tra i milioni) e la guerra arma degli oppressori (uno ricorda la guerra di liberazione). Nella regola (S. Francesco) chiede infatti ai suoi fratelli: “amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poichè dice il Signore: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano. Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli”.

Con i quali concetti chi sulla violenza morale, psicologica e fisica ha costruito il regno della Terra, l’unico che c’è, ci ha fregato per millenni e per millenni e ha sostenuto e pervicacemente ristabilito il potere dei violenti e opprimenti. Noi preferiamo una semplice constatazione così formulatami dal generale “Pancho”, Francisco Gonzales, compagno del Che e di Fidel nella Sierra Maestra: “Noi siamo vivi perché siamo armati”. Puoi ghandizzarti quanto vuoi, puoi farti dettare l’interpretazione del mondo alternativamente da Occhetto, Wolfowitz e  Luisa Morgantini, ma su questo, caro Fausto, non ci piove.                             

 

 

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