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GRAZIE, GRAZIELLA E
GRAZIE UN CORNO
brevi considerazioni
su
DUE “EROINE”, DUE
“SANTE”
UN TRIBUNALE SPECIALE CHIAMATO
COLLEGIO DI GARANZIA
LA FUGA DI CURZIGLIARDI
06/10/2004
Due eroine,
due sante
Solo e pensoso in più deserti campi,
petrarchescamente formulo grazie e le affido al vento, magari una
frizzante tramontana come quella degli euforici giorni pacifisti
di fine settembre, perché giungano lontano, là dove rigoglia la
civiltà assediata dal Mordor con la mezzaluna, a chi in questi
deserti campi mi ha relegato perché vi si dissipino, insieme alle
mie colpe, gli inutili rimasugli di una vita da reietto (termine,
questo, sul quale a eterna gogna mi ha inchiodato il creativo
Vender, membro della segreteria romana del cosiddetto PRC,
appositamente addestrato nella Scuola delle Americhe ai più alti
compiti di vindice dell’ortodossia contro devianti e apostati).
Questo, mentre affiggo sopra il mio giaciglio di penitenza la
lettera a “Liberazione” del bravo Renato Pierri, sottolineata in
pagina dalla copertina di Time
(“European Heroes”),
il più amerikano dei giornali, dalla quale sul mio pagliericcio
fluisce come un perdono l’abbagliante sorriso delle due. Dice
Pierri: “Si può senz’altro affermare che un esempio di santità lo
hanno dato le due volontarie italiane, Simona Pari e Simona
Torretta…” Dopodichè Woytila, una specie di Carl Lewis delle
santificazioni, non ha tardato un minuto…
Grazie a Simona Torretta e a Simona
Pari che hanno saputo ricomporre in unità quel che vani capricci e
indebite autoreferenzialità avevano diviso: il governo del
genocidio iracheno con i frantumi di quel paese, i crociati della
civiltà superiore con gli angustiati del mondo islamico, la spia
occidentale a capo dei commandos della Croce Rossa con Bertinotti.
Grazie a Simona e a Simona per aver modestamente e sensibilmente
taciuto su qualsivoglia dato, fatto, dettaglio, motivo, percorso,
trascorso, esito della loro lunga prigionia, onde risparmiarci
retroattive sofferenze, traumi ex-post, tardive apprensioni. E
grazie per averci offerto, con sapiente partecipazione, la
commovente fiction di una liberazione coronata dal colpo di teatro
della loro comparsa qual zampillo d’acqua nel deserto, con tanto
di cappuccio nero rigorosamente ancora in testa (sennò che cazzo
di liberazione sarebbe stata!), di fronte al forzaitaliaccio senza
macchia e paura che eizensteinamente sapeva sgranare su di loro,
proprio al momento giusto, i cerulei occhi attoniti ( il pubblico
ha infatti ben capito di doversi meravigliare, chè non capita mica
ogni giorno di passare per caso dalle parti di Nonsodove e
incrociare due fanciulle rapite, incappucciate, scappucciate,
sorridenti, con addirittura una telecamera pronta sul posto). E
ancora grazie per averci risparmiato il turbamento di quello
sconsiderato affronto alle premurose e salvifiche istituzioni con
cui tre predecessori giapponesi, pacifisti e sequestrati
anch’essi, avevano rifiutato l’ offerta governativa di rimpatrio
su aereo e con quattrini ufficiali dello Stato, perché occupante
quanto gli altri invasori e fucilatori e, anzi, erano rientrati a
proprie spese e con aerei di linea e corriera; in Giappone, come
sappiamo, dalla pubblica opinione hanno avuto quello che questi
sfrontati, fondamentalisti della coerenza, si meritavano.
Grazie anche per aver espresso i
voti e le preci di ognuno di noi, inginocchiandosi per lunga pezza
ai piedi del papa, così permettendoci di sorvolare sulle
innumerevoli istigazioni allo sterminio degli infedeli che i suoi
vescovi e giornali vanno auspicando e promuovendo dallo
squartamento della Jugoslavia in poi. Grazie, grazie per aver
sorriso, riso, ridacchiato, sogghignato, brillando, rilucendo,
sfavillando, per le nostre piazze e su tutti i nostri schermi,
proseguendo l’intento e l’opera del lungo sequestro che era poi
quello di farci dimenticare le urla scomposte e gli imbrattamenti
di sangue di tutta quella materia umana che contemporaneamente
veniva sbriciolata a Gaza, Falluja, Samarra e ovunque i vostri
rapitori si presentano non mimetizzati e in uniformi ufficiali.
Già, perché il grazie più grande, smisurato, vi è dovuto perché,
consapevoli o ignare, avete riaffermato l’identità terrorista e
islamica dei vostri rapitori senza volto e senza nome, senza luogo
e senza tempo, liberandoci dall’agghiacciante, ma patologicamente
dietrologico, sospetto che, visti i come, quando e perché di
questo e di altri sequestri e ammazzamenti di amici degli iracheni
veri, anche voi foste state rapite, programmate per la
decapitazione, dai servizi segreti storicamente impegnati in
queste cose. Teorici integralisti del complotto, avevamo subito
pensato a Mossad e Cia (con il Sismi a portare il caffè), sotto il
comando del fuehrer degli squadroni della morte latinoamericani,
John Negroponte, arrivato per la bisogna: primo, di criminalizzare
una resistenza di popolo vincente prima che il suo mandante Bush
e i suoi sette nani sionisti andassero a bagno il 2 novembre
elettorale; secondo, di seppellire sotto il sorriso delle Simone e
le esultanze popolari le carogne e macerie disseminate per tutto
l’Iraq e per mezza Palestina del camerata Sharon; terzo, di far
sorgere dalle ceneri dell’iperesposizione di Osama un nuovo
ammazzacristiani virtuale, Al Zarkawi (così salvando, dopo la
patacca delle armi di distruzione di massa, almeno il legame Al
Qaida-Iraq); quarto, di terrorizzare gli eventuali temerari che,
come giornalisti, osservatori, cooperanti, amici,
passanti-di-lì-per-caso, ancora intendessero aggirarsi per l’Iraq
senza trasmettere le veline della canaglia Alaui e dei suoi
padrini USA; and last but not
least, di offrire al socio di minoranza nel PNAC,
Berlusconi, l’occasione di un grande party dove tutti avrebbero
potuto danzare e brindare nel nome delle Simone e
dell’antiterrorismo e lui, il pupazzetto di Arcore, riemergere
dalle polveri dei suoi patatrac, con le stampelle d’oro di ormai
sacri e consacrati inciuci nazionalsolidali.
Infine, anche se tirate per i
capelli, ma comunque coerenti, tante grazie alle ridenti ragazze
per avere, seppure involontariamente, coperto con il loro dramma a
lieto fine la sistematiche toppate dei nostri servizi segreti –
peraltro abilissimi quando, nell’Iraq in corso di invasione,
percorrevano gli abitati del paese per segnalare ai topgun dove
piazzare i botti della democrazia in arrivo, onde meglio sfoltire
il campo dalla presenza di esuberi umani intorno ai giacimenti di petrolio – nonché quel misero
rimedio della patacca di un’ambasciata italiana a Beirut che
doveva saltare con un’autobomba, ovviamente islamica, laddove è
situata in un amplissimo spazio pedonale dove una vettura ci
arriva solo dopo essere stata infilata per intero nei metal
detector di qualche centinaio di agenti. Coerentemente, l’infelice
balordo islamico subito arrestato per tale sciagurato progetto è
subitissimo morto in carcere. Per infarto. Grazie. E grazie, ora
che ci penso, anche per aver rigorosamente e disciplinatamente
taciuto su tutto e quindi anche sul riscatto. Un milione di
dollari? Tre milioni e mezzo di dollari? Nessun dollaro?
Tranquilli, qui lo dico e qui lo nego: ovvio che c’è stato il
riscattone pagato, neanche controvoglia, dal contribuente
italiano; solo che se lo sono spartiti tra di loro. Se rapitori e
liberatori erano tutt’uno, come potrebbero non essere tutt’uno
ufficiali pagatori e appuntati pagati? Grazie, grazie di cuore.
Abbiamo profuso grazie. Immaginiamo
quante ne avrà profuse “Un Ponte per…”. Ma, sconvenienti e pure
irritanti, ci sono rimasti in gola un paio di spinosi
interrogativi. Perché nella sede del “Ponte per…” a Bagdad,
organizzazione che so folta di persone perbene, veniva ospitata
anche, non dico l’ICS, di cui, dopo la Jugoslavia, non fa neppure
conto parlare, ma addirittura “Intersos”, venuta a celebrità
recentemente per essere agenzia legata a corporation statunitensi
di mercenari e che in proprio recluta killer di complemento da
aizzare contro i nemici della civiltà occidentale? E, mi consenta,
come si conciliava l’altruismo pacifista e cooperante dispiegato
per i bambini iracheni mitragliati, nelle loro scuole bombardate,
con la precedente funzione di Simona Pari alle dipendenze dirette
di tale Marco Minniti, sottosegretario alla Difesa quando questa
“Difesa” era impegnata alla morte nella morte della Jugoslavia e
dei serbi e che ora implora la Nato di sostituire un po’ di
angloamericani nelle stragi di bambini iracheni? E cosa mai vorrà
dire quel termine “monitoraggio” che si dice Simona Pari abbia
condotto nell’Afghanistan incenerito e occupato e nei Balcani
stuprati e occupati? E’ solo una curiosità. Vorremmo poter dire
grazie anche per quello, vedendole sorridere ancora. Inginocchiate
davanti a Woytila. O a Scelli. O al governo. L’essenziale è che le
due cooperanti siano libere. Libere come tutti noi. Libere di
percepirci tutti – lo ha scritto qualcuno - come italiani e
patrioti, senza classi, con guinzaglio o senza, con elicotteri da
combattimento o bandiere arcobaleno; libere di omaggiare al tempo
stesso i poveri musulmani e il governo di un pagliaccio liftato
con la bandana; libere di non spiegare un cazzo a chi per loro ha
trepidato settimane e settimane fino all’angoscia, fino alle
lacrime, ma di avallare col loro silenzio tonnellate di menzogne.
Libere di farci “capire che la guerra e il terrorismo ci portano
diritti alla morte e che c’è sempre da scoprire e da affermare la
terza via: vivere”. Lo ha scritto un lettore di “Liberazione” da
L’Aquila e peggio per chi gli ha gridato dietro: scemo, scemo!
Un
tribunale speciale chiamato “Collegio di
garanzia”
Fatevi un po’ i cazzi miei. Vi ci
invito, non per eccesso di ego e autoreferenzialità, ma perché si
tratta di cazzate di grande valore emblematico e generale, etico,
politico, culturale e, perbacco, sociale. Si può dire che
l’eponimo di Segreteria del Partito della Rifondazione Comunista
sia “Collegio Nazionale di Garanzia”. Questo organo ce l’hanno
tutti i partiti di ascendenza stalinista e, forse, anche gli
altri, non so, non li frequento, a parte PCI e PRC sono stato solo
in Lotta Continua e lì quella cosa non c’era. Ma se al tempo del
grande Giuseppe una castigamatti rapido e risolutivo di questo
tipo era giustificato dall’assedio di provocatori, infiltrati,
spie ed opportunisti attorno alla prima rivoluzione socialista del
mondo, il Collegio Nazionale di Garanzia nelle mani di Fausto
Bertinotti è strumento essenzialmente per disfarsi di
rompicoglioni, eretici, renitenti, devianti, fuorilinea, più
carini di lui, concorrenti, soprattutto comunisti. Questo
Collegio, come ogni tribunale speciale che si rispetti e che, come
tutti gli organi del suo genere, serve a rendere impunito e
incriticabile il sovrano, ha anche le sue articolazioni locali,
presidiate ovviamente da pretoriani più minuscoli, ma altrettanto
subordinatamente simbiotici con il capo. Da questo organo, anzi,
organetto, a giugno fui condannato a nove mesi di sospensione dal
partito per aver: 1), “leso l’immagine del partito e del suo
segretario” srotolando in pubblico uno striscione
“Bertinot-in-my-name” (ganzo, eh?) e distribuendo in pubblico,
rigorosamente a termini dell’art. 3 dello Statuto del PRC, un
volantino che esprimeva poca fascinazione rispetto alla modifica
unilaterale (cioè Bertinot-laterale) del simbolo del partito
(modificabile solo dal congresso nazionale) e alle varie abiure
che il segretario andava facendo di fronte a un ammirato uditorio
turbocapitalista e elitar-borghese al fine di acchiappare qualche
strapuntino di governo e sottogoverno; e, 2), per aver
tratteggiato in una mia email a qualche amico due candidati alle
recenti europee in modo – del tutto presunto – che, rispetto al
palestinese Bassam Saleh, ne uscisse meno seducente l’immagine del
Merkava non violento Luisa Morgantini. Che, peraltro, dopo aver
straparlato di “fascismo serbo” nella Podgorica del mafioso
Djukanovic, con nelle ampie narici ancora il lezzo di una
Jugoslavia dalla Nato fatta carogna, oggi sta concentrando il suo
attivismo sul fomentare “interventi umanitari” nel Darfur
petrolifero, sobillato contro il resto del Sudan da un paio di
milizie brigantesche al soldo della Cia, sul tipo dell’UCK
kosovaro. La sentenza, perorata con particolare accanimento
forcaiolo da un Franco Guerra, dell”Ernesto”, la mia area
ideologica, fu di nove mesi di sospensione del partito, quanto
bastava per togliermi dai piedi del prossimo Congresso Nazionale.
Prassi e compagni partecipi della
vicenda, ma lasciati intonsi dall’Inquisizione romana, mi
indussero a ricorrere all’organo supremo, quello che siede alla
destra del Padre, il Collegio Nazionale. Fui processato – in
assenza statutaria di difensore e in presenza statutaria di sette
magistrati cumulanti, a dispetto del ministro verde-vomito
Castelli, le funzioni di pubblico ministero, GIP, giuria e giudice
– venerdì 24 settembre, giudicato nel pomeriggio dello stesso
giorno e giustiziato, come suole, all’alba dell’indomani: non più
nove, ma solo otto
mesi di sospensione dal partito e neppure per tutte e due le
imputazioni, solo per la prima, la lesa maestà, visto che in
privato e su email potevo anche permettermi di dire che Luisa
Morgantini, tra Jugoslavia, Palestina e Sudan, era suprema
nell’arte di menar il can per l’aja. Otto mesi, di nuovo quanto
basta per evitare che io, ed eventuali altri turbati e turbolenti
dissidenti turbino il disciplinato svolgersi del Congresso
previsto per i primi mesi del 2005 e che è stato deciso
(naturalmente da nessuno se non dalla lesa maestà) debba
incoronare sovrano Gennaro Migliore, costola del padrino futuro
ministro e uomo che tutto vanta salvo un rapporto decente con il
proprio cognome. Quando, a difesa, opposi che la mia immagine e
quella di tutti i critici del monarca erano state lese non una,
non cento, ma mille volte da diffamazioni, censure e repressioni
nonché revisionismi indebiti che offendevano e negavano le ragioni
dell’iscrizione mia e di tanti di noi al PARTITO DELLA
RIFONDAZIONE COMUNISTA, l’espressione attonita sul volto degli
inquisitori-sentenziatori diceva semplicemente: ma che c’entra?
C’era da stupirsi. Ma Bertinotti non
aveva proclamato con la massima enfasi possibile, in perfetta
sintonia con i futuri partner di governo e sponsor atlantici, di
stare con i dissidenti, di amare i dissidenti, di farsi fare a
pezzi per i dissidenti, passando perfino sopra il fatto che
fossero terroristi mercenari al soldo del moloch mondiale? E già,
minchioni, quelli erano dissidenti cubani, nobilissimi
intellettuali, sacrosanti oppositori, legittime minoranze, mica
da confondere con la morbosa genìa di pseudodissidenti e autentici
delinquenti italiani, giunti all’apostasia e allo sconvolgimento
di ogni legge naturale con il criminale “Bertinot-in-my-name”!
Comunque, dove non arriva il Tribunale Speciale (a proposito il
verdetto di condanna è passato con 4 voti contro tre: onore a
Francesco Ricci, Guido Cappelloni e Beatrice Giavazzi, depositari,
in un angolino del partito, dell’ultimo po’ di dignità e
giustizia), arriva di persona San Michele Arcangelo con la spada
fiammeggiante e il portaocchiali. E sia liquidato, commissariato,
defenestrato e ridotto a silenzio cimiteriale chi resta anche solo
sbigottito di fronte ai suoi caprioleggianti svolazzi in direzione
di troni e cherubini quali D’Alema, Amato, Fassino, Rutelli,
Montezemolo e Dio Padre Kerry (o chi per lui); chi non si fa
capace di un ritiro senza se e senza ma dall’Iraq che diventa
intervento ONU (ossia Nato) tipo Afghanistan, Jugoslavia, Somalia,
Libano, purchè i militari statunitensi si limitino davvero a
“portare democrazia”; chi si adombra per come Bertinotti s’impegna
a sostegno del paradigma bushiano guerra-terrorismo, cruciale per
stabilire nella mente dell’opinione pubblica mondiale che la
resistenza irachena e quella palestinese sono guidate da
terroristi e che questi popoli sono diventati un “fronte della
guerra mondiale contro il terrorismo”; chi non si fa capace di
come alla terapia del dolore umano, con l’abolizione del cancro
della proprietà privata, “l’innovatore” abbia pensato di
sostituire la fuffa e la muffa dei “beni comuni”; chi arriva a
sdegnarsi ancora di fronte all’onnipotenza di questo virgulto
sinistro del presidenzialismo plebiscitato, se non della monarchia
assoluta, che alla frequentazione dei circoli preferisce lo zompo
da un teleshow all’altro come fanno le mosche con quello che voi
sapete, ormai liberato da qualsivoglia vincolo di statuto,
democrazia interna, meccanismi di controllo e processi
decisionali, nonché da qualche residuo di buona educazione; chi
manifesta sconcerto rispetto a un organo di “garanzia” umiliato e
ridotto a catena di trasmissione delle epurazioni di questo Stalin
in sedicesimo e in tweed; chi anche solo piange lo smarrimento,
anzi la lucida liquidazione, di ogni elemento che seppure solo da
lontananze stellari ricordi la teoria, la storia e il progetto del
comunismo, a vantaggio di “innovazioni” e “movimenti” che hanno la
freschezza dell’organza nei musei Biedermaier, ma che il nostro e
i suoi sicofanti (di cui appresso) osano chiamare “comunismo”, a
definitivo confondimento degli ingenui; infine chi, come il
sottoscritto, considera idiozia intellettuale (sussunta infatti
solo da scemotti dotati di indomabile spirito gregario) e crimine
politico l’assolutizzazione della “non violenza”, nonchè il
travisamento, come comanda Bush, in “terrorismo” di una resistenza
dei popoli – con tutti i mezzi! – al planeticidio imperialista,
bendandosi gli occhi con interi prosciutti per non vedere – e
dover denunciare – le canaglie imperialiste e le loro
manipolazioni terroristiche da Osama a Zarkawi, dagli
“indipendentisti” infanticidi ceceni agli “eserciti di liberazione
del Sudan”, dai narcotrafficanti secessionisti del Kosovo ai
manutengoli della mafia di Miami e della Cia che si avventano
sulla rivoluzione cubana. Sarà questo pure un periodo
esorbitantemente lungo, ma, compagni, la lista delle nefandezze di
questo leader e dei saprofiti che lo sorreggono richiederebbe
quanto meno un “libro nero del bertinottismo”. Non è detto che
qualcuno non lo scriva. Ci consola un fatto incontrovertibile: i
segretari vanno, le masse, il loro bisogno di riscatto e la
volontà di vittoria delle loro avanguardie restano. Fra otto mesi,
Bertinotti al massimo si sarà fregato il gruppo parlamentare (per
quello che fa!) con i suoi soldi. Resterà una voragine, grande
come il nostro futuro comunista, tutta da riempire.
P.S. Una divertente curiosità. Il
Collegio Nazionale, cosiddetto di Garanzia, prima ha emesso una
sentenza, su nostra denuncia, che riconosceva l’illegittimità
della modifica del simbolo del partito (con l’aggiunta di una
mezzaluna rossa e la scritta “Sinistra europea”) fuori da un
Congresso e imponeva alla segreteria nazionale di ripristinare il
simbolo precedente (sentenza da Bertinotti prontamente appesa nei
locali igienici della sede nazionale). Subito dopo, coerentemente,
ha condannato me a 8 mesi di sospensione proprio per aver
denunciato la modifica del simbolo. Chi è che parlava di “due pesi
e due misure”?
PP.SS. Insieme alle tantissime
espressioni di solidarietà giuntemi fin dalla prima decapitazione,
c’è stata una partecipazione di altro tipo, che dovrebbe far colpo
sul mandante dell’esecuzione. Ne cito un passaggio: “Mi congratulo
con Fausto Bertinotti per la saggia decisione di sospendere dal
PRC un soggetto paranoico-demenziale come Fulvio Grimaldi, già
estimatore dello stragista Milosevic e oggi sostenitore del
terrorismo iracheno. Il PRC non può e non deve avere alcuna
commistione con chi solidarizza col massacratore dei Balcani e
considera i terroristi saddamiti o di Al Qa’idah come dei
“resistenti””…Firmato: Abu Ibrahim Kalim, del Consiglio Direttivo
dell’Associazione Musulmana Italiana. Peccato che tutti, se non il
destinatario, bambino prodigio della borghesia e ruota di scorta
del suo prossimo governo, sanno che questa Associazione è
null’altro che l’articolazione pseudoislamica del Mossad in
Italia. Chiedere all’organizzazione ufficiale dei musulmani
d’Italia: UCOOII.
La fuga di
Curzigliardi
Accompagnati da un’autocelebrazione
del tipo al quale nessuna coppia di direttori di giornali aveva
mai neanche immaginato di degradarsi, con un quotidiano riquadro
di oscenità eulogiche intitolato “Grazie a Sandro e Rina per ciò
che han fatto”, Sandro Curzi, l’ometto della “ggente”, e Rina
Gagliardi, l’epigrafista di Bertinotti in vita, hanno mollato e,
dopo aver allevato quelle che lo stesso Curzi a me aveva definito
ripetutamente “serpi in seno”, con particolare riferimento
all’ossimoro politico (“ Rivoluzione in poltrona”) Salvatore
Cannavò, astuto analista internazionale di una geopolitica
diventata Processo di Biscardi, si sono lasciati alle spalle una
catastrofe. Parafrasando Tacito, hanno fatto un deserto e l’hanno
chiamato “Liberazione”. Partiti da un riconoscimento non proprio
euforico della qualità del tabloid, 12.000 copie al tempo in cui
vi bazzicavano regolarmente Cremaschi, Ivan della Mea, Nichi
Vendola, il sottoscritto e alcuni altri poi dimessi, hanno chiuso
con un’altalena tra festivi e feriali dalle 3000 alle 6000 copie.
Ma che vuol dire, se poi Roberto Nappi da Foggia non resiste
all’impulso di dedicare al megatrombone in disarmo orchidee del
tipo: “punto di riferimento sicuro di classe… il tuo impegno…il
tuo idealismo… la tua coerenza (questa poi!)…continuerai a lottare
per la nostra causa, la causa del comunismo con l’impegno di
sempre” (il Comunismo si è spaventato a morte).
Sono andati avanti per giorni,
addirittura, incuranti del cattivo gusto quando il più brutto
quotidiano d’Italia era già passato nelle mani, sicuramente più
dignitose, di Piero Sansonetti (durerà poco), imbrattando senza
pudore pagine e pagine di elogi squinternati, “passione
rivoluzionaria”, “espressione viva dei lavoratori, degli
sfruttati, di coloro che lottano e resistono”, “centro di
un’elaborazione culturale critica e antagonista” (nientemeno!), un
“giornale che ha preso sul serio il nome che porta” (quando della
sua proterva disposizione alla censura ordinata dal sovrano ho
avuto esperienza diretta, cacciato senza spiegazioni,
giustificazioni, repliche e art. 18, per aver scritto che i
“dissidenti” cubani erano “al soldo di Mr. Casey”, come poi
ampiamente documentato e ammesso). E’ il mio di pudore che mi
impedisce di andare avanti in questa melassa, che culmina poi in
un addio firmato del duo che pare l’epitaffio di Craxi a
Garibaldi. Ma state sicuri che non solo missive del tipo idolatra
sono giunte in direzione per salutare la coppia. Per esperienza
diretta so bene con quale alto senso del pluralismo Curzi sapeva
selezionare le lettere e aggiustare gli equilibri del pro e
contro.
Quel giornale è stato rovinato dal
servilismo, dal conformismo, dal controllo extraprofessionale
esercitato in modo dispotico dall’ “editore di riferimento”. Non
giornale di partito, ma giornale del segretario di partito, nel
quale, chi era all’opposizione e magari aveva nel partito un
seguito di quasi metà, doveva accontentarsi (e ahinoi si
accontentava) di un due, tre percento dello spazio complessivo.
Giornale che si offriva succube ripetitore ai peggiori paradigmi
del capitalismo e del capitalismo imperialista e colonialista:
diritti umani, democrazia, terrorismo, 11 settembre di Osama,
dittatura di Milosevic, pulizia etnica e nazionalismo dei serbi,
patrioti ceceni e massacratori russi, “dottoressa germe” e
“dottoressa Antrace” per due delle più brave biologhe irachene,
rivelatrici del genocidio all’uranio, e via scimmiottando da Cuba
al Sudan, dal Congo a Chavez (prima che la brava Angela Nocioni
imponesse un raddrizzamento), ulivo da uccidere, ulivo morto,
ulivo da governo, centrosinistra unito, unità nazionale, via
dall’Iraq ma dopo, anzi cessate il fuoco (alla lotta di
liberazione!) e ONU, se non Nato, vista la “coalizione
democratica” col “principio di maggioranza”. Giornale che sulle
lotte operaie e sociali arrivava sempre il giorno dopo, anche
perché Bertinotti altro aveva da fare che innescare lotte; che
sulla tragedia e sulle lotte di Palestina diveniva sempre più
neutro, “ansatico”, su tre bambini israeliani uccisi sempre più
sdegnato, su trecento bambini palestinesi ammazzati sempre più
succinto, che nell’Iraq vedeva, come Negroponte dettava, solo
“caos” e “terrorismo”, poiché bertinottianamente “quella
resistenza non meritava certo la R maiuscola”. Giornale infine che
al “padre della patria” Francesco Cossiga, stragista e
cospiratore, reo di alto tradimento, gladiatore e massone, offriva
il ruolo di un maestro del pensiero che, dalle colonne del
“quotidiano comunista”, poteva sparare i suoi insegnamenti su
comunismo e non violenza, guerra e guerriglia, Stato e antistato,
senza che un’ombra di decenza imponesse una pur piccola chiosa. In
compenso, giornale che mi rifiutò l’ultima intervista a Slobodan
Milosevic prima di essere imprigionato e venduto al tribunale
degli amerikani; che, però, stese un tappeto rosso di compiaciuta
benevolenza al criminale di guerra D’Alema, alla sua espressione
scheletrica Fassino, che ridusse i miei reportage dall’Iraq sotto
assalto angloamericano a sminuzzate letterine al direttore, ma
ospita in brodo di giuggiole il falsario storico e sionista Paolo
Mieli, peraltro definito “first-class journalist”. Giornale che si
chiude sulla deprimente vicenda di Curzigliardi titolando “Un
giornale di veri comunisti rispettosi delle opinioni altrui”,
sopra la lettera di un dipendente, Ghennadi, che arriva ad
attribuire ai fallimentari responsabili “il merito di rafforzare
le nostre convinzioni con un linguaggio rispettoso delle diversità
(sic)… Anche a voi si deve la crescita del PRC e per questo ve ne
saremo per sempre grati”. Di quanto sono calati gli iscritti? E i
lettori? Del cinquanta per cento, o giù di lì?
E infine l’ultimo editoriale della
reggenza, firmato in prima pagina e in omaggio al neofita del
woytilismo Don Fausto, da Tonino dell’Olio, coordinatore nazionale
di Pax Christi: “Da sempre nella storia la nonviolenza è stata
strumento povero degli oppressi (uno pensa ai vietnamiti, tra i
milioni) e la guerra arma degli oppressori (uno ricorda la guerra
di liberazione). Nella regola (S. Francesco) chiede infatti ai
suoi fratelli: “amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e
ci calunniano, poichè dice il Signore: Amate i vostri nemici e
pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano. Beati
quelli che sono perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il
regno dei cieli”.
Con i quali concetti chi sulla
violenza morale, psicologica e fisica ha costruito il regno della
Terra, l’unico che c’è, ci ha fregato per millenni e per millenni
e ha sostenuto e pervicacemente ristabilito il potere dei violenti
e opprimenti. Noi preferiamo una semplice constatazione così
formulatami dal generale “Pancho”, Francisco Gonzales, compagno
del Che e di Fidel nella Sierra Maestra: “Noi siamo vivi perché
siamo armati”. Puoi ghandizzarti quanto vuoi, puoi farti dettare
l’interpretazione del mondo alternativamente da Occhetto,
Wolfowitz e Luisa Morgantini, ma su questo, caro Fausto, non ci
piove.
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