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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

ONORE A SADDAM !

Messa a punto sul “dittatore sanguinario” a partire da un mondo governato da  assassini di massa e che intitola strade a killer mercenari.

 

 

12/01/2006

 

L’unico mezzo d’informazione che ha difeso la propria dignità, insieme alla verità incontrovertibile dei fatti, è stato – e mi s/piace – “il Manifesto”. Di contro avevamo un autentico uragano trasversale, dal fascista Fini a Piero Sansonetti di “Liberazione” (già distintosi per quel suo “nostri ragazzi” di altra occasione), a confermarci una volta di più nella surreale constatazione che non più di due destre si tratta in questo paese, quella che si vanta tale e quella che si mimetizza da centrosinistra, ma addirittura di tre. Perché non mi potrete negare che la vicenda di Fabrizio Quattrocchi, andato in Iraq con i suoi compari, armato come Rambo per ammazzare coloro che non si peritavano di rivoltarsi contro un invasore carnefice, costituisca una pietra di paragone tra chi, necessariamente a sinistra, al di là delle totalmente irrilevanti modalità della morte (manipolate, pare, a fini di “eroismo patriottico”), sta con la Resistenza irachena contro i barbari nazisionisti e chi lo definisce “eroico protettore di gente impegnata nella ricostruzione” (Mensurati, Radio Rai1) e “educato, dignitoso, fiero…ricordo dolente di tutti noi (sic!)…ucciso da terroristi… con affetto per la sorella di Fabrizio (sic!)…di cui capisco perfettamente e apprezzo la commozione e l’orgoglio (sic!)…”  Parole del direttore di “Liberazione”, quello dei “nostri(sic!)ragazzi”, che poi culmina in vette di aberrazione mettendo nello stesso mattatoio dei 200.000 iracheni ammazzati da invasori e loro ascari, mentre difendevano patria, sovranità, dignità, socialismo, libertà, vita, come “vittima di questa guerra” colui e coloro che ne sono stati i macellai e aiuto-macellai. Cosa non si fa per stare al governo con D’Alema e i delinquenti di Tel Aviv e Washington!  Chissà se il personaggio ha sentito bruciarsi sulla faccia gli schiaffi di un informato, onesto e coraggioso analista come Manlio Dinucci sul “Manifesto”, quando ci parla dei compiti di questi “contractors”, come “quello dell’interrogatorio dei prigionieri nelle sale delle tortura di Abu Ghraib”, o quando ci ricorda che il correo di Quattrocchi, Salvatore Stefio, offriva “i suoi servizi a governi che necessitano di una rapida risoluzione dei problemi di carattere militare, di difesa e sicurezza interna…” Sberle che un anche minimo soffio etico, prima ancora che politico, avrebbe dovuto far rimbalzare sulle mosce guance di un sindaco, noto per amministrare la capitale peggio messa d’Europa e in cambio aver spergiurato “mai stato comunista”, dopo una vita di prebende e onori tutta trascorsa nel PCI. Sindaco che è asceso al Parnaso delle facce di bronzo quando ha proposto di intitolare una strada al noto Quattrocchi. Non a Enzo Baldoni, non ai bambini iracheni arrostiti dal fosforo, non ai giornalisti non embedded fucilati o rapiti dagli occupanti. A Quattrocchi. Fa il paio con quel governatore di Puglia, crociato dei diritti PACS, che, coerentemente, intitola l’aeroporto di Bari al compagno Woytila.  La ripugnanza monta e noi lasciamo questi sicofanti all’immondezzaio della storia e alla considerazione degli iracheni.

 

Passiamo a un’altra, questa volta di maggiore rilevanza storica e politica, cartina di tornasole: il presidente legittimo dell’Iraq, Saddam Hussein. Ricordo una riunione dei compagni dell’ “Ernesto”, corrente che si vuole di sinistra nel PRC, in cui discutemmo di Saddam, con me appena tornato dall’Iraq massacrato da 13 anni di embargo totale, ma sempre in piedi e baluardo antimperialista. Una figura di primissimo piano della dirigenza del partito, Bianca Bracci Torsi, tra l’altro protagonista dell’annosa – e faticosa nel PRC - battaglia per la memoria partigiana ed antifascista, che sentenziò: “Uno che ha sterminato migliaia di comunisti, che ha gassato i curdi e che è servito da strumento degli americani non può certo essere annoverato nel campo dei progressisti”. Il tutto condito dai soliti riferimenti al “dittatore sanguinario”, al “repressore del proprio popolo”, al “torturatore degli oppositori”. Insomma, pari pari gli stereotipi della propaganda imperialista elaborata scientificamente dalle centrali governative della disinformazione, a partire dagli anni ’80, allo scopo di preparare l’opinione dei complici, degli ingenui e dei fessi allo squartamento del paese più ricco di petrolio del mondo e socialmente, industrialmente, politicamente più avanzato, insieme a Cuba, del Sud planetario. Echi di Bush padre, che bombardò a morte qualcosa come 100.000 civili iracheni, di Clinton che proseguì nella garrota economica e bombarola di 2 milioni di innocenti, di Bush figlio che s’illuse di completare l’opera cancellando l’intero paese dalla faccia della Terra, salvo i pozzi di petrolio, i tagliagole curdi e i preti collaborazionisti di obbedienza iraniana. Ma anche echi, fedelmente ripetuti, dal suo ex-leader Massimo D’Alema, complice di tutto questo e denunciato dai giuristi del PRC come criminale di guerra per la cogestione dello scannatoio jugoslavo. E, decisivi, echi dall’ex-grande punto di riferimento Leonida Brezhnev, che s’inventò la strage dei comunisti per garantire un miserabile alibi al suo tradimento del patto di amicizia e mutua difesa URSS-Iraq (1972), quando si schierò con l’integralista espansionista Khomeini (lui, sì, strumento di Israele e USA: ricordare l’Iran-Contras, le armi e i piloti israeliani a Tehran, gli aiuti finanziari del Congresso USA dal 1980 al 1988, l’aggressione all’Iraq anche stimolando, armando e pagando la rivolta dei curdi iracheni dopo aver sterminato quelli iraniani, il rifiuto per sei anni della pace offerta da Saddam). Echi, tutti questi, che evidentemente hanno saputo far sprofondare nell’oblio l’antica consapevolezza nei compagni di come colonialismo e poi imperialismo tratteggiarono ai propri fini figure come Fidel, Ho Ci Min, Mao, Ben Bella e Boumedienne, Gheddafi, Yomo Keniatta liberatore del Kenia (il “Mau Mau assiso tra i rami vestito di pelli di leopardo, pronto con i suoi finti artigli a strappare il cuore ai civilizzatori britannici”) e chiunque abbia guidato il rifiuto armato dei popoli alla schiavitù capitalista straniera. Risparmiando il non violento Ghandi, ovviamente, visto che, persa per persa l’India nel grande processo di decolonizzazione dopo la II guerra mondiale, il nudo digiunatore della casta nobiliare quanto meno ti garantiva la permanenza dell’India nel girone capitalista filobritannico del Commonwealth, così sottraendo la vittoria e il potere alle forze popolari di sinistra che per decenni avevano condotto la lotta vincente contro viceré britannici e marajà indigeni.

 

Naturalmente il connubio coesistente antiracheno tra URSS e USA aveva delle volgari basi geostrategiche. All’Occidente e ai suoi corifei italioti nel nuovo colonialismo globale conveniva sabotare, con la proiezione di un Saddam cialtrone doppiogiochista, finto antimperialista e servo degli USA, l’eventualità di un’insidiosa solidarietà con l’Iraq assediato, affamato, bombardato e infine calpestato, da parte di “sinistre”, un tempo ancora a sinistra, aduse a schierarsi politicamente e anche materialmente a fianco delle lotte di liberazione e per il riscatto dei “proletari di tutto il mondo”.  A Brezhnev e al suo codazzo terzinternazionalista, rassegnati al socialismo in un solo paese grazie alla vergogna di Yalta, interessava tenersi caro il fanatico oscurantista e anticomunista, confinante con le proprie regioni musulmane già in processo di autonomia dall’Unione e questo valeva, nel 1979-80, il tradimento dei trattati  con l’Iraq laico ed antimperialista e la criminalizzazione di Saddam “massacratore di 5000 comunisti”, magari “su indicazione Cia”. Una balla megagalattica, quanto quella sui curdi di Halabja gassati nel 1988, smentita, oltrechè dai giornalisti sul posto, dagli stessi servizi delle grandi potenze, Cia in testa (furono gli iraniani a lanciare il gas contro truppe irachene vicine a quel villaggio: vedi, tra le altre fonti, il “New York Times” del 31 gennaio 2004). Una balla che si ridusse a quei 140 dirigenti del PC iracheno processati e giustiziati per alto tradimento, secondo le stesse ammissioni dell’attuale PCI collaborazionista e partecipe del governo fantoccio insediato dagli USA, per aver obbedito a Mosca facendo la spia, o essendo andati a combattere contro il proprio paese nella guerra Iraq-Iran.

 

Non è questa l’occasione per andare a rovistare nell’immenso letamaio di menzogne rovesciate su Saddam e sul partito Baath allo scopo di cancellare un modello sociale e politico incompatibile con  Pensiero Unico e Nuovo Ordine Mondiale, rubare il petrolio e normalizzare sionisticamente il Medio Oriente, al di là di ogni ipotesi di riunificazione araba di cui l’Iraq è stato, dopo Nasser e Boumedienne, il massimo polo. Letamaio cui è stato consentito di inquinare e lobotomizzare chi avrebbe dovuto avere maggiore capacità di discernimento, specialmente dopo analoghe campagne di satanizzazione all’indirizzo di difensori di sovranità, progresso sociale, libertà come Slobodan Milosevic o Fidel Castro. Certe idiozie grottesche si sono già dissolte al sole della razionalità o delle rivelazioni dei pochi investigatori sottrattisi all’omologazione praticata dai vocati al servilismo: la finta infermiera e vera figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington che piagnucola su “neonati kuweitiani strappati dalla soldataglia irachena dalle incubatrici e scagliati a terra a morire”; il tritaplastica in cui “Saddam infilava gli oppositori politici a piedi in giù”, inventato da una deputata laburista per agevolare le bugie guerrafondaie di Blair; i calciatori che, persa una partita, venivano prima “picchiati sulle piante dei piedi e poi fatti allenare con palle di ferro” dal presidente della società Uday Hussein, figlio del presidente che, tra le altre efferatezze, girava per Baghdad  “sequestrando fanciulle e gettandole nel pozzo dopo averne abusato”; lo sterminio di popolazioni scite in rivolta dopo la prima aggressione imperialista (Bellini  e Cocciolone), dove si trattava invece di milizie iraniane infiltrate con la copertura degli ayatollah iracheni oggi al fianco degli occupanti; l’analogo massacro di curdi, laddove il Curdistan iracheno era stato l’unico spazio in cui quel popolo diviso aveva ottenuto autonomia, autogoverno e pari dignità e ruolo nel governo nazionale e si trattava di fermare la rivolta, sotto guida israelo-statunitense, di due capitribù narcotrafficanti, Barzani e Talabani, quest’ultimo oggi capo dello “Stato” in virtù di servigi ai genocidi. Si potrebbe continuare per ore incidendo da tutte le parti il tumore dell’antisaddamismo coltivato con iniezioni ventennali di menzogne, fino a ridurlo alle sue vere dimensioni di truffa dalle proporzioni cristiane ( e gli amici atei sanno cosa intendo).

 

Ne parlerà con grande conoscenza di causa un libro di Valeria Poletti, di prossima pubblicazione per i tipi di Achab e di cui si darà la più diffusa comunicazione. Un volume documentatissimo che ci racconta l’Iraq dalla colonizzazione, attraverso la rivoluzione, l’incredibile riscatto economico e sociale, fino ai giorni dell’incubo imperialista e dell’eroica resistenza di un popolo che, preparato da tempo alla bisogna, riesce a costruire il fronte avanzato e decisivo dello scontro con i più sanguinari “padroni del mondo” che siano mai comparsi. Non per nulla merita il riconoscimento di tutte le persone perbene, come Fidel e Chavez ci insegnano Un lavoro che svergogna una volta di più la pigra e silente indifferenza della nostra informazione, quella presunta alternativa compresa, verso la realtà di un paese, un popolo, un nodo geopolitico che pure rappresentano il massimo dramma mondiale del dopo Vietnam. Ricordo la grande attenzione, gli occhi strabuzzati e le bocche spalancate delle migliaia di persone che ho incontrato durante tre lustri di dibattito e conferenze e con le quali ho dovuto essere il primo a illustrare il vero Iraq, il vero Saddam, la vera ragione di uno scontro epocale, pur essendo i dati che riferivo, a parte la mia trentennale frequentazione del paese, ampiamente disponibili in rapporti e statistiche ONU, Unicef, Unesco, PAM, Banca Mondiale e altre istituzioni internazionali che registrano i percorsi economici e sociali dei popoli.

 

Qui interessa piuttosto, alla luce di uno dei processi più simili a quelli dell’Inquisizione cattolica e a cui Saddam sta tenendo testa in modo, questo sì, eroico, non meno di Milosevic nella vergognosa burla giuridica dell’Aja, ripercorrere brevemente le orme del cammino di un paese che, lasciato dai colonialisti inglesi nel più abietto sottosviluppo, senza ospedali, senza scuole, senza industria, in pochi anni, cacciati i colonizzatori quasi a mani nude, seppe, attingendo alle radici della più antica e ai suoi tempi progressiva civiltà del mondo, forgiarsi in nazione e diventare un modello di giustizia sociale e di coerenza antimperialista. Saddam sta in un carcere e porta i segni delle torture dei “portatori di democrazia”, giudicato da un banda di venduti pseudomagistrati, accusato da testimoni occulti, nascosti, anonimi, che leggono filastrocche preparate dagli sgherri di un occupante che detta ogni aspetto e ogni mossa politica ed economica del paese al fine di completarne la distruzione e il saccheggio. Fuori gli squadroni della morte dei collaborazionisti sciti e curdi, creati dagli angloamericani insieme al fantasmatico burattino Al Zarkawi (cui tutti offrono ormai scandalosa credibilità) e addestrati e pagati dai pasdaran iraniani, giustiziano a migliaia coloro che appartengono a quell’82% di iracheni che rifiutano l’occupazione; il resto sono curdi ammaestrati da Israele e pescicani dell’esilio rientrati per le briciole del banchetto). Fuori, le armate terroristiche degli occupanti, di fronte a un’impossibile vittoria sul terreno e all’indomabile resistenza di città e villaggi, hanno quintuplicato i bombardamenti aerei indiscriminati, le incursioni a fini di rastrellamenti (60.000 i detenuti) pure indiscriminati, gli stupri di massa, il furto ai feriti e uccisi di organi destinati al mercato dei plutocrati statunitensi, gli attentati stragisti da attribuire alla Resistenza la devastazione e rapina degli un tempo smisurati beni archeologici e culturali, l’uso a tutto spiano di armi di distruzioni di massa dai gas al napalm e al fosforo, le torture, insomma tutto quello che dovrebbe servire a terrorizzare e convincere alla resa un popolo che deve pagare per aver già sconfitto una volta la criminalità statuale internazionale e per aver imparato che a resistere si vince.

 

Dentro sta Saddam. Fuori stanno, a conferma dei peggiori tempi vissuti dall’umanità da secoli a questa parte (il nazifascimo, se non altro, era territorialmente e temporalmente più circoscritto), Sharon, boia di Sabra e Shatila e promotore della “soluzione finale” per palestinesi e arabi; Bush, i suoi santoli e padrini della cabala nazisionista e narcotrafficante, tra i cadaveri e le macerie degli attentati “islamici”, da costoro orditi per poter sequestrare  e sfoltire l’umanità;  Blair, tardovittoriano alla ricerca degli scarti dell’altrui colonialismo, connivente del complotto criminale e che con il socio d’oltreatlantico ha freddamente costruito le bugie della demonizzazione e dell’integralismo islamico;  Berlusconi, D’Alema, soldati di ventura Nato-USA, esecutori sul posto degli ordini dei carnefici imperiali;  tutta la Grande Armada dello storico terrorismo di Stato USA, fin da coloro che governavano le stragi e i terrorismi in Italia e continuano a governarli, dalla Grecia all’America Latina, a Libano, Spagna, Egitto, Turchia, Giordania, Kosovo e ovunque gli pare funzionale far apparire la  propria agenzia di provocazioni, Al Qa’ida: i Rumsfeld, Wolfowitz, Ledeen, Negroponte, North, Abrams, Posada Carriles, Orlando Bosch., Khalilzad e i mille e mille subordinati esteri, da Delle Chiaie in giù.

 

Saddam sta dentro. Non era un santo, Saddam. Era il governante di un popolo, già annegato nell’uranio, che sopravviveva a forza di lacrime, sudore e sangue, sbaragliando insidie mortali a ogni angolo e da ogni parte, provocatori, spie, affamatori, infiltrati, sobillatori per conto dell’imperialismo, aggressori armati, sabotatori interni e internazionali, durante tutti i quasi cinquant’anni del suo cammino di emancipazione. Un popolo che, dopo aver sparso saggezza  e scienza nel mondo, durante gli ultimi mille anni non aveva subito che regimi autocratici imposti da fuori e a cui non si poteva certo chiedere una maturazione illuministica verso la democrazia in quattro e quattr’otto, tanto più che quella democrazia si presentava e si presenta negli abiti marci della democrazia borghese. Un popolo che non poteva “essere gentile”, come dice Brecht, non stava a capotavola di un pranzo di gala. Questo lo dico, mentre mi incombono i Bush, gli Sharon della “Sinistra per Israele”, i D’Alema del paesicidio jugoslavo, i Giuliano Ferrara che vanno in orgasmo per ogni strage sionista o teocon, le Fallaci onorate di paginoni dal Corriere, i Magdi Allam che sul tabloid scandalistico “La Repubblica” s’inventavano i campi di Al Qa’ida in Iraq là dove c’erano campi militari ufficiali, visitati cento volte da ispettori ONU, vasellinatore del nuovo razzismo universale islamofobico, e tanta, tanta gentaccia. Questo lo dico avendo vissuto di persona, da metà degli anni ’70 in poi, tempi dell’unica nazionalizzazione del petrolio, difesa per trent’anni fino al 9 aprile 2003, arrivo dei vandali, l’esaltante esperienza di un popolo che prendeva coscienza di sé, della sua storia offuscata, della sua dignità negata, del suo ruolo da protagonista nello scontro tra giusti e delinquenti. Il processo di acquisizione, dopo secoli di polvere e esclusione, dell’autostima. Qualcosa che oggi si vive nel Venezuela di Chavez. Un popolo, infine. La cui non ultima nobiltà è stata di essere rimasto fino all’ultimo giorno, unico, a fianco del popolo palestinese e alle sue intifade. 

 

E quest’uomo, che non era un santo, ma che, dopo aver partecipato a una rivoluzione e poi guidato l’altra,  sfidando l’impossibile e il mondo coalizzato, con l’eccezione, allora, dei paesi socialisti, di questo processo è stato l’inventore, il simbolo, il coagulatore. Per primo, i diritti umani. Non quelli che tanto agitano i nostri vessilliferi di democrazie al polistirolo. Quelli che interessano ai popoli, agli esclusi, ai fuori-dalla.-storia. Agli eterni proletari. La conoscenza per essere soggetto di cultura e quindi di politica e quindi di destino. Un’alfabetizzazione totale in un paese totalmente analfabeta. Una sanità di altissimo livello con professionisti che dal processo in cui erano inseriti avevano tratto un’etica un po’ diversa dai nostri primari d’ospedale e dalle nostre larve nel formaggio delle cliniche private, tanto da dover essere ammazzati dagli occupanti perché smettano di curare un popolo destinato all’estinzione. Orari di lavoro, sindacati, maternità, previdenza, pensioni, anziani, bambini, donne libere e ad ogni livello di produzione e direzione; scienza, agricoltura, industria, arti che invadevano e accendevano il mondo arabo e oltre. E orgoglio. E consenso. E come si potrebbe non avere consenso quando un partito, il Baath, socialista, arabo e la sua direzione, per la prima volta nella storia e nella regione, distribuiscono la ricchezza in maniera equa, senza satrapi e senza mendicanti. Diritti umani che hanno consentito al governo di distribuire le armi da tenere in casa a sei milioni di cittadini, praticamente tutti quelli in grado di impegnarsi nella difesa, senza temere quell’insurrezione che si sarebbe verificata se solo il “regime” fosse stato quello descritto, o strumentalmente o vilmente, dall’universo mondo. Sei milioni che oggi tengono testa, in nome di noi tutti, alla più possente criminalità di Stato di tutti i tempi. Diritti umani che hanno messo un popolo in condizione di difendersi oltre ogni immaginazione, oltre ogni ottuso e ignorante pregiudizio, sulla base di una coscienza politica, sociale e nazionale che ne fa oggi l’avanguardia della risposta degli uomini ai loro terminator. Sicuramente non tutto è stato fatto da Saddam, chè corollario della costruzione di una nazione è la formazione di una classe politica all’altezza. Il merito massimo va a un popolo che in Saddam si è riconosciuto, ma che per la meta dell’emancipazione e della sovranità si è battuto incessantemente, con coraggio e intelligenza, tra sacrifici inenarrabili. Ovviamente i media non ce le raccontano le mille manifestazioni con i ritratti del presidente in tante città irachene, e la sinistra, intrisa di spocchia eurocentrista, avvitata nella sua opportunistica “spirale guerra-terrorismo”.  ovviamente le snobba, attribuendole a un perverso indottrinamento, non ancora risanato dalla “democrazia”.

 

Guardiamo Saddam nella gabbia dello pseudoprocesso condotto da chi, dopo aver ammazzato due milioni di iracheni e tentato di  disintegrare l’anima di quel popolo liquidandone la memoria storica, la cultura, l’intelligenza, tutto il patrimonio umano, spera, con un’esecuzione prestabilita da colui che è il vero dittatore sanguinario d’Iraq, quello a stelle e striscie, di decapitarlo definitivamente e di consegnarne le membra sparse ai tirapiedi con turbante che già lo avevano servito quando recava la britannica croce di Sant’Andrea. Guardiamo e ascoltiamo Saddam, senza farci ottundere dai veleni somministratici dai cerusici di tutti gli inganni e di tutte le superstizioni. Da un uomo senza l’ombra di una paura, ma con tutta la sacrosanta collera che, dopo aver fatte sue le aspirazioni del suo popolo alla giustizia e al benessere, ne soffre l’agghiacciante ingiustizia e tragedia, ascoltiamo: “Ovviamente non sono colpevole, ma so benissimo che mi vogliono morto. Ma essendo il comandante in capo, preferisco  essere fucilato da un plotone d’esecuzione. Combatto  la tirannia USA in nome degli iracheni, degli arabi, dei popoli di tutto il mondo. Sono certo che gli Stati Uniti non saranno in grado di imporre un  Nuovo Mondo. Quanto a me, ho operato per gli arabi  e ho fatto il mio dovere. Sono convinto che il popolo iracheno combatterà fino all’ultimo. Non accetterà mai un dominio straniero. All’aggressione si resisterà fino a quando l’ultimo degli americani, dei loro alleati e fantocci, sarà stato cacciato dall’Iraq.

Non m’importa di morire, non è che sono molto attaccato a questa vita. Per ogni essere umano c’è un tempo per andare. La vita di ogni singolo iracheno vale quanto la mia.”Ascoltiamo. E forse non ci scandalizzeremo del titolo di questo articolo.

 

Saddam verrà ucciso. Ma io, che mi sono mescolato a quelle genti quando rinascevano, crescevano, resistevano, morivano, so che non finiranno di piangerlo mai. C’è qualcuno che  possa dire lo stesso di Bush, Blair, Clinton, D’Alema, Prodi? A dispetto della spaventosa regressione in cui papi, ayatollah, rabbini, presidenti serial killer, generali fosforizzanti, terroristi travestiti, mercenari torturatori, finte sinistre, idolatri ed egolatri, dirittiumanisti, stanno trascinando il mondo intero, gli iracheni non si arrendono. Continuano ad andare avanti. Magari non con i diktat delle tavole di Mosè, piuttosto con il Codice di Hammurabi che, primo, fece gli uomini uguali davanti alla legge. Merito anche di Saddam Hussein. La storia gliene renderà merito. 

 

 

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