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DALLA FANDONIA
DEL GENOCIDIO NEL DARFUR ALL’IPERFARSA DELL’ “EMIRO DI AL
QAIDA NELLA TERRA TRA I DUE FIUMI”
Coazione a
ripetere delle subalterne e “folkloristiche” sinistre italiane
11/06/2006
Somalia e Darfur
“Sinistre folkloristiche”, così ha taffazzianamente definito
i suoi alleati su
Die Zeit
un Prodi in versione Oktoberfest, probabilmente riferendosi
più che altro al subcomandante
et
presidente della Camera Bertinotti e ai microrivoluzionari
et
sicofanti di Walter Veltroni. Pur dimentico del proprio, di
lui, folklore un po’
passée,
il nostro fluttuante premier si può dire che stavolta abbia
ronaldinescamente centrato la palla, visto che il termine non
può che riferirsi al riciclaggio in farsa di cose un tempo
genuine, .Una delle più raccapriccianti manifestazioni di
subalternità e dabbenaggine provincialotta (nei casi peggiori
anche di consapevole complicità, vedi certi scrivani di
“Liberazione”) delle sinistre italiane e dei loro media è la
coazione a ripetere gli stereotipi bugiardi e fuorvianti di
quella che si chiama propaganda, ma che gli statunitensi, in
un soprassalto di onestà, chiamano guerra psicologica. Ed è
dovuto solo alla disattenzione delle cancellerie e dei media,
distratte da altre operazioni di obnubilazione (Iraq, Iran,
Sudan, Siria), che dalla Somalia ci è potuta giungere notizia
di un’autentica “primavera” (non la notte nera allestita dalla
Cia e mascherata da stagione dei fiori in Ucraina, Georgia,
Jugoslavia e Libano). La vittoria delle forze autenticamente
popolari e autenticamente stufe (cui si è voluto porre rimedio
istantaneamente con l’effetto propagandistico del “trionfo” su
Al Qaida, pure detta presente in Somalia, grazie all’uccisione
dell’ectoplasma Al Zarkawi) non ha potuto, nonostante gli
sforzi del Dipartimento di Stato, essere degradata a manovra
terroristica di Al Qaida. Quelle forze, oggi rappresentate
dalle cosiddette “corti islamiche”, sono eredi, islamizzati
qui come altrove, della rivolta di massa che nel 1991
rovesciò, sotto la guida del generale Aidid, il fantoccio
occidentale Siad Barre e di cui, primo inviato della Rai,
potei conoscere dallo stesso leader il progetto di sovranità
progressista ed antimperialista. Progetto che naturalmente
provocò la rabbiosa e poi impantanata e sconfitta reazione del
nascente fronte colonialista euro-statunitense. Aidid e la
rinascita del paese furono bloccati e la Somalia venne
lasciata in preda a un caos funzionale al traffico di droga e
di quel combinato armi - rifiuti che, due anni dopo la mia
spedizione, avrebbe scoperto la collega Ilaria Alpi. Gli Usa,
con sul posto il braccio armato del vassallo subimperialista
Etiopia, puntarono su gangster locali per eternizzare lo
status quo e appaiono ora costretti o a rassegnarsi, o a un
intervento militare diretto o per interposti etiopici.
Comunque una gran bella battuta d’arresto per i manigoldi di
Washington. La quasi verità sul groviglio somalo,
faticosamente uscita sui giornali di sinistra – ma che presto,
vedrete, verrà riaddomesticata sotto dettato dei velinari di
“Libero” , “Corriere”e “Repubblica” – nell’ottundimento da
flebo imperialiste caricate a “terrorismo” e “diritti umani”,
è un caso più unico che raro.
Uno
degli esempi di ottusa e codina subalternità alle invenzioni
della guerra piscologica, una guerra che fa più vittime di
tutte le altre messe insieme, è la linea adottata, su
nettissima ispirazione imperialista, sul dramma del Darfur,
regione occidentale del Sudan che dovrebbe essere attraversata
da un oleodotto direzionato verso le prese angloamericane nel
Golfo di Guinea (in direzione contraria a quello progettato da
Khartum sul proprio territorio e verso il Mar Rosso). Il
Sudan, contro la cui indipendenza dai britannici venne subito
sobillata, nel 1959, la popolazione del Sud, è il paese arabo
africano più vasto e meno ligio agli interessi occidentali, da
qualche anno nel mirino dei nuovi colonialisti (Usa, Francia,
Germania, Israele e Vaticano) per la sfiga di essersi scoperto
traboccante di ricchezze minerarie (petrolio più che nella
penisola arabica, gas, uranio, rame), oltrechè idriche (il
Nilo) e per l’impertinenza di volerle amministrare secondo le
proprie scelte (Cina e Scandinavia, piuttosto che Usa e
Nato). Poco tempo fa, un invito a parlare di Iraq alla mano
del mio documentario, “Un deserto chiamato pace”, fattomi da
Laboratorio Zeta di Palermo, un dinamico e coraggioso centro
giovanile dell’altra Sicilia, un’autentica isola di
controintelligenza, mi ha costretto una volta di più a
confrontarmi con il grado di intossicazione, vicino al 100%,
che il totalitarismo mediatico, soprattutto di guerra,
infligge anche a chi più si sbatte per sfuggire al
fog
dell’universale impostura comunicativa.
Ricordate la Cap Annamur?
Nella
primavera del 2005 mi ritrovai completamente solo, almeno in
Italia, a cercare di arginare l’uragano di solidarietà con “le
popolazioni del Darfur sottoposte a genocidio” che, innescato
da una serie di denunce ufficiali di Washington, Parigi,
Berlino e Vaticano, affiancate dal solito coro delle
organizzazioni umanitarie note per fornire alibi a qualsiasi
aggressione imperialista, aveva preso a pretesto la clamorosa
vicenda della nave “Cap Annamur”. Vicenda che va ricordata per
come ha esaltato la disponibilità delle sinistre, sedicenti
antiguerra, a farsi intossicare da una megaimpostura, dietro
al malcerto riparo dei “diritti umani”, dell’ ovviamente
cristiana pietà per gli ultimi e della solidarietà con i
poveri del Terzo Mondo. Quella nave giracchiò per qualche
giorno al largo della Sicilia, sparando appelli disperati per
il suo carico di agonizzanti profughi. Diceva di avere a bordo
una trentina di fuggiaschi dal Darfur massacrato dal governo
sudanese. Vi si precipitarono tutti e tutti lessero negli
occhi dei profughi l’orrore dei villaggi bruciati, delle
stragi, degli stupri, delle inenarrabili nefandezze inflitte
dalle milizie governative. Poi, ohibò, si scoprì che di quei
trenta giovanotti, per niente agonizzanti, nessuno oltre i
trent’anni, non uno veniva né dal Darfur, né dall’intero
Sudan, semmai dal Ghana o dalla Costa d’Avorio. Sicuramente
figli della tragedia africana, ma non del Darfur e, con ogni
probabilità, reclutati per la bisogna. Trattavasi di bufala,
di raggiro, di provocazione. Si scoprì che la Cap Annamur
dipendeva dalla
Gesellschaft
fuer bedrohte Voelker
(Società per i popoli minacciati), organismo tedesco legato al
ministero degli esteri e specializzato fin dai Balcani e dal
Vietnam in operazioni ordite per agevolare o giustificare i
noti interventi “umanitari”. A Palermo, i compagni del
Laboratorio Zeta ospitavano generosamente alcuni profughi
sudanesi e, comprensibilmente, si risentirono molto alla mia
denuncia che l’intero pandemonio umanitario sul Darfur non era
che l’avvio, pari pari a quello della Jugoslavia, dell’Iraq e
di tutti gli assalti Usa, di una campagna di diffamazione
finalizzata allo squartamento del Sudan, nazione araba
riottosa alla sottomissione, solidale con l’Iraq fin dal 1991,
amica della Cina, di Cuba, del Venezuela. Questo sapevo anche
per esperienza diretta in Darfur, dove già anni fa avevo
assistito a una tragedia determinata dalla desertificazione
(indotta dai giochini capitalistici col clima) e dalla contesa
tra agricoltori stanziali e nomadi allevatori per il sempre
più scarso spazio di pascolo e coltivazione. Tutti neri, tutti
musulmani, tutti di lingua araba. Falsa la conclamata rivalità
etnica e religiosa, falsa la dipendenza delle formazioni
Janjaweed,
di autoprotezione degli allevatori, dal governo di Khartum,
che invece processava gli autori di abusi e si adoperava con
ogni sforzo per provvedere ai profughi della siccità e del
conflitto. Falsi al limite del grottesco i 400.000 uccisi e
due milioni di profughi in un anno: quasi metà della
popolazione del Darfur! Fate il conto di quanta gente dovevano
essere riusciti ad ammazzare o scacciare i Janjaweed al
giorno. Manco avessero i mezzi di Rumsfeld. Vera, invece,
l’istigazione franco-tedesco-americana - ben lubrificata dagli
alti lai dei padri comboniani, da sempre avanguardia
colonialista in Africa - alla creazione e sollevazione
violenta di un paio di organizzazioni secessioniste (Movimento
di Liberazione del Sudan e Movimento per la Giustizia e
l‘Uguaglianza), armate dagli alleati del Ciad e rafforzate con
uomini e mezzi dai filoamericani e filoisraeliani dell’SPLA
(l’organizzazione separatista del Sud). Vera la mobilitazione
in appoggio ai secessionisti di tutte le forze della guerra
permanente e globale: Israele, Berlino, Parigi, Washington,
Londra e, negli Usa, il fior fiore dell’humus da cui
scaturisce l’appoggio ai nazisionisti di Bush: 164
organizzazioni integraliste evangeliche e cattoliche, tutto lo
schieramento tonitruante della lobby ebraica. A una loro
manifestazione “Save
Darfour”
di 5000 persone a Washington, personalmente omaggiata da Bush
(!), i media riservarono paginoni e telecronache. Sulla
manifestazione dei 300.000 a News York contro Bush e la
guerra, il giorno prima, silenzio o trafiletti. In Italia,
pateticamente, al carro di guerra ancora una volta umanitario,
si agganciò con rinnovato fervore dirittoumanista,
implicitamente antimusulmano, razzista e colonialista,
l’intero corpo d’armata delle Ong (affari in vista!), del
pacifismo non violento, del folklore bertinottista e della
stampa di sinistra (fatte salve pochissime nicchie). Per
un’esauriente e documentata analisi dei trombettieri del
“genocidio in Darfur”, nonchè degli interessi Usa in ballo,
vedasi l’inconfutabile pezzo di Sara Flounders, dell’International
Action Center
di
Ramsey Clark (www.workers.org/2006/world/darfur-0608/)
.
La finta guerra all’Iran e
vita e morte finte di Al Zarkawi
E’
davvero sconsolante la dabbenaggine con cui i giornali
sinistri si accaniscono a cadere in ogni trappola allestita
dai tecnici della guerra psicologica (pur esistendo in
proposito un Manuale Cia del 1956 sulla “Guerra a bassa
intensità” che già illustrava le procedure). Tutti a fare da
sponda allo sbattere di sciabole iraniano-statunitense, a
lanciarsi in allarmi e invocazioni contro l’imminente assalto
della triade Cheney-Rumsfeld-Rice al paese degli ayatollah.
Nessuno che abbia il dubbio che, nell’immediato, l’ipotesi sia
resa del tutto implausibile (nonostante l’ebbrezza bellica
degli psicopatici Stranamore annidati nel bush-sionismo) dalla
convergenza-concorrenza degli interessi di entrambi i regimi
nello spolparsi l’Iraq, nonché dall’incontenibile capacità di
rappresaglia che l’Iran potrebbe esercitare sul mercato
mondiale e sulle vene giugulari del petrolio nel Golfo. Tutti
ad accreditare che la faccia da morto esibita come quella di
un Al Zarkawi è proprio quella giusta. Di un Zarkawi arrivato
in Iraq con una gamba sola (l’altra l’aveva ufficialmente
persa sotto le bombe in Afganistan nel 2001), polverizzato da
altre bombe in Curdistan nell’aprile del 2003 e doverosamente
seppellito dalla sua famiglia di Zarka, ma poi resuscitato in
passamontagna e con entrambi gli arti inferiori per decapitare
un giovane Nick Berg già cadavere. Infine prodigiosamente
assurto a capo supremo di tutta la Resistenza irachena.
Resistenza che negli stessi rapporti del comando Usa si
riconosceva preparata da decenni, diretta e composta per la
massima parte da militanti del Baath e militari di Saddam (con
appena un 5% accreditato a combattenti stranieri) e che nessun
iracheno, per quanto affidato alle cure delle torturatrici
Usa, né aveva mai visto Abu Musab Al Zarkawi, né aveva
incrociato Al Qaida. Innumerevoli comunicati ufficiali della
Resistenza hanno respinto ogni rapporto con Al Qaida e ne
hanno negato qualsiasi ruolo in Iraq, sostenendo anzi che la
sigla doveva coprire le carneficine di civili (6000 da gennaio
a maggio 2006) istigate dagli occupanti e portate a spaventoso
fine dagli squadroni della morte sciti e curdi di obbedienza
iraniana. Ma, si sa, le parole dei “terroristi” valgono zero
rispetto a quelle inconfutabili di uomini di provata onestà
come Bush, Blair, Berlusconi.
E’ proprio troppo temerario
farsi venire il dubbio che la psicosi di una guerra con l’Iran
servisse a coprire i preparativi di guerra – anche qui
affidata al casco Nato, così entusiasticamente calzato da
Belgrado a Kabul dal figaro di Gallipoli - contro i
debolissimi Sudan e Siria, nonché l’intima connivenza
irano-statunitense nell’uccisione dell’Iraq per la creazione
di tre statuccoli narco-etnico-confessionali alla Kosovo? E
che il “trionfo” dell’uccisione dell’ologramma Al Zarkawi
debba togliere dall’ imbarazzo i serialkiller
anglostatunitensi nel momento delle impreviste rivelazioni su
almeno alcuni dei prodotti di serie delle manifatture horror
Usa: Baghdad, Haditha, Ramadi, Falluja, Hishaqi e mentre la
matrice persiano-statunitense degli squadroni della morte
stava chiarendosi anche ai dubbiosi? E anche da quell’altro
imbarazzo dell’invio in Iraq di un’ulteriore brigata di 3.500
uomini a smentita delle reiterate e universalmente invocate
promesse di riduzione?
Con quel bombardamento
“chirurgico” su “Villa Al Zarkawi” (vabbè, sono crepati anche
una donna e un bambino, effettino collateralino), così
splendidamente liberatorio, non si giustificano anche le case
polverizzate dappertutto. con dentro decine di donne e
bambini? Poteva sempre esserci un Al Zarkawi nascosto sotto il
letto, no? Non si sacralizza così a posteriori la morte degli
eroi italiani di Nassiryia? Quelli che, nella papale e
napolitanesca “spedizione di pace”, oltre a mandare a morire
in un paese che la Resistenza ha trasformato in campo minato
38 dei loro, hanno saputo anche – “annichiliscilo!” – far
volare da Allah qualcosa come 150 civili iracheni, tra
ambulanziati e accasati, nelle misteriose (quanto Ustica)
“battaglie dei ponti”? E, infine, questo gran colpo di
our boys non accredita la
telenovela del “lavoro da finire” e, così, non tira un pochino
su, in vista delle elezioni Usa di medio termine, il profilo a
picco del gradimento di Bush?
Riflettiamo: gli Usa, dopo mesi di latrati diplomatici, aprono
all’Iran e addirittura al suo nucleare civile. Nello stesso
momento il premier-fantoccio Al Maliki, altro gangster della
serie Chalabi, Allawi, Jaafari, Talabani, teneramente
abbracciato dal connivente di sangue D’Alema, riesce, a cinque
mesi dalle “elezioni” e dopo un tiramolla segnato dal macello
senza precedenti di sunniti, attribuiti all’antiscita virtuale
Zarkawi, ma attuato dalle bande scite di obbedienza iraniana,
a nominare i titolari dei ministeri chiave: difesa, interni e
sicurezza. E Al Zarkawi viene disintegrato. Non viene il
sospetto che tra i due avvoltoi appollaiati sul corpo
dell’Iraq, impegnati a spartirselo e, intanto, a bloccare
uniti i defibrillatori della Resistenza nazionale, si è
addivenuti a un accomodamento? Quanto meno temporaneo. Il
gioco stava diventando troppo scoperto (difatti in Italia
l’unico ad averlo capito è Stefano Chiarini, isolatissimo in
un “manifesto” che tracima di “tagliatori di teste”). Quindi,
l’eliminazione del fantasma giordano - stavolta definitiva –
non solo come depistaggio dai guai e dalle vergogne Usa, ma
come sigillo sul patto tra boia.
Che bluff riuscito al poker
tra naziosionisti e ayatollah, da un lato, e i nostrani
prestigiosi opinionisti e analisti in mutande, dall’altro!
L’Al Zarkawi disvelato
Avviamoci alla conclusione lasciando nei tombini certi
fallacismi, tipo Stefano Censurati (“Radio anch’io”) che
riunisce personaggi all’olio di ricino come Magdi Allam e
l’ambasciatore del narcofascista Uribe di Colombia,
nientemeno, per fargli dire che il Che Guevara era anche
peggio di Al Zarqawi; o tipo il sempre puntualissimo Guido
Caldiron che, nel suo spazio criptosionista su “Liberazione”,
intervista – e ci vuole del fegato all’uranio – Loretta
Napoleoni. Questa ineguagliabile fantasista, oltre ad aver
scritto un copione grottesco su Al Zarkawi, con sommo disdegno
di fonti minimamente attendibili, che non ha mai incontrato,
ma che tratteggia attenendosi disciplinatamente ai contorni
disegnati da Mossad e Cia, è addirittura consulente della
Homeland Security,
vale a
dire un arnese manovrato da quella struttura, creata dai
nazisionisti di Washington a seguito del
Patriot Act,
che
cela sotto il logo dell’antiterrorismo la pratiche planetarie
di terrorismo di Stato e di repressione sociale interna.
Piuttosto suggeriamo ai tanti tappetini stesi davanti alla
balla cosmica dell’11 settembre e, di conseguenza, a tutta la
panoplia di truffe nazisioniste fino al botto Zarkawi (Stefano
Chiarini, almeno, si difende con qualche condizionale; non
così il collega Michele Giorgio, già firma impudica sotto un
reportage totalmente fasullo su Zarka e Al Zarkawi) di
esercitare un tantino lo strumento principe dell’intelligenza
umana, la memoria. Al Zarkawi, pregiudicato comune e
sottoproletario giordano esce di galera verso la fine degli
anni’90 e va in Afganistan. Le autorità pachistane lo danno
mutilato di una gamba dalle bombe Usa nel 2001, ma Colin
Powell, notoria bocca della verità, il 5 febbraio 2003
all’ONU, mentre s’inventa le armi di distruzione di massa,
risuscita anche Abu Musab, e lo nomina fiduciario di Saddam
Hussein nel rapporto fraterno con Osama bin Laden. Quell’Osama
che Saddam aveva saggiamente bollato di fantoccio integralista
Usa e che il Sudan aveva cercato nel 1996 di espellere verso
gli Usa, mentre Clinton lo aveva fatto spedire in Afghanistan!
Deus ex machina
dello spettacolo allestito per criminalizzare la vincente
resistenza popolare irachena, A.Z. lo diventa nell’aprile
2004, a dispetto della sua morte ufficializzata dai media
l’anno prima in Kurdistan, sotto bombe Usa contro Ansar-al
Islam. Un giovane pacifista Usa, Nick Berg, imprigionato per
due settimane dagli statunitensi, viene rilasciato per
ritrovarsi qualche giorno dopo in un video con alle spalle un
incappucciato (!) – inevitabilmente subito Al Zarkawi - che
strilla delle cose e poi gli taglia la testa. Tecnici svizzeri
che esaminano la panzana rilevano: il linguaggio e la cadenza
non è quella di un arabo giordano, il decapitato era già morto
perché non una stilla di sangue esce dal taglio, l’urlo del
moribondo è di una donna, le tute gialle dei giustizieri sono
quelle di Guantanamo, sedia, pareti e altri arredi sono
identici agli interni di Abu Ghraib. Qualcuno particolarmente
perspicace nota che l’oscena efferatezza ha luogo in
concomitanza con il raccapriccio mondiale per gli abomini Usa
di Abu Ghraib.
Contro i crociati o contro i
palestinesi?
Per
decostruire definitivamente il burattino Cia-Mossad Al Zarkawi
è decisiva l’analisi, da nessuno fatta in Italia, ma da
tantissimi negli Usa e mai smentita, degli attentati del
9/11/05 ad Amman. Tre alberghi saltano per aria, 56 morti,
oltre 100 feriti, 4 kamikaze, si dice. Al Zarkawi scrive su un
sito:”Abbiamo colpito i crociati, i giudei e gli apostati (sciti)”.
Fine, tutti d’accordo, sinistre comprese. E invece occorreva
informarsi meglio: nessun crociato, giudeo o apostata è stato
colpito; le vittime erano, a contorno, la folla
palestino-giordana (sunnita) che celebrava un matrimonio e,
piatto forte, cinque dirigenti palestinesi dell’intelligence
e della finanza e tre delegati cinesi del Ministero della
Difesa che si trovavano a colloquio segreto in una sala; i
giudei, cioè i turisti israeliani alloggiati negli alberghi
furono prelevati qualche ora prima e rispediti a casa dai
servizi giordani su imbeccata di quelli israeliani (lo ha
scritto il giornale israeliano
Haaretz,
lo ha confermato con orgoglio l’ex-capo dello Shin Beith); a
coronamento, nessun kamikaze, ma esplosivi collocati nei
soffitti (come dimostrato dalle immagini) e innescati con la
chiusura del circuito elettrico (nei tre alberghi venne a
mancare contemporaneamente la luce). Sui dettagli di questa
classica operazione Mossad vi ho già intrattenuto in altro “Mondocane”.
Sarebbe
dovuto bastare questo per depurare le pagine e le orazioni
della sinistra dalle sviolinate alle messinscena del
dipartimento Cia “Al Qaida”. Ma vogliamo largheggiare: il
video della decapitazione apparve su un sito il cui indirizzo
è Al-ansar Net, 184 High Holborn, Londra, Regno Unito, fax
2078312310 (altri messaggi di Al Qaida erano riconducibili a
un sito pornografico del Texas); Thomas Hicks rivela sul
Washington Post
(10
aprile 2006)
un
documento interno del quartier generale Usa in Iraq, nel quale
il portavoce Generale Mark Kimmit afferma: “Il
programma Zarkawi di guerra psicologica (PSYOP)
è stato ad oggi la campagna di comunicazione di maggioe
successo.
Se lo dicono loro…
E, per finire, ecco le testimonianze di una delle più puntuali
ed esaustive agenzie di informazioni sulla guerra in Iraq,
Mafkarat al-Islam
(vedi www.islammemo.cc). Ricordate la medievale esibizione
della faccia, del tutto integra, del cadavere Zarkawi? Ecco
quanto hanno riferito sull’operazione i residenti di Habhab (Baqubah),
testimoni oculari: “I
due attacchi missilistici Usa erano tanto potenti da far
tremare l’ intera città. Oltre alla casa dove si sarebbe
trovato il gruppo Al Zarkawi, sono state distrutti più di 50
edifici, fino a una distanza di 500 metri. Il fumo ha pervaso
la zona per oltre 4 ore. Abbiamo visto gli americani
recuperare i corpi. Le fotografie pubblicate sui giornali ci
sembrano incredibili. I missili che avevano colpito
l’obiettivo avevano fuso perfino l’acciaio delle traverse del
tetto e dei telai di porte e finestre. Tutti i corpi estratti
dalle macerie erano completamente carbonizzati e
irriconoscibili. Come è possibile che nelle foto Al Zarkawi
sembri uno che è morto nel suo letto?”
E come è
possibile, aggiungiamo, che nella conferenza stampa un
generale Bill Caldwell si avventuri fino a raccontarci che Abu
Musab era ancora vivo dopo l’apocalisse che ha sminuzzato 50
case e che perì solo dopo che, ergendosi dalla barella Usa,
aveva “tentato di ribellarsi”??? Facciamo mente locale:
nessuno dei presunti autori dei grandi attentati (New York,
Madrid, Londra…) è stato mai preso vivo. Qualche “complice” ha
confessato in tv, dopo aver trascorso qualche tempo in posti
come Abu Ghraib…
Piano,
piano, potrebbe dire qualche volpe, c’è però quel video,
trovato poche settimane fa in una qualche casa, in cui un
tripposo Al Zarkawi balzellon balzelloni sembra uno di quei
tontoloni che fanno i giochi di guerra nella brughiera
brianzola. Eccolo, il guerrigliero, “l’Emiro di Al Qaida nella
Terra tra i due fiumi”, e non sa neanche maneggiare il mitra.
Già, e anch’io ho dei filmini di quando ero giovane e bello.
Però di quelli che si potrebbero datare, nessuno col
passamontagna…
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