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Uomini, ominicchi,
ruffiani e quaquaraquà
STEFANO CHIARINI MUORE. D’ALEMA,
PRODI, NAPOLITANO, BERTINOTTI, IL PAPA, I PENNIVENDOLI VIVONO: C’E’ UNA
TRINCEA DA RIPOPOLARE
08/02/2007
Un
bacio, collega compagno.
Abbiamo battuto le stesse terre, abbiamo
frequentato le stesse facce, le stesse voci, abbiamo percorso gli stessi
marciapiedi sfasciati da embarghi e bombe, ci siamo incisi dentro gli
stessi bimbetti squarciati, abbiamo nuotato nello stesso sangue, abbiamo
gridato sul muso agli stessi delinquenti, abbiamo smerdato gli stessi
ignavi, abbiamo detto e scritto cose impertinenti e gravissime, abbiamo
stracciato tante cortine di bugie, quasi da soli… Ma tu eri sempre un
passo avanti. Sapevi il nome di quel vicolo di Basra, avevi sulla punta
delle dita tutti i quartieri di Beirut, conoscevi le cento confessioni e
sottoconfessioni, i grandi e i miseri e i testi di cinquemila anni di
imperi e migrazioni sotto i palmeti. Con un sorriso ti confondevi tra
martiri, eroi e testimoni, con un ghigno inoppugnabile stendevi
cialtroni e fasulli. Eri di casa dappertutto e c’era chi ti detestava e
chi ti adorava, a te appeso come alla scheggia strappata al muro dei
silenzi o degli inganni. Nessuno ti poteva ignorare.
Hai presente quell’alza bandiera su Iwo Jima. Era
una finta. Noi abbiamo presente un’alzabandiera che non c’è, ma vero:
quello delle bandiere degli arabi perduti e redivivi, dunque dei popoli
del mondo, che tu continuavi ad innalzare da palchi e nelle piazze, in
colonne di piombo e in marce di verità e di lotta. Oggi, mi devo
guardare attorno, nella trincea siamo rimasti in pochi. Manca la tromba
dell’assalto.
Ma stai allegro, quelli che stavano con te oggi ti
piangono, ma, se guardi bene, li vedrai ancora tutti lì, a ricordarti, a
riascoltarti, a cantarti, a portarti appresso in prima fila. Come il
Che. Ti sembra un accostamento azzardato? Non lo è. Un bacio, compagno
di strada e di trincea. (Chiedo scusa a chi l’ha già ricevuto, ma
questo è il mio saluto a Stefano che “il manifesto” non ha inteso
pubblicare. C’era già quello di Veltroni…)
“Non rompere il cazzo!”
Non rompere il cazzo! Così, secco come la
fiondata di un Tanzim, Stefano Chiarini, un paio di anni fa in un
presidio in Piazza San Marco a Roma, rispose all’ intimazione di una
morgantiniana “donna in nero” di smettere di gridare Sharon assassino
all’indirizzo di una turba di “sinistri per Israele” che, con
picchiatori fascisti in testa, si muoveva dal Campidoglio veltroniano
verso la sinagoga. Non conosceva mezze misure, Stefano, in un mondo
massacrato da mezze misure tipo Va bene l’Afghanistan, ma riduciamo
il danno con un po’ di fiancheggiatori Ong; passi il Molin 2 purchè ci
assicurino che bombarderanno piano; offriamo il culo a Olmert, ma
ribadiamo che siamo equivicini; aumentiamo le spese per missioni di
genocidio, ma fateci mangiare nella cooperazione; votiamo il
culo-e-camicia sionista Veltroni, ma in piazza gridiamo “Palestina
libera” (ovviamente redarguendo gli smanierati che bruciano fantocci di
guerra)…
La
sagra della santocchieria
Chissà cosa di analogo avrebbe esclamato Stefano a
vedere che sul “manifesto” l’apertura della pagina di ricordi veniva
aperta con un triplo salto mortale etico dal sindaco con la kippa
incorporata, Walter Veltroni: Vi mancherà una parte di voi.
Chissà. Una parte che non mancherà a Veltroni, questo è certo: visto che
lo aveva mille volte sbertucciato per il suo unilateralismo
sinistrosionista. Chissà la sua smorfia a vedere che nel riquadro
d’eccellenza del paginone si esibiva Abu Mazen con la promessa che il
popolo palestinese rimarrà fedele alla memoria del nostro amico.
Fatta da chi si protegge dal suo popolo con una guardia pretoriana Usa
e con armi israeliane, la frase suona vagamente minacciosa. Chissà il
suo g
Sghignazzo a vedere che poi seguiva uno stitico
equilibrista Bertinotti con: Una persona con cui abbiamo fatto molto
cammino insieme, convergendo e anche divergendo. Le convergenze, io
che ho frequentato da vicino entrambi, non le ricordo proprio.
Monumentali, invece, le divergenze quando il Bertisconi dava del
“terrorista” al partigiano palestinese o iracheno e intimava al suo
partito di sabotare le manifestazioni del chiariniano “Comitato per
ricordare Sabra e Shatila”. Non si conciliavano con quel suo, tanto
esilarante quanto vomitevole, “Sharon, uomo di pace”. A seguire
il capo, con la salvietta sul braccio, Russo Spena, parlamentare
cronico, inamovibile dai tempi di De Pretis: Non sempre siamo stati
d’accordo. E come si fa, da capogruppo di una carovana di migranti
che partono dalla rivoluzione e finiscono alla buvette con
atlanto-sionisti come Bonino e Mastella, a essere d’accordo con chi non
si è mai prestato a dare del “terrorista” ai combattenti di Baghdad,
Gaza, Bint Jbeil, Belfast, come le chiaviche della truffa 11 settembre
hanno ordinato a compari e pali? Quando, al funerale di Stefano, ho
potuto dire due parole, mi è parso giusto ricordare a coloro che si
salvavano il posto nel coro ricordando le liti e ribadendo il dissenso
dalla sua “cocciutaggine”, che quando Stefano si scontrava con qualcuno
sui popoli in lotta era inesorabilmente lui che aveva ragione e gli
altri che avevano torto. Lo posso dire con prove alla mano perché con
lui ho attraversato i momenti e luoghi stellari dell’umanità sofferente,
insofferente e ribelle, dall’Irlanda dell’oppressione colonial-fascista,
alla Palestina delle intifade da incondizionatamente amare e sostenere,
dall’Iraq, cui prima e dopo l’invasione i predatori genocidi e i loro
portaborse hanno riservato il record assoluto della diffamazione, al
Libano tornato in piedi e perciò da dilaniare con la scure
dell’ipocrisia Onu. Come Stefano ne riferiva era semplicemente
inoppugnabile e imponeva agli onesti – e questo faceva accapponare la
pelle ai misirizzi dell’”intervento di pace” – di schierarsi senza quei
ributtanti se e ma che costituiscono i pioli della scalata ai quattrini
e agli strapuntini del potere.
Dopo
Stefano il diluvio? La stransustanzazione del “manifesto”
Gli ha dedicato un coccodrillo anche Giuliana
Sgrena. Gli succederà al desk del Medio Oriente? Non si offenda
la sopravvissuta a Calipari, i dissensi sono pur sempre legittimi, anche
se da una parte c’è conoscenza, coscienza, verità e, dall’altra,
stereotipi, pregiudizi, bigottismi, fobie ammantate di pietismo,
subalternità alle menzogne che fanno egemonia. Non si offenda se ora mi
si rizzano i capelli all’idea che il posto di Stefano possa essere preso
da chi vede nel velo islamico un orrore peggiore di Padre Pio e ci ha
inondato per anni di cliché calunniosi e bugiardi, tra “integralismi
islamici” e “terroristi Al Qaida” (laddove Al Qaida serviva agli Usa per
diffamare e stroncare una resistenza di popolo), tra “primavere berbere”
di borghesie filofrancesi revansciste, e complici assunzioni di
mascalzonate propagandistiche catto-atlantiche sui regimi che al
colonialismo di ritorno si permettevano di non offrire quaquaraquismi
prodian-berlusconiani. E’ stata dura la vita di Stefano, perfino al
“manifesto”. Amara soprattutto al “manifesto”, dato che è da lì che
doveva puntare il fucile, visto che tutt’intorno c’erano perlopiù, se
andava bene, lanciatori di micette e il fucile, semmai, lo puntavano su
di lui che non si acconciava a realistiche “mediazioni”. Ma quali
mediazioni! Quelle che stanno facendo scappare dal “manifesto” tutti
coloro che non si riconoscono più nella testatina sulle sottoscrizioni:
“Siamo tutti del manifesto”? Quelle dell’infatuazione bertinottista che
stende un velo perfino sulla fellonia dei consanguinei “dissidenti” del
PRC? Dissidenti obbedienti, ossimorici felloni al punto da blaterare
contro la guerra e per Vicenza e poi accucciarsi, a fini di
poltrona-pensione, ai piedi di ogni spedizioniere bellico purchè abbia
nel taschino una Ong raccomandata da Patrizia Sentinelli. O le
“mediazioni” del direttore del bollettino marcosiano “Carta”, che
continua a imperversare sul “manifesto” con proposte di
fiancheggiamento buonista al capitalismo (quel “bilancio partecipativo”
(in effetti meramente consultivo all’0 virgola qualcosa per cento) che
ha sacralizzato la carriera, “dal basso”, dell’ imperialfinanziato
patron Cassen) e ora, insieme ad altri avvoltoi, si va precipitando
sulla rivolta dei vicentini e degli antimperialisti veri per trarne,
sull’esempio dell’affabulatore parassita pseudochapaneco, consolanti
indicazioni nonviolente e anti-potere. Almeno Barenghi, l’agnelliano che
quando, stupefacentemente per quanto il giornale virasse verso il
catto-radical-chic, era ancora al “manifesto”, preferiva i “marines ai
tagliatori di teste”, al funerale non si è fatto vedere. Un respiro di
sollievo nella bara. Conosco i velenosi cilici che questa gente ha
stretto attorno alla vita professionale del migliore giornalista
mediorientalista di sempre. Ha detto bene Luciana Castellina: C’era
chi diceva che era un po’ estremista. Ma quando uno ha visto tutte le
cose che ha visto Stefano è difficile non essere estremi. Io che le
cose di Stefano le ho viste, spesso assieme a lui e con occhi diversi
dalle compiangenti Sgrena e Gruber (Giovanna Botteri del Tg3, con un
residuo di pudicizia, si è astenuta dall’intervenire), con gli occhi dei
fellahin della sabbia e delle palme, dei guerriglieri di Falluja e di
Jenin, di Bobby Sands, poeta come lui, e dei Provos nelle
case-scatole-di-cerini di Derry, io lo posso confermare. E’ lotta di
classe, dappertutto, altro che fanfaluche su integralismi e terrorismi
sparate dal covo terrorista e integralista cristiano. E, nella lotta di
classe, o sei “estremista”, o stai dall’altra parte, che tu lo sappia o
no.
Una tromba muta
Nei giorni attorno alla morte di Stefano, primo
violino nello sparuto e stonato coro degli antagonisti della menzogna –
ma perché non gli hanno fatto
l’autopsia ? Ne succedono di cose… - abbiamo
vissuto episodi sui quali avremmo voluto sentirti suonare la tua
tromba-mitraglia-enciclopedia, nostro grande compagno, amico e modello.
Questo Ratzinger che arrota tiritere su pace e fame e non nomina mai chi
guerreggia e affama. Anzi, con il suo per niente teologico invasamento
sulla “famiglia matrimoniale”, cattolicamente fornisce un rancido
supporto domestico-dinastico alla repressione di Stato e, insieme, alla
liquidazione capitalista, per ormai evidenti fini di guerra, delle
residue briciole di welfare. Altro che piagnistei sulla fame nel
mondo. Del resto, Stefano, ricordi come noi e tutti i nostri amici in
Libano avevamo ben compreso il messaggio del panzerpapa quando,
nascondendosi dietro a un imperatore bizantino, diede man forte all’islamofobia
dei Cheney, Magdi Allam e Amato? Eravamo lì che con i guerriglieri
hezbollah – scusa la violenza, Sgrena – per l’ennesima volta, tutto
merito tuo, facevamo risorgere i martiri di Sabra e Shatila da quella
fossa comune in cui li avevano lasciati marcire i governanti
“legittimi”, cari a Prodi e D’Alema, e che tu avevi trasformato in un
giardino di ulivi. C’eri ancora quando un capo dello Stato, che non
perde proprio nessuna occasione per stare zitto e sempre se la tira da
inconfutabile bipartisan mentre la tira forsennatamente a destra,
sull’onda della “giornata della memoria”, giornata dell’oblìo per tutte
le vittime di olocausti non funzionali a coprire i crimini di Israele,
pronunciò l’anatema: chi è antisionista è antisemita. Tra l’altro
facendo sghignazzare amaramente 200 milioni di semiti arabi. Meno male
che a queste non innocenti scempiaggini jabotinskiste hanno risposto a
tono chiariniano gli Ebrei contro l’Occupazione, prima italiani, poi
europei e infine britannici. Giubilo, invece, tra i fascisti doc e
soft: visto che si tratta del loro Stato guida… Silenzio dai
democratici, mica perché convinti: qui o si governa con il benestare del
rottweiler israeliano, o si finisce fuori, magari a pezzi.
Chiarini e Mastella
Chissà se non sia stato uno di questi episodi ad
averti colpito alla schiena, te autentico San Sebastiano della fede
giornalistica. Per esempio, quando l’irpino di risulta che recita da
ministro della giustizia emise quel decreto che fece belare tutto intero
il parlamento. Quello del negazionismo. Mica perché tu fossi
negazionista. Del resto non so come la pensassi, non ne abbiamo mai
parlato, se non per dire che della Shoah veniva fatto un uso nefando,
anti-israeliano e antiebraico, come ben detto nel libro di Norman
Finkelstein (figlio di morti nei campi) “L’industria dell’Olocausto”.
Quanto a me, al di là di quanto hanno raccontato gli storici dei
vittoriosi, so solo che c’ero quando, nel ’45, i tedeschi comuni vennero
a sapere dei lager e tutti, proprio tutti, in città, compresi il
panettiere, il lattaio, il professore, il capo della Hitlerjugend, il
sindaco, il prefetto, il vicino, il fabbricante di sidro, il barcaiolo e
perfino il maestro ebreo, Haas, che mi aveva fatto lezioni di inglese
dal ’43 al ’45, rimasero attoniti e inorriditi. E di questo stupore e
sgomento di fronte alle terrificanti rivelazioni sono stato testimone
anche in infinite frequentazioni in anni successivi. Per cui mi ha
sempre infastidito la brutale e arbitraria distribuzione al popolo
tedesco (un milione di morti antinazisti) che alcuni cantori dei campi,
come certo antifascismo degli stereotipi, fanno delle colpe naziste.
Comprendere come milioni di esseri umani abbiano potuto essere
sterminati con l’appoggio (tacito o attivo) di una larga maggioranza
della popolazione… ieri il buon cittadino tedesco era soggettivamente (sic)
coinvolto nella campagna di odio contro gli ebrei e si rifiutava di
voler sentire l’odore di carne bruciata dei forni crematori… (“I
volti di Abele”). Chiuso: tedesco uguale nazista. E’ falso ed è identico
a “musulmano uguale terrorista”. E io ho ancora negli occhi la
commozione di Herr Haas per come tutta la comunità proteggeva e
occultava lui e i suoi correligionari per evitargli insidie di qualsiasi
genere. Dunque il vernacolare Mastella, poi raffinato da quella vetta
del pensiero veltroniano che è Giovanna Melandri, fresca di Malindi e
di feromoni briatoniani, decreta: da tre a dodici anni per il reato
connesso alla negazione di fatti storici e all’istigazione a
comportamenti che potrebbero riprodurre crimini contro l’umanità. Beh,
qualche anima bella ha obiettato, non a torto, che così si rischia di
ammazzare la libertà d’espressione, la ricerca storica, necessariamente
spesso revisionista (pensate cosa hanno fatto a un illuminato imperatore
innovatore come Nerone, attribuendogli stragi di cristiani arrivati a
Roma solo dieci anni dopo la sua morte!). Qualcuno si è meravigliato che
si possa benissimo affermare che Napoleone non era sposato con
Giuseppina, bensì con un ussaro alemanno, ma che non si possa discutere
nemmeno sul numero dei morti da lager. Ma tu, Stefano dal ghigno
micidiale, forse avresti salutato un provvedimento che punisce chi
nega fatti storici e chi istiga a riprodurre crimini contro l’umanità.
E già, avresti gioito all’idea che avrebbero trovato sacrosanto castigo
coloro che, dai palazzi del governo di Tel Aviv, negavano l’esistenza
del popolo palestinese, o che in Turchia negavano l’olocausto armeno (in
proporzione numerica più cospicuo di quello ebraico); Giuliano Ferrara
detto Cia, che approva la volontà di Israele di incenerire l’Iran con
una salva nucleare, Bush e criminalità organizzata varia che hanno
istigato, su bufale megagalattiche, all’invasione di Afghanistan e Iraq,
a uranizzare generazioni, a fosforizzare Fallujah; tutti i governanti
israeliani che da 60 anni istigano alla pulizia etnica e ai crimini
contro l’umanità; Magdi Allam, Adriano Sofri e Oriana Fallaci – e il
Corriere ella Sera che se ne fa imbrattare – i quali hanno eccelso nel
convincere gli italiani che bisognava a tutti i costi andare a liquidare
cristiani di Serbia e tutti i musulmani del mondo. E se non basta,
Mastella ha sicuramente pensato a costoro quando ha decretato che si
danno da 12 a 18 mesi di carcere a quelli che propagandano idee
basate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Che pacchia,
Stefano! E bravo Mastella: d’un botto ci potremo liberare della
ciurmaglia razzista e islamofobica di mezzo mondo. E addirittura verrà
sanzionato lo Stato canaglia fondato sulla monoetnicità e sulla pulizia
etnica di tutti i non eletti. Rifiorirebbe finalmente come Stato unico
israelopalestinese, laico, pluralista e solidale. In cambio, avremmo
anche potuto chiudere un occhio sui quattro anni inflitti a David Irving,
negazionista quanto Golda Meir nei confronti dell’esistenza di un popolo
palestinese, forse addirittura meno perché fa questione di numeri.
Il
Mastella col trucco
Stefano, ci siamo illusi. Vuoi che dove c’è un
Mastella non ci sia il trucco? Ecco qua: la pena è aumentata se
l’istigazione a commettere crimini contro l’umanità o atti di
discriminazione è stata commessa negando in tutto o in parte
l’esistenza di genocidi o di crimini contro l’umanità, per i quali vi
sia stata una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità
italiana o internazionale. Norimberga, ovviamente. Quando mai c’è
stata una sentenza sul Churchill del gas sugli iracheni nel ’22 (altro
che la balla su Saddam!) o di Dresda piena solo di profughi e di
meraviglie barocche rasa al suolo, o sul Cia Posada Carriles a Cuba, o
sulla totale eliminazione dei pellerossa, o sui desparecidos, su
Pinochet, su Kissinger, o sull’olocausto immane di palestinesi e
iracheni? Siamo nel paese dove gli Andreotti baciano mafiosi e generali
macellai. Per questa gente c’è l’impunità che tu ogni volta che parlavi
stigmatizzavi come causa dei nostri tempi criminali. E allora non è che,
per istigazioni che più non si può, si sbatte davanti a un PM Magdi
Allam, vicedirettore del satellite di Israele Palo Mieli al Corriere
della Sera, un copto che si atteggia a musulmano meritevole della
civiltà occidentale aizzando contro imam e moschee bassifondi viscerali
e operatività repressive e assegnando Al Qaida (a Langley si gongola)
il dominio del pianeta da Giacarta a Casablanca. Lui da extracomunitario
senza una lira e filopalestinese in vent’anni è assurto a vice del più
grosso giornale italiano. La gemella in istigazioni a delinquere,
Fallaci, viene insignita di medaglia d’oro da reggicoda di Israele
annidati nel centrosinistra. Ma i dirigenti ddell’Ucoii, unione delle
comunità islamiche, vengono accusati – e, anche se assolti, sputtanati –
in base alle leggi sulla discriminazione e la violenza razziale per aver
puntato il dito contro il governo di Israele per quello che fa ai civili
palestinesi e libanesi: “Israele sta disseminando di stragi e rovine il
Vicino Oriente…” E non è vero? E non dovremmo essere milioni ad
autodenunciarci per lo stesso “delitto”?
Fucilato a prescindere
Ma poi non c’è neppure bisogno che qualcuno neghi o
istighi, oggigiorno basta che quegli altri pensino o dicano che quel
qualcuno, domani, magari negherà o istigherà. Chi meglio di te, Stefano,
avrebbe potuto rispondere a quel presidente della Comunità ebraica di
Torino, Tullio Levi, che, saputo di una mia presentazione del
documentario “Gaza, Baghdad, Beirut: Delitto e Castigo” a Caselle, ha
innescato un finimondo preventivo, giorni prima che mettessi piedi da
quelle parti, scatenando sui giornali una canea tipo “Scoppia il caso
Grimaldi, tacciato di antisemitismo”, “Serata sul Libano, scoppia la
lite, la comunità ebraica contro Caselle”, “Grimaldi dica di non essere
antisemita”, e via con le intimazioni e intimidazioni terroristiche:
scomuniche a prescindere. Caselle e i compagni del Circolo Enrico
Berlinguer hanno tenuto duro. Anzi, il compagno Dario ha saputo
rispondere con parole che avrebbero potuto essere tue. Segno che hai
lavorato bene. Il che non ha impedito al Levi di intervenire a
proiezione avvenuta per bollare di fanatico antisemitismo il racconto
della distruzione del Libano e del serialkilleraggio di Gaza, per
denunciare quei palestinesi incontinenti che non si sono accontentati
nel ‘48, essendo il 93% della popolazione, di quel 22% della loro
Palestina, venendogli il resto sottratto a furia di massacri e incendi
di villaggi ad opera dei terroristi di Haganà, banda Stern, Irgun e
simili “irredentisti”. Quegli arabi che, semplicemente essendoci, si
ostinano ad “assediare Israele” e dai quali Israele “non fa che
difendersi”, magari predicando in un dossier ufficiale dell’82, che il
mondo arabo andava frantumato in mille bantustan per linee
confessionali, etniche e tribali. Del resto il buon Levi non faceva che
rifare il verso alla circolare sionista che ha permesso a un “sinistro”
come Furio Colombo di straripare su pagine di “L’Unità” con la stessa
solfa dell’Israele “democratica” e assediata, senza trovare neanche un
mezzo accenno al popolo scacciato e sterminato, alla terra rubata, ai
coloni fascistizzanti, alle violazioni di ogni risoluzione Onu, allo
scatenamento di guerra su guerra, al razzismo anti-palestinesi di
Israele, alle punizioni collettive, agli infanticidi, ai furti
dell’acqua, ai condizionamenti anti-arabi imposto dalla lobby e dai suoi
ricatti ai governi di mezzo mondo. Tutte cose alle quali nessuno come te
avrebbe saputo opporre i rolling stones della verità.
Ebrei contro l’occupazione
Io, comunque, non avevo bisogno di rispondere. Per
me avevano già risposto gli “Ebrei contro l’Occupazione” quando si sono
rivolti al Napolitano del sionismo uguale antisemitismo: Le sue
parole, signor Presidente, rischiano di portare acqua al mulino di chi,
affamando i palestinesi, e costruendo il muro in Cisgiordania, lavora a
una nuova pulizia etnica in nome della ‘sicurezza di Israele’. Ci
aspettavamo che Lei, signor Presidente, rappresentando la nostra
Repubblica nata dalla Resistenza contro il nazifascismo oppressore,
affermasse il principio di non discriminare per ‘razza’, e religione
senza le sottigliezze diplomatiche che dimostrano la sudditanza italiana
ai potenti del mondo e il colpevole silenzio verso le terribili
condizioni in cui vive oggi il popolo palestinese occupato. E così
passò la “giornata della memoria”. Dove, non ci fossero stati gli Ebrei
contro l’Occupazione, il passato avrebbe obliterato il presente,
l’olocausto di ieri gli olocausti di intere nazioni oggi.
Ermeneutica errata dell’ontologia chiariniana
per dirla alla maniera delle pagine culturali del
“manifesto” per quattro gatti. Maurizio Matteuzzi, egregio giornalista
del “manifesto”, ti ha voluto commemorare con affetto e stima, caro
Stefano, chiudendo però con un tonfo logico che avrebbe provocato quella
tua solita, vetriolica ironia. Ha concluso compiangendoti teneramente
come “innamorato delle cause perse”. Che sia una causa persa continuare
a lavorare per quel giornale senza più Stefano Chiarini è un dubbio
legittimo. Che tu fossi dedito alle cause perse, fa di te un romantico
sentimentalone perso appresso alla luna. E anche questo è farti torto.
Soprattutto far torto a coloro dei quali ci hai raccontato il dentro e
il fuori e per i quali ti sei battuto con la Grande Armada delle buone
ragioni. Quella palestinese, irlandese, irachena, libanese, araba, dei
popoli aggrediti in tutto il mondo, non è una causa persa. E’ la Grande
Causa del nostro tempo e del futuro. Non siamo perdenti né loro, né tu,
né io, né noi. Siamo con quelli che sono gli araldi della vittoria, e
non solo perché, come ci ha insegnato l’imperfettibile Che, combattere
è già vincere. La tua vittoria più grande? Non averli mai chiamati
“terroristi”. I partigiani nel mondo, di ieri e di oggi, te ne rendono
grazie. I perdenti stanno tutti dall’altra parte. Quasi sei milioni di
esseri umani lo sanno. Lo sanno i delfini e gli orsi, le querce e i
mandarini, le nuvole e il mare. Qualunque cosa accada, anche la fine del
mondo.
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