MONDOCANEarchivio
di
Fulvio Grimaldi |
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Da Gaza a Nahr el
Bared: soluzione finale?
NOUS SOMMES TOUS
DES ASSASSINS
19/06/2007
Il
titolo del famoso film del 1952 di Andrè Cayatte contro la pena di
morte (le grandi mattanze Usa non erano ancora incominciate) calza
alla perfezione. C’è qualcuno all’interno del nostro orizzonte che
si può chiamare fuori? Adesso assassini dei palestinesi sono
diventati loro stessi e la racaille borghese arabo-occidentale tira
un sospiro di sollievo: finalmente si possono sotterrare le proprie
complicità – e i propri sensi di colpa - sotto una montagna di
malefiche fandonie sui palestinesi. Il razzismo – recentemente
liberato a sinistra da quei cialtroni da MM (media di merda) che si
dicono afflitti del loro inusitato, ma necessitato razzismo – può
dilagare, assurgere a politically correct, confortare lo “scontro di
civiltà” che è la cornice culturale per la riconquista del mondo da
parte dei bianchi cristiani. Come lo è stata per duemila anni di
efferatezze cristiane, roghi, stermini, spoliazioni. Ovviamente i
primi referenti del titolo sono gli israeliani, con il sostegno
della comunità ebraica mondiale, direi per intero se non facessi un
torto inammissibile alla sparuta e coraggiosa schiera degli “Ebrei
contro l’occupazione”, non per nulla bersaglio delle aggressioni più
virulente: li chiamano selfhating jews, “ebrei che odiano se
stessi”. Semmai ebrei che odiano ebrei potrebbe essere definita
quella élite israelo-ashkenazita (ebrei perlopiù non semiti di
origine caucasica) che dalla fondazione dell’entità infligge agli
ebrei di origine araba e africana (sefarditi, quindi semiti) la
condizione di cittadini di seconda classe, di poco sopra agli
“intoccabili” palestinesi d’Israele. Lo si ricordi ai gabbamondo che
scagliano l’anatema “antisemitismo” contro chiunque azzardi una
critica alle giunte militari di Tel Aviv.
Che gli israeliani stessero transitando dalla condizione di vittime
nella secolare storia definita giudeo-cristiana, al rango di
carnefici nella recente storia cristiano-giudea, lo sospettai fin
dalla Guerra dei sei giorni. Erano passati alcuni giorni dall’arrivo
del rullo compressore israeliano, alimentato a combustibile
euro-statunitense, sul Golan e al Canale di Suez. Tutto l’Occidente
a plaudire coloro che, a sentirli, rischiavano di finire in mare e
che invece avevano iniziato a mangiarsi popoli arabi. Unica
eccezione, De Gaulle e la lobby ebraica, nella figura di Dany
Cohn-Bendit, indirizzando contro il presidente una rivolta
antiautoritaria ed antimperialista innescata dai Vietcong, gliela
fece pagare. Intorno al 15 giugno il comando militare aveva iniziato
ad organizzare dei “Victory tour” con tanto di guida e rinfresco per
giornalisti rimasti un po’ perplessi per la scoperta dell’esistenza
di un popolo sconosciuto, i palestinesi, per il modo con cui era
stato occultato e come ora veniva annientato. E anche per la censura
con cui “l’unica democrazia del Medioriente” ne aveva eliminato la
menzione dai nostri reportage.
dell’ “unica democrazia del Medioriente” ci aveva lasciato, con quei
suoi sbreghi neri sui nostri articoli da telemandare a casa. Capitai
nell’autobus che ci avrebbe mostrato la conquista di Gaza e del
Sinai. Nel percorso verso Gaza, avvoltolati nella polvere al lato
della strada, sbracati come crocefissi rotti nel deserto pietroso,
appesi alle spine dei fichi d’india, era una successione di cadaveri
di soldati egiziani. Uniformi lacerate che sbattevano nel vento,
avvoltoi che saltellavano intorno, tanfo di putrefazione che fece
serrare i finestrini. Con la macchina fotografica in mano ero seduto
in testa, accanto alla guida, un capitano dell’esercito. Militare di
leva, soldato del popolo, come tutti quelli di Tsahal.
Perchè non vengono riconsegnati ai loro governi, o almeno
seppelliti, come impongono le leggi di guerra, la convenzione di
Ginevra? La risposta del soldato del popolo e dell’unica democrazia
del Medioriente fu secca e sarcastica: Perchè tutto il mondo deve
vedere che l’unico arabo buono è l’arabo morto. Eravamo una
cinquantina di giornalisti su quel bus. Nessuno rise e il capitano
s’incupì. Si risollevò a Rafah, sulla soglia tra striscia di Gaza e
Sinai, quando nella sala comunale, disteso nella poltrona del
sindaco con i piedi sul tavolo, allineò lungo la parete opposta la
giunta comunale, anziani notabili in jallabiah, magri come chiodi,
seri, afflitti, dignitosi, gente sconfitta fuori ma non dentro, e
abbaiò: Dite a questi signori: cosa è meglio, Egitto o Israele?( di
palestinesi non si parlava ancora: Ben Gurion, Golda Meir e Levi
Eshkol avevano sentenziato che non esistevano). Intervenni per dire
che la domanda era malposta, malpronunciata da sopra i propri piedi,
irricevibile per chi si trovava in stato di costrizione e che
noialtri giornalisti non avremmo saputo che farcene di una risposta.
Nessuno dei miei colleghi, quella volta, uscì da questo seminato,
deontologico prima ancora che etico. Ma il capitano grugnì qualcosa
in ebraico e se la legò al dito. Slegò il dito e me lo diede in
faccia, insieme agli altri quattro, appena rientrati e sbarcati a
Tel Aviv davanti all’ufficio della censura militare. Fu rissa. Ci
divisero i passanti. Nessuno uscì dall’ufficio per ricollocare al
suo posto l’ufficiale manesco e razzista. Anzi, mi presero e mi
trattennero rudemente per qualche ora. La mattina dopo ricevetti
l’ordine di espulsione. In Israele mettere in discussione il
razzismo era diventato reato.
.Chi si può tirar fuori dalla corresponsabilità per la macelleria
che Usa e Israele, nella vociferante complicità di
quell’associazione a delinquere che è la “comunità internazionale” e
nell’oscena passività di una sinistra stretta per le palle dalla
lobby sionista, stanno portando a termine contro i palestinesi
ovunque siano aggregati, turbe di esiliati e non collusi pascià? In
Iraq 40.000 profughi del 1948 e 1967 sollevati a una vita decente da
Saddam, sterminati dallo pseudo-antiamericano Moqtada al Sadr,
tenuti in quarantena politica e sociale sotto tende gelate o roventi
nella terra di nessuno tra Iraq, Siria e Giordania. Altri 40.000 a
Tripoli del Libano rigettati nel baratro di Tel Al Zataar e di Sabra
e Shatila grazie all’innesco concordato con provocatori prezzolati
infiltrati da fuori, ma zeppi di armi e propositi Usa-Sion, come
tutto ciò che afferma di far capo ad “Al Qaida”, dall’11/9 in qua.
Zeppi anche di dollari della “Hariri-Sion-Saudia Attentati SpA”,
come rivelato da una serie di “pentiti”. Un milione e passa
rinchiusi a Gaza e destinati a morte per fuoco, fame, sete,
malattie, con il concorso di una manica di venduti. Chi si può tirar
fuori? Pochissimi di quelli, tutti noi, che abbiamo fatto uno o due
cortei all’anno (magari facendo l’occhiolino elettorale tra l’uno e
l’altro al “sinistro per Israele” Veltroni) e ci siamo messi l’animo
in pace, quando si trattava di riconoscere in quel destino dei
palestinesi – e degli arabi tutti – la chiave di volta del passaggio
all’inizio della fine del mondo. Certamente non una classe politica,
che è ormai eufemistico definire bipartisan, tanto è compatta e
complice, intimamente legata agli interessi della cosca dirigente
israelo-statunitense nella sua riconquista di Stati e di risorse,
nel suo programma di spopolamento delle genti di troppo. A
Bertinotti sono bastate due urla e una sassata alle finestre del suo
bollettino parrocchiale “Liberazione”, colpevole di aver contaminato
la propria lobby sionista con qualche lacrima sulle sue vittime, per
farsi palo della banda del buco che lavora a una voragine tale da
bersi – come i lontani padrini prescrivevano – l’intero Medioriente.
Al “manifesto”, perso l’insostituibile e irriducibile Stefano
Chiarini, la trincea del bravo Michele di Giorgio è travolta dalla
fanghiglia cerchiobiotista di Zvi Schuldiner che, dalla prima,
decisiva, pagina, si estende come un blob sul resto. Flusso
maleodorante in cui qualche cliché anti-occupazione e
anti-estremisti israeliani, o sulla corruzione dei papaveri Fatah, è
sommerso dall’alluvione delle deformazioni ispirate a questo
criptosionista dalla viscerale avversione a chi combatte sul serio
Israele: Hezbollah e Hamas criminali e via con tutti gli stereotipi
della disinformazione imperial-razzista, fino a proclamare, con una
soddisfazione che vorrebbe apparire rammarico, la vittoria di Hamas
è la fine della Palestina. E così in quel titolo possiamo metterci
anche buona parte della cupola di quel “quotidiano comunista”. Del
resto sarebbe bastata l’accanita difesa da parte di Rossanda di
Adriano Sofri, ex-detenuto privilegiatissimo grazie all’ininterrotto
supporto offerto ai crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati
in prima linea dai carnefici sionisti.
La
Grande Armada di sicari, corifei e pali che nel titolo vanno inclusi
mette in ombra quanto la storia ha esibito in fatto di ascari degli
stermini di massa. Se certi tiranni guerrafondai e genocidi della
prima metà del secolo scorso avessero avuto tali tamburini in testa
ai reggimenti e tali forze di retrovia alle spalle, vuoi vedere che
sarebbe finita diversamente? Chiudiamo l’elenco con chi, padrone
quanto meno psicologico di tante menti decisionali e
comunicazionali, giorni fa ha inalberato cartelli in piazza contro
l’esecutore di un ordine criminale, ergastolano mandato, a termini
di legge, a lavorare: vergogna! assassino! non perdono!
Comprensibile. Ma incoerente. I capi della comunità ebraica romana
cosa hanno da dire sui tanti Priebke che vantano decimazioni a
ripetizione tra la costa del Mediterraneo e il Giordano e,
soprattutto, su loro mandanti come Sharon, Olmert, Begin, Barak,
Rabin, Shamir, Dayan, Meir, Eshkol e tutta la stirpe che dall’800
programma e dal 1948 attua molto ma molto di più di quanto di
criminale e tragico è avvenuto alle Fosse Ardeatine? Gli ammazzati
palestinesi solo dal 2000 sono 5000, perlopiù civili inermi, un
terzo bambini; 11.000 sono i patrioti in prigioni della tortura e
senza processo, metà dei tre milioni e mezzo sono alla fame, cinque
milioni sono “palestinesi erranti”, carne da olocausto a rate. Dalle
diaspore si ritorna, con tanto di commosso plauso internazionale,
solo se si possono esibire mandati di dio, terre rubate e protezioni
ambientali nel mondo dei lupi mannari.
Due Stati per due popoli?
C’è un coordinamento operativo che nell’estate 2007 raggiunge la sua
fase conclusiva. Ecco la distribuzione dei compiti. Alle squadracce
governative scite di trapanatori di corpi e alle milizie stragiste
dell’emissario iraniano Moqtada al Sadr, la liquidazione dell’Iraq
laico e resistente e, dunque, dei palestinesi che, nella visione
della nazione araba unita, spauracchio dell’Occidente, ne erano
l’avanguardia e, comunque, un frammento di cuore. E per i quali
l’Iraq libero aveva avuto la colpa mostruosa di esserne stato fino
all’ultimo il massimo sostegno. Ai Quisling di Beirut, Siniora e
Saad Hariri, l’invenzione di una locale Al Qaida, finalmente
palestinese, rinominata “Fatah Al Islam” a Tripoli e “Jund al Sham”
a Sidone (denunciata come forza equivoca già nel 2006 da Stefano
Chiarini), fatta di potenti armamenti, lauti finanziamenti (tutti
dimostrati di origine della “Hariri.Inc”, multinazionale
saudito-israelo-statunitense), capi fidati e manovalanza
lobotomizzata, in massima parte importata da fuori. Ennesima replica
in stile libanese del meccanismo 11 settembre, con l’obiettivo della
liquidazione del bubbone palestinese, prodromo a quella di
Hezbollah. Compito degli amici della banda di ladroni ANP, da Abu
Mazen al serialkiller Mohammed Dahlan, allevato a Langley, risoltisi
alla sopravvivenza di velluto nella nicchia dell’apartheid, la
missione di lanciare squadroni della morte, addestrati in Egitto e
armati dai boia della Palestina, contro il governo liberamente
eletto dalla propria gente. Subito sarebbero arrivati da Washington
e Bruxelles i noti trenta denari al primo ministro scaturito dal
golpe di Abu Mazen, tale Salam Fayyad, naturalmente uomo di
Washington, cioè dei boia del proprio popolo e, per sovraprezzo,
ex-dirigente di quell’istituto di assistenza ai deboli e oppressi
che è la Banca Mondiale. Non se ne poteva trovare uno più adatto
alla bisogna. Si trattava di far sparire dallo scenario perfino la
truffa dei “due
Stati per due popoli”, con la quale meschini arraffoni palestinesi,
eletti a propria corte da un Arafat in prolungato declino, e uno
sterminato coro di collaborazionisti buonisti in Occidente, avevano
coperto la strategia di una bantustizzazione che, implicando
scientificamente l’assoluta invivibilità, era l’inesorabile
consacrazione dello Stato Unico Sionista in perpetua espansione
sulle ossa decomposta della nazione titolare di quella terra.
Lo
Stato israeliano razzista ed espansionista, gli Usa e l’Europa
guidati da una criminalità colonialista, pratica di embarghi
genocidi, le sinistre intimidite e ricattate, ansiose di cooptazione
nelle concentrazioni predatorie delle ricchezze, hanno fatto della
Palestina e dei campi palestinesi in Libano la riedizione
dell’assedio a Gerusalemme e ad Acri, dove i crociati di Goffredo da
Buglione e di Riccardo Cuor di Leone hanno risposto ai diritti dei
nativi, alla tolleranza e umanità dei loro difensori “mori”, con
carneficine che inondarono di sangue tre secoli del Medioevo. E Gaza
e i campi palestinesi, da Nahr el Bared rasa al suolo a Sidone e a
chissà dove, sono il grande laboratorio a cielo aperto e a perimetro
blindato. Laboratorio alla Mengele, scrive dalla Spagna Agustin
Villoso. Nei laboratori della nostra civiltà umanistica e
umanitaria, piccoli roditori, ma anche cani, scimmie, mammiferi
vari, con la scusa della somiglianza all’uomo da risparmiare (non in
Africa, tuttavia, o in Palestina), vengono sottoposti a condizioni
di indicibile stress fisico e psichico allo scopo di provocare
patologie e aggressività. Da quando Gaza, quarant’anni fa, è finita
nelle fauci israeliane e i campi in quelle della fascistizzante
oligarchia libanese, i loro viventi sono in una gabbia analoga. Con
la differenza che i ratti vengono manomessi e avvelenati, ma anche
nutriti, gli esseri umani solo manomessi e avvelenati. La
popolazione occupata o lagherizzata, che ai termini della Carta
dell’ONU ha ogni diritto di difendersi IN OGNI MODO e che dovrebbe
essere protetta dalla “comunità internazionale”, è invece da questa
condannata alla morte per assassinio, mancanza di libertà, negazione
dei mezzi per alimentarsi, curare le malattie, lavorare, studiare,
tutte cose a cui ogni essere umano ha un’inalienabile diritto
(almeno fino all’11/9/2001), purchè non sia arabo (esclusi gli
ascari), musulmano, del Terzo mondo e, men che mai, palestinese o
iracheno.
Quanto a Gaza e all’indignazione per le “atrocità commesse da Hamas
nell’eliminazione di Fatah”, sorvolando astutamente sui killer
importati da Israele e da Mohammed Dahlan le cui provocazioni hanno
scatenato quella che viene fatta passare per guerra civile (stessa
tecnica nell’Iraq) allo scopo di distogliere le energie resistenti
palestinesi dal vero nemico, l’esperimento da laboratorio non poteva
che portare agli esiti attuali. Prendete oltre un milione e mezzo di
persone militarmente occupate, ferocemente vessate, ristrette in 360
km quadrati, con le case distrutte e saccheggiate, bombardate
incessantemente nella totale impunità, private di ogni prospettiva
futura, affamate, infine blindate da un embargo mondiale, infilateci
qualche manipolo di traditori e qualche unità di provocatori che si
definisca Al Qaida, e avrete gente che si spara addosso a vicenda.
L’esperimento di scienza psico-biologica è riuscito. Basta scaricare
poi ogni cosa sull’aggressività congenita dei topi, dando un’altra
bella carica allo “scontro di civiltà” finalizzato a riprendersi il
mezzo mondo sfuggito di mano. Basta cazzeggiare su jihad ,
terrorismo, integralismo, fanatismo, kamikazismo, culto della morte,
da Schuldiner a Bertisconi, da Paolo Mieli a Pannella, dalle
versione rozze Magdi Allam e Giuliano Ferrara a quelle dei caporali
di giornata Lanfranco Pace o Carlo Panella, è le cavie sono pronte
per collaudare il farmaco risolutivo.
In
Libano non passerà molto tempo perché, di fronte ad altri attentati
a qualche “antisiriano”, qualche ulteriore provocazione di
“islamisti estremisti” contro la “legalità libanese” e a qualche
altro razzo “Al Qaida”sulla Galilea, l’esercito riarmato alla grande
dagli Usa, in congiunzione con l’Unifil dei lagunari e della Folgore
benedetta da Bushinotti, provi ad imporre agli scalcinati veterani
dell’ultima disfatta nel 1982 il diktat della risoluzione 1701:
disarmo delle milizie palestinesi e conseguente estinzione di
comunità fin qui salde, o con le buone o col modello Sabra e Shatila,
ora ripetuto a Nahr el Bared. Poi, spenti questi focolai, spento un
grido che, pur soffocato, in qualche modo arrivava al mondo e si
congiungeva ai sussulti di agonia che filtrano dalla Palestina, ci
si proverà con Hezbollah. Visto che quest’ultimo viene definito un
tentacolo dell’imperialismo iraniano, si fa finta di litigare con
questo per giustificare la satanizzazione di quello. Il velo con il
quale si copre questa strategia è stato lacerato dai fatti di fronte
ai quali ogni dubbio degli “equidistanti” diventa impudica
collusione. Il fantoccio Abu Mazen e il sicario Cia, Dahlan, che
non sprecano una parola per il loro popolo maciullato in Libano, che
vengono coccolati e armati dal nemico mortale, che vengono premiati
da quattrini e riconoscimenti europei per la svendita di mezzo
secolo di sacrosanta resistenza e per la cancellazione del futuro
del proprio popolo. Gli analoghi fantocci libanesi Siniora e Hariri
che, sventata dalle forze democratiche la “rivoluzione dei cedri” e
respinta l’invasione israeliana dalla resistenza di popolo, vengono
da D’Alema tenuti in auge a dispetto dell’illegittimità acquisita
con alti tradimenti, congiure antisiriane smascherate (attentato a
Rafiq Hariri), nuclei terroristici islamici che si sono scoperti da
loro costruiti e importati (pachistani ed egiziani nel gruppo Fatah
al Islam). Documenti desecretati e dossier governativi in Israele e
Usa che illustrano in ogni dettaglio strategico e tattico i piani di
riconquista coloniale, di frantumazione per vie etnico-confessionali
delle realtà statuali renitenti, ma vengono obnubilati dagli
strombazzamenti sul terrorismo islamico dilagante. Vengono
accreditati in perfetta malafede o abissale ignoranza finti
oppositori e autentici collaborazionisti alla Moqtada o Dahlan,
miserabili arnesi del proconsolato a corruzione sistemica come
Karzai, Al Maliki, Mahmud Abbas, che si avvalgono del sostegno di
finti rivali come gli ayatollah persiani e, al tempo stesso, di
tiranni amici come Mubarak o i re di Giordania e Arabia Saudita,
nonché di altri satelliti come Prodi, Sarkozy, Merkel e le
rispettive furerie di sinistra. E, all’origine e a modello
ideologico e operativo di tutto, la più disumana e criminale
strategia della provocazione di ogni tempo, lanciata con
l’episodio-girello tra pace e guerra, riscatto e schiavitù,
sovranità popolare e fascismo, liberazione nazionale e colonialismo:
l’11 settembre.
Chi si occupa della Palestina in termini onesti e giusti è ora che
la faccia finita con la truffa dei “due Stati per due popoli”,
servita a tenere in piedi un’Autorità Nazionale Palestinese, nata
dalla sciagura di Oslo, subito orientata verso la sconfitta e il si
salvi chi può da una dirigenza esausta, vigliacca e rinnegata. Con
la boutade dei due Stati, che faceva sganasciare dalle risate i
dirigenti israeliani, ai palestinesi è stata sottratta la carta per
una trattativa meno squilibrata, meno dettata da un rapporto di
forze che la fine dell’Intifada, l’incarcerazione dei suoi leader
veri (Maruan Barghuti, Mustafa Ali, tanti altri) e la resa dei
collaborazionisti aveva terribilmente sbilanciato. Un’Intifada che,
in tutte le sue forme, aveva messo in ginocchio l’economia,
l’immigrazione, gli investimenti, la sicurezza, la credibilità dello
Stato sionista. Rivendicando il maltolto dal 1948, non riconoscendo
in nessun caso e per nessun prezzo l’occupazione, tutta
l’occupazione, compresa quella del 1948, anziché partire dalla
richiesta, già arretrata e indebolita, delle terre rubate nel 1967;
ignorando l’iniqua spartizione delle Nazioni Unite, dettata
unicamente dagli interessi sionisti e delle Grandi Potenze, visto
che Israele si faceva beffe di tutte le risoluzioni Onu indirizzate
a perlomeno limitare il danno e la gigantesca ingiustizia, le
posizioni di partenza sarebbe state ben diverse da quelle estorsive
di Oslo, Camp David e della Road Map. Soprattutto l’intero
schieramento antimperialista mondiale non avrebbe dovuto arretrare
insieme ai dirigenti palestinesi, per ripartire sempre più dal
basso. E avrebbe potuto dare spessore politico e dignità etica
all’unica soluzione possibile in alternativa all’apocalisse
verso la quale il sionismo-imperialismo e i suoi mercenari Nato
inesorabilmente sospingono la regione e l’intero pianeta che le sta
appeso: lo Stato unico, democratico, multinazionale e
multiconfessionale. Uno Stato in pace e armonia con l’ambiente
regionale in corsa di bonifica grazie alle rivoluzioni
anticoloniali, laiche e progressiste e che avrebbe saldato gli
interessi e le virtù di classi riconosciutesi vittime comuni di un
conflitto voluto dal nemico universale e avrebbe portato
all’eliminazione delle scorie tossiche depositate all’atto di
nascita della malformazione sionista.
E’
naturale che tutta la destra (che comprende il diversivo definito
“centro” e gran parte di una sedicente sinistra) s’impegnerà ora
alla morte nel sostegno e nell’esaltazione del “moderato” Abu Mazen,
del “moderato” Siniora, come già va facendo con i “moderati” Karzai
e Al Maliki e, parallelamente, nella criminalizzazione di tutto
quanto si oppone al golpe dei rinnegati, magari nel nome del diritto
a governare sancito da un’elezione democratica. Ai nostri
democratici di quella democrazia non gliene frega assolutamente
nulla. Tanto che l’hanno pugnalata alle spalle dall’inizio.
Preferivano le elezioni irachene, gestite dal vicere Paul Bremer,
che sfornavano, non votando metà della popolazione e arrivando dal
l’Iran camionate di schede prevotate, governanti “moderati”. Del
resto, non abbiamo noialtri un’inattaccabile democrazia da esibire,
gestita com’è da capipartito, boss mafiosi, burocrati di Bruxelles,
preti che fanno gli ukase, padrini Usa scaturiti dai brogli
dell’Ohio e della Florida, banche onnipotenti, basi militari altrui
e mandanti che sventrano valli e vanno a cena con la camorra . Così
“moderato” è diventato sinonimo di fattorino d’azienda. Intanto le
“sinistre radicali” si baloccano nell’ossimoro “di lotta e di
governo” e si vede come va a finire: anche Abu Mazen si dichiara “di
lotta e di governo”.
Facciamo chiarezza su chi ha voluto liquidare, utilizzando i suoi
sgherri, l’ultimo robusto fronte della resistenza palestinese.
Denunciamo, senza più le timidezze che i ricatti dei lestofanti ci
volevano imporre, ma che i popoli aggrediti non ci consentono più,
chi opera incessantemente per far sì che i palestinesi appaiano una
demenziale turba autodistruttiva, non credano più alla resistenza,
non meritino più uno Stato, addirittura una vita. Abbiamo una
superiore responsabilità di classe e di solidarietà con i popoli. Ho
sentito qualcuno dello schieramento filopalestinese in Italia
rampognare chi appoggerebbe Hamas. Ecco, quel qualcuno deve smettere
di parlare. Perché se è venuto fuori Hamas, alla faccia della
schiera di zombie in combutta con i propri assassini, vuol dire che
la Palestina è viva, che il popolo palestinese non si arrende, che
l’ingiustizia e il crimine continuano ad essere sotto tiro in questa
parte del mondo. Poi, quando la Palestina sarà libera e unita, caro
compagno, potrai sfrucugliare il suo assetto politico e culturale
quanto ti aggrada e sceglierti il partner che più ti è simpatico.
Non prima.
E’
vero, in Medioriente, dove è in atto un’offensiva la cui ferocia e
spietatezza, ha un simbolo in quella squadraccia di marines che, a
Bakuba credo, stuprata e uccisa una ragazza, poi ne sterminò
l’intera famiglia, le cose stanno volgendo a un peggio che neanche
il più splatter film dell’orrore riuscirebbe a rappresentare.
Non è retorica ricordare che dal fondo della notte ricomincia il
cammino della luce. L’America latina, o meglio afro-indio-latina,
sta lì a dimostrarlo. Chi avrebbe immaginato un Chavez ai tempi di
Pinochet e di Videla? La prima battaglia? Su tutte, Vicenza. Anche
per smerdare il secondo giornale del paese con il suo inserto del
primo giornale del mondo, il New York Times, che apre con un
gigantesco musulmano barbuto e armato, sulla cui faccia vuota sta
scritto: puoi uccidere passanti senza sensi di colpa, puoi uccidere
civili, puoi anche uccidere bambini senza sentirti a disagio… Il
titolo accanto non dice “Manuale del Marine”. Dice: “Manuale del
jihadista”. Volete sapere una cosa di quel manuale? E’ stato
stampato in Texas negli anni ’70 e distribuito nelle madrassa afgane
a cura del dipartimento PR della Cia chiamato National Endowment for
Democracy. Si trattava di creare un fondamentalismo islamico (dopo
averlo agevolato con Khomeini in Iran) che, poi denominato Al Qaida,
sarebbe servito a lanciare l’Occidente, utili idioti compresi, alla
conquista del mondo “incivile”. Ma questo il NYT, “standard aureo”
per certi giornalisti, non lo dice. E con gente così che abbiamo a
che fare. E gente così a cui le sinistre danno retta.
Liberiamocene.
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