|
…perché
continui così: TUTTI PER VELTRONI !
Destra radicale e
“sinistra” radicale
unite nella lotta…nel segno di Sion
(parlando sciascianiamente di
uomini, ominicchi e quaquaraquà, nel coro veltroniano di
opusdeisti, prodinotti, ernestini e contropianisti)
05/05/2006
Abbiamo elencato solo una minima
parte di crimini contro l’umanità compiuti dallo Stato israeliano
in appena un paio di giorni di un qualsiasi mese di un qualsiasi
anno di un campagna di sterminio che supera di gran lunga il mezzo
secolo e qualsiasi persecuzione subita da una collettività in
termini così feroci per un periodo così prolungato in così
completa complicità della comunità internazionale. Agli episodi di
cui sopra vanno aggiunti i provvedimenti di questa “comunità
internazionale” di pali, con decisione delle sue massime
istituzioni, finalizzati a uccidere il popolo palestinese per
decimazione, fame e malattie. Cinquecento chilometri più in là si
fa la stessa cosa con il popolo iracheno e la si prepara per
quelli siriano, sudanese, iraniano, cubano, venezuelano, boliviano
e chissà quanti altri. E’ il colonialismo, baby, è lo scontro di
civiltà: la civiltà dei terroristi e dei rapinatori contro la
civiltà delle vittime e dei resistenti. E all’indomani di un gesto
di civiltà universale, come quello di bruciare le bandiere di chi
brucia popoli, non sono solo i soliti sicofanti dell’imperialismo
e del genocidio razzista in Medio Oriente, i Lerner, Ferrara,
Pirani, Mieli, Mauri, Bondi, a elevare alti lai contro la
rinascita dell’antisemitismo. Alla convocazione dei propri
satelliti, ordinata dall’ambasciatore di Israele nell’anniversario
della fondazione di uno Stato edificato nel sangue di giusti e
innocenti, peggio di quello vaticinato nel
Mein Kampf (lo dicono
gli ebrei perbene), è accorsa in formazione serrata, seppure in
mutande e piegata in due, l’intera sinistra istituzionale,
capeggiata dal vindice del riscatto nazionale, Romano Prodi che,
esprimendo i fervori di tutti, pronunciava la sua e, del tutto
abusivamente, l’italica, identificazione con Israele.
Appollaiato sulla sua spalla
annuiva, col becco arrotato dal piacere, il vessillifero primo di
questa identificazione: Walter Veltroni, sindaco di Roma ma la cui
capitale morale è Hollywood, promotore, kippà in testa, della più
agghiacciante iniziativa mai concepita da una per quanto rivoltata
sinistra: “La Sinistra per Israele”. Celebravano uno Stato che,
nelle parole di Vera Pegna in una bella lettera al Manifesto, “si
considera uno Stato ebraico invece che lo Stato degli ebrei,
musulmani, cristiani e altri che ci vivono (come invece proclamava
la repubblica del “dittatore” e “pulitore etnico
ultranazionalista” Slobodan Milosevic), che nella sua carta
fondativa scrive che è lo Stato degli ebrei di tutto il mondo (e
di nessun altro), che continua ad occupare il 22% de territori su
cui dovrebbe nascere lo Stato Palestinese (e sta per rubarne un
altro 10%) e ciò dopo essersi stabilito sul 78% della Palestina…”
Ma non sta nello Statuto di Norimberga che il più grande crimine
contro l’umanità e la guerra d’aggressione?
Sotto l’ombrellone onnicoprente,
persecuzioni razziste, guerre genocide e crimini contro l’umanità
compresi, si schiera in vista delle prossime elezioni
amministrative una coalizione veltroniana che di più disinvolte e
postribolari non se ne sono mai viste e che va dall’estrema
destra, massima alleata di Israele e degli Usa di Bush, con
Alberto Michelini dell’Opus Dei, già Casa delle Libertà, e dalla
destra dei Moderati per Veltroni, ai sedicenti “non moderati di
Rifondazione Comunista per Veltroni”, fino nientemeno alla
sedicente “sinistra antagonista ” qui detta “Arcobaleno”
(Disobbedienti e Rete dei Comunisti) per Veltroni. E’ come se a
New York i movimenti anti-guerra, anti-Bush e per la verità
sull’11 settembre votassero, insieme al Ku Klux Klan, per il
sindaco-sbirro Rudolph Giuliani, pulitore etnico e copritore dei
crimini neo-teo-con contro i propri cittadini.
Uomini (e donne)
Ci vogliono poche righe per
parlarne. Da noi ce n’è pochini in vista, ma tantissimi sparsi sul
territorio, senza nome e senza luci della ribalta: non occupano
scranni in parlamento, non fanno i presidenti della Camera, non si
fanno vespizzare tra porta e porta, non defecano stereotipi e
menzogne sui giornali, non ci pensano nemmeno a gonfiarsi,
ranocchi che sono, fino a diventare buoi e a contrattare con altri
bovini poltrone e sgabelli nelle commissioni, giunte,
muncipalizzate e sedi qualsiasi dove piovano prebende e redditi.
Ce ne sono invece moltissimi in giro per il mondo. Trecentomila si
sono visti marciare a New York contro la guerra e i suoi avvoltoi,
un milione di pelli “abbronzate” nelle città dell’Ovest hanno
scosso i pilastri di una società razzista e schiavista di
ritorno. Milionate di francesi e figli del deserto hanno messo
sulla colonna di Place Vendome San Precario al posto di Napoleone
e hanno tosato l’intera classe dirigente. Centinaia di migliaia
dalle campagne e dalle università hanno fatto un mazzo così al re
del Nepal. Qualche milione di uomini e donne ha scavato in Iraq la
più grande trincea contro le barbarie e in difesa dell’umanità
tutta e qualche centinaio di migliaia la difende e vi prepara il
contrattacco. Un intero continente di uomini e donne ha guardato
ai comunisti di Cuba e si sta spolverando di secoli di silenzio e
morte. Tutti costoro, mi sa, sono la maggioranza della nostra
specie. Portatori coscienti o incoscienti, ma sani, di
rivoluzione.
Ominicchi (e donnicchie)
Sono i cascami, i rifiuti della
storia che qualche artificio pseudoecologico ha trasformato in
“residui di lavorazione” e riciclato. L’Italia, grazie alla
bimillenaria formazione in chiesa della sua classe dirigente, ne è
la patria. Ahi serva Italia, di cialtroni ostello… Si parla tanto
del degrado berlusconiano. Ma sono berluscones molti di quelli che
più sdegnati si ergono ad antiberlusconiani e, sotto lo scudo
rutilante dell’antiberlusconismo, nascondono le proprie vergogne
e si sono inerpicati sulla montagna delle nostre schede, di
millimetri appena più alta di quella degli altri, e sono ora loro
ad agitare la ferula con la quale intrupparci e guidarci alla méta
che la voce di popolo racchiude in un termine assoluto: ramengo.
Poco li distingue dagli “avversari”, tanto che il loro esponente
Massimo, conciliando in sé apparenti opposti come sinistra e
massoneria più Opus Dei, marce di Assisi e sterminio bombarolo,
da anni esprime anche il massimo operativo dell’inciucio, del
tragico “volemose bene”, dell’osceno “tarallucci e vino”, con
quanti null’altro sono che rigurgito di smaltitoio storico. La
loro ideologia è un egoismo individualista o di gruppo che mira a
promuovere innnanzitutto i propri interessi immediati a scapito di
qualsiasi altra istanza. Pensate al mille volle spergiurato e
sacralizzato no alla guerra del PRC, convertito con la velocità di
un missile Cruise in voto pro occupanti italiani in Afghanistan,
non appena quei non violenti hanno messo i glutei nell’emiciclo,
con Bertinotti super partes presidente della Camera, e chi se ne
fotte se non posso più andare ai cancelli della Fiat o tra le
voragini di Val di Susa. Basta il repertorio, e poi ormai tocca
all’erede graziosamente incoronato, quel gigante dell’azione e del
pensiero antagonista di Franco Giordano… E’ l’ideologia (se il
termine no si offende) che guarda all’altro da sé come a una
permanente minaccia. Una cultura che rispetta innanzitutto il
denaro e cerca di tenersi buono chi ne dispone ampiamente. Hanno
la preoccupazione di compiacere a tutti i costi “l’altra parte”,
che so, aristocrazia nera, generone, Valeria Marini e vipperia
varia, Montezemolo, Fini, Bonino, addirittura Tullia
Zevi-presidente, gran sacerdotessa del sionismo… e non di cercare
invece di costruire le condizioni per un paese giusto e libero
dalle mafie, dalle prevaricazioni, dagli egoismi ( quelli che
producono monarchie assolute alla Bertinotti o D’Alema su partiti
omogeneizzati e passivizzati, scatole vuote se non di decorazioni
natalizie per il Supremo) a sostegno delle proprie arrampicate.
Tra costoro non esiste alcun soggetto – sciascianamente uomo – che
tenti di collocarsi all’altezza delle esigenze complessive del
popolo lavoratore, anche perché quelli che, sul piano
organizzativo, si proclamano tali, hanno fatto da tempo una scelta
meramente politicista di adeguamento ai meccanismi dell’esistente,
di un governo realizzato nella marginalità della loro identità
politica e nella marginalità della situazione storica. Ciò li
renderà, appunto marginali, protagonisti di un ceto politico
incapace di capire il vuoto sospeso in cui si trova la politica
oggi, non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente. Per Marx il
comunismo è il movimento reale che trasforma lo stato di cose
presenti, il movimento reale degli oppressi (precari, sfruttati,
aggrediti, terrorizzati) che in questa epoca, ad appena 160 anni
da quella proclamazione e ad appena 90 anni dall’Ottobre, a tutte
le latitudini e longitudini ha una sola e obbligata direzione:
anticapitalismo, antimperialismo, che si esplicita nelle lotte
contro il mercato, contro un sistema organizzato per produrre
merci per essere vendute più che usate. Adagiandosi,
embeddendosi nei
serragli per loro allestiti dal potere, questi ominicchi fanno
circo equestre per sprovveduti e illusi, ma hanno perso qualsiasi
ruolo alternativo nel presente e nella prospettiva. Stanno in una
fase dell’accumulazione capitalistica mondiale che non presuppone
un’ulteriore fase di sviluppo, ma solo di feroce sopravvivenza
nell’approssimarsi di un’implosione del sistema mercato e della
guerra e perciò della concorrenza e perciò di una crisi storica
del capitalismo che sarà in prima istanza la crisi delle sue
stampelle. A questo punto l’alternativa è una, come ripetono Fidel
e Chavez: comunismo o barbarie. Gli ominicchi hanno scelto le
barbarie. Camperanno poco.
E’ gente che si riconosce ancora
meglio dai suoi corifei. Ecco come delira la penna intrisa di
melassa e di estasi teresiana, costante su “Liberazione”, della
vestale regina, Rina Gagliardi, assurta a vicepresidente del
gruppo al Senato. Trepida e grondante risposte entusiaste, Rina si
chiede “Ma che tipo di uomo è Fausto?” E giù due colonne di
secrezioni orgasmatiche:”persona di grande spessore intellettuale
e culturale, curioso, aperto, vocato alle relazioni con il
prossimo, dotato di un attitudine del tutto originale
all’elaborazione politica, all’invenzione, alla mediazione
originale, antiburocratica, tra teoria e prassi, uomo
brechtianamente semplice, sempre ispirato da una coerenza rigorosa
– sic! – che si trasforma ogni volta in fertile duttilità, la sua
semplicità fa rima con integrità e tensione morale, fraternità,
autorità e autorevolezza che si conferisce al padre, immagine di
un fratello, fratello maggiore che ti precede sempre nei pensieri,
soprattutto quello grande, che sa e sa fare di più, che può
rappresentarti e anche guidarti, ma da distanza non sacrale e
sempre all’interno di una complicità affettuosa, tutto questo farà
di Bertinotti un presidente della Camera straordinario, un amico,
un amico del popolo…” E qui sigarette del dopo. Sentite una
leggera nausea? Rassegnatevi al Santo Subito! C’è anche un altro
corista, più azzimato, ma non meno prono: Darwin Pastorin,
melodioso protagonista su “Liberazione” di vicende calcistiche
altrui Dopo essersi inebriato di un Bertinotti simile a Fausto
Coppi “uomo solo al comando”, al Pelè, diciottenne imperatore
della Coppa Rimet, all’Anastasi dalla rovesciata proletaria (sic),
al Maradona divinità antinglese, al rombo di tuono Gigi Riva, al
Livio Berruti dalla più perfetta curva nei 200 di tutti i tempi,
all’Ayrton Senna, la cui corsa non avrà mai fine, ecco che Darwin
Pastorin conclude: “Fausto Bertinotti, fuoriclasse della politica,
del coraggio, delle idee, Presidente della Camera, vai Fausto,
vinci anche questa partita per un’Italia migliore…Grazie per il
tuo discorso, che mi ha commosso nel profondo. Ti abbraccio con
l’amicizia, l’affetto e la stima di sempre”. Qualcuno ricorda
Starace? E’ un dato storico che sono sempre gli ominicchi che si
circondano di tali cantori. Tra i quali spicca di luce
particolarmente sinistra il diessino Piero Sansonetti, direttore
del diario di bordo di Fausto, “Liberazione”, il cui berlusconismo,
già anticipato con l’affettuosa definizione patriottarda a
proposito dei “nostri ragazzi” uccisi dal terrorismo in Iraq (e si
trattava dei quattro mercenari), si è rivelato con folgorìo
abbagliante in un’ appassionata perorazione per un’amnistia fino
ai 6 anni di pena, giusta giusta per il martire berluscones Cesare
Previti, appena carcerato in quanto esemplare neoplasia italiana.
I 150, o giù di lì, “nostri ragazzi” che marciscono con pene
tombali, bè chi li conosce? Eppoi, mica sono corrotti e
corruttori, sono terroristi! Dove, stropicciandosi gli occhi,
tocca chiedersi se si dorma o si sia svegli e poi se sia più
profonda la confusione o più vertiginoso l’opportunismo.
L’importanza di chiamarsi Ernesto (chiedendo scusa sia a Oscar
Wilde, sia al Che)
Tra gli ominicchi merita una
menzione speciale, al merito della presa per il culo, quel
gruppetto di funzionari che dirigeva la corrente d’opposizione
maggioritaria nel PRC. I grassiani, o l’Ernesto, formazione nella
quale ho militato per parecchi anni, credendoci e facendoci
credere un bel po’ di compagni in giro per l’Italia. Me ne scuso.
Cosa volete, uno si attacca al ramo che gli sembra più robusto.
Invece m’ero attaccato al tram… Recenti notizie, successive
all’elezione nel parnaso parlamentare, per grazia reale, di ben
sei di loro, ci informano di un sostegno ai No Tav subitaneamente
rientrato, una volta raccolta una larga messe di voti, non appena
il sindaco anti-Tav di Torino, chiamato Chiamparino, aveva
socchiuso l’uscio verso qualche strapuntino in giunta. L’alluvione
di rabbia della Val di Susa fa invidia al Polesine. Ma gli
ernestini torinesi non si sono acquietati all’ombra solo della
Mole municipale. Sono già pronti per la greppia di cocktail e
dolcetti offerti dall’Anti-Tav regionale con le zanne da scavo,
Mercedes Bresso. Quelli bolognesi, già messi al guinzaglio dal
“cileno” Cofferati su questioni di pulizia etnica lungo il Reno,
ora hanno anche condiviso, dopo qualche iniziale sussultino, la
mozione anti-violenza dell’ammazzaarticolo18, mirata agli
sciagurati che avevano bruciato e fischiato qualche bandiera per
Israele-dal Tigri all’Eufrate e a quei criminali contro l’umanità
che si erano autoridotti le mense. L’intero gruppazzo, fatta in
passato una blanda fronda all’innovatore al rosolio Bertinotti (
“mi interessa la persona, non la classe”, cristianamente), hanno
poi sottoscritto un documento (Favaro, Giavazzi, Provera,
Valentini) che, inneggiando all’unità con il liquidazionista
anticomunista ed eurosinistro, scaraventando in soffitta i vetusti
legni delle barricate, già “strategiche”, su Resistenza irachena,
Intifada, non-nonviolenza, Cuba, imperialismo, rivoluzione,
Ottobre, forma partito, movimento operaio del 900, democrazia
interna e, facendo ampia ammenda su tutto, hanno addirittura preso
le distanze dall’ernestino sub-sub-comandante (nel senso di
sommergibile) Claudio Grassi. Costui un cappelletto da muratore
con la stellina del Che l’ha tuttavia voluto portarselo a
Montecitorio. Non brillerà a lungo nell’emiciclo foderato di
euromilionari della buvette, come verrà ignorata fino
all’estinzione la stella rossa sul berretto bolscevico che Alberto
Burgio, rara testa pensante (ma inesorabilmente disabilitata, pur
priva di baffetti, dall’arroganza) in un concerto di
semianalfabeti culturali, aveva inalberato ancora attimi prima di
essere tacitato dalla promozione a gruccia di un governo
sionista-amerikano. Questi audaci sostenitori della Resistenza
palestinese si sono presi per capogruppo nientemeno che tale
Gennaro – scusate il cognome – Migliore, noto eminentemente per
proclamare che “Intifada fino alla vittoria non sarà mai il nostro
slogan” e chi dice il contrario è antisemita e si sono prestati ad
incoronare a successore di Bertinotti quell’altezza psicofisica
di Franco Giordano, democraticamente, secondo statuto regio
consacrato erede dal principotto. Su questo armata da sbarco a
Portofino ripeto, a mo’ di coccodrillo, alcune precise
considerazioni di un compagno svegliatosi dal coma :
“L’implosione poltronistica
dell’Ernesto è stata il colpo di grazia. A ben guardare, tutti noi
in questi anni siamo stati prima strumentalizzati e poi scaricati
da una banda di manigoldi opportunisti che contendeva i posti di
potere nel partito a una banda concorrente, in quella che è stata
una guerra tra cricche di ceto politico. In questa guerra –
vendutaci, come sempre accade, come una tenzone per nobili ideali
– non è che io abbia mai riposto particolari speranze nei nostri
capi, personaggi di estrema pochezza politica, le cui buffe
figure possono al massimo suscitare ilarità (la sola idea che
potessero contendere la leadership a un figuro, dotato comunque di
carisma, come Bertinotti, mi è sempre parsa ridicola… La strategia
del sommergibilismo si è miseramente arenata su una secca. A cosa
sono serviti anni e anni di giravolte tattiche, di nascondismi e
di sapiente paraculaggine, spacciata per abile “accumulazione di
forze”, appresa alla scuola dei maestri? A cosa è servito
aggregare quasi il 30% del partito all’ultimo congresso, mandando
quei fessi di compagni a farsi il mazzo nei circoli? A una sola
cosa, contrattare 5 o 6 poltrone per il parlamento nazionale,
altrimenti irraggiungibili. Un gruppo di amici di lunga data,
tenuto insieme nel tempo da una comune militanza e da ricordi di
ideali ormai logori, vede finalmente premiato un impegno
burocratico-funzionariale sinora sottopagato e conquista il
meritato strapuntino miliardario. Per far ciò, costoro hanno
dovuto prendere in giro alcune migliaia di persone, coinvolgendole
in un lavoro faticoso e portando via loro, a gratis, un’infinita
quantità di tempo che non potranno mai più restituirgli… Ogni
sacrificio è stato fatto, ogni compromesso è stato accettato in
nome dell’”accumulazione”, bisognava essere astuti come serpenti,
mimetizzarsi e inabissarsi, non parlar troppo né a voce troppo
alta (già, il Grimaldi “cubano”, “serbo”, “palestinese” e, oddio,
“iracheno”, cacciato su due piedi dal giornale. N.d.r.) , ingoiare
rospi e differire, posticipare, rinviare sempre tutto… Ebbene
questo gran accumulare viene dissipato senza batter ciglio in
pochi giorni, in una triste e miserabile contesa di poltrone, in
cui volano coltelli e tutti sono contro tutti… E’ una storia
tragicomica, che bisognerebbe forse un giorno raccontare nei suoi
pur minuscoli personaggi e interpreti. La storia di chi si sentiva
astuto e avrebbe dovuto silenziosamente dividere il fronte
avversario e che, invece, dall’avversario è stato schiantato e
fatto a pezzi… E’ bastato che qualcuno facesse balenare ai loro
occhi l’immagine luccicante dell’emiciclo parlamentare perché
questi bolscevichi perdessero il lume della ragione; è bastato che
si evocasse il tintinnio dei 20.000 euro al mese perché la loro
incorruttibilità di rivoluzionari di professione si sciogliesse
come il burro…”
Si poteva dire meglio di un gruppo
di valvassini, volenti o nolenti utilizzati dal sovrano come
copertura a sinistra delle proprie capriole destrorse, come morso
in bocca a tanti militanti e iscritti perché il loro grido di
disagio e disperazione si riducesse a inermi borborigmi? E della
stessa moneta ora ce n’è, a seguire, per gli “antagonisti
arcobaleno (cioè camaleonte) per Veltroni”.
Quaquaraquà
Credo di ricordare che
l’interpretazione data da Leonardo Sciascia alla sua definizione
di Quaquaraquà, sagacemente onomatopeica, fosse di persone che
imbellettano le proprie fisionomie esterne e interne (s)cadenti.
L’iconografia contemporanea ne allinea una varietà sempre più
folta, tra capi di governo richiomati e carampane da schermo,
magari pure ventenni, ripettorute o chiapparinforzate. Il
quaquaraquà è ontologicamente un liftato, cioè l’apparenza fasulla
di una sostanza che, invece, è altro, o non è per niente. Il
vapore su una pentola vuota, il gran fumo su un tizzone spento.
Lo esemplifica, ricorrendo a
quaquaraquismi recenti, un convegno su “Precarietà e Sfruttamento”
indetto dal PRC, che vede gli interventi di tutto uno squadrone di
oratori che, simultaneamente, si accingevano a orare nelle novene
governative che Don Prodi va celebrando a banchieri,
confindustriali e fautori delle Grandi Opere ammazza-ambiente, o
accanto al confessionale nel quale lo stesso “parrocco di
campagna” assolve invasori e occupanti purchè facciano penitenza,
magari recitando qualche brano della
Pacem in terris. Lo
esemplifica altrettanto bene l’iniziativa dei protagonisti di
questo paragrafo quando, con la stessa simultaneità dei fratelli
maggiori ominicchi, convocano un seminario “Contro l’imperialismo
e la guerra, con la resistenza dei popoli del Medioriente” e
lanciano verso il campidoglio una Lista Arcobaleno ( o camaleonte)
che si propone di incoronare, per la seconda volta e dopo cinque
anni di degrado urbanistico e vergogne politiche, colui che un
arguto libretto della “Stampa Alternativa” già nel 2000 definì
“il più abile agente della Cia”, sorvolando, chissà, sul Mossad…
Il cammino rivoluzionario della Rete
dei Comunisti (Radio Città Aperta, Contropiano, Proteo, Nuestra
America), fino a ieri valido fortilizio romano, con qualche
filiale provinciale, della “sinistra antagonista e
antimperialista”, rigorosamente extraparlamentare, spintosi fino a
benevolmente riconoscere “ la legittimità della Resistenza
irachena”, ha assunto dall’estate scorsa il ritmo del galoppo
pancia a terra verso le sale consiliari della capitale e, in
prospettiva, ben oltre. Alla rapidità della camaleontesi ha
corrisposto una vigile riservatezza sul progetto. Tanto che
all’annuncio ufficiale del salto con l’asta, di puro stile
bertinottiano, verso la
governance capitolin-veltroniana, ha corrisposto l’attonimento
del quantitativamente e qualitativamente non indifferente
arcipelago anti-guerra, comunista, rivoluzionario o comunque
anticapitalista e antimperialista, nazionale. Non tanto per la
portata del fenomeno, in sé alquanto vernacolare, quanto per il
suo significato simbolico. Quello dell’accentuazione – o
conclusione - di un processo che in pochi anni aveva visto
defoliare l’albero della lotta per la trasformazione, che
generazioni avevano innaffiato, anche col sangue, da uno tsunami
di conversioni al “realismo dell’esistente”. Un albero già
possente e fronzuto, ora ridotto a qualcosa come un rinsecchito
stecco cimiteriale.
Nell’ottobre dell’anno scorso un
forte indizio: un convegno di dirigenti delle nuove grandi lotte
latinoamericane, terrorizzanti per l’assetto occidentale tutto,
figuriamoci per la coppia atlantica Veltroni-D’Alema, da mesi
programmato e definito, viene metamorfizzato in un innocuo
seminario di teste d’uovo di varia estrazione, le cui a volte
dotte a volte oscure analisi lasciano, oltre ai soliti e presto
impolverati “atti” da punteggio accademico, il tempo che trovano.
Poco dopo, il terzetto di testa della squadretta retista, nel
tentativo di costruirsi un referente internazionale di prestigio e
una più vasta base di consenso interno, lancia un attacco a fondo
contro la più antica, efficiente e politicamente coerente
associazione di solidarietà con le lotte dei popoli,
l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, con il trasparente
obiettivo di scalzarla dal rapporto privilegiato con l’isola
rivoluzionaria. Ne consegue un imbarazzante e intrallazzoso
bailamme che ha come unico risultato di disorientare i
simpatizzanti per Cuba e mettere a disagio i compagni cubani.
Siamo alla vigilia del gran botto.
Ma prima occorre bonificare strutture e mezzi di comunicazione da
ogni impurità e poi onorare la cambiale che paga l’accesso agli
scranni del patriziato: mettere la kippà in testa al Forum
Palestina e sollevare in alto il vessillo della guerra al
terrorismo riconoscendo il travestito Al Qa’ida come “oppositore
globale degli Usa”. Vengono epurati – in qualche occasione anche
manu militari, come a un recente convegno l’unica presenza non
putrescente a sinistra, i ferrandiani – gli elementi non tagliati
per capriole, saltafosso e salti con l’asta, in particolare coloro
che avrebbero potuto inquinare la limpida adesione, “per spostare
il baricentro della giunta a sinistra “ (dove avevamo già udito
tale proposito?), alla storica battaglia per Veltroni ri-sindaco
al servizio dei poteri devastanti: finanziari, commerciali,
ecclesiastici ed edilizi. Miserie, tracce di un berianismo sempre
verdeggiante tra i disobbedienti. Il salto di qualità definitivo,
decisivo, strategico, arriva con la pubblicazione di un documento
della rivista “Contropiano”, intitolato “Al
Qa’ida (anzi, come strafalciano, Al Quaeda),
oppositore globale degli Usa”. Vi si rovescia ogni
assunto, faticosamente elaborato sulla base di fatti
incontrovertibili da una rigorosa ricerca controinformativa, ormai
forte di decine di accademici, scienziati, investigatori, tecnici,
famigliari delle vittime, soprattutto statunitense, di Al Qa’ida
strumento di regime costruito e gestito dalla Cia per annichilire
ogni opposizione alla guerre globali preventive e perenni
dell’imperialismo nella espressione nazisionista (cioè teo-neo-con).
Vi si avalla, sulla base di fonti “alternative” come il
disinformatore chic Lucio Caracciolo, il “terrorismo islamico”,
base teorica della guerra psicologica di Bush, Sharon, Berlusconi,
Blair e di tutta la criminalità bellica e fascistizzante che sta
attivamente lavorando alla fine delle specie viventi. Si
raggiunge, nel covo dei rinnegati, il Bertinotti della “spirale
guerra-terrorismo”. Si procede al disarmo unilaterale degli
aggrediti. Si tolgono le castagne dal fuoco a chi si vede
minacciato da una verità sull’11 settembre che traspira sempre più
impetuosa dalle macerie delle Torri fatte implodere. E si tagliano
le castagne alle vittime presenti e future. Si ciancia di una
borghesia nazionale araba, la più turpe nella sottomissione
aWashington, nella complicità con Israele e nella repressione
delle forze nazionali antimperialiste, che si sarebbe rivoltata
contro l’antico padrone-protettore. Si arriva ad appaiare al
terrorismo, nella filiazione da questa presunta “borghesia
nazionale ribelle”, un’emittente esemplare e perciò duramente
colpita, come Al Jazira.
L’annuncio ufficiale della
deformità Arcobaleno arriva subito dopo: ovviamente lista imposta
dalla necessità di evitare la sciagura Alemanno, candidato di
Alleanza Nazionale, proprio come tutte i liquidazionismi
bertinottiani erano stati appesi alla fondina del pistolero di
Arcore. Allarme antifascista che tutto sa mettere a tacere. Subito
dopo, per neutralizzare lo sgomento dei tanti e dribblare le
ragionate contestazioni di singoli e organizzazioni, Cobas in
testa, con particolare raccapriccio per aver portato al mulino di
Veltroni l’acqua color rosso del Forum Palestina, ecco che si
allestisce un ennesimo dei loro altisonanti convegni da fiera
campionaria dove si afferma nientemeno di voler definire
“l’essere e l’agire come comunisti nel XXI secolo”. Dietro ai
fumogeni si staglia sorridendo soddisfatta la figura di colui
che, partorito, allevato, cresciuto e pasciuto negli organi
dirigenti di FGCI e PCI, senza aver mai avuto alcunché da
obiettare sui capi camunisti con relativi “paesi guida” fino all’autodafé
di Occhetto, dal 1989 informa un arengo stupefatto “di non essere
mai stato comunista”, dato che “comunismo e libertà sono
inconciliabili”. Forse quella malignità su Veltroni “più abile
agente della Cia” deriva dalla constatazione di una sua diabolica
abilità nel nascondere i propri veri sentimenti mentre, per oltre
trent’anni , succhiava informazioni vitali e registrava
efferatezze bolsceviche dei Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, a
beneficio degli adorati Kennedy e poi Johnson, e poi Carter e poi
Clinton (sempre democratici, però, mai repubblicani,
neguardiddio!), per quell’America dei suoi sogni, qualunque essa
fosse, del Rock e del Vietnam, di Guantanamo e del bloqueo della
“dittatura castrista”, di Penelope Cruz e dell’intervento
umanitario a forza di stragi del compagno D’Alema a Belgrado e nel
Kosovo, agli squadroni della morte in Iraq e a Abu Ghraib.
Romanamente doppio come Giano, Veltroni: una fiaccola per Israele
accanto a Giuliano Ferrara, e uno stanziamento salvavita a Radio
Città Aperta per la trasmissione delle sedute comunali.
Al richiamo del camaleonte sono
accorsi anche altri, per primi coloro che da una collina del
Chapas sanno tirare fuori, miracolosamente, quantità eque e
solidali di “Caffè Zapatista” da far ombra all’impero Lavazza,
pubblicizzato con annunci sui giornali di tale impegno finanziario
che neanche la Telecom, ma che al Veltroni vicepremier
dell’intervento umanitario nei Balcani possono esibire
credenziali convincenti: l’antiserbismo più duro di quello di
Madeleine Albright, il più schietto allineamento con la
demonizzazione di Milosevic, fino al sostegno intergalattico
all’innocuo – anzi! - subcomandante Marcos, oggi “Delegato Zerox”,
che su Chavez e Fidel la pensa come Condoleezza Rice e ha fatto di
tutto per far perdere le elezioni all’unico candidato
presidenziale non impresentabile in Messico, Lopez Obrador,
speranza di un ulteriore passo latinoamericano via dagli Usa, e
quindi, implicitamente, per far vincere gli amerikani dei due
partiti di destra.
C’era bisogno di “scendere in campo”
per il più fervido sostenitore dell’amerikanizzazione universale,
il più anticomunista e filoisraeliano dei politici italiani, il
più doppio dei doppiogiochisti, il più illusionista degli
amministratori, l’altro elemento del tiro a due di razza che vuole
portare Massimo D’Alema al vertice dello Stato? C’era bisogno che
ci si vendesse il Forum Palestina per le grazie di un signore che
nel 2004, davanti a un gruppetto di bambini di Chatila, palestra
del terrorismo stragista israeliano, si nasconde nel gabinetto in
Campidoglio e manda a dire che non può riceverli perché fuori
città? Un signore che a ogni risposta palestinese al genocidio
quotidiano e cinquantennale inflitto a quel popolo nel nome della
purezza e dell’espansione ebraica, si precipita, kippà in testa,
in sinagoga, e non ha mai fatto un discorso per deplorare i 4000
palestinesi massacrati nella sacrosanta Intifada, di cui un terzo
bambini, il muro della soluzione finale, le torture a decine di
migliaia di prigionieri senza processo, o la carneficina allestita
dai suoi modelli di democrazia in Iraq e Afghanistan? E, scritto
più in piccolo, c’era bisogno di promuovere la ripetizione di
un’esperienza amministrativa che ai romani ha lasciato le strade
più rompicollo di qualsiasi grande città, una mobilità da
suicidio, un piano regolatore che omaggia i palazzinari di altri
62 milioni di metri cubi, una pratica clientelare che ha speso 65
milioni in “consulenze”, servizi privatizzati tanto sconci quanto
vampireschi, l’Acea succursale di Israele…? Dopo aver tanto irriso
a un Bertinottismo bulimico di salotti e potere, c’era bisogno di
andare, per uno sgabello in Consiglio, a puntellare un sistema in
cima al quale, oltre allo Zelig del clerico-provincialismo
trasformista italiota, c’è uno per la cui incriminazione come
criminale di guerra avevamo firmato a migliaia? Uno la cui
spocchiosa protervia baffuta nasconde inesorabilmente, come sempre
in questi casi, una stolidità di fondo che ne fa un marpione
tattico e una frana strategica. Quello delle bombe, quello della
Nato d’assalto, quello del mussoliniano “orgoglio di veder
sventolare il tricolore oltremare”, quello dell’esercito di killer
professionali, quello dei Carabinieri Quarta – ma davvero prima –
Arma, quello delle celebrazioni a Escrivà de Balaguer, l’inciucista
di fiducia di Berlusconi, il privatizzatore folle, il candidato di
una milizia che annovera Ferrara, Dell’Utri, Pomicino, Fini,
Feltri, Colannino, Gnutti, Consorte, fino al munifico, verso di
lui, patron delle cliniche rubacchione baresi, Cavallari, ? E
c’era bisogno di farlo stando seduti nello stesso carrozzone con
l’uomo dell’Opus Dei, i reazionari “Moderati per Veltroni”, i
“Bertinottiani per Veltroni”, il diavolo-che-se-li-porti per
Veltroni?
No, non ce n’era affatto bisogno.
Eravate tanto bravi, compagni. Ripensateci. O, se no, cambiate
nome.
|