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40 anni fa il
Sessantotto: celebrazione o censura?
Fu in
un'università degli Stati Uniti, a Berkeley in California, che ebbe
inizio la contestazione giovanile, una sorta di virus destinato presto
a diffondersi in tutto il mondo. La protesta investì i valori di una
società individualista e conformista, negando la presunta neutralità
della scienza e delle istituzioni sociali; si rifiutò la repressione e
l'autoritarismo delle vecchie generazioni in nome di un mondo più
libero. In diversi fenomeni si manifestò la dimensione più politica
della rivolta: nell'impegno contro la guerra e l'imperialismo
americano nel Vietnam e nel formarsi di un movimento pacifista
internazionale; nel sorgere del movimento femminista che mise in
discussione valori millenari; nella contestazione al totalitarismo
sovietico con l'esperienza della primavera di Praga di Alexander
Dubcek e la definizione di un "socialismo dal volto umano", appoggiato
ed esaltato per altro anche dai comunisti italiani che solidarizzarono
con la ribellione del popolo cecoslovacco soffocata dai carri armati
inviati da Mosca; infine, nel Maggio francese e nel sogno di un'unione
ideale con il movimento operaio di quel mezzo milione di studenti che
sfilarono per le strade di Parigi. Gli studenti non si scagliavano
solo contro l'industria del sapere, la loro era una contestazione
globale che mise insieme classi, ceti, investì la morale e i rapporti
umani, sovvertì un modello culturale, sconvolse un costume, rifiutando
in toto uno stile di vita; nella loro lotta i giovani arrivano subito
a comprendere il nesso tra l'alienazione della propria condizione e un
assetto di potere che sempre più restringeva lo spazio di
realizzazione dell'uomo. Questo bisogno di cambiamento, che investì
sia l'immagine che la sostanza, prenderà piede in tutti i paesi
industrializzati dell'Occidente; i giovani e le loro avanguardie (cioè
gli studenti), figli di una società che stentava a mutare, rinnegavano
le stesse cose, il loro era un "No" senza compromessi ad una vita
vista come ingessata e bigotta, ad un futuro disegnato su valori ben
lontani dall'appagare le aspirazioni di un ventenne, un mondo,
insomma, nel quale non si riconoscevano affatto. L'Italia viveva in
una democrazia che aveva messo forti radici nella coscienza popolare,
il paese però non riusciva, nei suoi ambiti più conservatori, a capire
la complessità della società in cui viveva, le pulsioni che essa
creava, il nuovo che stava avanzando, e sperimenterà sulla propria
pelle un lungo decennio di violenze, drammatico risultato - appunto -
dello scontro frontale di due mondi troppo diversi tra di loro.
In molti cercando di
trovare un'origine, magari imprecisata e lontana, alla violenza che
caratterizzerà gli anni '70, guarderanno a quel grande magma che fu il
1968. A far esplodere quel magma, tra le altre cose, contribuì un
libro, L'Uomo ha una dimensione scritto da Herbert Marcuse, al tempo
professore di filosofia all'Università di San Diego (California), un
insieme di pensieri, bisogni, rivalse già latenti nei giovani di
quegli anni. In un'intervista televisiva Marcuse, divenuto ideologo
del primo Sessantotto (di quello cioè non ancora egemonizzato
dall'ideologia) affermava tra le altre cose: «...esistono in questa
società molte cose che io non vorrei respingere del tutto [...] quello
che però rifiuto nel modo più completo è il modo in cui questa società
è organizzata, il modo in cui essa sperpera ed abusa delle proprie
risorse, il modo in cui accresce la ricchezza di una parte della
popolazione e allo stesso tempo non si preoccupa di fare praticamente
niente contro la cruda povertà esistente in vaste aree del
pianeta...». In breve nacque il ma-ma-maismo, un'ideologia composita
derivata dalla triade Marx-Mao-Marcuse ed eletta dai sessantottini a
nuovo vangelo, anche se in realtà - ma il discorso ci porterebbe assai
lontano - il pensiero del professore di origine tedesca ben poco aveva
a che spartire con i profeti del Comunismo; rimane comunque il fatto
che, inconsapevoli di questo pasticcio, i giovani accettarono il tutto
senza approfondire troppo.
Anche il Libretto
Rosso di Mao-Tze-Tung del 1964 ebbe grande successo: diffuso in
milioni di copie il testo di Mao fece il giro delle università
occidentali; il Maoismo è per molti una provocazione radicale, il
leader della Grande Marcia invitava infatti a far fuoco sul quartier
generale, cioè sul potere, ribadendo un concetto di fondo: ribellarsi
è giusto. È facile comprendere come in quel terreno fecondo del
bisogno di menare le mani e su quel istintivo rifiuto di una società
fondata principalmente sul denaro, i giovani del '68 furono fortemente
attratti dalla prospettiva della lotta di classe. Per abbattere il
vecchio mondo e costruire un futuro migliore, specialmente in Italia,
si fece ricorso ad uno strumento ottocentesco - che secondo la logica
imperante era quantomeno arcaico - come il Marxismo-Leninismo, seppure
in versione aggiornata, corretta e aggiustata. A livello
internazionale in questo periodo è un susseguirsi di notizie
clamorose: vennero assassinati Bob Kennedy e Martin Luter King,
proseguiva la rivoluzione culturale in Cina, la guerriglia in America
Latina, poi c'era quella guerra nel Vietnam che a molti appariva
smaccatamente imperialistica. Nacquero dunque nuovi miti: quello della
resistenza vietnamita, del popolo palestinese e del suo leader Arafat
e soprattutto della figura di Ernesto "Che" Guevara, che prima di
morire lanciò lo slogan "Crea 2, 3, 1000 Vietnam".
Il grido
risuonerà a lungo nelle piazze di tutto l'Occidente, e specialmente in
Europa, avamposto ideologico della protesta. Gli studenti della
Sorbona di Parigi innescarono una rivolta che coinvolse le grandi
fabbriche della Renault e della Citroen, nacquero slogan che
segneranno un'epoca: «Non è che l'inizio, la lotta continua», «Siate
ragionevoli, chiedete l'impossibile», tutti volevano la fantasia al
potere. Per capire fino in fondo quale e quanto fosse il
coinvolgimento dei giovani del '68 nelle loro lotte, riporto una frase
estrapolata da un intervento tenuto in una delle mille assemblee alla
"Statale" di Milano, è un intervento di un ragazzo qualunque, uno dei
tanti che si alternavano al microfono: «...stiamo combinando qualcosa
di grosso [...] le nostre lotte sono il segmento di un risveglio che è
mondiale, che unisce noi alla Francia, alla Germania, al Giappone,
all'Indocina, all'America Latina [...] forse qui comincia la svolta di
un'epoca...». Nel nostro paese la protesta studentesca trovò terreno
fertile in un reale disagio, le università non erano attrezzate per
far fronte alle nuove necessità: in primo luogo c'era un fortissimo
aumento delle iscrizioni, per giunta non erano cambiati gli indirizzi
di studio, i metodi di insegnamento, le normative che regolano la
partecipazione degli studenti alla vita universitaria. I disordini non
scoppiarono all'improvviso, cominciarono già nel 1963, quando quasi
tutte le facoltà di architettura vennero occupate dagli studenti ed
ebbero poi un primo seguito nel '66 a Trento. Quella dell'ateneo
trentino è una storia del tutto particolare, vuoi perché era stato
fondato nel '62 per volontà esplicita della Democrazia Cristiana con
il fine di creare una fucina di quadri dirigenziali sul modello USA,
vuoi perché da lì emergeranno figure importanti come Renato Curcio,
Margherita Cagol, Mauro Rostagno, Marco Boato. I motivi delle
occupazioni di università ed istituti durante il '67 ed il '68 erano
sempre di natura interna all'università stessa: la delusione per il
disegno di legge n° 2314, che prevedeva una riforma del sistema
universitario assai blanda ed opinabile, un aumento delle tasse
all'Università cattolica di Milano e a quella di Scienze sociali a
Trento. Dello stesso tipo erano le rivendicazioni fatte più in
generale dagli studenti: riforma della didattica, riduzione del numero
degli esami, più discussione e dialogo al posto di un mero
indottrinamento, ecc. Sempre a Trento all'inizio dell'anno accademico
'67-'68 l'università venne trasformata dagli studenti in "Università
Negativa", dove in un clima di incredibile entusiasmo gli studenti, in
piena autogestione, stabilirono nuovi metodi di studio e contenuti.
«...l'Università trasmette soltanto quella particolare ideologia della
classe dominante, formando ingegneri sociali privi di capacità critica
e passivi a qualsiasi lotta per la radicale trasformazione
dell'attuale struttura sociale [...] dopo la ricostruzione del
dopoguerra ed il boom economico, che non ha fatto altro che arricchire
i gruppi capitalistici italiani, si sta aprendo un'altra fase di
capitalismo bieco e reazionario ove il potere industriale tende ad
estendere il proprio controllo rigido ed autoritario dalla fabbrica a
tutti i meccanismi di sviluppo e sugli strati sociali subalterni e
sfruttati [...] formuliamo come ipotesi generale che vi sia la
possibilità concreta di un rovesciamento radicale del sistema
attraverso nuove forme di lotta di classe [...] questo è un movimento
pre-rivoluzionario». Ciò è quanto si legge in un documento dei giovani
studenti trentini, gruppo che per i suoi aspetti più radicali ed
anticipatori rimane esemplare per tutto il movimento studentesco
italiano. In pochi mesi la contestazione uscì dalle aule universitarie
e dilagò; nelle fabbriche crebbe la voglia di contestare una crescita
che aveva si trasformato il paese migliorandone sensibilmente le
generali condizioni di vita ma che non era riuscita a coinvolgere
tutta la società della quale aveva semmai contribuito ad emarginare
gli strati più deboli.
Il 1° Marzo 1968 a
Roma nei giardini di Valle Giulia accadde poi qualcosa di inaspettato
e durissimo: studenti e forze dell'ordine dettero vita ad uno scontro
senza precedenti; per la prima volta, in quel periodo costellato di
occupazioni e sgomberi, i primi risposero facendo uso di violenza
organizzata. Per molti era la dimostrazione delle reali possibilità
rivoluzionarie del movimento. Da quel momento i moti di piazza non
furono più gli stessi, l'atteggiamento di chi andava in corteo cambiò,
cambiarono i cori, gli striscioni, fecero la loro apparizione i
servizi d'ordine armati e ben addestrati. Da allora la violenza
divenne una compagna di viaggio sempre più fedele della protesta; «Il
sistema non si cambia, si abbatte!!», «Fascisti e Borghesi, ancora
pochi mesi» questi alcuni dei nuovi motivi cantati dai cortei, scritti
sui muri delle città, e di pari passo aumentò la gravità degli scontri
di piazza, scontri che giunsero al culmine qualche anno dopo,
«...quell'12 Marzo del '77, quando a Roma dalle 18 alle 22 si sparò,
come nel Far West». Non può sfuggire ad un osservatore attento quella
che è stata la particolarità del '68 nel nostro paese. In Italia, al
contrario di tutti gli altri paesi dove si sviluppò, questo periodo di
fervore rivoluzionario non durò 1 o 2 anni ma almeno 10; molti sono
infatti gli autori che lo fanno terminare nel 1978, e più precisamente
con il ritrovamento del cadavere dell'On. Aldo Moro, assassinato dalle
Brigate Rosse. Ad incoraggiare il prolungamento di questa stagione di
rivolte provvidero anche il Governo e la polizia italiana, la cui
reazione fu di gran lunga meno dura di quanto fecero i parigrado in
tutti gli altri paesi del mondo occidentale. Ad esempio in Francia,
durante il "mitico Maggio" gli studenti occuparono strade e piazze,
innalzarono barricate, incendiarono macchine, negli scontri vi furono
123 feriti tra i poliziotti e 1500 tra i civili. Ma quando De Gaulle
decise che era venuto il momento di ripristinare l'ordine («La
carnevalata è finita», disse) a Parigi arrivarono i carri armati, il
Parlamento venne sciolto ed indette nuove elezioni, 11 organizzazioni
politiche vennero poste fuori legge, il tutto senza che i partiti di
sinistra reagissero in modo significativo. Per i Francesi il '68 durò
in pratica poco più di 30 giorni. Non durò molto di più in Germania o
in Spagna, dove venne dichiarato lo stato di emergenza, o in Messico,
dove la polizia aprì il fuoco con le mitragliatrici su 10.000 studenti
che manifestavano, o ancora in Giappone, dove la polizia fece 700
arresti solo sgomberando l'università di Tokyo occupata. In Italia
invece la protesta durò più di 10 anni.
Quello
che intendo dire, all'interno di un quadro assai più ampio che non
mancherò di sviluppare, è che non mi risulta difficile ipotizzare che
la scelta di far lasciar fare il Movimento più di quanto fosse lecito
aspettarsi (vedi l'esempio degli altri paesi), sia da inserirsi -
magari solo marginalmente - all'interno della c.d. Strategia della
tensione, sebbene condivida anche le tesi sostenute da Tony Negri
quando afferma che, a differenza di altri stati, nel nostro paese la
spinta alla ribellione nacque in una società che era in condizioni
oggettivamente più arretrate, e per questa ragione essa ebbe una vita
assai più duratura. Sta di fatto che una volta incanalata sui binari
del Marxismo-Leninismo o del Maoismo, la protesta non poteva che
diventare aggressiva e violenta, ed è verso quei lidi che la nave del
'68 fu spinta. Riferimento è da farsi obbligatoriamente anche a due
avvenimenti cruciali di quel periodo: la strage di Piazza Fontana e la
strana morte dell'anarchico Pinelli. Al fine di far "quadrare il
cerchio", sono poi di fondamentale importanza alcune nozioni chiave:
la prima riguarda il fatto che, come affermato dal generale Niccolò
Bozzo (già stretto collaboratore del generale Dalla Chiesa) «Ufficiali
e sottufficiali dei carabinieri si erano iscritti in tutte le
università considerate a rischio: a Roma, Torino, Milano, Padova,
Trento, Pisa, Genova [...] i carabinieri si comportavano come normali
studenti [...] alcuni di loro sono arrivati perfino a laurearsi [...]
un lavoro di infiltrazione più congeniale ai servizi segreti, ma che
Dalla Chiesa conduceva anche in proprio». Seconda questione da
considerare è che già nell'estate 1967 la CIA aveva promosso la
"Operazione Chaos" per contrastare il movimento non violento e
pacifista americano che si batteva per i diritti civili e contro la
guerra del Vietnam. Quindi aveva deciso di estenderla su scala
internazionale, in particolare in Europa, per contrastare anche il
movimento studentesco-giovanile del vecchio continente, inquinandone
gli assunti antiautoritari e non violenti. L'operazione consisteva
anche nell'infiltrazione, a scopo di provocazione, nei gruppi di
estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, trotzkisti,
marxisti-leninisti, operaisti, maoisti, castristi) in Italia, Francia,
Germania Occidentale con l'obbiettivo di accrescerne la pericolosità
inducendo ad esasperare le tensioni politico-sociali con azioni
aggressive, così da determinare un rifiuto dell'ideologia comunista e
favorire spostamenti "a destra" (secondo la logica di "destabilizzare
per stabilizzare). In tale direzione - dunque una conferma di quanto
detto - va anche un rapporto dedicato alla contestazione studentesca
datato Febbraio 1971 e redatto in forma riservata proprio nell'ambito
della "Operazione Chaos" dall'Ufficio Affari riservati del Viminale:
«almeno all'origine si deve rilevare la spinta di qualche servizio
segreto americano [alludendo alla CIA] che ha finanziato elementi
estremisti in campo studentesco»
A questo punto ci domandiamo se il ’68 è un qualcosa da
celebrare o da censurare. Stando all’attuale visione politica italiana,
dovrebbe essere uno scheletro nell’armadio della cosiddetta sinistra
che, tranne rare eccezioni, farebbe volentieri a meno di avere una così
pesante eredità (ma anche Cuba lo è!). Però, c’è una base di compagni
coerenti che, proprio grazie all’effervescenza di quel periodo, prese
coscienza di cosa significasse lottare e ribellarsi con la
consapevolezza di instradare i singoli sforzi in un movimento comune
fatto di alleanze pur nella diversità di idee.
Non pensiamo che ci si debba vergognare di esserci ad un
certo punto svegliati dal torpore borghese e, anche se non sempre in
modo idoneo, si è lottato per un ideale di giustizia sociale e solidale
che ha intessuto, con il trascorrere del tempo, nuovi criteri di lotta
politica.
Se un bel giorno abbiamo visto la luce e se ancora
coltiviamo speranze per una esistenza migliore, lo dobbiamo a quelle
centinaia di migliaia di giovani che hanno dismesso i panni dei
bamboccioni per vestire quelli della lotta popolare scendendo nelle
piazze ed urlandolo forte.
CE
N'EST QU'UN DÉBUT , CONTINUON LE COMBAT !
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