MIRADA CUBANA
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LACRIME DI SANGUE
Molta rabbia, nessuna meraviglia, grande fastidio per i piagnistei
dei soliti coccodrilli. La catena infinita di giovani vite
sacrificate sull'altare del colonialismo americano continua, nella
totale falsificazione dei ruoli, degli intenti, delle
responsabilità. Sulle bare calde di quei soldati ignobilmente
strumentalizzati da chi li ha mandati a morire e ad uccidere si
compie l'ultimo insulto, l'ennesimo massacro contro la loro dignità
e contro la verità. Si spargono lacrime ipocrite, si continua a
versare fiumi di inchiostro color sangue su fogliacci che ne
rivendicano la fratellanza, offendendoli ancora. Si preparano messe
solenni, medaglie inutili e gran profusione di parole, parole,
parole. Per di più, parole false. Come il martellante leit-motiv
della "missione di pace", del sacrificio "per la patria". Ma quale
pace si pensa di costruire, con il fosforo bianco? Quale patria
difendiamo, visto che nessuno si è sognato (finora) di violare i
sacri confini dello Stivale? Con quali acrobazie convinceranno il
popolo distratto dal campionato di calcio e dall'aumento del greggio
che presidiare le colonie di Bush sia un prioritario interesse
nazionale? Proveranno a sostenere che sono gli Irakeni ad aver
invaso l'Occidente, e con esso le nostre tavole imbandite?
Giornalisti e fabbricanti di opinioni continuano a tenere ben oliate
le armi della persuasione, diffondono a reti unificate e presidiate
messaggi monocordi sull'eroismo, sulla vocazione dei soldati
italiani alla pace ed all'altruismo, sulla perfetta corrispondenza
dell'attività militare nella zona più calda del mondo con le
esortazioni alla pace del Vaticano.
Grande spreco di impegno dei pubblicisti più pagati (ossia più
venduti) per "dimostrare" che se il nuovo governo applicasse ciò che
si è impegnato a fare con il programma, se solo discutesse di
ritirare le truppe adesso sarebbe un cedimento, una volgare e anche
codarda sottomissione ai terroristi. Già, i terroristi. Dovremmo
insegnare anche a loro a dotarsi di armi umanitarie, di bombe
democratiche e possibilmente intelligenti. Dovremmo far loro capire
in qualche modo che i nostri morti sono più morti dei loro, che le
vittime hanno importanza solo se ne parla il telegiornale, se c'è un
presidente che li accoglie e se si fa un giorno di lutto cittadino.
Altrimenti si tratta di volgari terroristi, anche se viaggiavano su
un'ambulanza con le doglie da parto, anche se festeggiavano un
matrimonio, anche se andavano a scuola per imparare che siamo tutti
fratelli. Dovremmo cercare di convincerli, che i nostri carri armati
sono in realtà degli avamposti di civiltà, che li mandiamo per
costruire gli
acquedotti, anche se per ora l'acqua non arriva perché le bombe
hanno fatto saltare quelli che c'erano.
E siccome tutto questo orrore è visto da lontano, attraverso il
diaframma freddo e asettico del televisore, dal quale passano solo
le immagini filtrate e ripulite ma non l'odore del sangue, della
polvere da sparo, della carne umana putrefatta, non sarà difficile
convincere, con dovizia di nobili menzogne, che attaccare l'Iran è
un dovere, prima ancora che un diritto. Aprire una macelleria dietro
l'altra, con il rischio concreto ma esorcizzato della catastrofe
nucleare, piangere i disastri di Chernobyl
mentre si lavora alacremente per attivare un altro cantiere di
devastazione mille volte più grande e terrificante.
Intanto, dov'è finito il mondo pacifista? Una piccola ma nobilissima
parte lavora concretamente anche nei luoghi del terrore per portare
un poco di umanità laddove essa è annichilita dalle armi. Ma gli
altri? le masse? i cosiddetti movimenti, sempre osannati e sempre
visti con riguardo, contrapposti alla politica in un lavacro che a
seconda di chi lo invoca assume il sapore di ingenuità o di sudbola
ribalderia? Come troppe volte abbiamo visto, il tentativo generoso
quanto illusorio dei buoni cittadini che si sono mobilitati cercando
una via non mediata per testimoniare le proprie convinzioni ed
esigenze, si è affievolito fino a spirare perché privo di struttura,
limitandosi ad esprimere il proprio rifiuto per qualcosa che non gli
appartiene ma senza sapersi dotare di un credibile progetto di
cambiamento. Il buonismo che assume troppo spesso la faccia perbene
della borghesia non ha saputo costruire l'alternativa, e si è
ripiegato su sé stesso, come sempre. Troppe pantere, troppi
girotondi, troppi entusiasmi per processi sommari abbiamo visto, per
non ricordare che quando il momento è
grave, i padroni del vapore distraggono il popolo con trastulli di
fiato corto, con coreografie che tutto confondono. e così, invece di
presentare il conto ai responsabili, le buone persone si ritrovano
in piazza a testimoniare sterilmente la loro individuale ripulsa
verso la guerra, o altri crimini di volta in volta giudicati
emergenze. Vorremmo ancora una volta dire a chiare lettere che nulla
di tutto questo potrà sconfiggere le nuove linee della lotta del
capitale contro i diritti e
per i privilegi. Vorremmo ricordare a chi vanta la responsabilità
della costruzione di una società diversa, che non servono i
proclami, ma le azioni concrete. Contro questa ed altre guerre,
contro l'assuefazione agli input mediatici del nazionalismo
coloniale delle classi dirigenti, va usata la democrazia: dallo
sciopero generale alla pressione sulle istituzioni e sui centri di
potere, dall'attivazione di forme di lotta incisive e durature alla
messa in discussione della legittimità della politica estera
italiana.
E' già tardi, ma non sarebbe del tutto inutile mobilitarsi. Ma senza
ignobili quanto ridicoli cerchiobottismi.
Giovanni Morsillo
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