MIRADA CUBANA ARCHIVIO


 

 

MALA TEMPORA CURRUNT
 
L'attuale modello di sviluppo capitalistico-borghese, imposto per secoli dall'occidente con la violenza delle armi, del ricatto alimentare, della propaganda mediatica, attraversa una fase di profonda crisi strutturale e ideologica, per cui non riesce più a convincere, essendo incapace di sedurre e attrarre la gente che abita sul nostro pianeta, in modo particolare i giovani e i popoli del Sud del mondo. Basti pensare a quanto sta accadendo negli ultimi anni in un vasto continente come l'America Latina, scosso e rinvigorito da forti spinte rivoluzionarie anticapitaliste ed antimperialiste. Si pensi a quanto accade altrove, in Africa, in Medio Oriente, nell'Estremo Oriente, in Nepal.
Tali circostanze ci impongono una profonda presa di coscienza e una svolta decisiva e rivoluzionaria, una radicale inversione di rotta nel nostro agire politico, al fine di risanare, prima che sia troppo tardi, la frattura tra Nord e Sud del mondo. Ma cosa si potrebbe fare in concreto?
Cominciamo ad adottare leggi diverse, ma soprattutto un diverso atteggiamento verso i migranti, che formano le moltitudini del Terzo Mondo giunte in casa nostra. Iniziamo a considerarli non più come disprezzabile forza-lavoro a buon mercato, ossia come merci da sfruttare, tantomeno come potenziali e pericolosi criminali da perseguitare e segregare in ghetti, carceri o lager (cosa sono i CPT se non questo?), bensì come persone in carne ed ossa, dotate di risorse, bisogni e diritti concreti, come esseri umani portatori di altre culture e di altri valori, con cui è possibile confrontarsi e convivere pacificamente, traendo reciproci vantaggi da eventuali contaminazioni che ci farebbero senz'altro progredire. Dobbiamo prendere atto della necessità di una rivoluzione culturale e sociale da attuare in casa nostra, per imparare a conoscere ed appoggiare la causa dei popoli oppressi del Sud del mondo, che si stanno ridestando ed emancipando dal secolare giogo imposto dalla società bianca occidentale. Non dobbiamo pensare o temere che saremo assaliti da orde inferocite di migranti clandestini, terroristi o delinquenti. Invece, dovremmo sforzarci di comprendere le loro ragioni, in quanto solo così potremmo salvarci e potremmo tutelare i nostri interessi e le nostre ragioni. In tal modo, potremmo liberarci da quei sensi di colpa che inavvertitamente straziano la nostra coscienza sporca di bianchi occidentali. E' inutile e controproducente agitare spettri e spauracchi che servono solo a scatenare guerre tra poveri e ad esasperare la contraddizione tra Nord e Sud del mondo.
Per tali ragioni, il razzismo è insito e istituzionalizzato nella storia, nella cultura e nella società dei bianchi occidentali. In tal senso, il razzismo è non solo e non tanto un comportamento individuale, quanto soprattutto un fenomeno sociale e istituzionale, che appartiene alla storia e alla cultura del mondo bianco occidentale. Una storia che è un crescendo di violenze, di misfatti, di raggiri, di ruberie, di mistificazioni, poste in essere contro il resto dell'umanità. Finché la nostra società si ostinerà ad ignorare il razzismo istituzionalizzato in essa latente, le tragiche colpe dell'occidente non saranno giammai espiate, né svaniranno i sensi di colpa che turbano la coscienza sporca dell'occidente. Ma è pur vero che il rifiuto o la rinuncia a fare qualcosa di concreto contro il razzismo istituzionalizzato nella nostra società, si spiega chiaramente col fatto che la società bianca occidentale trae la sua opulenza economica proprio dall'esistenza del razzismo stesso, che serve a legittimare e giustificare lo sfruttamento materiale dei popoli del Terzo Mondo. Senza questo razzismo istituzionalizzato e questo sfruttamento economico, la società bianca occidentale scomparirebbe. Oggi la società bianca occidentale sta tramontando proprio perché sta venendo meno il suo predominio storico nel mondo. Non a caso, stanno emergendo nuove potenze economico-politiche sulla scena globale, quali la Cina e l'India, destinate a sconvolgere gli equilibri e i rapporti di forza internazionali.
Con questo articolo mi piacerebbe lanciare una proposta: così come avviene ogni anno per richiamare l'olocausto compiuto dal regime nazista (non solo a danno del popolo ebreo, ma anche contro zingari, slavi, omosessuali, portatori di handicap, comunisti, anarchici e dissidenti vari) si potrebbe fissare, simbolicamente, un "giorno della memoria" riservato al genocidio perpetrato dagli U.S.A., ossia un'intera giornata del calendario da dedicare alle rievocazioni, ai dibattiti e alle riflessioni su ciò che è stata un'operazione di estinzione cruenta e sanguinosa del popolo dei nativi nordamericani, ferocemente massacrati, stuprati e cancellati dall'esercito yankee, sia fisicamente che culturalmente, in seguito alle cosiddette "guerre indiane" combattute nella seconda metà del XIX secolo.
Come spesso è accaduto in passato (si pensi a Roma nei confronti di Cartagine) i vincitori scrivono, o meglio, riscrivono la storia, falsificandola e rettificandola a proprio vantaggio. Così si è verificato nel caso dei pellerossa del Nord America, la cui storia è stata raccontata e divulgata attraverso il cinema western, che ha celebrato ed esaltato la conquista del West, ossia degli sterminati territori occidentali del continente nordamericano, sottratti con la forza delle armi e con mille trucchi ed inganni ai legittimi abitanti indigeni, le tribù dei pellerossa (appunto), da parte dei pionieri, dei colonizzatori e dei soldati bianchi, mistificando e alterando la verità storica. Da questi scippi, massacri e raggiri, abilmente occultati e distorti, hanno tratto la loro origine i miti e i cliché, ovviamente fallaci, legati alla cosiddetta "epopea western": dallo stereotipo del cowboy solitario, onesto e coraggioso, al luogo comune dell'indiano selvaggio e crudele. La mitologia cinematografica hollywoodiana ha riproposto lo schema manicheo di sempre, vale a dire la facile e semplicistica equazione "bianco = buono" e "indigeno = selvaggio = malvagio", un modello che si rinnova da secoli in tutte le occasioni in cui i bianchi occidentali si sono incontrati e scontrati con gli esponenti di altre culture e di altri popoli, considerati "inferiori" o "sottosviluppati", per cui sono stati sottomessi con la forza delle armi, con astuti stratagemmi o con altri strumenti coercitivi.
L'occidente bianco è sempre stato sconvolto e turbato dall'idea della violenza, quando ad usarla sono gli altri, ossia i pellerossa, i Cinesi, i Cubani, i Vietnamiti, i negri, gli Arabi, gli islamici, e via discorrendo. Ma le violenze  e le atrocità delittuose dei bianchi occidentali, dove le mettiamo? Il punto è questo: chi detiene il potere detta legge e decide chi sono i "buoni" e chi sono i "cattivi". E' sempre stato così, sin dai tempi più antichi. I Romani furono maestri molto esperti in questo campo, come ci insegnano Giulio Cesare e gli altri storici e conquistatori latini. La violenza della guerre, delle stragi, delle rapine, dei falsi trattati di pace, ecc., è sempre stata camuffata sotto vesti ipocrite, sbandierando nobili ideali assolutamente inesistenti, quali ad es. i principi della "fede religiosa" (si pensi all'epoca delle Crociate in Palestina), della "civiltà" e del "progresso" (si pensi alle conquiste coloniali nel Nuovo Mondo, cioé nelle Americhe, in Africa, in Asia), oppure ai valori della "libertà" e della "democrazia" in tempi più noti e recenti. Ogni riferimento alla guerra in Iraq, o alle altre guerre in corso nel mondo, è puramente casuale... amen!
 
Lucio Garofalo

 

 

 

 

 

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