Qualche tempo fa ho avuto modo di leggere ed
apprezzare un articolo di Gennaro Carotenuto, intitolato "Uno
spettro s'aggira per l'America: lo spettro del socialismo del
secolo XXI", e in sostanza ne ho condiviso l'analisi. In
particolare, non ho avuto nulla da eccepire sulla tesi relativa
alla matrice antimperialista della "rivoluzione bolivariana"
(dal nome del celebre eroe nazionale venezuelano, Simon Bolivar)
conseguita con successo dal governo di Hugo Chavez in
Venezuela. Attualmente il governo chavista rappresenta il
principale punto di riferimento di un movimento populista di
sinistra che sta avanzando in gran parte dell'America Latina,
contagiando altri popoli e altre nazioni quali l'Argentina, il
Brasile, la Colombia, la Bolivia, senza dimenticare la vecchia
Cuba castrista, che avrebbe ancora qualche prezioso insegnamento
storico da impartire alla sinistra europea ed internazionale.
Tuttavia, mi permetto di indicare altri
processi politici in atto nell'America Latina, e non solo in quel
continente.
Penso, ad esempio, al successo elettorale
riscosso l'8 novembre 2006 in Nicaragua dallo schieramento guidato
da Daniel Ortega, attuale Presidente eletto della Repubblica del
Nicaragua, già leader del Fronte Sandinista di Liberazione
Nazionale e Presidente della Repubblica Nicaraguense a partire dal
1979, dopo la caduta della feroce dittatura somozista e la presa
rivoluzionaria del potere.
Un governo, quello sandinista degli anni
'80, insidiato e aggredito da una sanguinosa guerriglia di destra
filo-americana condotta dai famigerati Contras, veri e
propri mercenari finanziati e caldeggiati dall'amministrazione
presieduta dall'allora ultraconservatore e ultraliberista, l'ex
"attore pazzo" di Hollywood Ronald Reagan. A
tale proposito è utile ricordare che la strategia
controrivoluzionaria in Nicaragua fu diretta da un noto agente
della CIA, tal John Negroponte, già ambasciatore statunitense in
Honduras e in Messico, nel 2001 designato dal presidente Bush
quale ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, nel
2004 nominato quale ambasciatore statunitense in Iraq. Dall'inizio
del gennaio 2007 Negroponte è diventato il numero due del
dipartimento di Stato USA, ossia vice di Condoleezza Rice. Davvero
una bella carriera di "intelligence" diplomatico-eversiva
al servizio dell'imperialismo nordamericano. Lo stesso John
Negroponte venne coinvolto in un noto scandalo degli anni '80,
denominato "Irangate" o "Iran-Contras", da cui
emerse che i fondi occulti usati dalla Casa Bianca per finanziare
la guerriglia mercenaria dei Contras, furono ricavati dalla
vendita di armi ad uno Stato nemico, l'Iran dell'ayatollah
Khomeyni, che figura ai primissimi posti nella lista dei
cosiddetti "Stati-canaglia", stilata dagli ambienti
neocons che influenzano l'attuale amministrazione Bush. Ebbene,
partendo dal Nicaragua Sandinista e dalla guerriglia dei Contras, passando
per l'Iran, giungendo fino all'odierna guerra in Iraq, sembra
delinearsi una sorta di filo "nero" conduttore, una
diabolica trama politico-eversiva che rinviene in John Negroponte
una vera costante, ossia un protagonista "nero"
ricorrente della strategia guerrafondaia e interventista degli
Stati Uniti.
Ma torniamo al Nicaragua. A riguardo vorrei
ricordare soprattutto l'originalità dell'esperienza sandinista, in
quanto mossa ed ispirata da una felice contaminazione
ideologico-politica tra la cultura e la prassi marxista e la
cosiddetta "teologia della liberazione",
ossia l'espressione più avanzata del dissenso cattolico che, a
partire dal 1968, in seguito al Concilio Vaticano II indetto da
papa Giovanni XXIII, si animò e si diffuse in vari paesi
dell'America Latina: in Brasile, in Perù, in Honduras, nel
succitato Nicaragua, ma anche in Salvador, laddove una cruenta
repressione militare, voluta e promossa dalle centrali
dell'imperialismo statunitense soffocò in un bagno di sangue
l'insurrezione popolare. Così come era già accaduto in Cile, l'11
settembre 1973, quando la reazione imperialista (ordinata dalla
CIA, il vero cervello e la vera guida strategico-politica
dell'eversione fascista e della destabilizzazione conservatrice a
livello internazionale) si scatenò in tutta la sua violenza ai
danni del popolo cileno e del governo socialista presieduto da
Salvador Allende, democraticamente eletto, favorendo in tal modo
un golpe militare di destra che instaurò la feroce dittatura del
generale Augusto Pinochet, deceduto il 10 dicembre 2006. Oggi, a
dispetto di quanti sostengono da anni la tesi opposta, sembra che
quella "miscela" rivoluzionaria basata sull'incontro
tra una versione aggiornata e libertaria dell'ideologia marxista e
un movimento cattolico di forte contestazione anticapitalista ed
antimperialista, non abbia esaurito i suoi effetti e le sue
potenzialità emancipatrici e progressiste, visto il clamoroso
risultato politico-elettorale conseguito in Nicaragua dai
sandinisti nel mese di novembre 2006.
Spostandoci in Messico, non è
affatto superfluo segnalare il carattere storico rivoluzionario in
sé, sia sul piano particolare e locale, degli avvenimenti di
Oaxaca, sia soprattutto per le implicazioni di natura
internazionalista che tali vicende possono comportare nel quadro
dei rapporti di forza politici ed economico-militari instaurati a
livello planetario dall'apparato tecnologico-industriale-militare che
fa capo al neocolonialismo statunitense, fiancheggiato dai devoti
servitori e soci europei: penso soprattutto al fedelissimo
alleato britannico, ma penso anche all'emergente "potenza"
italica, imperniata sull'asse governativo-consociativo
Berlus-Prodi, che "a sinistra" si
sorregge fondamentalmente sulla "stampella" politica
dalemiana e su quella bertinottiana.
Tuttavia, vorrei spendere qualche frase a
proposito della situazione politica nepalese, dove il partito
comunista di quel Paese, di ispirazione maoista, ha ormai issato
la bandiera del comunismo popolare sulla vetta dell'Everest. Da
anni, esattamente dal febbraio 1996, in Nepal (anche nel
continente asiatico si agitano profondi fermenti rivoluzionari) è
in atto una guerra popolare, condotta dalle masse contadine, che
ha fatto compiere passi da gigante alla società nepalese,
costretta per secoli a sottostare ad un sistema economico
di stampo aristocratico-feudale e ad un regime monarchico di
natura assolutistica. In Nepal sta avanzando una lotta di massa
che sta trasformando radicalmente il paese, uno dei più poveri e
sottosviluppati dell'intero pianeta, fino a proporsi
all'avanguardia del progresso storico-sociale nel mondo. In Nepal
una rivoluzione popolare sta avviando un processo di rapido
avanzamento politico-sociale che potrà generare effetti di crisi e
rottura storica dell’imperialismo su scala globale, inimmaginabili
fino a qualche annofa. Infatti, in quel paese la rivoluzione
comunista (di ispirazione maoista) sta provocando effetti di
liberazione e di affrancamento materiale e civile di massa, che
erano impensabili fino a pochi anni or sono. Il 28 dicembre scorso
il Parlamento ha dichiarato il Nepal una Repubblica Democratica
Federale ed ha fissato le elezioni per l'Assemblea
Costituente verso la metà di aprile 2008. La sconfitta del
dispotismo monarchico ha segnato un'importante svolta politica in
Nepal ed un trionfo storico per il popolo nepalese. Un traguardo
significativo, ottenuto in seguito ad oltre un decennio di lotta
armata popolare, guidata dal Partito Comunista Nepalese
(di orientamento maoista). Oggi, per tutte le forze sociali e
politiche autenticamente democratiche e progressiste, dunque non
solo per i soggetti e le formazioni comuniste di classe che
lottano in senso antimperialista, è necessario agire a sostegno
della Rivoluzione nepalese, mediante iniziative di
controinformazione e di solidarietà e, nel contempo, di
riflessione e mobilitazione politica. E' evidente che tali
iniziative devono essere promosse da parte dei settori più
coscienti, impegnati e meglio organizzati del movimento
internazionalista. L'emancipazione in corso delle classi popolari
e rurali nepalesi è uno degli avvenimenti storici internazionali
più rilevanti degli ultimi tempi, per cui meriterebbe una maggiore
considerazione da parte dei mass-media occidentali ed
internazionali, in modo particolare da parte dei numerosi e
variegati siti di controinformazione presenti sulla Rete web.
In conclusione, mi/vi chiedo come
mai nell'esteso e multiforme panorama dell'informazione
on-line non si discute affatto della rivoluzione nepalese, tranne
rarissime eccezioni, mentre si esaltano fin troppo altre
esperienze e vicende politiche più o meno rivoluzionarie,
certamente degne di nota ed attenzione, quali appunto la
"rivoluzione bolivariana" guidata dal governo venezuelano
di Hugo Rafael Chavez Frias?
Lucio Garofalo