Rafael Correa: il perdono e
l’oblio a livello sociale si chiamano impunità
di Ida Garberi*
“Nel mondo deve esserci una
certa quantità di luce, come deve esserci una certa quantità
di decoro. Quando ci sono molti uomini senza decoro, ce ne
sono sempre degli altri che portano in loro il decoro di
molti uomini”.
José Martì
Le parole del titolo sono
molto importanti perché sono datate 16 gennaio 2007, giorno
in cui Rafael Correa ha giurato ed è entrato in possesso del
suo ruolo di presidente della Repubblica dell’Ecuador, ha
rotto definitivamente con il passato, ha garantito di
difendere il mandato del popolo del 26 novembre 2006 che lo
ha portato alla presidenza, si è vestito senza la cravatta
ed ha voluto indossare una camicia con disegni indigeni,
dell’etnia Jama Coaque.
Un messaggio importante per
dimostrare il cambio totale di epoca, infatti questa etnia
ha vissuto in Ecuador da molto prima che gli spagnoli
invadessero il paese e ne impedissero lo sviluppo.
Quel giorno il neo presidente
aveva fatto un atto di coraggio, ma avrebbe saputo mantenere
con forza questa posizione così scomoda, così poco
interessata, così inusuale ed onesta?
Bè, oggi credo che possiamo
dire di sì, anzi, io credo che forse ha superato le
aspettative, perché sta veramente mantenendo le sue promesse
elettorali.
Senza soffermarci su tutti i
provvedimenti per aiutare i più umili e gli ultimi, per
cercare di portare l’uguaglianza in un paese fino ad oggi
saccheggiato dalle multinazionali straniere grazie alla
complicità con i governi di turno, non possiamo dimenticare
la sua postura davanti all’attacco colombiano del 1° marzo
di quest’anno, che quasi sicuramente è stato perpetrato da
aerei nordamericani provenienti dalla base di Manta. Dico
quasi perché le indagini non hanno ancora messo in luce
definitivamente i responsabili, grazie alle infiltrazioni
della CIA nell’esercito ecuadoriano.
Anche questa, è stata una
denuncia fatta dallo stesso presidente pubblicamente,
coraggiosamente, senza curarsi delle possibili tragiche
conseguenze: sappiamo perfettamente che lo zio Sam non ama
chi gli pone degli ostacoli e semplicemente si incarica di
farlo scomparire dalla faccia della terra.
Purtroppo sappiamo benissimo
che l’attacco non è stato solo il modo vile e subdolo per
uccidere Raul Reyes, uno dei capi delle FARC, ma è stato
anche un avvertimento, il secondo riferito alla base
militare.
Però in questo Correa sembra
proprio non voler capire i messaggi degli yankee, che dopo
pochi giorni della sua nomina avevano fatto in modo che
misteriosamente l’elicottero della ministro della difesa,
Guadalupe Larriva, cadesse al suolo in un incidente mortale.
Già, la Larriva era troppo
scomoda, da subito aveva affermato che la Base nordamericana
di Manta avrebbe dovuto chiudere e gli yankee…go home!!!
Ma Correa è duro di
comprendonio e continua a ripetere che la base dovrà
scomparire, e non solo, se otterrà le prove definitive sarà
il primo a poter provare che i nordamericani hanno attaccato
direttamente un popolo latinoamericano perché non
simpatizzava con le loro idee neoliberali, accusando di
terrorismo perfino il capo di stato.
Fino ad oggi gli USA hanno
sempre usato dei fantocci, a Playa Giron i gusanos
trasferiti al nord, nell’Operazione Condor si “limitavano” a
sostenere i vari dittatori soprattutto militari, ma
assolutamente nati nello stesso paese: qui no, in Ecuador le
armi super sofisticate dell’attacco ad Angostura Uribe se le
può sognare!!!!
La statura morale di Correa è
stata dimostrata nella riunione del Gruppo di Rio, a Santo
Domingo, dove il presidente ecuadoriano ha fatto sembrare un
vero nano al suo omologo colombiano, e non solo in termini
di corporatura fisica.
I suoi successi sono
continuati, e la Costituzione, che si è approvata il mese
scorso, ha definitivamente chiuso la questione basi militari
straniere, che adesso sono proprio proibite per legge.
Ma gli yankee accetteranno o
cercheranno di lasciare in eredità a Correa una seconda
Guantanamo?
Obama dice che la prigione
nell’oriente cubano sarà chiusa: avrà lo stesso coraggio di
Correa nel mantenere le promesse fatte in campagna
elettorale?
E tornando alle grandi cose
fatte da questo giovane presidente in meno di due anni di
mandato non possiamo non parlare della nuova Magna Carta,
considerata una delle più progredite ed ugualitarie del
mondo.
Per la prima volta, alla Madre
Terra, o meglio alla Pacha Mama vengono riconosciuti diritti
inalienabili, convertendola, in questo modo in un soggetto
di diritto.
“La natura o Pacha Mama, dove
si riproduce e si realizza la vita, ha diritto al rispetto
integrale della sua esistenza, del suo mantenimento e della
rigenerazione dei suoi cicli vitali, della sua struttura,
delle sue funzioni e processi evolutivi”, afferma l'articolo
71 della Costituzione, compreso nel capitolo intitolato
“Diritti della natura”.
E tra questi diritti è anche
sacrosanto, per la costituzione di Correa, il diritto
all’acqua.
Scusatemi, ma che è più forte
di me, pensare a questo argomento senza sottolineare la
miopia del mio paese, ed a quello di tutta l’Europa, così
antiquata e passata di moda, che si affanna a correre dietro
ad un modello neoliberale che ha già perso ogni credibilità.
Bisogna fare dei paragoni per
comprendere che noi europei se continuiamo così non stiamo
assolutamente lavorando per un mondo migliore.
Prima ancora che la nuova
costituzione dell’Ecuador fosse approvata, proprio questo
agosto 2008, Berlusconi ha privatizzato l’acqua, in Italia,
con il decreto legge n.133, fortemente voluto dal ministro
dell’Economia Tremonti. Da diritto acquisito diventa merce,
prodotto commerciale soggetto alle regole del mercato.
Non sono serviti gli
esperimenti fallimentari nella regione Lazio, non sono
servite a niente le 400.000 firme raccolte due anni fa a
sostegno di un referendum popolare che voleva assolutamente
che l’acqua fosse “un diritto inalienabile ed inviolabile
della persona”: si è seguito il manuale del buon governo
soprattutto in Italia, che approva leggi impopolari nell’afa
estiva mentre gli italiani sono troppo occupati ad
organizzare le vacanze e la stampa, ormai come sempre, sta
guardando altrove.
E tornando alla frase del
titolo, pochi giorni fa Correa ha sferrato la sua sfida più
forte, cioè per non cadere nell’impunità e nell’oblio ha
deciso che si dovrà rinegoziare il pagamento del debito
estero perché è stato contratto in forma illegittima,
corrotta ed illegale.
La decisione del governo è
stata presa dopo la presentazione ufficiale della relazione
finale sull'auditing realizzato sul debito estero
ecuadoriano da parte di una Commissione per l'Auditing
Integrale del Credito Pubblico (CAIC).
La relazione presentata dalla
Commissione ha rivelato delle irregolarità ed illegittimità
nelle negoziazioni di questo debito. “Il danno incalcolabile
causato all'economia del paese ed al popolo ecuadoriano per
l'indebitamento pubblico, onnipresente come sistema di
pressione-sottomissione, ed il conseguente compromesso di
consegnare le risorse pubbliche per il suo servizio,
esistano o non disponibilità, ha motivato il Governo
Nazionale ad adottare la decisione –per la prima e fino ad
ora unica volta in America Latina - di creare un'istanza di
auditing che stabilisca la legittimità, la legalità e la
pertinenza dei prestiti, le negoziazioni e rinegoziazioni”,
segnala il documento.
Come esempio, ha già dato i
suoi frutti e l’ALBA (Alternativa Bolivariana per i popoli
della Nostra America), un gruppo antimperialista di
solidarietà mutua creato da Cuba e Venezuela, dove
aderiscono anche Nicaragua, Bolivia, Honduras e Dominica ha
già appoggiato la decisione di Correa e si muoveranno per
formare delle commissioni simili e bloccare il pagamento dei
loro rispettivi debiti esteri.
Tempi duri per il capitalismo
ed il primo mondo, che questa volta devono scontrarsi con
una Nostra America, quella di Martì e di Bolivar, non con
una semplice America Latina, zona geografica, cortile
posteriore degli USA fino al secolo scorso.
E così deve essere, uniti come
in un solo paese, perché non succeda un’altra volta come a
Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, che ha voluto
tentare lo sviluppo del suo paese rifiutando le imposizioni
del sistema finanziario internazionale ma è stato
assassinato nel 1987 da un comando militare che ha preso il
potere e che si è uniformato alle direttive degli organismi
finanziari internazionali.
Sankara aveva detto che “il
problema del debito va analizzato prima di tutto partendo
dalle sue origini. Quelli che ci hanno prestato il denaro
sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi
che hanno per tanto tempo gestito i nostri stati e le nostre
economie. Noi siamo estranei alla creazione di questo
debito, dunque non dobbiamo pagarlo. Il debito, inoltre, è
anche legato a meccanismi neocoloniali; i colonizzatori si
sono trasformati in assistenti tecnici…. O dovremmo dire
assassini tecnici, e ci hanno proposto dei meccanismi di
finanziamento con i finanziatori. Non possiamo rimborsare il
debito, né dobbiamo, non essendone responsabili. Non
possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno
nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze
non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue, il
nostro sangue che è stato versato”.
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Correa |
Non voglio un altro Sankara,
un altro Salvador Allende, per questo ho paura quando penso
a quanto coraggio si nasconde dietro a certe decisioni così
radicali e rivoluzionarie, e prego tutti gli angeli ribelli
che proteggano le persone oneste e decise come Rafael Correa
affinché possano dargli una lunghissima vita.
Lui è cosciente e sprezzante
del pericolo, quando in un’intervista con Heinz Dieterich,
l’intervistatore gli ha chiesto se in questo scenario
considerava possibile un attentato contro di lui ha risposto
di sì, che sono già state trovate prove, più di una volta,
di un magnicidio.
Poi, alla domanda se il suo
servizio di sicurezza era preparato per questa sfida, Correa
ha risposto che non esiste un sistema infallibile, per il
suo modo di essere così comunicativo se vorranno ucciderlo,
potrebbe succedere.
“Io credo che sarebbe il
maggior favor per la causa del Socialismo del XXI secolo,
come è stato in Cile alla caduta di Salvador Allende,
potranno strappare i fiori, ma non potranno fermare la
primavera”, ha concluso.
No, presidente, per piacere,
faccia attenzione, abbiamo ancora tanto bisogno della sua
preparazione economica, del suo coraggio e della sua onestà
politica, per piacere, credo che a nome di tutti i
rivoluzionari internazionalisti del mondo posso dire che la
preferiamo vivo!!
*l’autrice è la responsabile
della pagina web in italiano di Prensa Latina