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Haidi Giuliani, una piccola
grande madre con un cuore immenso
di
Ida Garberi*
"Madri, nelle vostre mani avete la
salvezza del mondo".
Leon Tolstoy
Quando è successa la tragedia, il 20 luglio 2001, io non
vivevo in Italia, stavo già vivendo a Cuba, e comunque
sono rimasta annichilita dalle immagini trasmesse dalla
televisione locale.
A Genova, nell'ambito delle manifestazioni di protesta
contro il vertice del G8, organizzate dal Genoa Social
Forum, (che rappresentava un'aggregazione di movimenti,
partiti e parte della società civile che contesta la
globalizzazione capitalista), il corteo dei "ribelli"
viene aggredito dalla polizia e costretto a ripiegare
verso Piazza Alimonda.
Improvvisamente una camionetta dei carabinieri si ferma e
spunta una mano con una pistola, che prima punta
direttamente su un manifestante che si abbassa e riesce a
scappare, mentre Carlo Giuliani tenta solo di disarmarla
utilizzando un estintore vuoto: la pistola spara due volte
e un colpo lo raggiunge in pieno viso.
Oltre a non soccorrerlo, esistono delle registrazioni come
testimonianza del fatto che la camionetta passa sul corpo
due volte prima di allontanarsi ed un agente gli spacca la
fronte con un sasso.
Quando, dopo dieci minuti arrivano le infermiere del
Social Forum, il cuore di Carlo, debolmente, batte ancora.
Aveva solo 23 anni.
Ho voluto fare questo tragico racconto non per
impressionare chi sta leggendo, ma perché tutti possano
cercare di comprendere o ricordare cosa è successo ad
Haidi Giuliani, la mamma di Carlo, proprio quel lontano,
ma purtroppo ancora vivo e senza giustizia, 20 luglio
2001.
Haidi ha un viso dolcissimo, mentre stiamo chiacchierando
nell'hotel dove è alloggiata a L'Avana, ha uno sguardo
indefinibile, con un velo di tristezza, ma anche con una
grande forza che sprizza energia.
Haidi è una maestra in pensione che avrebbe voluto
restarci e occuparsi dei suoi nipoti, come tutte le nonne
del mondo, ma un destino oscuro l'ha buttata su tutti i
giornali, l'ha obbligata a reagire e difendere la memoria
di suo figlio, fare giustizia è un obbligo morale non solo
per Carlo, ma per le centinaia di persone che sono morte
in situazioni poco chiare, vittime del nostro bel paese,
delle sue forze dell'ordine che non pagano quasi mai per
gli "errori" commessi.
Oggi, nel 2008, purtroppo non si è ancora fatta giustizia
e probabilmente non si farà mai.
Il 5 maggio 2003, dopo quasi due anni le indagini
conseguenti la morte di Carlo trovano la loro conclusione.
E' una conclusione non nuova per chi ha seguito negli anni
casi analoghi (manifestanti uccisi dalle forze dell'ordine
durante pubbliche manifestazioni): il Giudice per le
Inchieste Preliminari ha accolto la richiesta di
archiviazione per legittima difesa avanzata dal Pubblico
Ministero, formulando un giudizio di assoluzione
sull'operato di Mario Placanica (il carabiniere che si è
auto-accusato di aver sparato) persino più ampio di quello
del Pubblico Ministero: il militare non solo ha agito per
legittima difesa, ma ha fatto legittimo uso delle armi.
Per chiarire bene: quello di Carlo è un processo
archiviato senza che si sia svolto.
Purtroppo il caso di Carlo è solo uno dei tanti di un
lungo elenco che segna, con la sua drammatica scia di
sangue, gli ultimi decenni della storia dell'Italia
repubblicana.
Tutti questi morti (Ilaria Alpi, Giovanni Ardizzone, Pier
Paolo Pasolini, Giuseppe Pinelli, Saverio Saltarelli,
Carlo Giuliani. E poi Piazza Fontana, Piazza della Loggia,
Stazione di Bologna, Ustica, per citarne alcuni) hanno un
filo comune: la matrice della mano omicida, fascisti,
organizzazioni mafiose, singoli elementi delle forze
dell'ordine rimasti impuniti.
Troppo spesso i colpevoli e i mandanti degli omicidi non
sono stati individuati, e quando individuati sono quasi
sempre rimasti impuniti. Un'impunità che diventa totale se
limitiamo l'analisi alle vittime per mano delle forze
dell'ordine.
Questo è quanto accomuna tutti quei morti; uccisi due
volte: nella propria fisicità (in un treno, in una piazza,
in un aereo.) e poi nella memoria (in un'aula del
tribunale).
Proprio per questo Haidi non ci sta a lasciare che tutto
caschi nel dimenticatoio, accetta anche di fare politica,
non per risolvere un caso di giustizia "personale", ma
soprattutto per non dimenticare e non permettere che
questo possa tornare a succedere.
Così, nelle elezioni del 2006 si candida per Rifondazione
Comunista come indipendente e dovrebbe prendere il posto
del senatore dimissionario Malabarba proprio il 20 luglio
di quell'anno, in memoria di Carlo.
Il senato accoglierà le dimissioni solo in ottobre del
2006.
L'operato di Haidi da subito non è quello di un politico
qualsiasi, si batte per una commissione parlamentare sui
fatti di Genova, che purtroppo viene ostacolata e
assolutamente bocciata proprio dagli alleati di governo
della sinistra radicale.
Questo fatto la lascia con un sapore amaro in bocca, anche
se non la ferma: Haidi, al contrario di molti politici
italiani utilizza la sua tessera da senatrice non per
ottenere privilegi personali, ma soprattutto per avere
accesso ai luoghi di detenzione ed occuparsi di quegli
ultimi, che il suo Carlo tanto amava.
Quando gli chiedo cosa pensa sulla sconfitta della
sinistra alle ultime elezioni, quale sia la responsabilità
della dirigenza del partito, se la sua tattica era stata
corretta, Haidi confessa di avere avuto qualche
perplessità.
All'epoca della campagna elettorale Rifondazione Comunista
non si è occupata della base come avrebbe dovuto, non ha
cercato di coinvolgere i movimenti sociali (che sono stati
prima utilizzati e poi abbandonati) e soprattutto ha
spostato dalle loro zone di origine i candidati,
presentandoli dove non erano conosciuti.
"Se un partito comunista non ha attenzione per i più
deboli come può dirsi comunista?", afferma Haidi
osservandomi fissamente con i suoi occhi azzurri che
sprizzano energia.
"Io ho protestato molto per queste tattiche che
effettivamente hanno portato alla grande sconfitta, perché
potevano essere impiegate solo per due motivi: o si era
davanti ad un'incapacità della dirigenza o era una
sconfitta voluta".
Ed io aggiungo, se fosse stata voluta, a chi ha aiutato
questa tattica di remare contro?
Ancora una volta si sono fatti solo gli interessi di
potere e non quelli veri, degli elettori.
Basta pensare alla campagna del giornale del partito
"Liberazione" contro Cuba, indetta dal suo direttore
Sansonetti, dalla giornalista Nocioni e dai suoi inviati
pseudo giornalisti in incognito sull'isola alla ricerca
dello scoop dell'anno.
Peccato che, non incontrando la notizia, io so per certo
che erano disposti anche a fabbricarla in modi non proprio
del tutto legali.
Ed io ripeto, ma Sansonetti non agiva in armonia con la
dirigenza? Haidi mi chiarisce che Sansonetti ha sempre
fatto di testa sua. Allora, io polemicamente rispondo che
comunque hanno finta di non vedere e hanno girato la testa
da un'altra parte.
Non è questo un modo per disintegrare una forza politica
dall'interno, secondo un sistema famoso dall'epoca dei
romani "divide et impera"?
Dopo il congresso di Rifondazione Comunista il messaggio è
stato chiaro, ha vinto la mozione n. 1, di Ferrero, cioè
quella di un partito in movimento verso la unità di tutta
la federazione, per cercare una completa autonomia dal
Partito Democratico e fare una vera opposizione al governo
Berlusconi.
Su questi fatti Haidi è assolutamente positiva, infatti
alla mia richiesta polemica se la sua iscrizione al
partito solo dopo il successo di Ferrero è voler
sottolineare una differenza con la vecchia direzione mi
sorride e risponde: "pur avendo assunto chiaramente
posizione nel dibattito tra le mozioni, riconoscendomi
nella prima, non volevo che la mia iscrizione potesse
apparire in alcun modo una scelta "contro" mentre vuole
essere decisamente "per". C'è chi dice che non è possibile
risolvere la crisi della sinistra con un partitino che
raccoglie i cocci di altri precedenti, ma io sono una
vecchia maestra abituata a lavorare partendo dai dati
reali e non mi pare che ci siano in giro molte forze
attualmente impegnate ad arginare la gravissima deriva di
destra. C'è chi auspica un vasto ed eterogeneo movimento
di forze auto-organizzate, me lo auguro anch'io ma nel
frattempo ho letto dichiarazioni su quanto è bello il
nucleare, ho visto arrivare i soldati nelle vie delle
città, tanto per fare due esempi, senza un'ombra di
opposizione, essendo in quei giorni Rifondazione Comunista
chiusa nelle sue stanze, impegnata a discutere del proprio
futuro; menomale che sulle impronte dei bambini rom si è
mobilitata l'ARCI (associazione culturale ricreativa
italiana) e ha fatto qualche dichiarazione la chiesa,
altrimenti sarebbero passate sotto silenzio anche quelle.
E poi c'è la guerra, con le sue stragi; e la guerra
quotidiana del lavoro, con i suoi morti; e la guerra della
fame, con i suoi annegati; e la guerra della
disinformazione, che uccide i cervelli, e davvero non si
può aspettare, non dico un mese ma neppure un minuto di
più, per rimboccarsi le maniche e andare tra la gente e
lavorare a risvegliare coscienze. Così mi sono iscritta,
da sinistra e dal basso che più in basso non si può; anche
perché, ora che pare non vada più di moda, ora che più di
qualcuno ci considera una specie in via di estinzione, mi
piace vedere scritta vicino al mio nome la parola
comunista".
Continuo la mia chiacchierata con Haidi per sapere cosa fa
a Cuba, perché è qui, che cosa l'ha spinta dall'altro capo
dell'Oceano.
Lei mi risponde che è stata invitata da Cuba perché a
Camaguey, nel Museo Studentesco Jesus Suarez Gayol, è
stato dedicato uno spazio a Carlo Giuliani ed alla sua
triste storia, perché non si deve dimenticare, perché le
nuove generazioni crescano con il grande valore che è
pretendere la giustizia.
E poi mi dicono che sono monotona nel paragonare il mio
meschino paese con la grande eroica isola caraibica:
ancora una volta, dopo la morte di Ardizzone a Milano e di
Fabio di Celmo qui a Cuba, il governo dell'isola non
permette ingiustizie nel mondo, si occupa perfino dei
figli non suoi, che però sono morti per difendere quegli
ideali che insegna da 50 anni il Comandante in Capo.
Ecco, qui abbiamo davanti ancora una volta una Cuba
internazionalista, dove le frontiere del cuore non
esistono.
Haidi
mi racconta la cerimonia di inaugurazione della parte del
museo dedicato a Carlo e le lacrime rendono umidi i suoi
occhi.
Però è solo un attimo, subito sorride e commenta che la
sua visita è stata piena di emozioni, certo, a Camaguey
c'è stato il momento più forte, ma comunque tutto quello
che ha visto qui lo considera di grande rispetto.
Per Haidi è come un grande abbraccio questo riconoscimento
cubano, proprio a Carlo che amava profondamente tutti i
popoli del sud.
E' un'iniezione di conforto, per continuare tutte le sue
lotte che incessantemente porta avanti: in questi giorni
viene proprio dal Centro America dove ha partecipato ad
una carovana per difendere il concetto dell'acqua come un
diritto inalienabile ed inviolabile della persona, che non
si deve assolutamente far diventare un prodotto del
mercato.
Per il caso di Carlo, ha presentato in Europa, insieme
agli altri familiari, un ricorso contro lo Stato: da un
anno e mezzo è stato accettato il procedimento, però tutto
tace, in un silenzio completo.
Ma Haidi non si fermerà, fino a che le sue forze lo
permetteranno; la sua energia viene alimentata soprattutto
dai gesti di affetto di chi sta soffrendo le stesse
ingiustizie.
Il giorno seguente all'intervista, ho l'onore di essere
invitata come membro del Comitato Internazionale per la
libertà dei Cinque cubani ad un incontro nell'ICAP
(Istituto Cubano per l'Amicizia dei Popoli) della
delegazione che accompagna Haidi nella sua visita,
appartenente all'Associazione di Amicizia ASICubaUmbria,
diretta da Serena Bertolucci, con Roberto Gonzalez,
fratello di René, uno dei Cinque.
Haidi è stata una delle prime iscritte al Comitato
Italiano per la libertà dei Cinque di Franco Forconi ed è
una grande sostenitrice della battaglia per sottrarli
dalle carceri.
Come può restare insensibile davanti ad un altro grande
caso di ingiustizia giudiziaria?
E' proprio Roberto che stringe forte Haidi al suo petto, e
riempie di emozione questa piccola grande donna quando
afferma: "Cuba non potrà mai dimenticare le immagini di
Piazza Alimonda, tutto il popolo cubano è rimasto
indignato davanti a tanta atrocità".
Coraggio, Haidi, lo so che non siamo "importanti" e
purtroppo il nostro affetto viene da una piccola isola
vittima del bloqueo genocida, ma abbiamo un cuore grande
come il tuo, che non tacerà mai, e come diceva il Che
Guevara "saremo capaci di sentire sempre, nel più profondo
dell'animo, qualsiasi ingiustizia realizzata contro
qualsiasi persona, in qualsiasi parte del mondo. Questa è
la qualità più bella dell'essere rivoluzionario".
*l'autrice è la responsabile del sito web in italiano di
Prensa Latina
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