L’annuncio da parte di Fidel Castro che non si sarebbe ripresentato
per la carica di presidente di Cuba per ragioni di salute e di età, e
l’elezione di Raul Castro come più alto rappresentante del paese ha
riproposto ancora una volta all’ordine del giorno il dibattito sul
futuro della rivoluzione cubana.
L’importanza della questione è ovvia. La restaurazione del
capitalismo a Cuba, che è una possibilità concreta, anche se non la
sola, significherebbe un vero e proprio crollo degli standard di vita
e sociali sull’isola così come un colpo serio ai settori più avanzati
di lavoratori e giovani, non solo in America Latina, ma in tutto il
mondo. Potremmo assistere ad una nuova campagna ideologica da parte
della classe dominante basata su un’ulteriore “prova” che qualunque
società non sia basata sul capitalismo è inevitabilmente destinata a
crollare. Dal 1959, con la vittoria della rivoluzione, e soprattutto
dal momento in cui tutto il capitale, nazionale e internazionale era
stato nazionalizzato nel 1962, Cuba è stata fonte di preoccupazioni
per l’imperialismo americano. La resistenza della rivoluzione cubana
agli effetti economici e politici devastanti del collasso dell’URSS e
degli altri regimi nell’Europa dell’est nel 1991, con i quali Cuba
aveva l’80% del proprio commercio estero, ha trasformato l’isola in un
simbolo ancora più straordinario della lotta anticapitalista ed
antimperialista.
Resistenza eroica durante il “Periodo Speciale”
Ci sono parecchi fattori che spiegano perché la rivoluzione
cubana è stata in grado di resistere alla restaurazione capitalista
così a lungo: i progressi sociali derivati dalla pianificazione
dell’economia, la conservazione dello spirito rivoluzionario in una
parte importante della popolazione e tra coloro che erano in posizioni
dirigenti nella vittoria rivoluzionaria, l’intensa ostilità
dell’imperialismo, ecc.
A tali fattori obbiettivi dobbiamo aggiungere, senza
dubbio, il ruolo che Fidel Castro, come individuo, ha giocato in
parecchi momenti cruciali della storia recente di Cuba. Il marxismo
non esclude infatti la possibilità degli individui di influenzare i
processi storici, ovviamente entro certi limiti. Uno di questi momenti
chiave è stato quando ha ostacolato in modo fermo le tendenze
pro-capitaliste che si stavano sviluppando all’interno dell’economia
come risultato delle misure prese durante il Periodo Speciale, nella
seconda metà degli anni novanta, come la legalizzazione di centinaia
di migliaia di imprese private, il maggior spazio di manovra fornito
ad alcune imprese di Stato per operare in dollari, prendere decisioni
in maniera autonoma sugli investimenti e la possibilità di importare
ed esportare direttamente. Queste stesse misure, che furono
prese per uscire dalla catastrofe economica che ha colpito l’isola
dopo 1989, hanno finito per diventare una minaccia per la rivoluzione
e le sue conquiste sociali, ed anche una minaccia per l’autorità della
leadership della rivoluzione. Nel 2004 un dirigente di una compagnia
turistica straniera ha commentato: “anche i funzionari più leali
ammettono che l’apertura di piccoli spazi di iniziativa privata e la
decentralizzazione delle imprese favoriva un nuovo “modo di pensare”,
più interessato ai soldi che all’ideologia e le autorità hanno capito
che questo, insieme con la corruzione, è un cancro, più pericoloso per
la rivoluzione dei missili americani” (El Paìs, 9 giugno 2004).
È stato in questo contesto che Fidel Castro ha tenuto un
discorso molto significativo all’Università de L’Avana il 17 novembre
2005, nel quale ha messo in guardia che la rivoluzione non è
irreversibile, e che la principale minaccia veniva dall’interno,
citando la corruzione e la burocrazia come pericoli principali. Questa
idea corretta è collegata al carattere transitorio della società e
dello Stato a Cuba. L’economia nazionalizzata e pianificata
rappresenta un passo in avanti gigantesco rispetto al capitalismo, ma
finché la rivoluzione non supera i suoi limiti nazionali,
inevitabilmente si genereranno tendenze, dall’esterno come
dall’interno, tese a minare la base economica e politica della
rivoluzione. Come nei suoi momenti iniziali, la rivoluzione è
costretta ad avanzare per non tornare indietro. Nonostante il fatto
che il peggio del Periodo Speciale sia ormai passato, il crollo dei
paesi dell’Europa dell’Est ha eliminato per sempre la possibilità
della società cubana di rimanere stabile e mantenere indefinitamente
lo status quo. Dobbiamo partire dal fatto più concreto ed
elementare: Cuba è un piccolo paese, con un’economia relativamente
sottosviluppata, la cui integrazione nell’economia mondiale è
gravemente minacciata dall’improvvisa scomparsa dei suoi partner
commerciali e da un feroce embargo da parte degli Stati Uniti. Ciò che
è realmente impressionante è il fatto che, in queste dure condizioni,
la rivoluzione sia sopravvissuta fino ad ora. Ciò è stato possibile
non solo per le sue conquiste sociali, ma anche per la sua enorme
riserva di sostegno politico tra le masse. L’esempio più straordinario
di ciò l’abbiamo visto durante il Periodo Speciale, quando il popolo
cubano, nonostante la fame, il collasso del sistema di trasporti, la
scarsità di energia e la mancanza delle più elementari risorse per la
normale attività economica, ha resistito ed ha tenuto viva la fiamma
della rivoluzione. Nel contesto delle enormi difficoltà, della
scarsità e delle pressioni massicce, l’autorità morale della
leadership della rivoluzione, particolarmente di Fidel Castro stesso,
ed il fatto che era stato tenuto vivo uno spirito di lotta tra le
masse furono fattori decisivi. Uno dei fattori chiave che hanno
contribuito al superamento di questa dura prova era il predominio
dello spirito rivoluzionario collettivo rispetto alla tendenza a
cercare una soluzione individuale e la cristallizzazione di interessi
apertamente capitalistici. Questo è un punto molto importante: se non
vi è stata una restaurazione capitalista a Cuba negli anni novanta,
ciò è stato per fattori politici non economici. Le masse si sono fatte
forza nonostante le condizioni avverse. La memoria del periodo eroico
della rivoluzione si è riaffacciata, la leadership aveva una forte
autorità morale e politica e in essa è prevalsa l’idea di resistere al
capitalismo invece di arrendersi alle sue pressioni. I fattori
semplicemente economici non erano molto promettenti. La sola
prospettiva a breve e medio termine era di sopravvivere sotto i
livelli minimi. Nonostante tutto, la rivoluzione è sopravvissuta,
rivelando una grande riserva di energia.
La rivoluzione può tornare indietro
In realtà, l’economia di ogni paese che abbia rotto con il
capitalismo ma che non abbia ancora spezzato il suo isolamento rimarrà
inevitabilmente in un equilibrio instabile nel quale la possibilità
della restaurazione del capitalismo continuerà ad esistere. In parole
povere, la rivoluzione può tornare indietro. Finché la rivoluzione non
trova un sostegno oltre i suoi confini, è perfettamente legittimo fare
manovre, fare concessioni su alcuni aspetti, prendere tempo ecc. a
patto che non si perda di vista la questione centrale: la coscienza
delle masse, il bisogno di mantenere e sviluppare la loro prospettiva
rivoluzionaria, il loro sentire di essere parte di una collettività di
fronte alle avversità, il loro “orgoglio plebeo” come Trotskij lo ha
descritto, la loro visione internazionale. Se manca questo, e
soprattutto se la volontà di tenere viva la fiamma della rivoluzione
di parte della leadership comincia a vacillare, allora la rivoluzione
può essere messa a rischio in modo serio. Certo, in questo equilibrio
instabile nel quale la rivoluzione deve resistere, i fattori esterni
hanno un impatto importante, sia positivo sia negativo. L’inizio della
rivoluzione venezuelana, come parte di uno spostamento generale a
sinistra in America Latina, ha rimesso il socialismo all’ordine del
giorno come una prospettiva possibile, e ciò ha anche influenzato
quegli elementi ai vertici che reagiscono in maniera empirica.
Le misure di ricentralizzazione prese all’inizio di questo
decennio a Cuba (come i limiti all’iniziativa privata e all’autonomia
delle compagnie di Stato, il bando della circolazione in dollari e
così via) non sono distinti rispetto ai profondi cambiamenti che hanno
avuto luogo nella politica latino americana. A Cuba, prima della
malattia di Fidel Castro, è stata approvato un emendamento per
inserire il carattere socialista della rivoluzione nella costituzione.
È stata lanciata una campagna seria contro la “contaminazione
capitalista” e sono stati rimossi dalle loro posizioni una quantità di
amministratori di grado elevato corrotti, che erano coinvolti
nell’amministrazione economica dello Stato e che erano influenzati dai
regali delle compagnie straniere e dai rapporti d’affari in dollari .
Tutti questi sono stati segnali chiari. Nonostante tutte queste
misure, e a prescindere da questo o da quel particolare mutamento
nella politica cubana, la talpa della controrivoluzione ha continuato
a scavare in un modo quasi impercettibile, ma continuo e profondo. La
scarsità di prodotti di base combinata con la doppia circolazione
monetaria (che significa che hai i salari in pesos e devi comprare
molti prodotti pagandoli in CUC, peso convertibile, che vale 24 volte
di più), ha generalizzato l’abitudine dell’ “arrangiarsi”, cioè di
ricorrere al mercato nero per comprare e vendere merci e servizi. Nel
passato, c’era un contrappeso a queste pratiche nella forma di un
settore della popolazione che era più cosciente ed impegnata nei
confronti della rivoluzione. È stato così nei momenti più difficili
del Periodo Speciale. Ora tale contrappeso è quasi scomparso e tutti
considerano “l’arrangiarsi” un modo legittimo di risolvere i problemi.
Ciò ha provocato allo stesso tempo un grosso crollo della produttività
del lavoro, siccome il potere d’acquisto dei salari si è ridotto al
minimo. La ricerca di una via d’uscita individuale ha guadagnato
terreno a spese di una soluzione collettiva. Quest’ultima può essere
sostenuta solo sulla base di una prospettiva internazionalista che sia
sostenuta dal vertice in modo costante e dall’effettiva partecipazione
della popolazione in tutte le sfere della vita economica, sociale e
politica. Anche se hanno un orientamento corretto in questo senso, le
masse non possono rimanere per un periodo indefinito di tempo in stato
di tensione rivoluzionaria, sacrificando il presente per il futuro.
Nell’eventualità, se le prospettive di un profondo cambiamento sociale
non si materializzano, allora la routine, lo scetticismo,
l’individualismo e la spoliticizzazione guadagnano terreno. Ciò che
rende la situazione a Cuba particolarmente pericolosa dal punto di
vista degli interessi della rivoluzione è che i cambiamenti che si
stanno promuovendo da parte del vertice hanno un chiaro carattere
liberalizzatore e stanno avvenendo in un periodo in cui le barriere
contro le tendenze pro-capitaliste sono state seriamente erose, per
via delle ragioni che abbiamo spiegato.
Cosa promette Raul Castro e cosa ci si aspetta da lui
Da quando Raul Castro ha ottenuto maggiore responsabilità
politica nella direzione del paese come risultato della malattia di
Fidel Castro, ha coltivato un’immagine di se come “pragmatico”, più
preoccupato dell’efficienza economica che della politica. Questa è la
prima cosa che ti dirà il cubano medio, particolarmente i tassisti e
quelli che affittano le stanze ai turisti. Ti diranno che Fidel è più
“idealista”, che si preoccupa più di “politica” e di “questioni
internazionali”, mentre Raul è più sensibile “ai problemi concreti di
ogni giorno della gente”. È molto significativo che nel suo primo
discorso da presidente del paese, il 24 febbraio non ha fatto un solo
riferimento alla rivoluzione venezuelana, il cui destino è senza
dubbio decisivo per il popolo cubano e la sua rivoluzione. In questo
stesso discorso, Raul ha sottolineato una quantità di importanti
misure economiche e politiche. Ha legato “ogni cambiamento relativo
alla moneta” all’obiettivo che gli standard di vita corrispondano
direttamente ai guadagni legali di ognuno, cioè, con l’importanza e la
quantità del contributo lavorativo dato da ciascuno alla società”.
Quest’ultima frase, in realtà, contiene due idee differenti.
Suggerisce che il guadagno legale sia sufficiente per vivere senza che
si debba ricorrere ad iniziative fuori dalla legalità (e forse che
alcune di tali iniziative potrebbero essere legalizzate), ma
suggerisce anche la legittimazione del differenziale dei salari,
secondo “l’importanza e la quantità del contributo lavorativo di
ciascuno alla società”. In un’economia di transizione gli incentivi
monetari sono sicuramente necessari. Ma il modo migliore di aumentare
la produttività del lavoro e di lottare contro i furti diffusi e la
corruzione è che gli stessi lavoratori sentano di essere i possessori
(come classe e non individualmente) dei mezzi di produzione e perciò
che partecipino pienamente alla presa delle decisioni che li
riguardano. Ciò può essere raggiunto solo con un vero controllo
operaio e con la partecipazione dei lavoratori alla gestione
dell’economia. Nel suo discorso ha anche legato “ogni cambiamento
legato alla moneta” (e tutti capiscono che ciò è legato ad una
rivalutazione del peso in relazione al CUC, cioè all’aumento del
potere d’acquisto dei salari), con il futuro “dei prodotti e i sussidi
a milioni che oggi sono un importante sostegno in termini di servizi e
prodotti distribuiti in modo egualitario, come nella “libreta”
(tessera annonaria, ndt) ma che nella situazione attuale della nostra
economia sono insostenibile e gestite in maniera irrazionale”. Ha
annunciato anche l’eliminazione del “numero eccessivo di proibizioni e
regole” cominciando con “la rimozione della più semplice” nelle
prossime settimane. Tutti sanno che ciò a cui si sta riferendo sono
le limitazioni su viaggi all’estero, possesso di un cellulare ecc.
Un’altra misura già annunciata è l’ulteriore liberalizzazione dei
prodotti agricoli privati, che sono già venduti a prezzi di mercato.
Queste misure sono adatte alla politica del “perfeccionamento
empresarial” (migliorare l’efficienza dell’impresa) promossa da Raul
Castro negli ultimi anni a partire da quelle compagnie che sono legate
all’esercito e poi diffondendosi in tutte le compagnie di Stato, il
cui principale scopo è “l’efficienza”. È chiaro che tutte queste
misure si indirizzano verso l’apertura dell’economia e l’introduzione
di incentivi monetari legati all’efficienza e alla redditività delle
imprese. Certo, l’efficienza è fondamentale in qualunque economia,
inclusa un’economia nazionalizzata e pianificata. La questione è di
determinare a quale punto critico i criteri dell’efficienza, combinati
con altri fattori politici ed interessi sociali possano in ultima
analisi condurre allo sviamento della rivoluzione verso la strada di
un graduale ritorno al capitalismo, come accaduto in Cina. È di
dominio pubblico che il modello cinese, che non è un “modello di
socialismo” ma di capitalismo, esercita una potente attrazione su
alcuni settori della leadership politica cubana. Infatti l’idea che le
“misure di mercato” siano necessarie per “perfezionare il socialismo”
si è diffusa tra gli economisti cubani, anche tra quelli che, in modo
onesto, guardano con orrore l’eventualità di una Cuba capitalista.
Tutti questi fattori hanno creato un’opinione generalizzata,
profondamente radicata nella popolazione, che le conquiste della
rivoluzione, come la sanità e la scuola gratuita, gli affitti, il gas,
la corrente elettrica ed altri prodotti di base quasi gratuiti possano
essere conservate mentre si introducono misure di liberalizzazione che
portino “positivi elementi di capitalismo”. Così vediamo che, anche se
la rivoluzione cubana ha mantenuto una grande riserva d’appoggio e le
sue conquiste sono giustamente apprezzate dalla popolazione, c’è anche
un notevole livello di ingenuità e si possono vedere elementi di
“disarmo” ideologico della gente di fronte alla dinamica che può
essere messa in moto da queste misure di liberalizzazione. Tutto ciò
significherebbe una minaccia seria alle conquiste della rivoluzione.
D’altra parte la crescita dell’economia cubana, che ha vissuto
importanti trasformazioni negli ultimi anni, in se stessa non è una
garanzia contro il pericolo di una restaurazione. All’interno di un
determinato contesto politico e sociale, la crescita economica infatti
può accelerare il processo di differenziazione sociale che a sua volta
può condurre ad una situazione in cui le sezioni che ne siano
maggiormente beneficiate chiederebbero di adattare il sistema politico
ai loro particolari bisogni. Ovviamente dobbiamo essere cauti sui dati
pubblicati nei media borghesi su Cuba, ma è significativo che le
aziende controllate dalle Forze Armate Rivoluzionarie sembra che
rappresentino l’89% dell’export, il 59% del reddito, ed il 68% delle
vendite in valuta forte (La Vanguardia, 26 febbraio 2008). Secondo
Haroldo Dilla, ricercatore sociale presso l’università della
Repubblica Dominicana, che ha rotto con la rivoluzione pochi anni fa,
le forze armate cubane rappresentano il gruppo di potere meglio
organizzato a Cuba, e quello che ha il maggior numero di progetti
economici e che “sarà un settore chiave nella transizione, cruciale
per ogni negoziato”. Per Dilla l’esercito “è duro in politica e
liberale in economia” e sarebbe preparato a seguire una via cinese a
Cuba. (El Pais, 6 dicembre 2003). Secondo un articolo intitolato
“Situazione attuale e prospettive”, pubblicato in una rivista cubana
diretta agli investitori esteri, “Il settore turistico ha senza
dubbio esercitato un’influenza importante sull’economia nazionale
negli ultimi 17 anni (1990-2007). Il reddito generato da questa
attività è cresciuto di otto volte, mentre il numero di visitatori è
cresciuto di 6 volte ed il numero di stanze è triplicato. La domanda
di prodotti nazionali in questo settore è cresciuto dal 18% nel 1990 a
più del 68% nel 2007, fatto che ha avuto un notevole impatto
sull’industria, le costruzioni, i trasporti ed altri settori della
produzione e dei servizi”. Il settore terziario (servizi) ha
rappresentato il 57% dell’economia nel 1989 ed è cresciuto fino al
77,1% nel 2006. Nello stesso periodo, l’industria è scesa dal 33% al
18,2% e l’agricoltura dal 10% al 4,7%. Oggi più del 70% del reddito
estero, più del 60% dell’occupazione e più del 60% degli investimenti
sono prodotti dal settore dei servizi. (Cuba Foreign Trade, marzo
2007). Il dinamismo ed il peso acquisito da alcune settori della
produzione – quelle che possono competere più facilmente sul mercato
mondiale – non incontrano necessariamente i bisogni della maggioranza
della popolazione, o rafforzano le basi sociali della rivoluzione. Per
esempio lo scarso sviluppo dell’agricoltura significa che l’80% dei
generi alimentari di base devono essere importati a caro prezzo.
Ovviamente un’economia sottoposta ad embargo è costretta a prendere
misure per massimizzare il reddito in moneta solida, ma ciò deve
essere legato ad un qualcosa che è centrale al funzionamento di
un’economia pianificata: la partecipazione cosciente della classe
operaia alla presa delle decisioni. Senza di questo non è difficile
vedere come si possono cristallizzare interessi sociali differenti e
in conflitto fra di loro, soprattutto in un economia cosi debole e
soggetta alle pressioni del mercato mondiale come quella cubana.
Secondo lo stesso giornale, “Fino alla decade degli anni ottanta, il
commercio estero erano ad appannaggio di 30 o 50 compagnie statali.
Alla fine del 2006, più di 360 compagnie era autorizzate a svolgere
operazioni ed a creare aziende cubane o a capitale misto”. Prendendo
in considerazione l’importanza del monopolio del commercio estero in
un’economia pianificata la seguente affermazione che si può trovare
nello stesso giornale è quantomeno sorprendente: “Perciò nel
commerciare con Cuba il principio che prevale è quello dell’autonomia
delle compagnie con le quali si deve negoziare direttamente, senza
l’intervento di altri autorità dirigenti o amministrative”. Un altro
fattore che deve essere preso in considerazione è l’atteggiamento
dell’imperialismo. Un settore si è reso conto chiaramente che, di
fronte al sistematico fallimento dei tentativi di rovesciare la
rivoluzione in maniera diretta, l’opzione migliore sarebbe quella di
togliere l’embargo e permettere alle relazioni capitaliste di
svilupparsi e fiorire sull’isola, creando così le condizioni per la
restaurazione del capitalismo. Questa è la via preferita dal
Washington Post. Anche importanti rappresentanti della classe
capitalista spagnola come Carlos Solchaga, sostengono la via
indiretta, con la speranza che una qualche apertura economica
porterebbe a misure quali la libertà di assumere lavoro salariato e la
creazione di compagnie private.
Il futuro deve essere ancora scritto
In ogni caso, il futuro della rivoluzione deve essere
ancora scritto. Abbiamo indicato i pericoli che minacciano la
rivoluzione perché crediamo che questo sia un dovere rivoluzionario e
che sia il solo modo di trovare un modo di difendere ed espandere le
conquiste della rivoluzione cubana. Questa è una rivoluzione che ha
una grande riserva d’appoggio, sia effettivo sia potenziale tra le
sezioni più coscienti della popolazione. C’è un chiaro fermento
politico sull’isola, e ciò può portare in una quantità di direzioni
differenti. Il risveglio rivoluzionario di tutto il continente
dell’America Latina e la crisi mondiale del capitalismo sta anche
avendo un impatto sul modo di pensare di molti cubani.
I mass media borghesi sono ansiosi di usare ogni elemento
di critica o di tensione all’interno di Cuba per proclamare “il
fallimento della dittatura di Castro” e l’inizio della “transizione
alla democrazia”. Il loro cinismo è senza limiti! I cubani hanno
vicino casa un esempio di ciò che la “democrazia occidentale”
significa realmente all’interno della base statunitense di Guantanamo.
Disperandosi alla ricerca di “segnali imminenti” del fallimento del
socialismo sono pronti a manipolare il significato delle critiche
degli studenti all’università di scienze dell’informazione all’Havana
(UCI), registrate in un video che ha generato molto interesse a Cuba
ed all’estero. Alcuni dei media hanno anche “riportato” che gli
studenti coinvolti “sono stati arrestati”. Questa era una chiara
menzogna diffusa deliberatamente dai media capitalisti. Ciò che è più
interessante in tutto questa vicenda è che gli studenti dell’UCI hanno
fatto delle domande e formulato le loro critiche, come hanno sostenuto
essi stessi, dal punto di vista della difesa della rivoluzione e del
socialismo. Molte delle loro proposte e delle loro preoccupazioni,
deliberatamente nascoste dai mass media borghesi, andavano nella
direzione di stabilire un maggiore controllo statale, un maggior
controllo ed una maggior partecipazione della popolazione nella
pianificazione economica e sui propri rappresentanti politici.
Ciò mostra che anche dopo anni di apatia e di routine, c’è una base
per lo sviluppo di vere idee socialiste e rivoluzionarie nella
gioventù, fatto che troverebbe senza dubbio un importante punto
d’appoggio tra i veterani della rivoluzione, che non hanno ancora
detto la loro ultima parola. Un altro esempio di ciò è lo
straordinario incontro per commemorare la rivoluzione d’ottobre
all’università dell’Havana, che si è concluso con i 500 studenti
presenti che cantavano l’internazionale.
In ultima analisi, il futuro della rivoluzione cubana si
può basare solo su un programma che faccia leva su due punti chiave:
la partecipazione diretta delle masse alla vita politica ed economica
del paese, e la diffusione della rivoluzione socialista ad altri
paesi. Non c’è una terza via. Non c’è un “socialismo di mercato” e
nemmeno “un capitalismo dal volto umano”. La sola alternativa alla
democrazia operaia, all’economia pianificata, all’internazionalismo è
un sistema capitalista marcio. La restaurazione del capitalismo a Cuba
significherebbe un passo indietro brutale per la società cubana, se
paragonate, le difficoltà del Periodo Speciale sembrerebbero un
paradiso. Si deve solo guardare a ciò che sta accadendo in El
Salvador, Honduras, Guatemala o Haiti, dove il crimine, la
repressione brutale, e la declino economico e morale si sono
impadroniti della società. Questa è la strada dove stanno andando
anche i paesi capitalisti avanzati. Il destino della rivoluzione
cubana non è stato ancora deciso e dipenderà in ultima analisi
dall’audacia, dalla chiarezza teorica e politica di tutti coloro i
quali desiderano un futuro senza classi, senza privilegi, dove la
maggioranza della società domini nell’interesse della maggioranza
della società. Questo futuro è possibile dipende da noi se diventerà
realtà.
Lunga vita alla rivoluzione cubana!
Lunga vita al socialismo!
Lunga vita alla classe operaia ed all’internazionalismo!