IL PRIMITIVO ( EL GUANCHE)di
PABLO DE LA TORRIENTE BRAU
Adesso che soffia questo vento, passano basse e minacciose
le nuvole e cade sottile e constante la pioggia a raffiche insolenti, mi
ricordo del racconto del Guanche. Mi ricordo adesso che soffia questo
vento, il cielo è grigio e non si può andare fuori per strada...
Adesso il mare dev’essere minaccioso e pauroso là tra i
cayos a Los Canarreos, nel Golfo di Batabanò, e tutto mi fa pensare,
anche se sono sulla terra ferma, a quel racconto di Cuna nel Presidio
Modelo, in una notte di vento e di pioggia rude, che permetteva di
parlare forte senza che nessuno ci stesse ad ascoltare, anche dopo il
silenzio.
Mi ricordo non solamente il racconto, ma anche il suo modo
di esprimersi e molte delle esperienze di quel quasi selvaggio
narratore, dalle braccia erculee, che sputava in continuazione mentre
parlava.
L’avventura del Guanche era stata così terribile e feroce
che esigeva un narratore come lui, con parole brutali e con uno scenario
come una notte di vento e di tempesta nel Presidio Modelo, per rendere
il vigore della realtà... per questo oggi mi viene in mente... adesso
che sta soffiando questo vento ...
Avevamo parlato delle prigioni nel mondo e dei differenti
regimi carcerari e uno disse, alla fine: “La Guyana!”
Cuna ci stava ascoltando con il suo sorriso sprezzante e
burlone nello stesso tempo. Sentendo nominare il famoso penitenziario
dell’Isola del Diavolo, egli parlò con la sua lingua procace, piena di
parolacce e accompagnandosi, com’era sua abitudine, con singolari
movimenti del corpo, della testa e delle braccia.
“La Guyana! La Guyana è una merda vicino a questa,
ragazzi! Dalla Guyana se n’è andata gente e da qui non scappa nessuno!
Sì, perchè qui se ne va molta gente ...perchè danno il castigo
forzato... se ne vanno sì, ma all’altro mondo, perchè, dove cazzo se ne
vanno? Guarda quella volta quando venne il ciclone in ottobre... non si
sa nemmeno quanta gente fecero fuori ...Non si sa!”
E gli piacque di separare le sillabe con accuse da
paradosso.
“Inoltre nella Guyana uno lo lasciano incazzarsi e anche
ammazzarsi alla fine ...Qui ti mangia anche un soldato e per le cose più
minime sei già fottuto... Ti sei giocato! Qui chi muove le ciglia
perde! Questa fonte luminosa! Questo coccodrillo! La Guyana è una merda
in confronto!”
Gettò uno sputo come una pietra sul pavimento bagnato di
pioggia. Poi si mise a parlare dei soldati e raccontò alcune cose che
scriverò in un’altra occasione... In un altro giorno nel quale uno
stimolo simile a questo vento mi riporterà chiari ricordi...
Perchè anche se quella notte ci riferì storie di fughe, di
maltrattamenti bestiali, nessuna ci impressionò tanto come la avventura
del Guanche .
Disse: “ Sì, la gente se ne può andare... Come! Non hanno
anche i machetes? Sono tutte storie! Le squadre non vanno sempre in
montagna a lavorare? È lì dove si perdono! Guarda, ci sono tante checche
qui che si potrebbero mettere d’accordo un giorno. Scomparirebbero, così
come lo senti! Scomparirebbero! Compare, se ci sono volte che da
vergogna vedere che un soldatino così, una nullità, picchia col calcio
del fucile un uomo e tutti gli altri non fanno niente per difenderlo!
Quest’isola ha anche una fortuna che neanche il culo di sua madre! Solo
tre uomini sono riusciti ad andare sino a Cuba, ma li presero tutti e
tre come dementi, assaltando botteghe ...Solo Tomas è morto come un
uomo... sì, perchè se te ne vai e ti rifai una vita devi farlo bene e
non puoi riconsegnarti perchè se torni sei già fottuto! Guarda ti voglio
raccontare come stanno le cose qui e tutto l’amaro che c’è dentro. La
miglior maniera è che un soldato ti dia una mano... Ci sono molti che
vogliono e che a volte si bloccano nella fuga. Una volta venne qui un
soldato della Colombia; lo posero come guardiano dei gruppi di lavoro,
dicevano che era una carogna... Aveva compiuto alcuni orrori nell’altro
accampamento e lui aveva detto che era lo stesso, qui o là...
Lo chiamavano El Guanche ed era un tiratore del cazzo di
suo padre! Bene! Aveva una pila di medaglie che neanche Carbajal lo
prendeva per il culo...
Una volta dovette andare sino al fiume con tre reclusi per
fare non so che cosa. Però risultò che due di quelli, credo, una volta
erano scappati grazie a lui dal carcere di Güines e così gli dissero che
li doveva aiutare.
Lui allora vedendo una barca disse ai reclusi, senza
pensarci un momento: “Bene ragazzi! Volete scappare?” Ma dimmi tu!
Chiedere al topo se vuole il formaggio? Così cominciò la cosa e prima di
tutto ammazzarono il barcaiolo, ma furono così selvaggi che lo
abbandonarono lì a poche ore dal Presidio e già si sapeva che erano
fuggiti... Però scesero lungo il fiume remando e con l’aiuto di una vela
e con il vento favorevole, scese anche la notte senza che li
raggiungessero... Non si vedeva più nemmeno l’isola ed erano già sicuri
di poter scappare quando si alzò un vento contrario, uguale e identico a
quello che soffia adesso e tutta la distanza percorsa durante il giorno
la persero nella notte. La barca non si capovolse e non si annegarono in
mare ...quando guardarono, la mattina dopo, erano nuovamente davanti
all’isola, con una fame e una stanchezza da non poterne più.
Il Guanche allora decise che in ogni modo dovevano scendere
a terra per cercare qualcosa. “Cercare che cazzo?” “Qui ci sono
solamente pezzi di legno e secchi anche! Qui muore di fame anche una
zanzara!” Però non avevano neanche l’acqua da bere e così scesero e si
nascosero e ancora furono tanto stupidi che invece di affondare la barca
o di nasconderla sulla montagna per poter scappare nuovamente, la
lasciarono attraccata a riva, sul fiume Jucaro, e là la trovarono quello
stesso giorno e si resero conto che i fuggitivi erano di nuovo
sull’isola.
Immediatamente i guardiani e un caporale, con parecchi
soldati, cominciarono le ricerche, ma il Guanche aveva fatto nascondere
tutti in una caverna sulla costa e da lì era andato riempire la
borraccia di acqua, ma quando egli giunse là, mentre si chinava verso il
fiume per riempire la borraccia, si udì uno sparo e il Guanche cadde al
suolo. Immediatamente però prese la carabina e si appiattì al suolo,
vigilando. La pallottola lo aveva colpito nella spalla: poteva sparare e
decise di morire ammazzando... Per qualche minuto si udì solamente il
canto degli uccelli, poi uno dei guardiani cominciò ad esplorare
pensando che era già morto... Pan! Il Guanche lo ammazzò. Un secondo
saltò per nascondersi e la palla lo colse nel salto ed erano già tre...
Continuò la sparatoria e per non stancarsi egli face fuori (ripulito) il
caporale e altri due soldati e andarono a prenderlo quando era già
morto. Questo si chiama morire come un uomo! Prima di lui partirono il
caporale, i due guardiani, e fa tre! e due soldati, e fa cinque! Ah! e
il barcaiolo, sei! aveva fatto centro!
E Cuna, con il suo spirito tartaro, rideva con una
ammirazione così profonda per la morte del Guanche che morì come un
uomo, che lo si poteva paragonare solamente a un artista leggendo la
morte di Socrate, di Platone...
Quando gli domandammo che cosa era successo agli altri tre
prigionieri fuggiti, ci disse:
“Che cazzo potevano fare? Se erano delle rane? Li
ammazzarono a tiri nella stessa caverna, i coglioni!” E fece un ah! di
disprezzo e lo firmò con un altro sputo sul pavimento bagnato dalla
pioggia.
(Traduzione di Gioia Minuti)