Da: “Il tempo degli sconosciuti” di
Jaime Sarusky*
La sirena è il nuovo Angelus
Il piccolo cimitero dal quale si
intravede la fabbrica dello zucchero è silenzioso e abbandonato come
sempre.
Ci sono poche lapidi di marmo e il
legno, che è abbastanza caro, è stato usato per riempire il camposanto
di rozze croci. In questo pomeriggio che trascorre asciutto e
tranquillo, come quasi tutti quelli nei quali scorre la monotonia della
fabbrica di zucchero, si vedono colori delicati all’orizzonte e c’è un
anniversario da ricordare.
Oggi si compiono tre anni dalla morte
dei tre ragazzi. Tre fratelli. Assassinati dagli uomini vestiti
di giallo.
Adesso si odono diverse versioni su
come successe. Tutti dicono qualcosa e ne parlano nella fabbrica di
zucchero. Che non si occupavano di niente. Che erano rivoluzionari,
silenziosi, perché i buon rivoluzionari non parlano mai troppo. Di
sicuro la sola conclusione è che i tre fratelli sono morti. Assassinati.
Tutti li conoscevano nei dintorni.
Erano tagliatori di canna da zucchero. Parlavano poco. Con la bocca
chiusa, ripete la gente della fabbrica quando si fanno commenti su di
loro . E si commenta molto perché erano amati da tutti, meno che dai
boia vestiti di giallo, quelli con l’indice facile sul grilletto di una
quarantacinque.
Sono passati due anni dal giorno di
quel crimine.
La madre, una vecchia incurvata, tutta
in nero, è inginocchiata davanti alle tre croci che coronano i
monticelli d terra . Questi sono i suoi morti.
C’è un profondo silenzio rotto
solamente dal lieve bisbiglio delle sue labbra. Per lei, come per i suoi
figli, meditazione e silenzio sono sinonimi.
Lontano si vede il fumo della fabbrica
di zucchero. Una locomotrice che trascina tonnellate e tonnellate di
canna fa rabbrividire il pomeriggio con i suoi fischi.
Ma la madre sta davanti alle sue croci
amare, davanti ai mazzi di fiori, davanti alla terra dei suoi figli.
Dopo alcuni minuti è entrato dalla porta di pietra del piccolo cimitero
un vecchio triste e pieno di rughe. Con passo lento, ma fermo, si è
avvicinato ai monticelli, ai mazzi di fiori e quell’ombra inginocchiata.
Si sono salutati. Lui aveva nella mano
un machete e con l’altra si è scoperto il capo, portando all’altezza del
petto il suo copricapo di fibra.
C’è stato un lungo silenzio. Lei ha
accarezzato la terra e si è inclinata sulle tombe, coprendole di fiori.
Coperte dalla stessa terra ha unito le mani con sentimento e se le è
portate alle labbra.
“Sono i miei morti, Julian, sono i
miei” ha detto alzando gli occhi, senza guardare il vecchio che la
contemplava.
L’uomo con il machete e il copricapo
tra le mani aveva commentato che i fiori non gli mancavano mai Poi
aveva anche segnalato la zona dietro ai ponticelli, dicendo: “L’erba
cresce rapidamente. Si deve tagliare e togliere la radice, prima che
uccida il buono che rimane”.
Il vecchio aveva camminato tra le
tombe e senza una parola aveva sradicato con il coltello e con molta
delicatezza le erbacce che crescevano sulle tre tombe. Poi aveva
appiattito con gli stivali di vacchetta la terra morbida dei monticelli.
Proprio allora aveva sentito il
fischio lungo e acuto della sirena della fabbrica dello zucchero. Poi un
secondo fischio e poi uno ancora, simile ai primi.
Vedendo la sorpresa sul volto della
donna, il vecchio disse: “Questi fischi di sirena sono per i tuoi figli.
Uno per ognuno dei tuoi figli”.
Lei non aveva risposto nulla. Si era
alzata lentamente e si era scossa la terra nera e umida dal vestito
nero, umido anch’esso.
Avevano camminato silenziosi per uno
stretto sentiero di dure e bianche pietruzze.
Ai due lati si elevavano le rozze
croci del piccolo cimitero senza marmo…e allora l’uomo aveva detto:
“Prima Manuel, il farmacista, mi ha detto che da oggi in poi,
precisamente, la sirena sarà il nuovo Angelus”.
Lei era stordita ed era riuscita
solamente a balbettare un: “Non so”, appena intelligibile.
Quando erano giunti alla porta di
pietra l’uomo si era calzato il copricapo sino alle orecchie. Con le sue
unghie larghe e dure aveva fatto vibrare la lama del machete provocando
un suono strano, ma melodico.
La vecchia si era sorpresa nell’udirlo
e anche per lo splendore rifulgente del filo della lama.
Senza sapere né perché né come aveva
pronunciato alcune parole: “Si devono tagliare le radici prima che
si danneggi il buono” e pronunciandole a voce molto bassa, poi si rese
conto che stava ripetendo parole appena udite.
Il vecchio non era riuscito a sentirla
perché aveva parlato sottovoce…
Voleva sapere e aveva insistito sino a
che lei, per tranquillizzarlo, gli rispose: “Ma no, niente! Solo
dicevo, come te, che ora la sirena è l’Angelus nuovo… Questo dicevo… che
la sirena è l’Angelus nuovo. Da adesso.”
8 aprile 1960.