La Battaglia di Jigüe, il combattimento contro i rinforzi
(capitolo 18)
Durante i primi sei giorni della Battaglia di Jigüe,
mentre si sviluppavano le azioni iniziali nell’accerchiamento e i due
combattimenti di Guillermo García al fiume La Plata, le forze ribelli,
concentrate a Purialón in attesa dei rinforzi che dovevano giungere
dalla spiaggia in appoggio delle truppe assediate, erano rimaste quasi
tutto il tempo oziose.
Ebbero l’occasione d’agire solamente nei giorni 15 e 16 luglio nella
cattura della maggior parte delle guardie scappate dalla seconda
imboscata di Guillermo il giorno 14. In una di quelle scaramucce morì,
il 15 luglio, come ho già detto, il combattente Eugenio Cedeño, Geño,
del plotone di Lalo Sardiñas. In realtà quasi tutti i soldati,
prigionieri come risultato di quel combattimento, furono catturati dai
nostri uomini a Purialón, così come la maggioranza delle armi prese.
Al tramonto dello stesso mercoledì 16 di luglio, Curuneaux mi informò,
con una breve nota, d’aver intercettato varie comunicazioni nemiche,
alcune delle quali indicavano che la truppa concentrata sulla spiaggia
aveva ricevuto l’ordine d’avanzare in direzione di Jigüe per rompere
l’accerchiamento della forza assediata. Non era chiaro se l’intenzione
era rafforzarla con la pretesa che compisse la sua missione originale,
cosa che a quel punto era decisamente assurda, o, al contrario,
aiutarla a scappare. Il caso era che con quella notizia ricevemmo il
primo indizio concreto che il tanto atteso rinforzo proveniente dalla
spiaggia era già in cammino.
Quella stessa notte trasmisi l’informazione ai nostri tre capitani
incaricati della linea di contenimento del rinforzo nella zona di
Purialón. Stando all’interpretazione di Curuneaux, si trattava di un
battaglione nemico che sarebbe avanzato dalla spiaggia. Per questo nel
mio messaggio per Cuevas, Lalo e Paz dicevo:
“Un battaglione non è niente per voi. A Santo Domingo ne è stato
distrutto uno con molti uomini meno, e Paz ha respinto due volte
l’esercito con 8 uomini. Speriamo che mandino un solo battaglione,
così voi lo farete prigioniero”.
In realtà il comando nemico non aveva disposto l’invio di un
battaglione ma della stessa compagnia G-4 di retroguardia sulla
spiaggia.
Ma questo lo sapemmo solo dopo il combattimento. La nostra valutazione
in quel momento era che dal punto di vista del nemico doveva essere
ovvio, a quell’altezza, che ci voleva molto più di un battaglione per
giungere sino alla truppa accerchiata ed avere alcune possibilità
reali di farla uscire di là. Per quello la notizia che si trattava
solo di un battaglione ci dava una certa sicurezza, al punto che,
nella risposta che mandai a Curuneaux, gli dicevo fiducioso:
"Se hanno inviato solo un battaglione, questo resta sul cammino”.
È utile sottolineare le istruzioni contenute in un messaggio, per i
capitani di Purialón, alla luce di quanto successe dopo:
“È di somma importanza che il ruscello di Manacas, che si trova nella
parte al di là dell’altura dove ritrova Paz sia occupato da noi perchè
non cerchino di fare il giro di là. Considero conveniente rinforzare
Paz con una squadra per lo meno, che con alcuni uomini più i suoi
venga situata in questo ruscello a circa seicento - ottocento metri
del cammino.
Paz si deve mettere nel luogo più alto possibile del punto che gli ho
segnalato, trattando di far sì che le guardie non entrino in contatto
con lui nei primi momenti e, nel caso, quelli del ruscello Manacas
devono attaccare sul fianco le guardie che giungo dall’alto dove sta
lui. La cosa perfetta è che le guardie passino senza scontrarsi con
Paz e il combattimento cominci quando cadono nell’imboscata di Lalo e
Cuevas, perchè siano circondate; sapete già quello che succede in
questi casi non c’è chi le venga a togliere di là Lalo e Cuevas devono
custodire bene tutte le cime e le alture che potrebbero cercare di
prendere, per respingerle completamente.
Non smettete di usare le mine sopratutto le bombe da cento libbre.
Stabilite presto tutte le disposizioni per far si che avanzi tempo.
Non vi preoccupate di nient’altro. Concentrate l’attenzione solo nel
vostro compito. È possibile che l’aereo mitragli prima; questo li farà
venire più fiduciosi”.
Alla fine dello steso documento chiarivo:
“ Voglio aggiungere che l’attacco sul fianco lo può fare Paz dall’alto
e gli uomini del ruscello Manacas dal basso”.
A Raúl Podio appostato da due giorni sulla cima di Gran Tierra, sulla
destra del fiume La Plata, inviai quella notte un avviso
dell’annunciato movimento delle guardie e gli spiegai dettagliatamente
quello che doveva fare nel caso in cui una parte della truppa di
rinforzo tentava d’avanzare per quella cima. La sostanza delle sue
istruzioni era che non poteva retrocedere nemmeno di un passo e che ci
poteva riuscire se agiva con intelligenza e con coraggio.
Il mio messaggio a Cuevas, Lalo e Paz concludeva con queste parole,
che indicavano la mia aspirazione in quel momento e la fiducia che
potesse essere soddisfatta :
“Io non ho voluto muovere un solo uomo da lì perchè il nostro
proposito in questa battaglia decisiva dev’essere molto ambizioso: non
solo far arrendere le truppa assediata, ma anche distruggere i
rinforzi.
Questa potrebbe essere la fine di Batista.
Molta serenità , molto coraggio e buona fortuna”!
Quella stessa sicurezza si rifletteva nel messaggio che inviai in
quella stessa notte al Che, che avevo sempre mantenuto informato sullo
sviluppo degli avvenimenti e che vale la pena citare completamente
perchè si abbia un’idea precisa del nostro stato d’animo alla vigilia
di quello che consideravamo un combattimento decisivo per il corso
successivo della guerra:
“Al tramonto abbiamo intercettato un messaggio dell’aereo al capo di
un battaglione apparentemente situato sulla spiaggia, che gli diceva
d’avanzare occupando i punti chiave, ossia le alture e che
proteggessero la fila dei muli con un plotone.
Questa stessa notte avevo appena mandato un messaggero a Cueva[s],
Lalo e Paz informandoli di questo. Contano tra tutti e tre, su 76
uomini bene armati con un morale altissimo di lotta, buone posizioni e
sono già prevenuti. In poche occasioni precedenti, forse in nessuna,
abbiamo aspettato il nemico in migliori condizioni.
Quello che più mi attrae di tutta questa operazione è la distruzione
dei rinforzi, vengano da dove vogliono. Avendo la truppa accerchiata
al bordo del collasso - ed il governo è obbligato a soccorrerla – noi
dobbiamo cercare di trasformare questa operazione in una battaglia
decisiva. L’esercito già non può fare di più, è giunto in questi
giorni al limite delle sue potenzialità; più bombe, più
mitragliatrici, più missili, più napalm e più mortai non si possono
usare e nemmeno più colonne. Si palpa la sua impotenza. Con te
sistemato al vertice di Mina e Camilo a la Plata, con i rinforzi di
Almeida e Ramirito a portata di mano, non potremmo avere migliori
prospettive di vittoria.
Mi occupai di trasmettere la stessa fiducia a Curuneaux , la cui
partecipazione in tutta l’operazione era tanto notevole, la mattina
del giorno in cui la truppa nemica della spiaggia doveva già essere in
movimento:
“Vediamo quale sarà il risultato della battaglia contro i rinforzi. Se
sconfiggiamo i rinforzi, queste (le guardie accerchiate a Jigüe) si
arrenderanno totalmente e con poco sforzo da parte nostra. Questa è
l’opportunità di fare a pezzi la Dittatura e potrebbe essere la sua
caduta. Sono obbligati a mandare rinforzi e i rinforzi li possiamo
annientare”.
Gli uomini della Compagnia G-4, comandati dal capitano José Sánchez
González, iniziarono la loro avanzata dalla foce del fiume La Plata
alle 6.00 di mattina di giovedì 17 luglio. Erano appoggiati nei loro
movimenti dal fuuco della fregata Máximo Gómez, situata di fronte alla
spiaggia, e dall’osservazione dell’aereo che sorvolava costantemente
la zona. Durante varie ore le guardie risalirono il fiume ed i pendii
laterali in quei luoghi dove la pendenza permetteva l’avanzata, senza
incontrare resistenza ribelle.
Circa alle 11.00, dopo aver superato l’ampio angolo del fiume a
Purialón, l’avanguardia nemica si scontrò con l’imboscata ribelle e
cominciò il combattimento. Gli uomini di Lalo e di Cuevas lottarono
fermamente nelle loro posizioni, da dove non potevano essere cacciati
via dai fucilieri e dai mortai dell’esercito, e presto cominciarono a
provocare le prima vittime tra le guardie. Di fatto dopo 15 minuti di
combattimento già i due primi plotoni della compagnia erano restati
totalmente disarticolati e molte guardie fuggivano in maniera
disordinata.
Quella ritirata del resto delle truppe nemiche fu possibile in gran
misura perchè le forze ribelli di Ramón Paz, posizionate nella cima di
Manacas, non si mossero durante il combattimento. Per un errore
d’interpretazione dei miei ordini, Paz non realizzò l’indicazione di
scendere in direzione del fiume una volta iniziata l’azione, con il
proposito di chiudere alla retroguardia il nemico, impedire la sua
ritirata e imbottigliarlo con un cinturone di fuoco ribelle che lo
ponesse nella situazione di arrendersi interamente o d’essere
distrutto nella sua totalità. Per via di questo errore, la prima
azione a Purialón non provocò il disastro previsto per l’Esercito. Su
questo tema tornerò in un momento.
Nonostante il contrattempo, il combattimento del 17 luglio a Purialón
significò una notevole vittoria ribelle. In primo luogo, si realizzò
l’obiettivo principale: fermare i rinforzi e impedire che giungessero
sino al battaglione assediato a Jigüe.
In secondo luogo, anche se non realizzò , come ho già detto, il
proposito di distruggere il detto rinforzo, è sicuro che la Compagnía
G-4 restò tanto disgregata che non contò più come forza opposta. Il
primo comunicato inviato da Cuevas al nostro posto di comando
nell’altura di Cahuara, alle 14,20, nel pomeriggio, riferiva le cifre
di 12 guardie morte e 14 prigioniere. Il conteggio finale degli uomini
catturati, indubbiamente si elevò a 24. Ci fu un certo numero di
feriti evacuati dai soldati nella loro ritirata.
In terzo luogo, andava segnalato il bottino ottenuto in quel primo
combattimento contro i rinforzi. Restarono in nostro potere niente
meno che 34 armi lunghe: 17 fucili Springfield, 10 carabine San
Cristóbal, 4 fucili semiautomatici Garand, due fucili mitragliatori
Browning e una mitragliatrice a tripode calibro 30, oltre a 18.000
pallottole e 48 granate di fucile. Caddero inoltre nelle nostre mani
quasi tutti i rifornimenti per alleviare la situazione del battaglione
accerchiato che la compagnia trasportava sul dorso dei muli.
I ribelli non ebbero nemmeno un ferito in quel combattimento,
indicando così la qualità delle posizioni preparate da Lalo e Cuevas
per l’imboscata.
Dalle prime informazioni ricevute, mi resi conto che l’operazione non
aveva funzionato come era stata pianificata. Al principio decisi si
aspettare le notizie di Paz, perchè ero convinto che un capo tanto
responsabile, capace e deciso come lui avrebbe compiuto letteralmente
la sua missione, e che, forse, quello che era accaduto era che aveva
fermato le guardie molto più in basso, senza il tempo d’informare il
risultato. Senza dubbio nel trascorrere della notte, quando ricevetti
il comunicato di Paz, fu chiaro che il successo completo
dell’operazione non era stato possibile per via dell’inazione di
questa forza ribelle, che era una parte molto importante del piano. Ma
ero tanto persuaso delle condizioni di questo capo, che la mattina
seguente gli inviai un messaggio nel quale gli dicevo che era avvenuta
apparentemente una confusione con gli ordini, gli chiedevo che mi
rimandasse il messaggio della notte del 16 nel quale stavano contenute
le istruzioni per lui, a Cuevas e a Lalo, e lo esortavo a non perdersi
d’animo, perchè ancora restavano molte cose da fare.
Paz mi rispose quello stesso pomeriggio, tra addolorato e arrabbiato.
La sua risposta merita d’essere riferita:
“La realtà è che avevamo inteso che mi dovevo situare più in alto,
perchè lei sa che non sono capace di fuggire da un combattimento, nè
di tralasciare di obbedire a un ordine suo, anche se mi costasse la
vita; perchè un uomo con la mia convinzione non vuole vivre il giorno
in cui si sente indegno di vestire l’uniforme del nostro glorioso
esercito.
Adesso mi addolora il fatto che non ho potuto raccogliere nemmeno
un’arma ed ho 9 uomini disarmati.
Mi mando ordini, ma che siano per andare a combattere”.
Disgraziatamente, Paz aveva interpretato il mio ordine della notte del
16, nel senso che si situasse nella parte alta della cima e non si
muovesse di là in previsione che una parte della truppa del rinforzo
nemico avanzasse da quella parte. Al suo messaggio io risposi di
nuovo:
“Non devi dirmi quello che io so molto bene del tuo coraggio, la
capacità di lotta e di comando, perchè lo hai saputo provare molte
volte.
Ti ho chiesto la mia comunicazione per assicurarmi della forma in cui
l’avevo inviata, perchè è mia la responsabilità di qualsiasi errore
che avviene (...)
La mia preoccupazione è che tu ti situassi nel punto più alto del
picco, pensando nella convenienza che le guardie non prendessero
contatti conte prima che con Cuevas.
L’istruzione che aveva dato l’aereo era di prendere i punti chiave.
Noi avevamo preso le debite precauzioni della situazione. Ci si
aspettava un attacco in regola e non l’invio di una compagnia
solitaria che veniva come stesse sfilando per il Paseo del Prado. Sono
cose assurde, di quelle che fa il nemico”.
La mia intenzione era che si tagliasse per la retroguardia, avanzando
dalla tua altura e dal ruscello Manacas. Se la colonna nemica fosse
stata molto lunga, l’attacco allora, più che di retroguardia doveva
essere di fianco.
La loro ritirata sembrò troppo rapida, anche se una pattuglia situata
nel ruscello Manacas a 600 o 800 metri dal cammino avrebbe potuto
tagliarli a tempo.
Uomo di grande dignità, Paz era davvero molto molesto con quello che
era passato, ma volevo che intendesse che per me era chiaro che
l’accaduto fu conseguenza di una cattiva interpretazione del mio
ordine, e che in nessun momento avevo pensato che fosse il risultato
di un atteggiamento d’inerzia o vigliaccheria da parte sua.
Quando lo lessi di nuovo pensai che forse potevo spiegargli più
chiaramente qual’era la sua missione e avrei risparmiato
quell’amarezza ad un uomo così degno.
Con l’iniezione delle armi catturate fu possibile armare quasi 40
nuovi combattenti, tra quelli che chiesi ad Almeida e le reclute della
scuola di Minas de Frío. Gli uomini disarmati dei plotoni di Cuevas e
Lalo ricevettero anche loro armi dopo il combattimento e si riuscì
così a rafforzare maggiormente la linea ribelle a Purialón ed a
muovere un gruppo di 15 combattenti verso le posizioni per completare
l’accerchiamento principale a Jigüe.
Noi ci abituammo di nuovo agli aerei che non potevano, senza dubbio,
attaccare gli uomini che assediavano il battaglione, perchè erano
trincerati troppo vicino alle loro posizioni.
Contro la truppa assediata si utilizzarono molti elementi d’azione
psicologica che includevano altoparlanti, arringhe, lettere prese ai
rinforzi si inviavano con qualche prigioniero. Gli spari, includendone
alcuni della calibro 50, erano rigorosamente calcolato e misurati.
Alla fine restarono senz’acqua e senza alimenti.
Di fronte al disastro sofferto il 17 luglio con il primo tentativo di
rinforzo del Battaglione 18, il comando nemico cominciò a prepararsi,
il giorno seguente, per un nuovo movimento. Stavolta affidò la
missione al detto Battaglione Los Livianos, comandato dal capitano
Noelio Montero Díaz. Si trattava di una forza di scontro, integrata
dalle Compagnie I, K e L della Divisione de Fanteria, con sede
nell’accampamento di Columbia, che sino a quel momento avevano agito
nella zona di operazioni come compagnie indipendenti, alle quali si
sommarono i resti che riuscirono a salvarsi della Compagnia G-4. Quel
contingente non solo era Molto più numeroso, ma anche meglio preparato
ed equipaggiato della compagnia sbaragliata nel combattimento del
giorno 17. Era l’asso nella manica del nemico in quella operazione,
con cui pensavano, illudendosi, che potevano togliere il battaglione
dal sua disperata situazione. Quello stesso giorno sbarcò a La Plata
la maggior parte degli elementi del battaglione, più diversi pezzi
d’artiglieria di 75 millimetri.
Grazie ai nostri apparecchi di comunicazione potevamo intercettare
tutte le comunicazioni nemiche relazionate con la preparazione di quel
secondo e decisivo rinforzo. Quel giorno ratificai ai tre capitani di
Purialón gli ordeni precedenti ed avvisai anche Podio che era
imminente il nuovo tentativo nemico.
Los Livianos partirono dalla spiaggia La Plata poco dopo l’alba di
sabato 19 luglio, e cominciarono a salire per il cammino del fiume, in
un movimento quasi identico a quello realizzato due giorni prima dalla
Compagnia G-4. In ogni caso, il capo del contingente spiegò un poco di
più i i fianchi, soprattutto il destro per i pendii della gola di La
Plata.
Stavolta, senza dubbio, l’avanzata nemica contava con l’appoggio
martellante della fregata, dei pezzi dell’artiglieria piazzati sulla
spiaggia e soprattutto con un raddoppiato appoggio aereo. Fu
indubbiamente il giorno di maggior attività dell’aviazione durante
tutta la battaglia, e possibilmente una delle giornate aeree più
intense che vedemmo durante tutta la guerra.
Un obiettivo speciale dell’aviazione erano le posizioni in cui il
comando nemico supponeva, per le informazioni ricevute dagli ufficiali
e dai capi della compagnia decimata il giorno 17, che si mantenesse
l’imboscata ribelle sul fiume. Dalle prime ore della mattina il
mitragliamento e il bombardamento sulla zona di Purialón furono molto
intensi.
Ma i nostri combattenti non si lasciarono impressionare e mantennero
le loro posizioni A mezzogiorno circa poco prima dell’inizio del
combattimento una bomba da 250 kg. scoppiò vicino alla trincea dove
ritrovavano i combattenti Victuro Acosta, detto il Bayamese, e
Francisco Luna, nella retroguardia delle posizioni di Cuevas, e li
uccise istantaneamente.
Circa alle 14.00, nel primo pomeriggio, l’avanguardia nemica si
scontrò con gli uomini di Cuevas a Purialón e si stabilì il
combattimento. Quella seconda azione contro i rinforzi del Battaglione
18 fu una delle più intense di tutta la guerra. Il nemico, debitamente
preparato ed avvertito, offerse una resistenza tenace ed anche cercò
in varie occasioni di forzare le linee ribelli. Ma ogni volta che le
guardie riuscivano a riaggrupparsi e tentare un attacco, erano
respinte, con forti perdite, dai combattenti di Cuevas e di Lalo.
Intanto Ramón Paz che come si ricorderà, era posizionato sull’altura
di Manacas in attesa dell’inizio dell’azione, realizzò stavolta in
maniera impeccabile la manovra prevista dal combattimento precedente e
scendendo a tutta velocità verso il fiume, chiuse per la retroguardia
il nemico. Simultaneamente, alcuni degli uomini di Paz, situati a
mezzo pendio della cima di de Manacas, tentarono di fermare l’avanzata
di un plotone nemico in questo luogo, ma in un momento determinato
decisero di ritirarsi si alcuni metri verso migliori posizioni. Fu
durante quel ripiegamento per un pascolo senza ripari, che fu colpito
e ucciso dal fuoco delle guardie il combattente Roberto Corría, del
plotone di Paz.
Al tramonto, dopo più di tre ore di duro combattimento, le guardie
finalmente cominciarono a dare segni di stanchezza e si sentirono tra
le loro fila grida di resa, mescolate ai rumori sempre più rari del
fuoco nemico.
Interpretando forse che la truppa era demoralizzata e in situazione di
resa, con l’impulso dato dall’ardore del combattimento, il capitano
Cuevas uscì dalla sua trincea e cominciò ad avanzare verso le guardie
per, apparentemente, far precipitare la resa. Senza dubbio, però,
fatti solo alcuni passi, fu raggiunto da una raffica dalle posizioni
nemiche e cadde senza vita.
La morte di Cuevas sconcertò momentaneamente i combattenti ribelli e
frustrò la probabile resa in quello stesso pomeriggio del secondo
rinforzo. Fu un rovescio considerevole, perchè si trattava di uno dei
nostri capi tra i più audaci ed efficaci. Come scrissi al Che per
informarlo dei risultati del primo giorno di combattimento:
"[...] spero che le guardie abbiano sofferto un’enorme danno, ma la
morte di Cuevas ha reso tutti tristi qui, e la quasi sicura vittoria
ci risulta amara”.
In quello stesso pomeriggio, dopo aver conosciuto la notizia, emisi il
seguente ordine:
“Si nomina, postumo, al grado di Comandante dell’Esercito Ribelle per
il suo esemplare comportamento militare ed il suo eroico valore, il
Capitano Andrés Cuevas, morto nel giorno di oggi, mentre avanzava
verso il nemico. D’ora in avanti si pronuncerà il suo nome con il
grado di Comandante.
Che si marchi il luogo della sua sepoltura, per costruire lì un
obelisco che durerà per sempre, con il ricordo indimenticabile di
tutti i suoi compagni d’ideali”.
L’ordine fu compiuto esattamente.
Oggi la Rivoluzione ha costruito a Purialón, a pochi metri da dove
Andrés Cuevas diede la vita combattendo davanti al nemico, un bel
monumento in memoria di colui che fu uno dei più agguerriti
combattenti e dei più capaci capi dell’ Esercito Ribelle.
Quello stesso pomeriggio, dopo il ricevimento dei primi comunicati di
Lalo Sardiñas, disposi l’invio a Purialón di un gruppo di più di 20
combattenti disarmati appena giunti, comandati da René de los Santos,
con l’intenzione di equipaggiarli con parte delle armi conquistate.
Comunicai a Lalo di mettere il plotone di Cuevas agli ordini del
combattente Antonio Sánchez Díaz, conosciuto come Pinares, che era il
secondo al comando di quella forza.
Dopo aver valutato la situazione sulla base delle informazioni
ricevute. nella notte passai le seguenti istruzioni a Lalo Sardiñas:
“Questo è un momento decisivo. I compagni devono riempirsi di valore,
nonostante le perdite. Se retrocediamo, perderemo l’opportunità di
scrivere una delle pagine più gloriose della storia di Cuba; se i
nostri uomini resistono, questo esercito non potrà avanzare e Batista
sarà perduto.
Confido in te che sei coraggioso e hai intelligenza per affrontare la
situazione. Se gli uomini cominciano la giornata di domani vicino alle
guardie, gli aerei non potranno bombardarli; se continuano a
mitragliare lungo il fiume, gli uomini si possono appartare dal
cammino, ma con precauzione, per tagliare l’avanzata alle guardie, se
cercano di realizzarla.
[...] Se in qualsiasi circostanza si dovesse perdere terreno, si dovrà
resistere fermamente un poco più in qua. In nessuna forma deve restare
libero il cammino per il nemico. Io sono sicuro che con il danno che
voi le avete provocato, oggi quella truppa non avanzerà. Molto animo e
molto valore, che questa è un’opportunità per tutti voi, per scrivere
una pagina nella Storia!”
Il bilancio provvisorio del combattimento all’alba di domenica 20
luglio era di sette morti e 21 prigionieri nemici più 20 armi e una
buona quantità di munizioni calibro 30.06; per la parte ribelle,
quattro morti: Cuevas, Acosta, Luna e Corría e altrettanti feriti Il
secondo giorno di combattimento, gli uomini di Lalo e Pinares, che
avevano avvicinato le loro posizioni a quelle delle guardie durante la
notte, respinsero nuovamente la mattina un debole tentativo di rompere
l’accerchiamento ribelle.
Gli uomini di Paz, da parte loro, continuarono a fare pressione dalla
retroguardia, anche se durante la notte molte guardie riuscirono a
scappare verso la spiaggia. A mezzogiorno, quasi 24 ore dall’inizio
del combattimento, tutta la resistenza era terminata. Il totale dei
morti nemici era di 17 e restarono nelle nostre mani 14 fucili San
Cristóbal, 10 fucili Garand, due casse di obici di mortaio calibro 81
ed un gruppo di muli con tutti i rifornimenti.
Ma il risultato più significativo era che il secondo ed ultimo
rinforzo per il battaglione accerchiato a Jigüe era stato respinto. A
partire da quel momento, la sorte di quella truppa era definitivamente
segnata e con lei, forse, pensavamo tutti, anche la sorte finale della
tirannia batistiana.
La Battaglia di Jigüe: la resa
del 18º Battaglione