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¡NO VOLVERAN! (significa
"non torneranno" ed era il tema di tanti slogan e di tante canzoni di
questa rivoluzione canterina e danzante durante la campagna per il
referendum ratificatorio della presidenza Chavez. Il "DiarioVEA",
giornale della rivoluzione, ha pubblicato una poesia-canzone così
intitolata. Ne trascrivo qualche verso, non bisognoso di traduzione,
salvo per dire che "adecos" e "copeyanos" vuole dire adeisti e copeisti,
con riferimento ai due massimi partiti della conservazione fascistoide e
golpista venezuelana: AD, Azione Democratica, e COPEI, democristiani. "Nunca"
vuol dire "mai" )
Volverà a salir la aurora
Salmos las aves le dan
Volveràn las mariposas (farfalle)
Vestidas de tafetán
Y vuelven las alegrías
Quando las penas se van
Pero adecos y copeyanos
Esos nunca volveran...
Y volverà la doncella
A los brazos del galán
Volverá a verse en las calles
Una mula y un chalán
Un butaque de madera
Una hamaca en un zaguán (amaca degli indigeni)
Pero adecos y copeyanos
Esos nunca volverán...
Volverá el cura del pueblo
A hablar con su sacristán
Y volverá San Miguel
A luchar contra Satán
Y puede volver Van Gogh
A pintar un tulipán
Pero adecos y copeyanos
Esos nunca volverán...
Volverá Francisco el Hombre
Volverá Ursula Iguarán
Volverá a adornar la Luna
El cielito en Pakistan
Puede volver otro Gramsci
Y volver otro Vietnam
Pero adecos y copeyanos
Esos nunca volveran...
Volverá Rubén Dario
Los poetas marcherán
Volverá a scriber sus versos
Ana Enriqueta Terán
Puede volver Mahoma (Maometto)
A recitar el Coran
Pero adecos y copeyanos
Esos nunca volverán...
A mercerse en un bejuco
Puede que vuelva Tarzan
Puede volver Rintintin
Puede volver Superman
Y puede volver Cantinflas
Puee volver Bolivar
Pero adecos e copeyanos
Esos nunca volveran....
Lasciare questa città è davvero strappacuore.
Continuo a trovarla bellissima, con questa sua gente, la più variopinta
e bencresciuta del mondo, a parte le larve di Plaza Altamira, che decora
come una immenso murales (fioriscono ovunque anche quelli, come nel
Messico di Rivera, nella Cuba di Fidel, nell'Orgosolo della resistenza)
le neoplasie cementizie dei megalomani speculatori e devastatori di un
secolo morto, morto ammazzato da una rivoluzione di popolo come dal
1.gennaio dell'Avana non s'era più vista.
Molte città hanno un corpo che ne esprime l'anima. Pensate a
Roma, non è una matura matrona accasciata e spampanata, con arti e vesti
sparsi in disordine per ogni dove? E Urbino? Non potrebbe sembrare un
ragazzo accoccolato su un picco che si stringe le ginocchia al mento e
si guarda i piedi? Le città spagnole della colonia sudamericana paiono
le legioni di Cesare schierate per la battaglia. Manhattan è il
pettine sfuggito di mano alla statua della libertá. Ma Caracas e la
versione urbana di queste donne svettanti, in cui la formosità africana
si è snellita nella sinuosità india e il portamento è
quello delle donne mediterranee impettite ed erette dai cesti e
dalle anfore portate in testa. E se le torri un po' Sestriere del Parque
Central ne sono l'ornamento che evidenzia l'ombelico esposto, la testa
vastochiomata riposa sorridente e ombrettata tra i disordini di Sucre e
Vela e insinua le trecce tra i ranchos inerpicati sulle coste che vanno
a guardare o i llanos, o il mare. Le lunghissime gambe (non è spesso del
Venezuela Miss Mondo?) sollevano le ginocchia per superare i fetidi
rigagnoli di Altamira e Castellana e si distendono poi nel florilegio
dei reperti coloniali e barocchi di Petare, dove si nasconde la
malavita, malattia cronicizzata di un disagio sociale che ci vuole altro
che sei anni di rivoluzione bolivariana, di buongoverno e "misiones"
sociali per riscattare da una storia di abughraibismi di mezzo
millennio.
Eppure nei quattro anni in cui questo governo bolivariano ha
potuto condurre e potenziare la sua azione, nonostante le battute
d'arresto del golpe, della serrata genocida, dell'immane spreco inflitto
dalle inutili sceneggiate della raccolta di firme per il "revocatorio" e
per la sua attuazione, dei sabotaggi all'apparato produttivo specie
petrolifero, delle cospirazioni calombiano-statunitensi, l'eterno 70% di
popolazione vegetante intorno alla soglia di povertà ha potuto essere
ridotto di dieci punti, quest'anno, appena 18 mesi dallo sciopero
padronale nazionale, quella venezuelana è la
prima economia dell'America indio-afro-latina, con una crescita
prevista a fine anno del 10%, con in questi mesi un milione e mezzo di
eterni esclusi alfabetizzati con la "Mision Robinson", con centinaia di
migliaia di giovani ricuperati al diploma, alla Maturità e alla laurea
dalla "Mision Ribas", con 12 milioni di cittadini da sempre dimenticati
raggiunti dalla "Mision Barrio Adentro" e dai presidi sanitari dei
medici cubani, con un milione e mezzo di contadini diventati padroni
della loro terra, inclusi in cooperative di produzione e distribuzione
che fluiscono verso i "mercal", specie di mercati davvero "equi e
solidali" e che tagliano fuori la grande distribuzione vampira, spesso
in mano agli italiani, con altre centinaia di famiglie diventate padrone
delle loro casette nei ranchos dell'arbitrio, dell'abuso e della
precarietà di autoproclamati proprietari, proprietari in virtù di
diritti pretesi assegnati da un qualche Filippo o Carlo d'Asburgo.
Scavando tra le mie rughe più recenti ho ritrovato un viaggio
attraverso il Venezuela nel corso del blocco padronale di
dicembre2002-febbraio2003. Portava il fuoristrada del ministero
dell'agricoltura un compagno che dallo stereo traeva le canzoni della
sofferenza contadina nel latidofondo schiavista e si commuoveva
sistematicamente e tirava pugni sul volante inferocito contro gli
aguzzini, incazzato con le sue lacrime. Lungo la strada le colonne
sterminate degli automobilisti e trasportatori che cercavano un minimo
di carburante per un minimo di mobilità per un minimo di sopravvivenza.
E nelle case, come mi raccontò Chavez a San Carlos, dopo che aveva
distribuito 700 titoli di proprietà di terra espropriata, la gente per
cucinare si bruciava le camere da letto. E a Maracaibo una PDVSA (la
Compagnia petrolifera manomessa e vampirizzata dai dirigenti), non
ancora bonificata con la cacciata di 19.000 parassiti e sabotatori,
faceva saltare per aria i pozzi e manometteva le valvole degli
oleodotti, aveva voglia la Guardia Nazionale, esercito del popolo, a
riaprire le stazioni di servizio quando le cisterne boccheggiavano... E
non arrivavano più nè cibo, nè medicinali, nè ci si poteva spostare fino
alla scuola, o fino all'ospedale e le milizie dei capibastone degli
Stati in mano all'opposizione, dette "polizie municipali", sabotavano il
ripristino, sparavano sulle folla tumultuante, pareva essere nei
territori occupati dal sionismo genocida, si opponevano alla Guardia
Nazionale. Quei militari bruni e con le facce da selva, mi ricordo, che
quando il pus dell'oligarchia cercava di invadere i territori
bolivarizzati della capitale, protetto dal sindaco golpista Alfredo Peña,
e si trovava di fronte le schiere in rosso, col basco rosso del
comandante, per la prima volta vidi operare in difesa del popolo. Il
popolo che governava!
Ora si va verso le elezioni in tutti questi 23 Stati, più
Caracas, e in tutte le città e l'alluvione rossa della rivoluzione
bolivariana promette di penetrare nei fortini ancora in mano ai
governatori della reazione, del complotto e del ladrocinio e allora sì
che per la Quarta Repubblica sarà finita e si potrà con maggiore fiducia
rafforzarsi qui e guardare al resto del continente per quell'integrazione
che è sicuramente l'unica alternativa possibile all'ALCA, al revanscismo
colonialista degli USA. A cominciare da quella che Hugo Chavez chiama la
"Petroamerica", un ente pubblico unico per la garanzia degli
approvvigionamenti a un'economia e a un progresso sociale pure
integrati.
La PDVSA ha i numeri, la forza e la visione per essere la
colonna vertebrale di questo progetto antimperialista e di riscatto
sociale. E' la terza impresa dell'America indo-afro-latina, tiene per il
collo Bush e i suoi neonazi che, per non perdere a novembre, hanno
dovuto ingoiare il boccone più amaro, dopo la gigantesca insurgenza
irachena (religiosa o laica che sia, qui sanno bene che va sostenuta
senza virtuosismi grilloparlanteschi e lo dimostrano militanti e masse,
con una coscienza internazionalista di cui ho visto uguale solo in
Palestina, in Irlanda e, appunto, in un Iraq per quarant'anni
coerentemente antimperialista e socialista nella misura del possibile):
riconoscere che Chavez è il popolo,
che la rivoluzione vuole e può continuare. E' un'impresa nella
cui testa, come del resto in tutti i gangli decisivi del movimento e del
governo bolivariani, sono presenti i comunisti, intellettuali e
militanti giovani e maturi alla cui intelligenza e determinazione
politica Chavez ha avuto l'intuito e la coscienza di attingere a piene
mani, fino a fare del mio amico comunista, Willian Lara, il suo braccio
destro, la guida del suo partito e l'organizzatore della sua campagna
elettorale.
Qui c'è il comunista Antonio Serra, rientrato in PDVSA, come
tanti altri, dopo 40 anni di lavoro, per riempire i vuoti della bonifica
e rilanciare l'impresa messa in ginocchio dai sabotatori con il
gagliardetto a stelle e strisce. E' il numero due della raffineria di El
Palito, a Valencia, cuore operaio storico dell'industria petrolifera
venezuelana, si occupa di sicurezza, igiene, ambiente, ma soprattutto
della riorganizzazione della società nel segno della democrazia
operaia. "Da verticali siamo diventati orizzontali", mi spiega. " I
comitati operai, i tre sindacati nati nella nuova PDVSA, ora in corso di
unificazione, presidiano ogni momento gestionale della società, decidono
modi e contenuti della produzione e, soprattutto, governano gli
investimenti sociali di una compagnia che è diventata, dopo aver subito
la manomorta di dirigenti ladri, il massimo promotore sociale del paese,
con qualcosa tra il 17 e il 20% degli introiti destinati ai servizi
sociali. Non ci sono più le tre mense, per dirigenti, quadri intermedi e
operai. La mensa è unica e il Club House della direzione, con tanto di
piscina, terme, golf, spiagge, parchi giochi, ristoranti, è passato ai
lavoratori tutti e alla comunità che vive attorno alla raffineria".
Segnali piccoli? Chissá. Piccoli non sono certi i segnali che ci manda
l'inaugurazione, proprio mentre eravamo là di un centro comunitario
realizzato dalla PDVSA, e al quale faranno capo tutte le campagne
sociali bolivariane. Del resto, senza i finanziamenti della PDVSA, poco
delle grandi "misiones" di trasformazione radicale della società sarebbe
possibile.
Sul giornalone della reazione sconfitta e tanto più virulenta
perchè si vede bloccati tutti gli sbocchi istituzionali nel futuro
prevedibile, appaiono sempre più frequenti appelli all'eversione. Ci
vuole davvero tanta santa pazienza democratica, in Chavez e nei suoi,
per non intervenire almeno legalmente contro questi aperti inviti alla
sedizione. Un paginone intero sull'edizione odierna invita la "società
civile" alla "disobbedienza" e, trasparentemente, allude alla "guerra
civile", la minaccia implicitamente.
(A proposito, dalle mie lontananze non riesco a sapere come si
pone rispetto ai bolivariani e a Chavez quella gente che, da noi, usa
gli stessi termini propalati dalla destra fascista e filocolonialista :
"società civile", "disobbedienza civile"...) E' vero sono stati
stroncati dal voto libero e democratico. Non gli restano altri mezzi che
la violenza, il terrorismo, la cospirazione per ricondurre a sè i
compari di ideologia e di ladrocinio del Nord del mondo. L'esempio,
infatti, è proprio Bush, con il suo golpe di Florida 2000 e i suoi
attentati del 9 settembre 2001. Forse è per questo che il comunista
Antonio Serra parla della necessità di armare il popolo in vista del
ritorno imperialista. Come aveva saputo fare l'Iraq e agli USA ancora
gli duole.
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