BREVE STORIA DEL CHE
di
Alan Woods
Ernesto Guevara de la
Serna nasce nel 1928 in Argentina. La sua era una famiglia della classe
media, piccolo borghese. Da bambino non soffriva la fame o la povertà, a
differenza di molti altri bambini dell’America Latina. Ernesto soffriva,
però, fin da piccolo di una forte asma. Questo può sembrare un piccolo e
inutile particolare, ma in realtà gli condizionerà tutta la vita. Nel
suo scritto, “Forty years since the death of Che Guevara”,
A.Woods sottolinea come il suo spirito ribelle e avventuroso fu legato
anche a questo suo problema di salute. Ernesto spese tutta la sua vita
cercando di dominare questo problema, spingendosi deliberatamente fino
ai limiti della umana sopportazione. La sua ferrea determinazione di
superare tutte le difficoltà può anche essere ricollegata a questo.
Il suo istinto
umanitario lo portò al conseguimento della laurea in medicina. Si
specializzò in dermatologia e fu particolarmente interessato allo studio
della lebbra. In questo periodo i suoi orizzonti non andavano oltre
quelli di tanti altre persone della classe media: lavorare molto,
ottenere una laurea in medicina, trovare un buon posto di lavoro e,
forse, fare nuove e originali ricerche nel campo medico e far avanzare
la conoscenza umana attraverso qualche incredibile scoperta.
Come molti giovani,
anche Guevara amava viaggiare e nel 1951 parte con Alberto Granado per
un viaggio in moto risalendo l’America Latina. Questo viaggio si rivelò
importantissimo per lo sviluppo delle sue idee politiche. Nel
lebbrosario di San Pablo, in Perù, tenne un discorso nel quale compariva
bene il collegamento tra la medicina e le sue idee. Qui affermò che “la
divisione dell’America in nazioni instabili e illusorie è una completa
finzione”,sottolineando come i latino americani siano un’unica etnia e
concludendo il discorso con “un brindisi al Perù e all’America Unita”.
Questo viaggio era
l’inizio di una lunga odissea che lentamente gli aprì gli occhi nei
confronti della realtà del mondo nel quale viveva. Per la prima volta
nella sua vita entrava in contatto con le masse oppresse del continente
e sposò la loro causa. Lo stesso fervore intellettuale che mostrava per
i suoi studi in medicina si spostava ora verso lo studio della società.
Improvvisamente tutte le sue iniziali ambizioni personali sembrarono
banali e poco interessanti. Dopo tutto, un dottore può curare singoli
pazienti. Ma chi può curare le terribili malattie della povertà,
analfabetismo, mancanza di abitazioni e oppressione? Così come non si
può curare il cancro con l’aspirina, non si possono curare i mali
fondamentali della società con calmanti e mezze misure.
Lentamente nella mente
di questo giovane stava crescendo e maturando una idea rivoluzionaria.
Lui non divenne immediatamente un marxista. Guevara pensava e leggeva
molto: un’abitudine che non l’avrebbe più abbandonato per tutto il resto
della sua vita. Iniziò a studiare il marxismo: gradualmente,
impercettibilmente, e inevitabilmente, si convinse che il problema
delle masse non poteva essere risolto senza misure rivoluzionarie.
Nel dicembre del 1953
Guevara arrivò in Guatemala come rivoluzionario, anche se le sue idee
erano ancora in una fase formativa, e con la volontà di apprendere per
diventare un reale rivoluzionario ( “In Guatemala mi perfezionerò e
colmerò tutte quelle mancanze che mi mancano per essere un vero
rivoluzionario”). In quel periodo in Guatemala c’era il presidente
Arbenz Guzmàn che guidava un governo riformista. La volontà iniziale del
Che era di vedere e capire il processo riformista in corso nel paese.
Arbenz Guzmàn stava infatti cercando di portare a termine la riforma
agraria e di demolire il sistema latifondista. Purtroppo, però, Guevara
non riuscì a vedere compiute quelle politiche: la CIA e la United Fruit
Company non erano della stessa opinione di Guzmàn. Avevano ben altre
idee e organizzarono un colpo di stato guidato da Carlos Castello Armas,
con l’appoggio dell’aviazione statunitense. Guevara si unì
immediatamente alla milizia armata organizzata dalla Gioventù comunista.
Ma ne rimase fin da subito deluso per l’inattività del gruppo. Dopo il
colpo di stato iniziarono gli arresti e il Che si rifugiò nel consolato
argentino fino a quando non ottenne un pass per l’uscita dal paese.
L’esperienza del colpo
di stato appoggiato dagli USA contro il governo progressista gli
confermò la correttezza delle idee maturate in lui negli ultimi anni e
lo portò a determinate conclusioni sul ruolo degli Stati Uniti in
America Latina. Questi ultimi giocavano un importante ruolo di potenza
imperialista che fungeva da baluardo di tutte le forze reazionarie del
continente. Ogni governo che avesse cercato di cambiare la società
avrebbe inevitabilmente dovuto fronteggiare l’implacabile opposizione di
un nemico potente e spietato.
Il Che aveva visto con
i propri occhi la fatale debolezza del riformismo e questo gli confermò
la convinzione che il socialismo si sarebbe potuto ottenere soltanto
attraverso la lotta armata.
Arrivato a Città del
Messico nel 1954, Guevara entrò in contatto con gli esuli cubani che
aveva conosciuto in Guatemala. Incontrò poi Raùl Castro e,
successivamente, Fidel Castro.
Nel 1956 il Che si unì
al movimento “26 luglio”, guidato da Fidel Castro, che aveva ingaggiato
una feroce lotta contro la dittatura di Batista a Cuba e stavano
preparando un piano per il suo rovesciamento. I due rivoluzionari si
ritrovarono immediatamente: Castro aveva bisogno di uomini affidabili e
il Che cercava una organizzazione e una causa per la quale combattere.
Spedizione a
Cuba
Inizialmente al Che
venne affidato il ruolo di medico. La sua debole salute non lasciava
intravedere una costituzione fisica da combattente. Tuttavia, partecipò
all’avventura militare fianco a fianco con gli altri membri del
Movimento e diede prova del proprio valore.
Il 25 novembre del 1956
i rivoluzionari cubani si imbarcarono sul Granma, alla volta di Cuba.
La spedizione venne
distrutta quasi del tutto già allo sbarco sull’isola. Questo avvenne in
un posto sbagliato e poco dopo vennero raggiunti in una palude, dove
furono attaccati dalle truppe governative. Circa metà dei ribelli furono
uccisi o giustiziati dopo la cattura. Solo 15 – 20 sopravvissero e
riuscirono a scappare nelle montagne della Sierra Maestra. Da qui iniziò
una guerra di guerriglia contro la dittatura di Batista.
Nonostante le
difficoltà iniziali le azioni dei ribelli riuscirono ad infondere
coraggio e ottimismo nelle masse e soprattutto tra i giovani. Le nuove
reclute riempirono le fila dell’esercito guerrigliero che si diffondeva
in tutta la parte orientale dell’isola. Il Che abbandonò il suo ruolo di
medico per svolgere appieno il suo “dovere come soldato rivoluzionario”.
Ma la principale forza
della guerriglia stava nella debolezza cronica del vecchio regime, che
era completamente marcio per la sua corruzione e decomposizione.
Nonostante l’appoggio, i soldi e le armi dell’imperialismo americano,
Batista era incapace di arrestare l’avanzata della rivoluzione. I suoi
soldati non ne volevano sapere di rischiare la propria vita per
difendere un regime completamente malato. Fortemente indeboliti da una
serie di imboscate nei punti più alti della Sierra Maestra, l’esercito
era già del tutto demoralizzato quando venne lanciata l’offensiva
finale.
In questa campagna il
Che divenne “Comandante”, guadagnandosi un’enorme reputazione per
coraggio, audacia e abilità militare. Da quel momento lui era secondo
solo a Fidel Castro stesso. Alla fine del dicembre del 1958, il
Comandante Guevara e la sua colonna si diressero verso ovest per
l’offensiva finale verso L’Avana. Questa colonna eseguì la parte più
pericolosa nell’attacco decisivo a Santa Clara. Gli ordini finali
all’esercito ribelle arrivarono da Palma il 1 gennaio 1959, ma il colpo
decisivo che stroncò una volta per tutte la dittatura di Batista fu lo
sciopero generale dei lavoratori dell’Avana. L’intero edificio crollò su
se stesso come un castello di carta. I generali di Batista cercarono di
negoziare una pace separata coi ribelli e quando Batista ne venne a
conoscenza scappò nella Repubblica Dominicana.
Presa del
potere
Il vecchio stato
borghese fu distrutto e al suo posto ne venne formato, o piuttosto
improvvisato, un altro sulle basi dell’esercito guerrigliero, nelle cui
mani passò il potere. I marxisti di tutto il mondo gioirono per la
vittoria della Rivoluzione Cubana. Esso rappresentò un importante colpo
sferrato all’imperialismo, al capitalismo e alla vecchia aristocrazia
terriera. Colpo inferto proprio davanti al cortile di casa del più
potente stato imperialista della storia. Tutto ciò diede grandi speranze
alle masse oppresse di tutto il mondo. Tuttavia, il modo in cui si
arrivò alla conquista del potere fu completamente diverso rispetto alla
Rivoluzione Russa nell’ottobre del 1917. Non ci furono né soviet né
classe operaia. Sebbene quest’ultima garantì la vittoria finale della
Rivoluzione attraverso lo sciopero generale, il proletariato non giocò
un ruolo guida.
In molti hanno spiegano
come questo sia, in realtà, irrilevante: ogni rivoluzione è diversa, non
ci può essere un modello applicabile in tutti i casi, e cosi via. Sotto
alcuni punti di vista questo è vero. Ogni rivoluzione ha le sue
caratteristiche e le proprie peculiarità, corrispondenti alle diverse
condizioni reali e concrete, al diverso rapporto di forza tra ogni
classe sociale, alla storia e alle tradizioni dei vari paesi. Ma questa
osservazione, seppur giusta, rimane comunque parziale e non risolve
completamente il problema.
Marx spiegò come i
lavoratori non possono semplicemente impossessarsi del vecchio apparato
statale e utilizzarlo per cambiare la società. All’indomani della Comune
di Parigi, nel 1871, Marx spiegò anche che il vecchio stato potrebbe non
rivelarsi uno strumento utile per il cambiamento della società. Deve
essere distrutto e sostituito da un nuovo potere statale, uno stato
operaio, che dovrebbe essere completamente diverso dal precedente. Esso
dovrebbe essere, per utilizzare le parole di Engels, un semi-stato
destinato ad estinguersi nella società socialista:
“La Comune fu
composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei
diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque
momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o
rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva
essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e
legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l'agente
del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue
attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della
Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i
funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri
della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per
salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza
degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari
stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle
creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale, ma
tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della
Comune.
Sbarazzarsi
dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza materiale
del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della
repressione spirituale, il "potere dei preti", sciogliendo ed
espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti. I sacerdoti
furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle
elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli.”
Questo non ha
assolutamente nessuna relazione con il regime burocratico totalitario
della Russia stalinista, dove lo stato era un mostruoso potere
repressivo che si elevava al di sopra della società. Anche la parola
“dittatura” ai tempi di Marx aveva una connotazione completamente
differente da quella odierna. Dopo l’esperienza di Stalin, Hitler,
Mussolini, Franco, Pinochet, la parola “dittatura” è stata abbinata ai
campi di concentramento , alla Gestapo e al KGB. Ma in realtà, con
questa parola, Marx intendeva la dittatura della Repubblica romana, dove
in uno stato di emergenza (solitamente la guerra) il solito meccanismo
democratico veniva temporaneamente sospeso e un dittatore governava per
un periodo di tempo limitato con poteri eccezionali.
Lontano anni luce da un
mostro totalitario, la Comune di Parigi era una forma molto democratica
di governo popolare. Era uno stato costruito in modo tale da essere
destinato a scomparire (un semi-stato, appunto).
Lenin e i bolscevichi
modellarono lo stato Sovietico sulle stesse basi, dopo la Rivoluzione d’
Ottobre. In Russia i lavoratori presero il potere attraverso i Soviet, i
quali erano gli organi più democratici di rappresentanza popolare fino a
quel momento (e anche fino ad oggi) inventati. Nonostante le terribili
condizioni di arretratezza, la classe operaia russa godeva di importanti
diritti democratici. Nel 1919 si specificava che tutti i lavoratori,
senza eccezione alcuna, dovevano prendere parte all’amministrazione
dello Stato operaio. La direzione dell’economia pianificata era
principalmente nelle mani delle organizzazioni sindacali (all’epoca
ancora indipendenti).
In ogni rivoluzione
dove il ruolo principale non è giocato dalla classe operaia ma da altre
forze, certe cose tenderanno inevitabilmente a scomparire. C’è sempre
una tendenza dello stato di elevarsi al di sopra della società e anche
le persone migliori possono essere corrotte o possono perdere il
contatto con le masse in determinate circostanze. E’ questo il motivo
per il quale Lenin scrisse le famose quattro condizioni per il potere
operaio:
1- Elezioni libere e
democratiche di tutte le cariche, con diritto di revoca per tutti i
funzionari pubblici
2- Nessun
funzionario deve ricevere uno stipendio superiore a quello di un operaio
specializzato
3- Nessun esercito
permanente, ma un popolo armato sotto forma di milizie popolari
4- Gradualmente, si
deve arrivare ad una situazione in cui tutti partecipano alla gestione
della società. Quando ognuno è burocrate, nessuno è burocrate. (“Ogni
cuoco deve poter fare il primo ministro”)
Queste condizioni non erano un puro capriccio di Lenin. In una economia
pianificata e nazionalizzata è assolutamente necessario assicurarsi la
massima partecipazione delle masse nelle decisioni sul funzionamento
dell’industria, della società e dello stato in generale. Senza tutto ciò
tenderanno inevitabilmente a formarsi burocrazia, corruzione e tutti i
tipi di mala gestione possibili, che alla fine porterebbero alla
distruzione dall’interno dell’economia pianificata. E questo è proprio
ciò che è accaduto in URSS. Tutti questi punti sollevati da Lenin, e
confermati dagli eventi storici, ebbero una influenza fondamentale sul
pensiero del Che, sugli eventi cubani e sono, tuttora, di importanza
vitale per Cuba e per i suoi prossimi sviluppi politici.
Il Che nel
nuovo Stato rivoluzionario
Il Che occupò vari
posti nell’amministrazione rivoluzionaria: lavorò all’Istituto Nazionale
per la Riforma Agraria, fu presidente della Banca Nazionale di Cuba,
divenne Ministro dell’Industria. In tutti gli incarichi che ricoprì, il
Che rifiutò sempre il salario ufficiale a cui avrebbe avuto diritto,
riscuotendo unicamente il suo basso stipendio da comandante
dell’esercito. In questo modo, il suo scopo era quello di dare
un”esempio rivoluzionario”. Così facendo seguiva alla lettera, non solo
nella teoria ma anche nella pratica, i principi rivoluzionari spiegati
da Lenin in Stato e Rivoluzione sul salario operaio di un funzionario
statale.
Il Che era un
rivoluzionario “istintivo”. Era incorruttibile e detestava la
burocrazia, il carrierismo e i privilegi. Era disgustato dagli
atteggiamenti dei vari burocrati che poteva osservare anche dopo la
vittoria della Rivoluzione.
Più volte sì espresse
in contrasto con la posizione ufficiale del PCUS sotto Kruscev. Si
opponeva alla teoria della coesistenza pacifica. Non gli piaceva
l’attitudine servile di alcuni cubani verso Mosca e la sua ideologia. La
sua visita in Russia e nell’Europa dell’est lo colpì duramente, si
disilluse e si allontanò dallo Stalinismo. Divenne sempre più critico
verso l’Unione Sovietica e verso i suoi leaders. Fu questo il motivo che
inizialmente portò le sue simpatie più vicino alla Cina, durante il
conflitto Sovietico-Cinese. Ma dipingere il Che come un maoista è fargli
una profonda ingiustizia. Non ci sono motivi per credere che lui si
sentisse più a casa nella Cina di Mao che nella Russia di Kruscev. Il
motivo che lo faceva apparire favorevole alla Cina era che i cinesi
criticavano la decisione di Mosca sulla rimozione di togliere i missili
sovietici da Cuba: atto che il Che vedeva come un tradimento. E’
impossibile fare una classificazione ordinata del Che e del suo
pensiero. Aveva un carattere molto complesso, che lo portava sempre alla
ricerca della verità. I dogmi dello stalinismo erano l’assoluta antitesi
del suo modo di pensare. Era disgustato da ogni tipo di servilismo
burocratico, dal conformismo e detestava ogni sorta di privilegio.
Come ministro
dell’industria, Guevara dovette lottare con i problemi relativi alla
costruzione di una economia socialista pianificata in difficili
condizioni come erano quelle della Rivoluzione Cubana e anche in questo
settore fu più volte disgustato dagli atteggiamenti e dai privilegi
riservati alla burocrazia.
Oltre ad un estensivo
piano di educazione politica che includeva lo studio di Marx, Engels,
Lenin e Stalin, propose anche uno studio degli scritti di Leon Trotsky.
Quest’ultimo era da lui considerato come un marxista eterodosso. Questo
suo atteggiamento era ben differente da quello tenuto dai seguaci di Mao
Tse Tung, che descrivevano Trotsky come un controrivoluzionario e come
un nemico del socialismo. Il suo interesse per le idee di Trotsky
andava, anzi, aumentando mano a mano che cresceva la sua disillusione
verso i regimi burocratici della Russia e dell’est Europa. Che Guevara
era un grande lettore e si portò con se molti libri nella sua ultima
campagna di Bolivia. Tra questi, significativamente, c’erano i libri di
Trotsky: La Rivoluzione permanente e Storia della Rivoluzione Russa.
Dato le condizioni estremamente difficili della guerriglia in montagna
e nella giungla, un guerrigliero porta con se solo ciò che considera
realmente essenziale: questo ci dice un sacco di cose su come il Che la
pensava in quel momento e su quale direzione stava prendendo il suo
pensiero negli ultimi anni della sua vita.
Sulla violenza
rivoluzionaria
Dopo l’abbattimento del
regime, a Che Guevara venne assegnato il ruolo di “procuratore
generale”. Come comandante della prigione La Cabana, dovette gestire i
processi e le esecuzioni di centinaia di sospettati in crimini di guerra
durante il regime precedente, ex ufficiali del regime di Batista e
membri del “Ufficio per la repressione delle attività comuniste” (unità
della polizia segreta). Oggi questo è utilizzato come scusa per tutta
una serie di attacchi contro la figura del Che, ritenuto responsabile di
una inutile e brutale repressione e presentatoci come un “macellaio”.
Solone, che scrisse la
costituzione ateniese e una o due cose sul funzionamento del diritto le
sapeva, disse: “La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli
insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi”.
La legge non è mai stata al di sopra degli interessi delle classi che si
celano dietro ad essa. La borghesia si nasconde dietro la cosiddetta
imparzialità della legge per mascherare la dittatura delle grandi banche
e dei monopoli:quando alla classe dominante tutto ciò non basta più, la
maschera viene gettata e la dittatura viene esercitata apertamente.
Le persone che furono
giustiziate a La Cabana erano noti sostenitori della dittatura di
Batista che torturarono e uccisero molte persone senza nessun processo,
erano informatori che spiavano le persone e le facevano arrestare,
torturare e morire ed erano anche gli stessi. Questi erano coloro che
furono consegnati ai plotoni di esecuzione rivoluzionari.
Gli stessi farisei
della classe media che si lamentano su quelle esecuzioni sono quelle
stesse persone che sostenevano la “pace e riconciliazione” in posti come
Cile, Argentina e Sud Africa. Sono gli stessi autori di quelle oscene e
fasulle “commissioni di verità” dove gli assassini e i torturatori si
incontravano faccia a faccia con le loro vittime, con vedove e orfane ,
con persone che soffrirono torture indescrivibili o furono imprigionati
per anni per le proprie idee. E alla fine di tutto questo loro pensano
di essersi riconciliati e “in pace”. Questa cosiddetta pace e
riconciliazione non è nient’altro che un crudele inganno e la cosiddetta
“commissione di verità” non è nient’altro che un’omissione della verità:
non potranno mai esserci pace e riconciliazione tra assassini e
torturatori e le loro vittime, che stanno ancora piangendo dalla loro
tomba per la giustizia che mai giunta. E’ assolutamente intollerabile
che oggi noti assassini e torturatori possano camminare liberamente per
le strade di Santiago, Buenos Aires e Johannesburg, e le loro vittime
siano costrette a vivere al corrente di tutto ciò.
E’ stata una buona cosa
permettere a Pinochet di morire di vecchiaia e in pace nel suo letto? O
non sarebbe stato meglio per queste masse di assassini essere processate
dai famigliari delle loro vittime? Una violazione dei principi della
legalità, dicono i Farisei! Un atto di vera giustizia rivoluzionaria,
rispondiamo noi! Predicare amore e riconciliazione nel bel mezzo della
lotta di classe è un crimine: il debole e l’indifeso è sempre quello che
deve mostrare amore e riconciliazione, mentre il ricco e il potente
trovano sempre un modo per sfuggire alle conseguenze dei loro crimini. “L’odio
è parte della lotta” scrisse Che Guevara, spiegando che è
l’inflessibile odio del nemico che permette di andare oltre i limiti
umani e “ci trasforma in efficaci, violente, selettive e fredde
macchine mortali. I nostri soldati devono essere così; un popolo senza
odio non può sconfiggere un nemico brutale”. Parole dure? Si, ma la
lotta di classe è dura e le conseguenze delle sconfitta sono
terribilmente serie e spesso anche mortali. Cuba è a soli 90 miglia
dalla nazione imperialista più potente sulla terra. Non molto tempo dopo
questi eventi l’imperialismo americano organizzò un’invasione da parte
di quegli stessi agenti di Batista che il Che non riuscì a portare
davanti al plotone di esecuzione.
Nella storia ci sono
state molte sollevazioni degli oppressi contro i loro oppressori. In
ognuna di essa si può vedere come la classe dominante sia sempre pronta
ad utilizzare i metodi più brutali e sanguinari per continuare a
mantenere il proprio dominio. Solo per fare un esempio, ricollegandoci
a quanto si diceva precedentemente, dopo il rovesciamento di Arbenz
Guzmàn e del suo governo democraticamente eletto, in Guatemala ci fu una
sanguinosa guerra: la classe dominante diede il via ad un terribile
genocidio contro il suo stesso popolo, ovviamente con l’appoggio della
CIA. Altri paesi non furono da meno: Pinochet fece uccidere e torturare
decine di migliaia di persone; in Argentina, sotto la Giunta militare,
ci furono vere e proprie carneficine. Nel caso di Cuba, il regime di
Batista, appoggiato dagli USA, uccise e torturò moltissimi oppositori.
I cosiddetti
democratici negli Stati Uniti e nell’Unione Europea fingono di rimanere
scioccati davanti alla violenza rivoluzionaria che Cuba utilizzò, appena
dopo la presa del potere, contro i suoi nemici, ma queste stesse persone
erano pronte a coprirsi gli occhi di fronte ai crimini dei despoti
controrivoluzionari amici dell’imperialismo americano. Come il
Presidente F.D.Roosvelt disse sul dittatore nicaraguese Somoza:
“Lui è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.
La borghesia affronta
la questione della violenza da un punto di vista pratico e di classe. La
classe operaia dovrebbe fare altrettanto. Il vero motivo di tutti quei
pianti ipocriti e di indignazione contro la Rivoluzione Cubana (ma anche
contro quella Russa) è che qui (come 42 anni prima in Russia) gli
schiavi ricacciarono indietro i propri padroni, e vinsero. Inizialmente
Castro non voleva spingersi fino alla nazionalizzazione e alla
pianificazione dell’economia, né aveva alcuna prospettiva di tipo
socialista. Dall’altra parte, invece, Che Guevara insisteva perché la
Rivoluzione Cubana divenisse una rivoluzione socialista.
Nonostante gli intenti,
la Rivoluzione entrò ben presto in contrasto con l’imperialismo
americano, che cercò più volte di sabotare i tentativi cubani di portare
a termine una riforma agraria e tutte quelle altre misure che
permettessero di aumentare gli standard di vita delle masse. Le grandi
aziende americane cercarono di sabotare l’economia cubana, e la prime
nazionalizzazioni che Castro mise in atto furono proprio una risposta a
quei tentativi: vennero nazionalizzate tutte le proprietà statunitensi a
Cuba. I latifondisti e i capitalisti furono espropriati e queste misure
entrarono ulteriormente in collisione con Washington. Come già detto,
nella sua ultima spedizione in Bolivia il Che aveva con se “La
Rivoluzione Permanente” di Trotsky. In questo libro si spiega come nei
paesi coloniali ed ex coloniali, la rivoluzione democratico borghese non
possa essere attuata dalla borghesia, ma possa essere realizzata solo
dalla classe operaia, attraverso l’espropriazione dei latifondisti e dei
capitalisti e con la trasformazione in senso socialista della società.
Gli imperialisti
“democratici” risposero organizzando l’invasione dell’isola. I mercenari
cubani furono armati e addestrati dalla CIA e incominciarono ad attuare
un violento rovesciamento del governo rivoluzionario . La Rivoluzione si
difese mobilitando e armando gli operai e i contadini. Nel frattempo le
forze imperialiste sbarcarono alla Baia dei Porci, dove gli attendeva la
prima sconfitta militare che l’imperialismo subiva in America Latina.
Era la vittoria della Rivoluzione.
Se le forze reazionarie
si fossero rimpossessate del potere, cosa avrebbero fatto? Avrebbero
forse invitato gli operai e contadini cubani ad unirsi a loro in una
celebrazione universale di amore fraterno e riconciliazione? Avrebbero
forse costituito una commissione di verità e invitato il Che e Fidel a
parteciparvi? No. Loro non avrebbero riempito una sola Cabana, ma cento
di esse con le loro vittime. Solo un cieco può non capirlo. Ma non c’è
nessuno più ceco di chi non vuole vedere.
La rivoluzione
mondiale
La rivoluzione cubana
era in pericolo. Ma come poteva essere salvata? L’idea di Che Guevara
era giusta ed egli si mosse nella direzione giusta prima che la sua
giovane vita venisse brutalmente stroncata. Si oppose radicalmente alla
burocrazia, alla corruzione e ai privilegi, i quali sono tutt’oggi la
più grande minaccia per la Rivoluzione Cubana e, se non corretti,
spianeranno la strada alla restaurazione del capitalismo nell’isola.
Soprattutto egli comprese che il solo modo possibile per salvare la
Rivoluzione era estendere la rivoluzione socialista al resto del mondo,
iniziando dall’America Latina.
I suoi discorsi contro
la burocrazia e le sue critiche all’Unione Sovietica divennero sempre
più frequenti mano a mano che l’influenza dell’URSS a Cuba aumentava. In
generale lui divenne sempre più scettico nei confronti dell’Unione
Sovietica. Accusò pubblicamente Mosca di tradire la rivoluzione
coloniale. Nel febbraio del 1965, in quella che si rivelerà essere la
sua ultima apparizione in pubblico, tenne un discorso al Secondo
Seminario Economico sulla Solidarietà Afro-Asiatica in Algeria in cui
fece una esplicita condanna alla politica della coesistenza pacifica
perseguita da Mosca. (“La vittoria di ogni paese contro
l’imperialismo è una nostra vittoria, così come ogni sconfitta è anche
una nostra sconfitta”; “I paesi socialisti hanno il dovere morale di
cessare la loro tacita complicità con i paesi sfruttatori dell’occidente”).
Il Che considerava il ritiro dei missili sovietici da Cuba, senza la
consultazione di Fidel Castro, come un tradimento. Sosteneva
entusiasticamente il popolo vietnamita nella loro guerra di liberazione
contro l’imperialismo americano. Fece appello ai popoli oppressi degli
altri paesi di imbracciare le armi e creare “100 Vietnam”: tutto questo
terrorizzava Kruscev e la burocrazia di Mosca.
Nella mente di Che
Guevara stava lentamente maturando l’idea che l’unico modo per salvare
la rivoluzione a Cuba era quello di diffondere la rivoluzione su scala
mondiale. Questa idea era fondamentalmente corretta. L’isolamento della
Rivoluzione era la più grande minaccia alla sua sopravvivenza. Il Che
non era un uomo che permetteva che un’idea corretta rimanesse solo sulla
carta. Decise così di tradurla in azione.
Che Guevara lasciò Cuba
nel 1965 per partecipare alla lotta rivoluzionaria in Africa. La
località nella quale si spostò rimase segreta per i due anni successivi.
In una lettera scritta appena prima della sua partenza, dichiarava la
sua intenzione di lasciare Cuba per combattere all’estero per la causa
della rivoluzione e che aveva deciso di andare e combattere come
guerrigliero in nuovi terreni di battaglia. Per non imbarazzare il
governo cubano e non fornire scuse agli imperialisti per attaccare
l’isola, rassegnò le dimissioni da tutti i suoi incarichi governativi,
nel partito e nelle forze armate, rinunciando, inoltre, alla sua
cittadinanza cubana.
Congo
In quel periodo
l’Africa era in fermento. I colonialisti francesi furono cacciati
dall’Algeria e l’imperialismo belga fu costretto a lasciare il Congo. Ma
gli imperialisti si erano preparati una azione di retroguardia
alleandosi con il regime dell’apartheid in Sud Africa e con gli elementi
più reazionari dei vari paesi del continente. Ciò che gli interessava
era la vasta ricchezza mineraria dell’Africa.
Il Che arrivò alla
conclusione che questo era il miglior posto in cui combattere, perché
quella situazione sembrava avere un enorme potenziale rivoluzionario e
pareva essere il posto in cui l’imperialismo era più debole.
In Congo l’imperialismo
francese e belga sabotarono il governo di sinistra di Lumumba, crearono
il caos e utilizzarono questa situazione come pretesto per un intervento
militare. Con la collaborazione attiva della CIA, le forze reazionari
guidate da Mobutu assassinarono Lumumba e preso il potere. Si formò un
esercito guerrigliero, guidato dai sostenitori di Lumumba, che iniziò ad
agire nella zona. L’operazione cubana, guidata dal Che, consisteva
nell’appoggiare e sostenere attivamente i ribelli.
Tuttavia, il Che rimase
quasi subito deluso dai suoi alleati congolesi. Egli aveva ben poca
ammirazione per l’abilità del leader del movimento guerrigliero, Laurent
Kabila. Guevara sosteneva che i rivoluzionari cubani e russi che stavano
al suo fianco combattevano per una causa nella quale credevano; ma in
Congo, la lotta antimperialista era un miscuglio di divisioni tribali,
ambizioni personali e corruzione. Tutto ciò, venne poi dimostrato con
gli eventi successivi: nel 1997, Kabila, dopo aver rovesciato Mobuto ed
essere diventato Presidente della Repubblica Democratica del Congo, si
comportò come un vero e proprio tiranno corrotto (fino al 2001, anno in
cui venne assassinato e sostituito dal figlio).
La CIA e i mercenari
sudafricani lavoravano al fianco di Mobutu per sconfiggere i ribelli. I
servizi di intelligence americani scoprirono presto la presenza del
Comandante Che Guevara tra i guerriglieri. Nel suo diario del Congo il
Che parla dell’incompetenza, della stupidità e della poca voglia di
combattere delle forze congolesi locali: furono proprio queste le
ragioni principali che portarono al fallimento dei ribelli. E’
importante però sottolineare come, senza l’aiuto cubano, la rivolta
sarebbe stata sconfitta molto prima. Dopo sette mesi di frustrazioni e
sofferenze (dovute alle forti crisi asmatiche, alla dissenteria e alla
disillusione nei confronti dei suoi alleati) il Che lasciò il Congo con
i suoi compagni afro-cubani sopravvissuti. Successivamente, riferendosi
alla missione in Congo, dirà: “Questa è la storia di un fallimento”.
Bolivia
Dopo il fallimento
congolese, il Che cercò di aprire un nuovo fronte in America Latina.
Sembra che la scelta finale fosse ricaduta su questo paese per la sua
posizione strategica, confinante con molti paesi importanti, tra cui
l’Argentina.
Il Che fece chiaramente
un grave errore quando cercò di organizzare una guerriglia in Bolivia,
paese con una forte classe operaia e con grandi tradizioni
rivoluzionarie. Che Guevara fece male i conti: si aspettava di trovarsi
di fronte solo ad un esercito boliviano scarsamente addestrato e mal
equipaggiato. Ma gli imperialisti avevano già imparato la lezione di
Cuba e non si fecero trovare impreparati. Solo sette mesi dopo l’inizio
dell’operazione in Bolivia la guerriglia era sconfitta e Che Guevara era
morto. Solo cinque uomini riuscirono a sfuggire all’imboscata, preparata
dall’esercito boliviano e dai loro “consulenti” statunitensi, che
attendeva i ribelli.
Leggere oggi il
Diario di Bolivia del Che è un’esperienza tragica e toccante. Le
sofferenze psicologiche e mentali di questa piccolo gruppo di uomini
sono indescrivibili. Il loro destino è straziante. Il campo base
dell’esercito guerrigliero era situato nella giungla della regione
remota del Nancahuazù. Ma costruire un esercito guerrigliero in
determinate circostanze e condizioni può risultare una impresa
estremamente difficile: questo è anche ciò che mostra il Diario di
Bolivia.
Iniziare una
rivoluzione nella giungla boliviana era un’impresa senza speranza fin
dall’inizio. Il numero di guerriglieri non era superiore alle 50 persone
circa. Il reclutamento tra la popolazione locale risultò assai
complicato, anche perché nessuno parlava spagnolo. I guerriglieri
impararono la lingua Quechua, ma la lingua locale era il Tupì-Guaranì.
Nonostante tutto, però,
i guerriglieri mostrarono audacia e determinazione tremende e
inizialmente conseguirono un buon numero di successi negli scontri con
l’esercito boliviano. In settembre, però, l’esercitò riuscì a eliminare
due gruppi guerriglieri, uccidendo uno dei leader. Da quel momento in
poi la battaglia risultava persa in partenza. Più il tempo passava, più
le condizioni di salute del Che si aggravavano. I suoi attacchi d’asma
si facevano sempre più forte e frequenti.
Le autorità boliviane
scoprirono la presenza di Guevara quando i guerriglieri, dopo uno
scontro con l’esercito, persero una loro foto nella quale compariva
anche il Che. Dopo averla vista, il Presidente Boliviano Barrientos
esclamò che voleva la testa di Guevara su una lancia nel centro di La
Paz. Anche in questo caso abbiamo un’autentica espressione del
pacifismo umanitario che caratterizza la borghesia, le stesse persone
che criticano i rivoluzionari per la loro violenza.
Nonostante i tentativi
di dipingerlo come un mostro assetato di sangue (quale leader
rivoluzionario non è stato dipinto così?), Ernesto Che Guevara era una
persona molto umana. In uno dei passaggi del suo Diario descrive un
momento nel quale avrebbe potuto sparare ad un giovane soldato boliviano
che gli era capitato sotto tiro, ma non riuscì poi a trovare la forza
per premere il grilletto.
Il Che in persona
curava i soldati feriti che venivano fatti prigionieri dai guerriglieri
e per lasciarli successivamente liberi. Questo comportamento umano è in
forte contrasto con quello che ricevette quando finì nelle mani
dell’esercito boliviano. Ma, nonostante questo, anche da prigioniero si
offrì di curare quei soldati boliviani che erano stati feriti in
battaglia. L’ufficiale boliviano incaricato rifiutò questa sua offerta.
I guerriglieri
dovettero fronteggiare innumerevoli ostacoli, non solo per la lingua, il
tempo (pioveva quasi sempre) e il terreno. Sotto la direzione stalinista
di Mario Monje, il Partito Comunista Boliviano era terribilmente ostile
nei confronti di Guevara e della sua presenza in Bolivia. Gli stalinisti
boliviani se ne riguardarono bene dal partecipare, o anche solo
sostenere, la guerriglia. Secondo loro non c’erano motivi perché si
dovesse lanciare un’offensiva rivoluzionaria in Bolivia. Quei militanti
del Partito che decisero di unirsi a Che Guevara, lo fecero contro la
volontà della direzione del Partito.
Un ruolo ignobile in
tutto questo venne giocato da Regis Debray, un uomo che successivamente
divenne famoso sfruttando la sua presunta relazione col Che. Spesso
questa persona viene presentata come un “combattente col Che in Bolivia”
e come “compagno del Che”. Tutto ciò è completamente falso. Debray non
combatté mai e infatti, a causa di questo suo comportamento, causò non
pochi problemi all’interno della guerriglia. Insieme al pittore
argentino Ciro Bustos, tenevano più un atteggiamento da turisti che da
combattenti, causando nient’altro che problemi. Il Che nutriva sospetti
nei confronti di Debray fin dall’inizio. E questi si rivelarono poi
giustificati. Sia Debray che Bustos sembravano completamente incapaci di
sopportare le dure condizioni della vita da guerriglia e seccarono
talmente tanto il Che che quest’ultimo gli permise di andarsene. Furono
poi catturati entrambi dall’esercito e rilasciarono informazioni che si
rivelarono di inestimabile valore per la ricerca dei ribelli. Bustos
tradì i guerriglieri e divenne un informatore dell’esercito. Le
informazioni rilasciate da entrambi risultarono fondamentali per la
cattura di Che Guevara.
L’ultimo
capitolo
Barrientos ordinò
all’esercito di dare la caccia a Guevara. Fondamentalmente, però,
eseguiva semplicemente gli ordini impartitigli dai suoi padroni a
Washington. Quest’ultimi avevano da tempo posto una taglia sulla testa
del loro nemico più odiato. Così, non appena Washington scoprì la sua
posizione, la CIA e reparti delle forze speciali vennero inviate in
Bolivia, dove presero parte alle operazioni. Istituirono un programma di
addestramento contro-insurrezionale che comprendeva: l’utilizzo degli
armamenti, il combattimento individuale, la tattica di squadra, il
pattugliamento e una formazione anti-insurrezione. L’esercito boliviano
era stato addestrato e rifornito da consiglieri e ufficiali statunitensi
e da corpi speciali. Questi includevano un battaglione specializzato nel
condurre operazioni nella giungla. Alla fine di settembre, grazie a un
informatore, le forze speciali boliviane localizzarono il campo base del
Che e dei suoi uomini. Il campo venne circondato l’8 di ottobre e dopo
un breve conflitto a fuoco il Che fu catturato. Quando le forze
boliviane gli si avvicinarono, si suppone il Che gli abbia gridato: “Non
sparate! Sono Che Guevara e valgo più da vivo che da morto”. Utilizzando
questa frase in molti hanno cercato di dipingerlo come un codardo.
Questa è solo una delle tante bugie con le quali i reazionari cercano di
oscurare la memoria di questo uomo che, al contrario, ha sempre
dimostrato una grande audacia e una completa disattenzione per la sua
sicurezza personale.
Barrientos non perse
tempo nell’ordinare l’esecuzione di Che Guevara: l’ordine venne emesso
appena arrivò l’informazione della sua cattura. Il Presidente Boliviano
non sprecò neanche un secondo per adempiere alle formalità legali.
Barrientos fece questo con il pieno appoggio e consenso dei democratici
di Washington. Nessuno di loro avrebbe voluto correre il rischio di fare
un processo dove Che Guevara potesse difendersi e, inevitabilmente,
passare alla controffensiva, denunciando le ingiustizie sociali che
giustificavano la sua battaglia. No! Questa voce doveva essere messa in
silenzio una volta per tutte e nel più breve tempo possibile.
Che Guevara venne
tenuto prigioniero in una scuola di un villaggio vicino a La Higuera.
Nelle prime ore del pomeriggio successivo venne fatto uscire. Alle 13.10
del 9 ottobre 1967 fu giustiziato da Mario Teran , un sergente
dell’esercito boliviano. Per cercare di nascondere l’assassinio a sangue
freddo, i soldati spararono vari colpi nelle gambe del Che in modo da
farle sembrare ferite di combattimento. Prima di tutto ciò, il
rivoluzionario disse al suo boia: “So che sei qui per uccidermi.
Spara, codardo, tu stai solo per uccidere un uomo”. Questa è la
voce del vero Che Guevara, non quella di un codardo che implora per aver
salva la vita.
Il corpo senza vita
venne mostrato, dopo essere trasportato in un ospedale, ai gentlemen
della stampa che lo tempestarono di fotografie . Un dottore militare gli
amputò le mani, dopo di che un ufficiale dell’esercito trasferì il
cadavere in un posto all’epoca sconosciuto.
Il problema
della guerriglia
Come tutte le persone,
anche Che Guevara aveva i suoi punti forti e i suoi punti deboli.
Indubbiamente lui fece un grosso errore quando cercò di presentare il
modello di guerriglia cubano come una tattica che potesse avere
un’applicazione generale. I marxisti hanno sempre considerato la
guerriglia contadina come un importante aiuto per i lavoratori in lotta
per la conquista del potere. Questa posizione era stata inizialmente
sviluppata da Marx durante la rivoluzione tedesca del 1848.
Non è neanche corretto
sostenere che questa posizione è valida solo per i paesi capitalisti
avanzati. Prima della rivoluzione russa la classe operaia industriale
rappresentava non più del 10% della popolazione russa. Eppure anche
Lenin e i bolscevichi hanno sempre sostenuto che la classe operaia
dovesse mettersi alla testa della nazione e condurre i contadini e gli
altri settori oppressi della società dietro di se. Il proletariato giocò
un ruolo guida nella rivoluzione russa, e venne seguita da milioni di
contadini poveri, l’alleato naturale del proletariato.
La sola classe capace
di condurre verso una rivoluzione socialista vittoriosa è la classe
operaia. Non diciamo questo per motivi sentimentali , ma ciò è dovuto al
posto da lei occupata nella società e al carattere collettivo del suo
ruolo nella produzione. Negli scritti di Marx, Engels, Lenin e Trotsky
non troviamo niente che ci possa suggerire la possibilità che la classe
contadina possa portare verso la rivoluzione socialista: il motivo
risiede nell’estrema eterogeneità dei contadini in quanto classe. Questa
è divisa in vari strati: dal bracciante o il contadino senza terra (può
essere considerato come proletariato rurale), ai ricchi contadini che
impiegano manodopera salariata. Questa classe non ha, quindi, interessi
comuni e non possono giocare un ruolo indipendente nella società.
Storicamente hanno sempre sostenuto classi e gruppi differenti.
Per la sua natura, la
guerra di guerriglia è la classica arma della classe contadina e non
della classe operaia. Essa è adatta per le condizioni di lotta armata in
aree rurali inaccessibili (montagna, giungla, ecc) dove la difficoltà
del terreno rende complicato il dispiegamento di truppe regolari e dove
l’appoggio delle masse rurali fornisce la necessaria copertura e il
necessario supporto logistico che permette alla guerriglia di operare.
Nel corso di una
rivoluzione in un paese arretrato con una considerevole popolazione
contadina, la guerriglia può rappresentare un buon mezzo ausiliare e
complementare per la lotta rivoluzionaria dei lavoratori nelle città. Ma
questo non portò mai Lenin ad abbracciare l’idea della lotta di
guerriglia come sostituto della lotta rivoluzionaria della classe
operaia. La lotta di guerriglia, da un punto di vista marxista, è
accettata solo come parte subordinata alla rivoluzione socialista.
Era proprio questa la
posizione di Lenin nel 1905. Essa non aveva nulla in comune con il
metodo del terrorismo individuale, né tantomeno con la tattica dei
moderni terroristi e con le organizzazioni di guerriglia urbana che sono
in completa antitesi con la politica leninista. Lenin insisteva sul
fatto che la lotta armata doveva essere una parte del movimento
rivoluzionario di massa; ma anche in questo caso bisognava sempre tenere
in considerazione il sentimento della classe operaia, delle masse e
prestare attenzione al fatto che un movimento guerrigliero non
sostituisse le forze del proletariato.
Il pericolo di
degenerazione che accompagna queste attività diventa una assoluta
certezza nel momento in cui i gruppi guerriglieri si isolano dal
movimento delle masse. Nel 1906, quando in Russia il movimento operaio
stava vivendo una fase di declino, le organizzazioni guerrigliere
smisero di esserne una parte ausiliare e subordinata, tendendo ad
assumere sempre una maggiore indipendenza e trasformandosi in gruppi di
avventuristi, o anche peggio. Lenin, anche mentre continuava a difendere
la possibilità di una tattica di guerriglia come azione di retroguardia
contro la reazione, metteva in guardia contro “l’anarchismo, il
blanquismo, il vecchio terrorismo, gli atti individuali isolati dalle
masse, i quali demoralizzano i lavoratori, disgustano larghi strati
della popolazione, disorganizzano il movimento e feriscono la rivoluzione”
e aggiunse che “gli esempi a sostegno di questa valutazione possono
facilmente essere trovati negli eventi riportati ogni giorno dai
giornali”. Nel periodo 1905-1906, il movimento rivoluzionario
includeva un elemento partigiano di “lotta guerrigliera” con varie forme
di lotta armata. Ma le squadre combattenti erano sempre collegate da
vicino alle organizzazioni operaie. Questi gruppi partigiani, poi, erano
sempre utilizzati come difesa contro la reazione e le sue bande (come le
centurie nere). Inoltre, aiutavano a proteggere le varie riunioni dai
raid della polizia, dove la presenza di distaccamenti di lavoratori
armati era solitamente un fattore importante nel prevenire la violenza.
Altri compiti erano il
rifornimento di armamenti, l’uccisione di spie e agenti e anche rapine
in banca per il proprio finanziamento. Queste iniziative erano molto
spesso prese dagli stessi lavoratori organizzati autonomamente. I
bolscevichi si battevano per cercare di conquistarne la leadership,
dargli un’organizzazione, disciplinarli e fornirgli un chiaro piano di
azione. C’erano, ovviamente, molti rischi implicati in tutto ciò. Gli
avventuristi, i disonesti, i criminali e in generale le figure più
losche, si sarebbero potute facilmente immischiare in questi gruppi, i
quali, una volta isolati dal movimento di massa, avrebbero potuto
degenerare e diventare indistinguibili dai semplici gruppi di banditi.
Inoltre, essi erano anche più facilmente soggetti all’infiltrazione da
parte di agenti e di spie. Generalmente è più facile infiltrarsi in
organizzazioni terroristiche e militari che in un partito rivoluzionario
genuino, soprattutto quando questi ultimi sono composti da quadri tenuti
insieme da forti legami ideologici. Lenin era ben consapevole di tutti
questi rischi. Finché i gruppi guerriglieri rappresentavano un sostegno
al movimento di massa (in una ripresa rivoluzionaria) giocavano un ruolo
progressista. Ma quando si separavano dalle masse, tendevano
inevitabilmente a degenerare. Per questo motivo, Lenin considerava
completamente inammissibile un prolungamento della loro esistenza, una
volta stabilito che il movimento rivoluzionario era in un declino
irreversibile. Quando quel momento arrivò, Lenin si dichiarò per il loro
scioglimento.
Il Che scrisse articoli
e libri sulla teoria e sulla pratica della lotta di guerriglia.
Dall’esperienza vissuta in Guatemala, arrivò alla conclusione che la
classe dominante doveva essere rovesciata attraverso un’insurrezione
armata. E ciò è del tutto corretto. La storia mostra come nessuna classe
dominante abbia lasciato il potere e i suoi privilegi senza combattere.
I marxisti non sono pacifisti. Le masse devono essere preparate a
combattere e a usare qualsiasi mezzo necessario per disarmare la classe
dominante.
Ne La Guerra di
Guerriglia Che Guevara prende il modello cubano di rivoluzione come
un modello applicabile in ogni paese. In esso un piccolo gruppo di
guerriglieri (foco) effettua un’insurrezione armata senza la necessaria
organizzazione delle masse popolari. Questo era un grossissimo errore,
come i tragici eventi successivi dimostrarono. La rivoluzione cubana
colse di sorpresa gli imperialisti: non si aspettavano che i
guerriglieri potessero affermarsi così facilmente. L’imperialismo fecero
un errore (che gli costò molto caro). Poi, però, studiarono e impararono
da quell’esperienza e non si fecero più cogliere impreparati. Studiarono
la teoria della guerra di guerriglia, compresi gli scritti del Che:
erano pronti e aspettavano. Non appena il primo foco guerrigliero si
formò, loro intervennero per distruggerlo. Non diedero alla guerriglia
il tempo di stabilire una solida base e i contatti con la popolazione
rurale. Questo è ciò che accadde in Bolivia.
La lotta di guerriglia
poteva avere qualche senso in una società arretrata e prevalentemente
agricola, come la Cina prima del 1949. Ma non aveva nessun senso in
tutti quei paesi come il Cile o l’Argentina dove la classe contadina è
una minoranza e dove la maggior parte delle persone vive nelle città.
Come già è stato detto, nonostante l’arretratezza della Russia zarista e
nonostante l’esiguo numero della sua classe operaia, anche Lenin
sosteneva la centralità del proletariato e il ruolo ausiliare della
lotta guerrigliera, che doveva sempre avere un profondo legame col
movimento rivoluzionario di massa.
In Argentina, Uruguay,
Messico, Venezuela e in altri paesi, i tentativi di imitare
meccanicamente i metodi della guerriglia a Cuba furono tutti sconfitti.
Particolarmente negativa fu l’idea della cosiddetta “guerriglia urbana”.
Questa, nonostante venisse presentata dai suoi sostenitori come qualcosa
di completamente nuovo, era solamente la ripetizione della vecchia idea
del terrorismo individuale sotto una nuova forma. Tutte queste tattiche
finirono in sanguinose sconfitte e brutali repressioni. Il movimento
perse migliaia di giovani quadri che avrebbero potuto giocare un
importante ruolo nello sviluppo di un movimento rivoluzionario di massa.
Questo è stato il più grande errore e la parte negativa dell’eredità del
Che. Le sette dell’estrema sinistra furono, e sono tutt’ora, incapaci di
comprendere il vero lascito positivo di questo grande rivoluzionario,
non facendo altro che ripetere, invece, quello che è stato un suo grave
errore.
Internazionalismo
Il vero messaggio del
Che dal quale dobbiamo imparare e che dobbiamo capire è il suo
internazionalismo: la giusta idea che la rivoluzione socialista non è un
atto nazionale e isolato, ma è la parte di una catena che può essere
completata soltanto con la vittoria del socialismo su scala mondiale. Il
movimento rivoluzionario odierno in America Latina è la prova che il Che
aveva ragione.
La rivoluzione cubana
fin dall’inizio era ispirata dall’internazionalismo rivoluzionario.
Questo era rappresentato dal Che, un eccellente leader della
rivoluzione. Che Guevara era nato in Argentina, combatté sulla linea del
fronte nella rivoluzione cubana e, successivamente, morì in Bolivia. Che
Guevara era un vero internazionalista e un cittadino del mondo intero.
Come Bolivar, anche lui faceva propria la prospettiva di una rivoluzione
latinoamericana.
Il Che non era un
sognatore e un utopista. Il Che era un rivoluzionario molto realista.
Non è un caso che cercò di estendere la rivoluzione in altri paesi, non
solo latinoamericani, ma anche in Africa. Lui capì molto bene che, in
ultima analisi, il futuro di Cuba sarebbe stato determinato da questo.
Fin dall’inizio il
destino della rivoluzione era legato agli eventi su scala mondiale: come
potrebbe essere altrimenti,considerando che fu minacciata già nel
momento della sua nascita dal più potente stato imperialista sulla
terra? La rivoluzione a Cuba ebbe un fortissimo impatto a livello
mondiale, ma soprattutto in America Latina e nei Carabi. Il Che cercò di
accendere quella scintilla che avrebbe potuto infiammare tutto il
continente. Forse fece qualche errore sul “come” fare questo, ma nessuno
può mettere in dubbio che la sua intenzione e la sua idea fondamentale
erano completamente corrette. L’unico modo per salvare la rivoluzione
cubana era estenderla al continente latinoamericano.
Oggi, il destino della
rivoluzione a Cuba è legato con quello della rivoluzione venezuelana.
Entrambe si influenzeranno a vicenda: se la rivoluzione in Venezuela
viene sconfitta, anche la rivoluzione cubana sarà in grave pericolo; e
viceversa. Ogni sforzo deve essere speso per evitare questo. In
Venezuela la rivoluzione ha già fatto miracoli, ma non è ancora finita.
Come a Cuba, anche
quella venezuelana è incominciata come rivoluzione nazional-democratica.
Nelle sue fasi iniziali, il programma sostenuto da Hugo Chavez era un
programma avanzato democratico-borghese. Ma la storia (dalla quale
bisogna imparare) e l’esperienza hanno mostrato che l’imperialismo e
l’oligarchia sono nemici mortali della democrazia. Non si fermeranno
davanti a niente se il loro obbiettivo è distruggere la rivoluzione.
Quindi, cercare di limitare la Rivoluzione Bolivariana alla fase
democratico-borghese significherebbe spianare la strada per
l’inevitabile fallimento della rivoluzione. Perché l’imperialismo USA è
così deciso a stroncare il processo venezuelano? Perché gli effetti
della rivoluzione si propagherebbero, e in realtà già si stanno
propagando, in tutto il continente.
Gli imperialisti sono
terrorizzati che Cuba e il Venezuela possano esserne i punti focali e,
quindi, sono determinati a liquidarle.
La crisi del
capitalismo ha avuto effetti devastanti in America Latina. Ciò ha
portato a conseguenze rivoluzionarie. Le condizioni per la rivoluzione
sono mature ovunque. Infatti, attualmente non c’è un solo regime
capitalista stabile dalla Terra del fuoco al Rio Grande. Con una
corretta leadership, non ci sono motivi perché non si affermino delle
rivoluzioni proletarie in uno o più paesi dell’America Latina nel
prossimo periodo. Ciò che è necessario, non è il nazionalismo o delle
alleanze con le borghesie nazionali, ma un programma socialista
rivoluzionario e un internazionalismo proletario rivoluzionario.
Conclusioni
Dopo la sua tragica
morte ci furono diversi tentativi di trasformare il Che in un’icona
inoffensiva, una semplice faccia su una maglietta. Spesso ci viene
presentato come un utopista e idealista. Questo è un atteggiamento
indegno nei confronti della memoria di un grande rivoluzionario! Nel
novembre del 2005, il magazine tedesco “Der Spiegel” descriveva
i “rivoluzionari pacifisti”d’Europa come eredi di Gandhi e Guevara. Che
parodia incredibile! Dovremmo costituire una “Società per la Protezione
di Che Guevara” contro quelle persone che non hanno nulla a che fare con
il marxismo, la lotta di classe e la rivoluzione socialista. Dobbiamo
proteggere il Che e le sue idee da chi vorrebbe dipingercelo come una
sorta di santo rivoluzionario, un romantico piccolo borghese, un
anarchico, un pacifista gandhiano e altre stupidaggini e falsificazioni
di questo tipo. Il Che era un rivoluzionario, un socialista, un
internazionalista.
In Stato e Rivoluzione,
Lenin scrisse: “Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso
accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei
capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi
dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la
loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre
accolta con il più selvaggio furore, con l'odio più accanito e con le
più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si
cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così
dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a
"consolazione" e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota
del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la
si avvilisce.”
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