STORIA


La vita di Ernesto Che Guevara
 

 

 

 

 

 

BREVE STORIA DEL CHE

di Alan Woods

 

 

Ernesto Guevara de la Serna nasce nel 1928 in Argentina. La sua era una famiglia della classe media, piccolo borghese. Da bambino non soffriva la fame o la povertà, a differenza di molti altri bambini dell’America Latina. Ernesto soffriva, però, fin da piccolo di una forte asma. Questo può sembrare un piccolo e inutile particolare, ma in realtà gli condizionerà tutta la vita. Nel suo scritto, “Forty years since the death of Che Guevara”, A.Woods sottolinea come il suo spirito ribelle e avventuroso fu legato anche a questo suo problema di salute. Ernesto spese tutta la sua vita cercando di dominare questo problema, spingendosi deliberatamente fino ai limiti della umana sopportazione. La sua ferrea determinazione di superare tutte le difficoltà può anche essere ricollegata a questo.

Il suo istinto umanitario lo portò al conseguimento della laurea in medicina. Si specializzò in dermatologia e fu particolarmente interessato allo studio della lebbra. In questo periodo i suoi orizzonti non andavano oltre quelli di tanti altre persone della classe media: lavorare molto, ottenere una laurea in medicina, trovare un buon posto di lavoro e, forse, fare nuove e originali ricerche nel campo medico e far avanzare la conoscenza umana attraverso qualche incredibile scoperta.

Come molti giovani, anche Guevara amava viaggiare e nel 1951 parte con Alberto Granado per un viaggio in moto risalendo l’America Latina. Questo viaggio si rivelò importantissimo per lo sviluppo delle sue idee politiche. Nel lebbrosario di San Pablo, in Perù, tenne un discorso nel quale compariva bene il collegamento tra la medicina e le sue idee. Qui affermò che “la divisione dell’America in nazioni instabili e illusorie è una completa finzione”,sottolineando come i latino americani siano un’unica etnia e concludendo il discorso con “un brindisi al Perù e all’America Unita”.

Questo viaggio era l’inizio di una lunga odissea che lentamente gli aprì gli occhi nei confronti della realtà del mondo nel quale viveva. Per la prima volta nella sua vita entrava in contatto con le masse oppresse del continente e sposò la loro causa. Lo stesso fervore intellettuale che mostrava per i suoi studi in medicina si spostava ora verso lo studio della società. Improvvisamente tutte le sue iniziali ambizioni personali sembrarono banali e poco interessanti. Dopo tutto, un dottore può curare singoli pazienti. Ma chi può curare le terribili malattie della povertà, analfabetismo, mancanza di abitazioni e oppressione? Così come non si può curare il cancro con l’aspirina, non si possono curare i mali fondamentali della società con calmanti e mezze misure.

Lentamente nella mente di questo giovane stava crescendo e maturando una idea rivoluzionaria. Lui non divenne immediatamente un marxista. Guevara pensava e leggeva molto: un’abitudine che non l’avrebbe più abbandonato per tutto il resto della sua vita. Iniziò a studiare il marxismo: gradualmente, impercettibilmente, e inevitabilmente,  si convinse che il problema delle masse non poteva essere risolto senza misure rivoluzionarie.

Nel dicembre del 1953 Guevara arrivò in Guatemala come rivoluzionario, anche se le sue idee erano ancora in una fase formativa, e con la volontà di apprendere per diventare un reale rivoluzionario ( “In Guatemala mi perfezionerò e colmerò tutte quelle mancanze che mi mancano per essere un vero rivoluzionario”).  In quel periodo in Guatemala c’era il presidente Arbenz Guzmàn che guidava un governo riformista. La volontà iniziale del Che era di vedere e capire il processo riformista in corso nel paese. Arbenz Guzmàn stava infatti cercando di portare a termine la riforma agraria e di demolire il sistema latifondista. Purtroppo, però, Guevara non riuscì a vedere compiute quelle politiche: la CIA e la United Fruit Company non erano della stessa opinione di Guzmàn. Avevano ben altre idee e organizzarono un colpo di stato guidato da Carlos Castello Armas, con l’appoggio dell’aviazione statunitense. Guevara si unì immediatamente alla milizia armata organizzata dalla Gioventù comunista. Ma ne rimase fin da subito deluso per l’inattività del gruppo. Dopo il colpo di stato iniziarono gli arresti e il Che si rifugiò nel consolato argentino fino a quando non ottenne un pass per l’uscita dal paese.

L’esperienza del colpo di stato appoggiato dagli USA contro il governo progressista gli confermò la correttezza delle idee maturate in lui negli ultimi anni e lo portò a determinate conclusioni sul ruolo degli Stati Uniti in America Latina. Questi ultimi giocavano un importante ruolo di potenza imperialista che fungeva da baluardo di tutte le forze reazionarie del continente. Ogni governo che avesse cercato di cambiare la società avrebbe inevitabilmente dovuto fronteggiare l’implacabile opposizione di un nemico potente e spietato.

Il Che aveva visto con i propri occhi la fatale debolezza del riformismo e questo gli confermò la convinzione che il socialismo si sarebbe potuto ottenere soltanto attraverso la lotta armata.

Arrivato a Città del Messico nel 1954, Guevara entrò in contatto con gli esuli cubani che aveva conosciuto in Guatemala. Incontrò poi Raùl Castro e, successivamente, Fidel Castro.

Nel 1956 il Che si unì al movimento “26 luglio”, guidato da Fidel Castro, che aveva ingaggiato una feroce lotta contro la dittatura di Batista a Cuba e stavano preparando un piano per il suo rovesciamento. I due rivoluzionari si ritrovarono immediatamente: Castro aveva bisogno di uomini affidabili e il Che cercava una organizzazione e una causa per la quale combattere.

Spedizione a Cuba

Inizialmente al Che venne affidato il ruolo di medico. La sua debole salute non lasciava intravedere una costituzione fisica da combattente. Tuttavia, partecipò all’avventura militare fianco a fianco con gli altri membri del Movimento e diede prova del proprio valore.

Il 25 novembre del 1956 i rivoluzionari cubani si imbarcarono sul Granma, alla volta di Cuba.

La spedizione venne distrutta quasi del tutto già allo sbarco sull’isola. Questo avvenne in un posto sbagliato e poco dopo vennero raggiunti in una palude, dove furono attaccati dalle truppe governative. Circa metà dei ribelli furono uccisi o giustiziati dopo la cattura. Solo 15 – 20 sopravvissero e riuscirono a scappare nelle montagne della Sierra Maestra. Da qui iniziò una guerra di guerriglia contro la dittatura di Batista.

Nonostante le difficoltà iniziali le azioni dei ribelli riuscirono ad infondere coraggio e ottimismo nelle masse e soprattutto tra i giovani. Le nuove reclute riempirono le fila dell’esercito guerrigliero che si diffondeva in tutta la parte orientale dell’isola. Il Che abbandonò il suo ruolo di medico per svolgere appieno il suo “dovere come soldato rivoluzionario”.

Ma la principale forza della guerriglia stava nella debolezza cronica del vecchio regime, che era completamente marcio per la sua corruzione e decomposizione. Nonostante l’appoggio, i soldi e le armi dell’imperialismo americano, Batista era incapace di arrestare l’avanzata della rivoluzione. I suoi soldati non ne volevano sapere di rischiare la propria vita per difendere un regime completamente malato. Fortemente indeboliti da una serie di imboscate nei punti più alti della Sierra Maestra, l’esercito era già del tutto demoralizzato quando venne lanciata l’offensiva finale.

In questa campagna il Che divenne “Comandante”, guadagnandosi un’enorme reputazione per coraggio, audacia e abilità militare. Da quel momento lui era secondo solo a Fidel Castro stesso. Alla fine del dicembre del 1958, il Comandante Guevara e la sua colonna si diressero verso ovest per l’offensiva finale verso L’Avana. Questa colonna eseguì la parte più pericolosa nell’attacco decisivo a Santa Clara. Gli ordini finali all’esercito ribelle arrivarono da Palma il 1 gennaio 1959, ma il colpo decisivo che stroncò una volta per tutte la dittatura di Batista  fu lo sciopero generale dei lavoratori dell’Avana. L’intero edificio crollò su se stesso come un castello di carta. I generali di Batista cercarono di negoziare una pace separata coi ribelli e quando Batista ne venne a conoscenza scappò nella Repubblica Dominicana.

Presa del potere

Il vecchio stato borghese fu distrutto e al suo posto ne venne formato, o piuttosto improvvisato, un altro sulle basi dell’esercito guerrigliero, nelle cui mani passò il potere. I marxisti di tutto il mondo gioirono per la vittoria della Rivoluzione Cubana. Esso rappresentò un importante colpo sferrato all’imperialismo, al capitalismo e alla vecchia aristocrazia terriera. Colpo inferto proprio davanti al cortile di casa del più potente stato imperialista della storia. Tutto ciò diede grandi speranze alle masse oppresse di tutto il mondo. Tuttavia, il modo in cui si arrivò alla conquista del potere fu completamente diverso rispetto alla Rivoluzione Russa nell’ottobre del 1917. Non ci furono né soviet né classe operaia. Sebbene quest’ultima garantì la vittoria finale della Rivoluzione attraverso lo sciopero generale, il proletariato non giocò un ruolo guida.

In molti hanno spiegano come questo sia, in realtà, irrilevante: ogni rivoluzione è diversa, non ci può essere un modello applicabile in tutti i casi, e cosi via. Sotto alcuni punti di vista questo è vero.  Ogni rivoluzione ha le sue caratteristiche e le proprie peculiarità, corrispondenti alle diverse condizioni reali e concrete, al diverso rapporto di forza tra ogni classe sociale, alla storia e alle tradizioni dei vari paesi. Ma questa osservazione, seppur giusta, rimane comunque parziale e non risolve completamente il problema.

Marx spiegò come i lavoratori non possono semplicemente impossessarsi del vecchio apparato statale e utilizzarlo per cambiare la società. All’indomani della Comune di Parigi, nel 1871, Marx spiegò anche che il vecchio stato potrebbe non rivelarsi uno strumento utile per il cambiamento della società. Deve essere distrutto e sostituito da un nuovo potere statale, uno stato operaio, che dovrebbe essere completamente diverso dal precedente. Esso dovrebbe essere, per utilizzare le parole di Engels, un semi-stato destinato ad estinguersi nella società socialista:

La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l'agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo stato passarono nelle mani della Comune.

Sbarazzarsi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza materiale del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della repressione spirituale, il "potere dei preti", sciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti. I sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli.

Questo non ha assolutamente nessuna relazione con il regime burocratico totalitario della Russia stalinista, dove lo stato era un mostruoso potere repressivo che si elevava al di sopra della società. Anche la parola “dittatura” ai tempi di Marx aveva una connotazione completamente differente da quella odierna. Dopo l’esperienza di Stalin, Hitler, Mussolini, Franco, Pinochet, la parola “dittatura” è stata abbinata ai campi di concentramento , alla Gestapo e al KGB. Ma in realtà, con questa parola, Marx intendeva la dittatura della Repubblica romana, dove in uno stato di emergenza (solitamente la guerra) il solito meccanismo democratico veniva temporaneamente sospeso e un dittatore governava per un periodo di tempo limitato con poteri eccezionali.

Lontano anni luce da un mostro totalitario, la Comune di Parigi era una forma molto democratica di governo popolare. Era uno stato costruito in modo tale da essere destinato a scomparire (un semi-stato, appunto).

Lenin e i bolscevichi modellarono lo stato Sovietico sulle stesse basi, dopo la Rivoluzione d’ Ottobre. In Russia i lavoratori presero il potere attraverso i Soviet, i quali erano gli organi più democratici di rappresentanza popolare fino a quel momento (e anche fino ad oggi) inventati. Nonostante le terribili condizioni di arretratezza, la classe operaia russa godeva di importanti diritti democratici. Nel 1919 si specificava che tutti i lavoratori, senza eccezione alcuna, dovevano prendere parte all’amministrazione dello Stato operaio. La direzione dell’economia pianificata era principalmente nelle mani delle organizzazioni sindacali (all’epoca ancora indipendenti).

In ogni rivoluzione dove il ruolo principale non è giocato dalla classe operaia ma da altre forze,  certe cose tenderanno inevitabilmente a scomparire. C’è sempre una tendenza dello stato di elevarsi al di sopra della società e anche le persone migliori possono essere corrotte o possono perdere il contatto con le masse in determinate circostanze. E’ questo il motivo per il quale Lenin scrisse le famose quattro condizioni per il potere operaio:

1-    Elezioni libere e democratiche di tutte le cariche, con diritto di revoca per tutti i funzionari pubblici

2-    Nessun funzionario deve ricevere uno stipendio superiore a quello di un operaio specializzato

3-    Nessun esercito permanente, ma un popolo armato sotto forma di milizie popolari

4-     Gradualmente, si deve arrivare ad una situazione in cui tutti partecipano alla gestione della società. Quando ognuno è burocrate, nessuno è burocrate. (“Ogni cuoco deve poter fare il primo ministro”)

Queste condizioni non erano un puro capriccio di Lenin. In una economia pianificata e nazionalizzata è assolutamente necessario assicurarsi la massima partecipazione delle masse nelle decisioni sul funzionamento dell’industria, della società e dello stato in generale. Senza tutto ciò tenderanno inevitabilmente a formarsi burocrazia, corruzione e tutti i tipi di mala gestione possibili, che alla fine porterebbero alla distruzione dall’interno dell’economia pianificata. E questo è proprio ciò che è accaduto in URSS. Tutti questi punti sollevati da Lenin, e confermati dagli eventi storici, ebbero una influenza fondamentale sul pensiero del Che, sugli eventi cubani e sono, tuttora, di importanza vitale per Cuba e per i suoi prossimi sviluppi politici.

Il Che nel nuovo Stato rivoluzionario

Il Che occupò vari posti nell’amministrazione rivoluzionaria: lavorò all’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, fu presidente della Banca Nazionale di Cuba, divenne Ministro dell’Industria. In tutti gli incarichi che ricoprì, il Che rifiutò sempre il salario ufficiale a cui avrebbe avuto diritto, riscuotendo unicamente il suo basso stipendio da comandante dell’esercito. In questo modo, il suo scopo era quello di dare un”esempio rivoluzionario”. Così facendo seguiva alla lettera, non solo nella teoria ma anche nella pratica, i principi rivoluzionari spiegati da Lenin in Stato e Rivoluzione sul salario operaio di un funzionario statale.

Il Che era un rivoluzionario “istintivo”. Era incorruttibile e detestava la burocrazia, il carrierismo e i privilegi. Era disgustato dagli atteggiamenti dei vari burocrati che poteva osservare anche dopo la vittoria della Rivoluzione.

Più volte sì espresse in contrasto con la posizione ufficiale del PCUS  sotto Kruscev.  Si opponeva alla teoria della coesistenza pacifica. Non gli piaceva l’attitudine servile di alcuni cubani verso Mosca e la sua ideologia. La sua visita in Russia e nell’Europa dell’est lo colpì duramente, si disilluse e si allontanò dallo Stalinismo. Divenne sempre più critico verso l’Unione Sovietica e verso i suoi leaders. Fu questo il motivo che inizialmente portò le sue simpatie più vicino alla Cina, durante il conflitto Sovietico-Cinese. Ma dipingere il Che come un maoista è fargli una profonda ingiustizia.  Non ci sono motivi per credere che lui si sentisse più a casa nella Cina di Mao che nella Russia di Kruscev. Il motivo che lo faceva apparire favorevole alla Cina era che i cinesi criticavano la decisione di Mosca sulla rimozione di togliere i missili sovietici da Cuba: atto che il Che vedeva come un tradimento. E’ impossibile fare una classificazione ordinata del Che e del suo pensiero. Aveva un carattere molto complesso, che lo portava sempre alla ricerca della verità. I dogmi dello stalinismo erano l’assoluta antitesi del suo modo di pensare. Era disgustato da ogni tipo di servilismo burocratico, dal conformismo e detestava ogni sorta di privilegio.

Come ministro dell’industria, Guevara dovette lottare con i problemi relativi alla costruzione di una economia socialista pianificata in difficili condizioni come erano quelle della Rivoluzione Cubana e anche in questo settore fu più volte disgustato dagli atteggiamenti e dai privilegi riservati alla burocrazia.

Oltre ad un estensivo piano di educazione politica che includeva lo studio di Marx, Engels, Lenin e Stalin, propose anche uno studio degli scritti di Leon Trotsky. Quest’ultimo era da lui considerato come un marxista eterodosso. Questo suo atteggiamento era ben differente da quello tenuto dai seguaci di Mao Tse Tung, che descrivevano Trotsky come un controrivoluzionario e come un nemico del socialismo. Il suo interesse per le idee di Trotsky andava, anzi, aumentando mano a mano che cresceva la sua disillusione verso i regimi burocratici della Russia e dell’est Europa. Che Guevara era un grande lettore e si portò con se molti libri nella sua ultima campagna di Bolivia. Tra questi, significativamente, c’erano i libri di Trotsky: La Rivoluzione permanente e Storia della Rivoluzione Russa. Dato le condizioni estremamente difficili  della guerriglia in montagna e nella giungla, un guerrigliero porta con se solo ciò che considera realmente essenziale: questo ci dice un sacco di cose su come il Che la pensava in quel momento e su quale direzione stava prendendo il suo pensiero negli ultimi anni della sua vita.

Sulla violenza rivoluzionaria

Dopo l’abbattimento del regime, a Che Guevara venne assegnato il ruolo di “procuratore generale”. Come comandante della prigione La Cabana, dovette gestire i processi e le esecuzioni di centinaia di sospettati in crimini di guerra durante il regime precedente, ex ufficiali del regime di Batista e membri del “Ufficio per la repressione delle attività comuniste” (unità della polizia segreta). Oggi questo è utilizzato come scusa per tutta una serie di attacchi contro la figura del Che, ritenuto responsabile di una inutile e brutale repressione e presentatoci come un “macellaio”.

Solone, che scrisse la costituzione ateniese e una o due cose sul funzionamento del diritto le sapeva, disse: “La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi”. La legge non è mai stata al di sopra degli interessi delle classi che si celano dietro ad essa.  La borghesia si nasconde dietro la cosiddetta imparzialità della legge per mascherare la dittatura delle grandi banche e dei monopoli:quando alla classe dominante tutto ciò non basta più, la maschera viene gettata e la dittatura viene esercitata apertamente.

Le persone che furono giustiziate a La Cabana erano noti sostenitori della dittatura di Batista che torturarono e uccisero molte persone senza nessun processo, erano informatori che spiavano le persone e le facevano arrestare, torturare e morire ed erano anche gli stessi. Questi erano coloro che furono consegnati ai plotoni di esecuzione rivoluzionari.

Gli stessi farisei della classe media che si lamentano su quelle esecuzioni sono quelle stesse persone che sostenevano la “pace e riconciliazione” in posti come Cile, Argentina e Sud Africa. Sono gli stessi autori di quelle oscene e fasulle “commissioni di verità” dove gli assassini e i torturatori si incontravano faccia a faccia con le loro vittime, con vedove e orfane , con persone che soffrirono torture indescrivibili o furono imprigionati per anni per le proprie idee. E alla fine di tutto questo loro pensano di essersi riconciliati e “in pace”. Questa cosiddetta pace e riconciliazione non è nient’altro che un crudele inganno e la cosiddetta “commissione di verità” non è nient’altro che un’omissione della verità: non potranno mai esserci pace e riconciliazione tra assassini e torturatori e le loro vittime, che stanno ancora piangendo dalla loro tomba per la giustizia che mai giunta. E’ assolutamente intollerabile che oggi noti assassini e torturatori possano camminare liberamente per le strade di Santiago, Buenos Aires e Johannesburg, e le loro vittime siano costrette a vivere al corrente di tutto ciò.

E’ stata una buona cosa permettere a Pinochet di morire di vecchiaia e in pace nel suo letto? O non sarebbe stato meglio per queste masse di assassini essere processate dai famigliari delle loro vittime? Una violazione dei principi della legalità, dicono i Farisei! Un atto di vera giustizia rivoluzionaria, rispondiamo noi! Predicare amore e riconciliazione nel bel mezzo della lotta di classe è un crimine: il debole e l’indifeso è sempre quello che deve mostrare amore e riconciliazione, mentre il ricco e il potente trovano sempre un modo per sfuggire alle conseguenze dei loro crimini. “L’odio è parte della lotta” scrisse Che Guevara, spiegando che è l’inflessibile odio del nemico che permette di andare oltre i limiti umani e “ci trasforma in efficaci, violente, selettive e fredde macchine mortali. I nostri soldati devono essere così; un popolo senza odio non può sconfiggere un nemico brutale”. Parole dure? Si, ma la lotta di classe è dura e le conseguenze delle sconfitta sono terribilmente serie e spesso anche mortali. Cuba è a soli 90 miglia dalla nazione imperialista più potente sulla terra. Non molto tempo dopo questi eventi l’imperialismo americano organizzò un’invasione da parte di quegli stessi agenti di Batista che il Che non riuscì a portare davanti al plotone di esecuzione.

Nella storia ci sono state molte sollevazioni degli oppressi contro i loro oppressori. In ognuna di essa si può vedere come la classe dominante sia sempre pronta ad utilizzare i metodi più brutali e sanguinari per continuare a mantenere il proprio dominio.  Solo per fare un esempio, ricollegandoci a quanto si diceva precedentemente, dopo il rovesciamento di Arbenz Guzmàn e del suo governo democraticamente eletto, in Guatemala ci fu una sanguinosa guerra: la classe dominante diede il via ad un terribile genocidio contro il suo stesso popolo, ovviamente con l’appoggio della CIA. Altri paesi non furono da meno: Pinochet fece uccidere e torturare decine di migliaia di persone; in Argentina, sotto la Giunta militare, ci furono vere e proprie carneficine. Nel caso di Cuba, il regime di Batista, appoggiato dagli USA, uccise e torturò moltissimi oppositori.

I cosiddetti democratici negli Stati Uniti e nell’Unione Europea fingono di rimanere scioccati davanti alla violenza rivoluzionaria che Cuba utilizzò, appena dopo la presa del potere, contro i suoi nemici, ma queste stesse persone erano pronte a coprirsi gli occhi di fronte ai crimini dei despoti controrivoluzionari amici dell’imperialismo americano. Come il Presidente F.D.Roosvelt  disse sul dittatore nicaraguese Somoza: “Lui è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”.

La borghesia affronta la questione della violenza da un punto di vista pratico e di classe. La classe operaia dovrebbe fare altrettanto. Il vero motivo di tutti quei pianti ipocriti e di indignazione contro la Rivoluzione Cubana (ma anche contro quella Russa) è che qui (come 42 anni prima in Russia) gli schiavi ricacciarono indietro i propri padroni, e vinsero. Inizialmente Castro non voleva spingersi fino alla nazionalizzazione e alla pianificazione dell’economia, né aveva alcuna prospettiva di tipo socialista. Dall’altra parte, invece, Che Guevara insisteva perché la Rivoluzione Cubana divenisse una rivoluzione socialista.

Nonostante gli intenti, la Rivoluzione entrò ben presto in contrasto con l’imperialismo americano, che cercò più volte di sabotare i tentativi cubani di portare a termine una riforma agraria e tutte quelle altre misure che permettessero di aumentare gli standard di vita delle masse. Le grandi aziende americane cercarono di sabotare l’economia cubana, e la prime nazionalizzazioni che Castro mise in atto furono proprio una risposta a quei tentativi: vennero nazionalizzate tutte le proprietà statunitensi a Cuba. I latifondisti e i capitalisti furono espropriati e queste misure entrarono ulteriormente in collisione con Washington. Come già detto, nella sua ultima spedizione in Bolivia il Che aveva con se “La Rivoluzione Permanente” di Trotsky. In questo libro si spiega come nei paesi coloniali ed ex coloniali, la rivoluzione democratico borghese non possa essere attuata dalla borghesia, ma possa essere realizzata solo dalla classe operaia, attraverso l’espropriazione dei latifondisti e dei capitalisti e con la trasformazione in senso socialista della società.

Gli imperialisti “democratici” risposero organizzando l’invasione dell’isola. I mercenari cubani furono armati e addestrati dalla CIA e incominciarono ad attuare un violento rovesciamento del governo rivoluzionario . La Rivoluzione si difese mobilitando e armando gli operai e i contadini. Nel frattempo le forze imperialiste sbarcarono alla Baia dei Porci, dove gli attendeva la prima sconfitta militare che l’imperialismo subiva in America Latina. Era la vittoria della Rivoluzione.

Se le forze reazionarie si fossero rimpossessate del potere, cosa avrebbero fatto? Avrebbero forse invitato gli operai e contadini cubani ad unirsi a loro in una celebrazione universale di amore fraterno e riconciliazione? Avrebbero forse costituito una commissione di verità e invitato il Che e Fidel a parteciparvi? No. Loro non avrebbero riempito una sola Cabana, ma cento di esse con le loro vittime. Solo un cieco può non capirlo. Ma non c’è nessuno più ceco di chi non vuole vedere.

La rivoluzione mondiale

La rivoluzione cubana era in pericolo. Ma come poteva essere salvata? L’idea di Che Guevara era giusta ed egli si mosse nella direzione giusta prima che la sua giovane vita venisse brutalmente stroncata. Si oppose radicalmente alla burocrazia, alla corruzione e ai privilegi, i quali sono tutt’oggi la più grande minaccia per la Rivoluzione Cubana e, se non corretti, spianeranno la strada alla restaurazione del capitalismo nell’isola. Soprattutto egli comprese che il solo modo possibile per salvare la Rivoluzione era estendere la rivoluzione socialista al resto del mondo, iniziando dall’America Latina.

I suoi discorsi contro la burocrazia e le sue critiche all’Unione Sovietica divennero sempre più frequenti mano a mano che l’influenza dell’URSS a Cuba aumentava. In generale lui divenne sempre più scettico nei confronti dell’Unione Sovietica. Accusò pubblicamente Mosca di tradire la rivoluzione coloniale. Nel febbraio del 1965, in quella che si rivelerà essere la sua ultima apparizione in pubblico, tenne un discorso al Secondo Seminario Economico sulla Solidarietà Afro-Asiatica in Algeria in cui fece una esplicita condanna alla politica della coesistenza pacifica perseguita da Mosca. (“La vittoria di ogni paese contro l’imperialismo è una nostra vittoria, così come ogni sconfitta è anche una nostra sconfitta”; “I paesi socialisti hanno il dovere morale di cessare la loro tacita complicità con i paesi sfruttatori dell’occidente”). Il Che considerava il ritiro dei missili sovietici da Cuba, senza la consultazione di Fidel Castro, come un tradimento. Sosteneva entusiasticamente il popolo vietnamita nella loro guerra di liberazione contro l’imperialismo americano. Fece appello ai popoli oppressi degli altri paesi di imbracciare le armi e creare “100 Vietnam”: tutto questo terrorizzava Kruscev e la burocrazia di Mosca.

Nella mente di Che Guevara stava lentamente maturando l’idea che l’unico modo per salvare la rivoluzione a Cuba era quello di diffondere la rivoluzione su scala mondiale. Questa idea era fondamentalmente corretta. L’isolamento della Rivoluzione era la più grande minaccia alla sua sopravvivenza. Il Che non era un uomo che permetteva che un’idea corretta rimanesse solo sulla carta. Decise così di tradurla in azione.

Che Guevara lasciò Cuba nel 1965 per partecipare alla lotta rivoluzionaria in Africa. La località nella quale si spostò rimase segreta per i due anni successivi. In una lettera scritta appena prima della sua partenza, dichiarava la sua intenzione di lasciare Cuba per combattere all’estero per la causa della rivoluzione e che aveva deciso di andare e combattere come guerrigliero in nuovi terreni di battaglia. Per non imbarazzare il governo cubano e non fornire scuse agli imperialisti per attaccare l’isola, rassegnò le dimissioni da tutti i suoi incarichi governativi, nel partito e nelle forze armate, rinunciando, inoltre, alla sua cittadinanza cubana.

Congo

In quel periodo l’Africa era in fermento. I colonialisti francesi furono cacciati dall’Algeria e l’imperialismo belga fu costretto a lasciare il Congo. Ma gli imperialisti si erano preparati una azione di retroguardia alleandosi con il regime dell’apartheid in Sud Africa e con gli elementi più reazionari dei vari paesi del continente. Ciò che gli interessava era la vasta ricchezza mineraria dell’Africa.

Il Che arrivò alla conclusione che questo era il miglior posto in cui combattere, perché quella situazione sembrava avere un enorme potenziale rivoluzionario e pareva essere il posto in cui l’imperialismo era più debole.

In Congo l’imperialismo francese e belga sabotarono il governo di sinistra di Lumumba, crearono il caos e utilizzarono questa situazione come pretesto per un intervento militare. Con la collaborazione attiva della CIA, le forze reazionari guidate da Mobutu assassinarono Lumumba e preso il potere. Si formò un esercito guerrigliero, guidato dai sostenitori di Lumumba, che iniziò ad agire nella zona. L’operazione cubana, guidata dal Che, consisteva nell’appoggiare e sostenere attivamente i ribelli.

Tuttavia, il Che rimase quasi subito deluso dai suoi alleati congolesi. Egli aveva ben poca ammirazione per l’abilità del leader del movimento guerrigliero, Laurent Kabila. Guevara sosteneva che i rivoluzionari cubani e russi che stavano al suo fianco combattevano per una causa nella quale credevano; ma in Congo, la lotta antimperialista era un miscuglio di divisioni tribali, ambizioni personali e corruzione. Tutto ciò, venne poi dimostrato con gli eventi successivi: nel 1997, Kabila, dopo aver rovesciato Mobuto ed essere diventato Presidente della Repubblica Democratica del Congo, si comportò come un vero e proprio tiranno corrotto (fino al 2001, anno in cui venne assassinato e sostituito dal figlio).

La CIA e i mercenari sudafricani lavoravano al fianco di Mobutu per sconfiggere i ribelli. I servizi di intelligence americani scoprirono presto la presenza del Comandante Che Guevara tra i guerriglieri. Nel suo diario del Congo il Che parla dell’incompetenza, della stupidità e della poca voglia di combattere delle forze congolesi locali: furono proprio queste le ragioni principali che portarono al fallimento dei ribelli. E’ importante però sottolineare come, senza l’aiuto cubano, la rivolta sarebbe stata sconfitta molto prima. Dopo sette mesi di frustrazioni e sofferenze (dovute alle forti crisi asmatiche, alla dissenteria e alla disillusione nei confronti dei suoi alleati) il Che lasciò il Congo con i suoi compagni afro-cubani sopravvissuti. Successivamente, riferendosi alla missione in Congo, dirà: “Questa è la storia di un fallimento”.

Bolivia

Dopo il fallimento congolese, il Che cercò di aprire un nuovo fronte in America Latina. Sembra che la scelta finale fosse ricaduta su questo paese per la sua posizione strategica, confinante con molti paesi importanti, tra cui l’Argentina.

Il Che fece chiaramente un grave errore quando cercò di organizzare una guerriglia in Bolivia, paese con una forte classe operaia e con grandi tradizioni rivoluzionarie. Che Guevara fece male i conti: si aspettava di trovarsi di fronte solo ad un esercito boliviano scarsamente addestrato e mal equipaggiato. Ma gli imperialisti avevano già imparato la lezione di Cuba e non si fecero trovare impreparati. Solo sette mesi dopo l’inizio dell’operazione in Bolivia la guerriglia era sconfitta e Che Guevara era morto. Solo cinque uomini riuscirono a sfuggire all’imboscata, preparata dall’esercito boliviano e dai loro “consulenti” statunitensi, che attendeva i ribelli.

Leggere oggi il Diario di Bolivia del Che è un’esperienza tragica e toccante. Le sofferenze psicologiche e mentali di questa piccolo gruppo di uomini sono indescrivibili. Il loro destino è straziante. Il campo base dell’esercito guerrigliero era situato nella giungla della regione remota del Nancahuazù. Ma costruire un esercito guerrigliero in determinate circostanze e condizioni può risultare una impresa estremamente difficile: questo è anche ciò che mostra il Diario di Bolivia.

Iniziare una rivoluzione nella giungla boliviana era un’impresa senza speranza fin dall’inizio. Il numero di guerriglieri non era superiore alle 50 persone circa. Il reclutamento tra la popolazione locale risultò assai complicato, anche perché nessuno parlava spagnolo. I guerriglieri impararono la lingua Quechua, ma la lingua locale era il Tupì-Guaranì.

Nonostante tutto, però, i guerriglieri mostrarono audacia e determinazione tremende e inizialmente conseguirono un buon numero di successi negli scontri con l’esercito boliviano. In settembre, però, l’esercitò riuscì a eliminare due gruppi guerriglieri, uccidendo uno dei leader. Da quel momento in poi la battaglia risultava persa in partenza. Più il tempo passava, più le condizioni di salute del Che si aggravavano. I suoi attacchi d’asma si facevano sempre più forte e frequenti.

Le autorità boliviane scoprirono la presenza di Guevara quando i guerriglieri, dopo uno scontro con l’esercito, persero una loro foto nella quale compariva anche il Che. Dopo averla vista, il Presidente Boliviano Barrientos esclamò che voleva la testa di Guevara su una lancia nel centro di La Paz. Anche in questo caso abbiamo un’autentica espressione  del pacifismo umanitario che caratterizza la borghesia, le stesse persone che criticano i rivoluzionari per la loro violenza.

Nonostante i tentativi di dipingerlo come un mostro assetato di sangue (quale leader rivoluzionario non è stato dipinto così?), Ernesto Che Guevara era una persona molto umana. In uno dei passaggi del suo Diario descrive un momento nel quale avrebbe potuto sparare ad un giovane soldato boliviano che gli era capitato sotto tiro, ma non riuscì poi a trovare la forza per premere il grilletto.

Il Che in persona curava i soldati feriti che venivano fatti prigionieri dai guerriglieri e per lasciarli successivamente liberi. Questo comportamento umano è in forte contrasto con quello che ricevette quando finì nelle mani dell’esercito boliviano. Ma, nonostante questo, anche da prigioniero si offrì di curare quei soldati boliviani che erano stati feriti in battaglia. L’ufficiale boliviano incaricato rifiutò questa sua offerta.

I guerriglieri dovettero fronteggiare innumerevoli ostacoli, non solo per la lingua, il tempo (pioveva quasi sempre) e il terreno. Sotto la direzione stalinista di Mario Monje, il Partito Comunista Boliviano era terribilmente ostile nei confronti di Guevara e della sua presenza in Bolivia. Gli stalinisti boliviani se ne riguardarono bene dal partecipare, o anche solo sostenere, la guerriglia. Secondo loro non c’erano motivi perché si dovesse lanciare un’offensiva rivoluzionaria in Bolivia. Quei militanti del Partito che decisero di unirsi a Che Guevara, lo fecero contro la volontà della direzione del Partito.

Un ruolo ignobile in tutto questo venne giocato da Regis Debray, un uomo che successivamente divenne famoso sfruttando la sua presunta relazione col Che. Spesso questa persona viene presentata come un “combattente col Che in Bolivia” e come “compagno del Che”. Tutto ciò è completamente falso. Debray non combatté mai e infatti, a causa di questo suo comportamento, causò non pochi problemi all’interno della guerriglia. Insieme al pittore argentino Ciro Bustos, tenevano più un atteggiamento da turisti che da combattenti, causando nient’altro che problemi. Il Che nutriva sospetti nei confronti di Debray fin dall’inizio. E questi si rivelarono poi giustificati. Sia Debray che Bustos sembravano completamente incapaci di sopportare le dure condizioni della vita da guerriglia e seccarono talmente tanto il Che che quest’ultimo gli permise di andarsene. Furono poi catturati entrambi dall’esercito e rilasciarono informazioni che si rivelarono di inestimabile valore per la ricerca dei ribelli. Bustos tradì i guerriglieri e divenne un informatore dell’esercito. Le informazioni rilasciate da entrambi risultarono fondamentali per la cattura di Che Guevara.

L’ultimo capitolo

Barrientos ordinò all’esercito di dare la caccia a Guevara. Fondamentalmente, però, eseguiva semplicemente gli ordini impartitigli dai suoi padroni a Washington. Quest’ultimi avevano da tempo posto una taglia sulla testa del loro nemico più odiato. Così, non appena Washington scoprì la sua posizione, la CIA e reparti delle forze speciali vennero inviate in Bolivia, dove presero parte alle operazioni. Istituirono un programma di addestramento contro-insurrezionale che comprendeva: l’utilizzo degli armamenti, il combattimento individuale, la tattica di squadra, il pattugliamento e una formazione anti-insurrezione. L’esercito boliviano era stato addestrato e rifornito da consiglieri e ufficiali statunitensi e da corpi speciali. Questi includevano un battaglione specializzato nel condurre operazioni nella giungla. Alla fine di settembre, grazie a un informatore, le forze speciali boliviane localizzarono il campo base del Che e dei suoi uomini. Il campo venne circondato l’8 di ottobre e dopo un breve conflitto a fuoco il Che fu catturato. Quando le forze boliviane gli si avvicinarono, si suppone il Che gli abbia gridato: “Non sparate! Sono Che Guevara e valgo più da vivo che da morto”. Utilizzando questa frase in molti hanno cercato di dipingerlo come un codardo. Questa è solo una delle tante bugie con le quali i reazionari cercano di oscurare la memoria di questo uomo che, al contrario, ha sempre dimostrato una grande audacia e una completa disattenzione per la sua sicurezza personale.

Barrientos non perse tempo nell’ordinare l’esecuzione di Che Guevara: l’ordine venne emesso appena arrivò l’informazione della sua cattura. Il Presidente Boliviano non sprecò neanche un secondo per adempiere alle formalità legali. Barrientos fece questo con il pieno appoggio e consenso dei democratici di Washington. Nessuno di loro avrebbe voluto correre il rischio di fare un processo dove Che Guevara potesse difendersi e, inevitabilmente, passare alla controffensiva, denunciando le ingiustizie sociali che giustificavano la sua battaglia. No! Questa voce doveva essere messa in silenzio una volta per tutte e nel più breve tempo possibile.

Che Guevara venne tenuto prigioniero in una scuola di un villaggio vicino a La Higuera. Nelle prime ore del pomeriggio successivo venne fatto uscire. Alle 13.10 del 9 ottobre 1967 fu giustiziato da Mario Teran , un sergente dell’esercito boliviano. Per cercare di nascondere l’assassinio a sangue freddo, i soldati spararono vari colpi nelle gambe del Che in modo da farle sembrare ferite di combattimento. Prima di tutto ciò, il rivoluzionario disse al suo boia: “So che sei qui per uccidermi. Spara, codardo, tu stai solo per uccidere un uomo”. Questa è la voce del vero Che Guevara, non quella di un codardo che implora per aver salva la vita.

Il corpo senza vita venne mostrato, dopo essere trasportato in un ospedale, ai gentlemen della stampa che lo tempestarono di fotografie . Un dottore militare gli amputò le mani, dopo di che un ufficiale dell’esercito trasferì il cadavere in un posto all’epoca sconosciuto.

Il problema della guerriglia

Come tutte le persone, anche Che Guevara aveva i suoi punti forti e i suoi punti deboli. Indubbiamente lui fece un grosso errore quando cercò di presentare il modello di guerriglia cubano come una tattica che potesse avere un’applicazione generale. I marxisti hanno sempre considerato la guerriglia contadina come un importante aiuto per i lavoratori in lotta per la conquista del potere. Questa posizione era stata inizialmente sviluppata da Marx durante la rivoluzione tedesca del 1848.

Non è neanche corretto sostenere che questa posizione è valida solo per i paesi capitalisti avanzati. Prima della rivoluzione russa la classe operaia industriale rappresentava non più del 10% della popolazione russa. Eppure anche Lenin e i bolscevichi hanno sempre sostenuto che la classe operaia dovesse mettersi alla testa della nazione e condurre i contadini e gli altri settori oppressi della società dietro di se. Il proletariato giocò un ruolo guida nella rivoluzione russa, e venne seguita da milioni di contadini poveri, l’alleato naturale del proletariato.

La sola classe capace di condurre verso una rivoluzione socialista vittoriosa è la classe operaia. Non diciamo questo per motivi sentimentali , ma ciò è dovuto al posto da lei occupata nella società e al carattere collettivo del suo ruolo nella produzione. Negli scritti di Marx, Engels, Lenin e Trotsky non troviamo niente che ci possa suggerire la possibilità che la classe contadina possa portare verso la rivoluzione socialista: il motivo risiede nell’estrema eterogeneità dei contadini in quanto classe. Questa è divisa in vari strati: dal bracciante o il contadino senza terra (può essere considerato come proletariato rurale), ai ricchi contadini che impiegano manodopera salariata. Questa classe non ha, quindi, interessi comuni e non possono giocare un ruolo indipendente nella società. Storicamente hanno sempre sostenuto classi e gruppi differenti.

Per la sua natura, la guerra di guerriglia è la classica arma della classe contadina e non della classe operaia. Essa è adatta per le condizioni di lotta armata in aree rurali inaccessibili (montagna, giungla, ecc) dove la difficoltà del terreno rende complicato il dispiegamento di truppe regolari e dove l’appoggio delle masse rurali fornisce la necessaria copertura e il necessario supporto logistico che permette alla guerriglia di operare.

Nel corso di una rivoluzione in un paese arretrato con una considerevole popolazione contadina, la guerriglia può rappresentare un buon mezzo ausiliare e complementare per la lotta rivoluzionaria dei lavoratori nelle città. Ma questo non portò mai Lenin ad abbracciare l’idea della lotta di guerriglia come sostituto della lotta rivoluzionaria della classe operaia. La lotta di guerriglia, da un punto di vista marxista, è accettata solo come parte subordinata alla rivoluzione socialista.

Era proprio questa la posizione di Lenin nel 1905. Essa non aveva nulla in comune con il metodo del terrorismo individuale, né tantomeno con la tattica dei moderni terroristi e con le organizzazioni di guerriglia urbana che sono in completa antitesi con la politica leninista. Lenin insisteva sul fatto che la lotta armata doveva essere una parte del movimento rivoluzionario di massa; ma anche in questo caso bisognava sempre tenere in considerazione il sentimento della classe operaia, delle masse e prestare attenzione al fatto che un movimento guerrigliero non sostituisse le forze del proletariato.

Il pericolo di degenerazione che accompagna queste attività diventa una assoluta certezza nel momento in cui i gruppi guerriglieri si isolano dal movimento delle masse. Nel 1906, quando in Russia il movimento operaio stava vivendo una fase di declino, le organizzazioni guerrigliere smisero di esserne una parte ausiliare e subordinata, tendendo ad assumere sempre una maggiore indipendenza e trasformandosi in gruppi di avventuristi, o anche peggio. Lenin, anche mentre continuava a difendere la possibilità di una tattica di guerriglia come azione di retroguardia contro la reazione, metteva in guardia contro “l’anarchismo, il blanquismo, il vecchio terrorismo, gli atti individuali isolati dalle masse, i quali demoralizzano i lavoratori, disgustano larghi strati della popolazione, disorganizzano il movimento e feriscono la rivoluzione” e aggiunse che “gli esempi a sostegno di questa valutazione possono facilmente essere trovati negli eventi riportati ogni giorno dai giornali”. Nel periodo 1905-1906, il movimento rivoluzionario includeva un elemento partigiano di “lotta guerrigliera” con varie forme di lotta armata. Ma le squadre combattenti erano sempre collegate da vicino alle organizzazioni operaie. Questi gruppi partigiani, poi, erano sempre utilizzati come difesa contro la reazione e le sue bande (come le centurie nere). Inoltre, aiutavano a proteggere le varie riunioni dai raid della polizia, dove la presenza di distaccamenti di lavoratori armati era solitamente un fattore importante nel prevenire la violenza.

Altri compiti erano il rifornimento di armamenti, l’uccisione di spie e agenti e anche rapine in banca per il proprio finanziamento. Queste iniziative erano molto spesso prese dagli stessi lavoratori organizzati autonomamente. I bolscevichi si battevano per cercare di conquistarne la leadership, dargli un’organizzazione, disciplinarli e fornirgli un chiaro piano di azione. C’erano, ovviamente, molti rischi implicati in tutto ciò. Gli avventuristi, i disonesti, i criminali e in generale le figure più losche, si sarebbero potute facilmente immischiare in questi gruppi, i quali, una volta isolati dal movimento di massa, avrebbero potuto degenerare e diventare indistinguibili dai semplici gruppi di banditi. Inoltre, essi erano anche più facilmente soggetti all’infiltrazione da parte di agenti e di spie. Generalmente è più facile infiltrarsi in organizzazioni terroristiche e militari che in un partito rivoluzionario genuino, soprattutto quando questi ultimi sono composti da quadri tenuti insieme da forti legami ideologici. Lenin era ben consapevole di tutti questi rischi. Finché i gruppi guerriglieri rappresentavano un sostegno al movimento di massa (in una ripresa rivoluzionaria) giocavano un ruolo progressista. Ma quando si separavano dalle masse, tendevano inevitabilmente a degenerare. Per questo motivo, Lenin considerava completamente inammissibile un prolungamento della loro esistenza, una volta stabilito che il movimento rivoluzionario era in un declino irreversibile. Quando quel momento arrivò, Lenin si dichiarò per il loro scioglimento.

Il Che scrisse articoli e libri sulla teoria e sulla pratica della lotta di guerriglia. Dall’esperienza vissuta in Guatemala, arrivò alla conclusione che la classe dominante doveva essere rovesciata attraverso un’insurrezione armata. E ciò è del tutto corretto. La storia mostra come nessuna classe dominante abbia lasciato il potere e i suoi privilegi senza combattere. I marxisti non sono pacifisti. Le masse devono essere preparate a combattere e a usare qualsiasi mezzo necessario per disarmare la classe dominante.

Ne La Guerra di Guerriglia Che Guevara prende il modello cubano di rivoluzione come un modello applicabile in ogni paese. In esso un piccolo gruppo di guerriglieri (foco) effettua un’insurrezione armata senza la necessaria organizzazione delle masse popolari. Questo era un grossissimo errore, come i tragici eventi successivi dimostrarono. La rivoluzione cubana colse di sorpresa gli imperialisti: non si aspettavano che i guerriglieri potessero affermarsi così facilmente. L’imperialismo fecero un errore (che gli costò molto caro). Poi, però, studiarono e impararono da quell’esperienza e non si fecero più cogliere impreparati. Studiarono la teoria della guerra di guerriglia, compresi gli scritti del Che: erano pronti e aspettavano. Non appena il primo foco guerrigliero si formò, loro intervennero per distruggerlo. Non diedero alla guerriglia il tempo di stabilire una solida base e i contatti con la popolazione rurale. Questo è ciò che accadde in Bolivia.

La lotta di guerriglia poteva avere qualche senso in una società arretrata e prevalentemente agricola, come la Cina prima del 1949. Ma non aveva nessun senso in tutti quei paesi come il Cile o l’Argentina dove la classe contadina è una minoranza e dove la maggior parte delle persone vive nelle città. Come già è stato detto, nonostante l’arretratezza della Russia zarista e nonostante l’esiguo numero della sua classe operaia, anche Lenin sosteneva la centralità del proletariato e il ruolo ausiliare della lotta guerrigliera, che doveva sempre avere un profondo legame col movimento rivoluzionario di massa.

In Argentina, Uruguay, Messico, Venezuela e in altri paesi, i tentativi di imitare meccanicamente i metodi della guerriglia a Cuba furono tutti sconfitti. Particolarmente negativa fu l’idea della cosiddetta “guerriglia urbana”. Questa, nonostante venisse presentata dai suoi sostenitori come qualcosa di completamente nuovo, era solamente la ripetizione della vecchia idea del terrorismo individuale sotto una nuova forma. Tutte queste tattiche finirono in sanguinose sconfitte e brutali repressioni. Il movimento perse migliaia di giovani quadri che avrebbero potuto giocare un importante ruolo nello sviluppo di un movimento rivoluzionario di massa. Questo è stato il più grande errore e la parte negativa dell’eredità del Che. Le sette dell’estrema sinistra furono, e sono tutt’ora, incapaci di comprendere il vero lascito positivo di questo grande rivoluzionario, non facendo altro che ripetere, invece, quello che è stato un suo grave errore.

Internazionalismo

Il vero messaggio del Che dal quale dobbiamo imparare e che dobbiamo capire è il suo internazionalismo: la giusta idea che la rivoluzione socialista non è un atto nazionale e isolato, ma è la parte di una catena che può essere completata soltanto con la vittoria del socialismo su scala mondiale. Il movimento rivoluzionario odierno in America Latina è la prova che il Che aveva ragione.

La rivoluzione cubana fin dall’inizio era ispirata dall’internazionalismo rivoluzionario. Questo era rappresentato dal Che, un eccellente leader della rivoluzione. Che Guevara era nato in Argentina, combatté sulla linea del fronte nella rivoluzione cubana e, successivamente, morì in Bolivia. Che Guevara era un vero internazionalista e un cittadino del mondo intero. Come Bolivar, anche lui faceva propria la prospettiva di una rivoluzione latinoamericana.

Il Che non era un sognatore e un utopista. Il Che era un rivoluzionario molto realista. Non è un caso che cercò di estendere la rivoluzione in altri paesi, non solo latinoamericani, ma anche in Africa. Lui capì molto bene che, in ultima analisi, il futuro di Cuba sarebbe stato determinato da questo.

Fin dall’inizio il destino della rivoluzione era legato agli eventi su scala mondiale: come potrebbe essere altrimenti,considerando che fu minacciata già nel momento della sua nascita dal più potente stato imperialista sulla terra? La rivoluzione a Cuba ebbe un fortissimo impatto a livello mondiale, ma soprattutto in America Latina e nei Carabi. Il Che cercò di accendere quella scintilla che avrebbe potuto infiammare tutto il continente. Forse fece qualche errore sul “come” fare questo, ma nessuno può mettere in dubbio che la sua intenzione e la sua idea fondamentale erano completamente corrette. L’unico modo per salvare la rivoluzione cubana era estenderla al continente latinoamericano.

Oggi, il destino della rivoluzione a Cuba è legato con quello della rivoluzione venezuelana. Entrambe si influenzeranno a vicenda: se la rivoluzione in Venezuela viene sconfitta, anche la rivoluzione cubana sarà in grave pericolo; e viceversa. Ogni sforzo deve essere speso per evitare questo. In Venezuela la rivoluzione ha già fatto miracoli, ma non è ancora finita.

Come a Cuba, anche quella venezuelana è incominciata come rivoluzione nazional-democratica. Nelle sue fasi iniziali, il programma sostenuto da Hugo Chavez era un programma avanzato democratico-borghese. Ma la storia (dalla quale bisogna imparare) e l’esperienza hanno mostrato che l’imperialismo e l’oligarchia sono nemici mortali della democrazia. Non si fermeranno davanti a niente se il loro obbiettivo è distruggere la rivoluzione. Quindi, cercare di limitare la Rivoluzione Bolivariana alla fase democratico-borghese significherebbe spianare la strada per l’inevitabile fallimento della rivoluzione. Perché l’imperialismo USA è così deciso a stroncare il processo venezuelano? Perché gli effetti della rivoluzione si propagherebbero, e in realtà già si stanno propagando, in tutto il continente.

Gli imperialisti sono terrorizzati che Cuba e il Venezuela possano esserne i punti focali e, quindi, sono determinati a liquidarle.

La crisi del capitalismo ha avuto effetti devastanti in America Latina. Ciò ha portato a conseguenze rivoluzionarie. Le condizioni per la rivoluzione sono mature ovunque. Infatti, attualmente non c’è un solo regime capitalista stabile dalla Terra del fuoco al Rio Grande. Con una corretta leadership, non ci sono motivi perché non si affermino delle rivoluzioni proletarie in uno o più paesi dell’America Latina nel prossimo periodo. Ciò che è necessario, non è il nazionalismo o delle alleanze con le borghesie nazionali, ma un programma socialista rivoluzionario e un internazionalismo proletario rivoluzionario.

Conclusioni

Dopo la sua tragica morte ci furono diversi tentativi di trasformare il Che in un’icona inoffensiva, una semplice faccia su una maglietta. Spesso ci viene presentato come un  utopista e idealista. Questo è un atteggiamento indegno nei confronti della memoria di un grande rivoluzionario! Nel novembre del 2005, il magazine tedesco “Der Spiegel” descriveva i “rivoluzionari pacifisti”d’Europa come eredi di Gandhi e Guevara. Che parodia incredibile! Dovremmo costituire una “Società per la Protezione di Che Guevara” contro quelle persone che non hanno nulla a che fare con il marxismo, la lotta di classe e la rivoluzione socialista. Dobbiamo proteggere il Che e le sue idee da chi vorrebbe dipingercelo come una sorta di santo rivoluzionario,  un romantico piccolo borghese, un anarchico, un pacifista gandhiano e altre stupidaggini e falsificazioni di questo tipo. Il Che era un rivoluzionario, un socialista, un internazionalista.

In Stato e Rivoluzione, Lenin scrisse: “Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l'odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a "consolazione" e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce.

 

 

 

 

 

 

 

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