IL "CORPO
MORTO" DI GUEVARA
di FRANCO
BASAGLIA*
Che Guevara è
morto?
La stampa mondiale espone le fotografie del suo corpo come un trofeo di caccia,
per testimoniare che non è più nella Sierra, né il altro luogo dove lottano "gli
sfruttati e i sottosviluppati del mondo", suoi compagni.
"La sua fine drammatica alimenterà il mito dell'eroe della Sierra Maestra"
(Corriere della Sera 12.10.1967); "L'uccisione del leggendario guerrigliero non
è stata ancora annunciata ufficialmente" (LA Stampa 12.10.1967); "E' sufficiente
la leggenda che nasce dal sacrificio di Guevara" (L'Avanti 12.10.1967); "In un
cimitero segreto si è conclusa la vicenda del mitico personaggio" (Il Piccolo
12.10.1967); "Un personaggio eccezionale tra romanticismo e rivoluzione...mezzo
Don Chisciotte e messo Saint-Just" (Il Giorno 12.10.1967).
Nessuno parla di
Che Guevara come di qualcosa che vada oltre la sua figura personale, che appare
de-storificata e a-problematizzata, nella misura in cui risulta staccata dalla
causa per la quale è morto. Nessuno ha più bisogno di definirlo per ciò che è
stato finora ai suoi occhi; neppure i giornali fascisti che, per non esporre
direttamente la loro opinione, ricorrono alle parole di Barrientos o a quelle
del colonnello Gonzales Laks che lo definiva un 'deliquente', lasciando
nell'ambiguità la loro posizione.
Ora che il suo corpo è morto, tutti sono disposti a definirlo -richiamandosi ai
valori borghesi delle sue origini- l massimo un 'romantico', 'amante del bel
gesto' (La Stampa), che credeva in un valore ormai fuori moda: la rivoluzione.
Così è stata consumata -nel giro di un giorno- la seconda, vera morte di Che
Guevara ed è questa morte che noi rifiutiamo.
Che il corpo morto che ci è stato mostrato sia quello di Guevara o no, ha
unimportanza solo affettiva. Resta il fatto che di questo corpo morto nella
rivoluzione, si vuole fare merce di consumo, facendolo diventare il corpo morto
della rivoluzione, che non fa più paira e può essere riassorbito nella
produzione. Si tenta di integrare il suo corpo morto nel sistema che Che Guevara
-morto o vivo- continua a negare, e noi non vogliamo essere muti testimoni di
questo secondo assassinio.
Fino a ieri Che
Guevara era chiaramente un nemico, un escluso da combattere perchè aveva scelto
la dialettica della negazione che lo portava ad accendere nuovi focolai di
insurrezione in 'paesi oppressi, dai quali gli imperialisti traggono capitali,
materie prime, tecnici e operai a basso prezzo e dove esportano nuovi capitali-
strumenti di dominio- armi e articoli di ogni genere, sottomettendoci a una
dipendenza assoluta (Che Guevara, Creare due, tre, molti Vietnam: è la parola
d'ordine).
Ora che è morto è più prudente trascenderlo, facendo di lui un geniale
personaggio da commedia, se si vuole garantire l'equivoco, l'ambiguità della sua
azione, l'ammorbidimento del suo potere di negazione e di rifiuto. Lo si integra
come uno dei valori reali di questo nostro sistema contraddittorio, per negarne
la contraddittorietà. Anche il nostro sistema ha i suoi martiri -ci dice la
nostra stampa- che indica la strada da seguire, e li onora per la morte
che ha loro decretato. Ora che è morto -per far morire con lui la rivoluzione
che voleva e che faceva- i suoi nemici non esitano a considerarlo un mitico eroe
di una mitica resistenza: tanto non combatte più nella Sierra.
E l'integrazione del suo corpo morto che rifiutiamo, così come rifiutiamo
l'integrazione del corpo morto dei cecchini negri di Detroit o tutti i
'diseredati del mondo' che soccombono con la violenza alla violenza. La loro
morte è più che morte, e questo più non può essere derubato o mistificato per
distruggerne il significato. "In qualunque luogo ci soprende la morte -dice Che
Guevara- che sia la benvenuta, purchè il nostro grido di guerra giunga ad un
orecchio ricettivo, e purchè un'altra mano si tenda ad impugnare le nostre armi
e altri uomini si apprestino ad intonare canti funebri con il rumore delle
mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria".
Noi vogliamo che il corpo di Che Guevara sia mortificato, violentato e offeso
dai suoi nemici come lo era in vita. Vogliamo che si continui a ritenerlo il
corpo della violenza, il corpo 'sfacciato' della rivoluzione che continua ad
esistere -oltre la morte- finchè c'è violenza e sopraffazione.
Il monumento che Barrientos vuole erigere a Valle Grande al contadino boliviano
che ha tradito Che Guevara e al soldato boliviano che lo ha ucciso, è l'unico
monumento che riconosce la sua morte come più che morte. Perchè è l'unico che
continua a riconoscerlo come il rivoluzionario, il guerrigliero, il ribelle ad
ogni forma di integrazione, l'eroe dei disperati che è stato in vita, negandolo
all'esaltazione dei suoi uccisori.
Ovunque sarà sepolto -se quello che ci è stato mostrato era il suo corpo- Che
Guevara saà presente come corpo-violenza e corpo-rivoluzione nel monumento
eretto alla violenza dei suoi uccisori; come testimonianza della sua vita
rivoluzionaria e del significato della rivoluzione, che esiste finchè esistono i
Barrientos, l'imperialismo che li crea e i monumenti che essi erigono alle loro
milizie.
Scritto in
occasione della morte di Guevara -in collaborazione con Franca Ongaro Basaglia-
e apparso originariamente in CHE FARE? 2/67,