COMITATO DI SOLIDARIETA' CON CUBA "FABIO DI CELMO"

CONTRO IL TERRORISMO

PER I CINQUE EROI CUBANI

 

DOPO SEATTLE

 
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dopo Seattle: intervista a Michele Capuano

 

 

 

LA RIVISTA

 

 

Michele Capuano 

di

Ivano Malcotti

In “oltre il popolo di Seattle parli di teoria politica capace di rifondare “un protagonista rivoluzionario”, ci spieghi meglio?

In realtà la domanda mi invita a dire: leggete il libro, parlatene, parliamone. Ad esempio, Enrico Giardino, presidente del forum Diritto a Comunicare recensendo il libro affermava cose che condivido sufficientemente e faccio mie in quanto sinteticamente colgono il senso di uno scrivere che intende valorizzare una nuova filosofia della conscentia creatrice e capace di concretizzarsi in una filosofia della praxis valorizzando un necessario rapporto tra il dire e l’agire e, al tempo stesso, proponendone come protagonista un “intellettuale collettivo inedito” che non è riassumibile nella vecchia formula del partito ma deve, inevitabilmente, penetrare la società e coglierne ogni “movimento” con particolare riferimento alla rivoluzione dell’uomo (della donna) e all’emancipazione dei popoli che implica una rivoluzione culturale come imprescindibile. Il marxista scientifico concepisce la politica come ricerca  e  progettualità sociale, sintesi di teorie e prassi emergenti da bisogni e processi universali  in continua evoluzione. Bisogni e processi che si possono cogliere nell’individuale e nel collettivo, nel locale e nel planetario, in  piccoli e grandi episodi. Viviamo in un tempo nel quale trasformismo ed opportunismo, dogmatismo o  ipocrisia, vivono come scomoda ogni testimonianza che cerca di rimettere all’ordine del giorno il bisogno di un soggetto creativo che organizzi la possibilità, unendo i mezzi con il fine, di costruire un mondo nuovo possibile non genericamente e scegliendo di parteggiare con chiunque è schierato contro l’organizzazione mondiale delle disuguaglianze. Coloro che vogliono dimenticare, camuffarsi, riciclarsi, pur di rimanere a galla, costi quel che costi, hanno di fatto rinunciato a rifondare un soggetto rivoluzionario e a mettere in discussione privilegi personali in un mondo che vede acuirsi, giorno dopo giorno, i grandi drammi che attanagliano l’umanità (dalla fame alle carestie, dalle guerre alla mancanza di cura ecc.): problemi risolvibili e che si rendono irrisolvibili: proprio per non mettere in discussione un egoistico status quo di potenti asserviti alla logica (logica?) del fondamentalismo di mercato. Da qui l’ostracismo che i professionisti della comunicazione e della  politica - partitica o associativa - oppongono ad idee ed  iniziative che nascono “dal basso”, nel tentativo di ghettizzarle e screditarle, soprattutto quando se ne appropriano. Inventano la crisi dei partiti e fondano partiti, inventano la crisi delle ideologie e impongono il loro pensiero come unico, inventano la fine per ogni alternativa che intende mutare lo stato di cose presente e propongono l’avanzare di una nuova barbarie.

La storica ed oligarchica  dicotomia tra politico (partito)  e sociale (associativo) mi espone ad una critica  pretestuosa e duale come se fossi un  “intruso”, un “movimentista”  per i leader  di partito, ”politico” per le associazioni ed i movimenti. Un “equivoco” che funziona più in Patria che nel mondo. Pertanto: loro sono i leader e la politica e il potere e la sua stessa opposizione: proporre una teoria capace di rifondare, dopo le vittorie e i fallimenti di esperimenti oltre il capitalismo, è semplicemente un’idea romantica fuori stagione. E’ così? La mobilitazione popolare di questi anni richiede ed implica una discussione -  non dogmatica -  sui nodi teorici e storici, nonché sulle risposte possibili.

Il libro infatti è diviso in tre parti: la prima - oltre il popolo di Seattle - esprime un punto di vista su questioni dell’agenda politica e mediatica che movimenti e partiti evocano o rivendicano nel loro agire.

La seconda - Interventi - raccoglie testimonianze di autori  diversi su aspetti significativi della vita e della politica, ispirati a valori universali ed a percorsi di liberazione “originali” nel panorama corrente.

La terza  -Argomenti - introduce problematiche - generali ed insolite - che il dibattito partitico tende ancora ad ignorare, trascurare o stravolgere. Dobbiamo, dunque, ridisegnare le coordinate di una teoria sociale antimperialista, una teoria che ha nel socialismo e nella nostra Costituzione i suoi fondamenti universali. Offrire una panoramica di esperienze e riflessioni preziosa in un’epoca di trasformismo, falsità, rozzezze ed ipocrisie. Un modo per uscire da un doppio “stallo”: mitizzare i movimenti oppure criminalizzarli. In ogni caso, “usarli “ a fini elettorali e mediatici. 

Vi è un’ altra strada, per quanto inesplorata: discuterne insieme potenzialità e limiti per trovare soluzioni, partecipate e progettuali. In questo caso, soluzioni proprie della tradizione marxista e gramsciana, censurate da pregiudizi  pretestuosi e da scomuniche aprioristiche. Invece le cause che penalizzano l’umanità vanno affrontate con coraggio, non basta denunciarne le conseguenze: i marxisti hanno ancora molto da dire e da fare in questa ricerca. Da qui il contributo del socialismo scientifico e marxista, come ricerca e proposta di un altro mondo possibile, urgente e necessario e come rifiuto di ogni scomunica e di ogni frazionismo sterile. Una critica radicale di parole e slogan fuorvianti - la guerra, le due sinistre, il riformismo, la globalizzazione,  l’Occidente, il liberismo, il terrorismo - per stabilire valori e prospettive altri da quelli imposti dai satrapi del mondo e dalle loro propaggini,  partitiche e giornalistiche. Un tentativo di dare risposte condivise alle esigenze dell’umanità che i poteri dominanti ignorano e stravolgono e che altri - da oppositori deboli  - considerano  “utopie del passato” invece che necessità del presente. 

Perciò sono importanti le testimonianze “paritarie” di persone impegnate, che non hanno voce nell’universo “virtuale”, ma che invece  rilanciano solidarietà ed internazionalismo, a partire dal SUD del mondo. La confusione e  la rassegnazione che paralizzano tante  persone possono essere vinte ricorrendo alla teoria, alla memoria storica, alla partecipazione attiva, al ripudio netto dei ceti dominanti e dei loro alleati, comunque etichettati. E’, questa, una sfida razionale e cosciente alla bestialità omicida e mistificatoria di un totalitarismo delle vecchie classi dominanti.

 

Quali sono le scelte ineludibili per il movimento operaio e per i soggetti antagonisti anti-sistema?

La storia diceva Antonio Gramsci, il grande intellettuale sardo fondatore del Partito Comunista d’Italia e lasciato morire in carcere dal fascismo temendo il suo semplice pensare, è un continuo farsi e quindi essenzialmente imprevedibile. Non esistono dunque ricette pre-confezionate e neppure verità assolute. Intanto, va sempre precisato, le classi non sono pure e neppure possiamo farci condizionare da un pericoloso operaismo. Rimane storica la funzione del mondo del lavoro per qualsiasi avanzamento progressista quanto creare un blocco di alleanze che non ha confini precisi attorno alla stessa: dall’indio all’intellettuale, dal bracciante alle condizioni sociali (donne, giovani ecc.), dagli emarginati agli ambientalisti… Ciò che è certo è che nessuna idea di cambiamento è possibile senza avere un programma ed un progetto chiaro, aperto, plurale, possibile e che sia il trionfo dello scontro e dell’incontro delle idee tra tutti e tutte coloro che intendono guardare al futuro oltre la stessa speranza. Lezioni ci vengono dal mondo, dalla resistenza di Cuba al blocco economico imposto dagli Usa o dal Venezuela, da Lula in Brasile e dagli zapatisti in Messico, dalle rivendicazioni bolivariane a chi a Genova come in altre parti del pianeta ha sfidato l’arroganza dei Potenti asserviti alla pura logica del profitto per pochi. Intanto: non esiste il Sud del mondo o un paese povero: esiste un sistema che ha depredato risorse e schiavizzato popoli rendendoli poveri e questo non è un altro mondo ma il nostro mondo, l’idea di civiltà che hanno imperialismo e capitalismo: la ricchezza per alcuni sulla pelle della miseria dei più. Scelte ineludibili sono, dunque, il conoscere e il rispettare ogni diritto: comunicare, mangiare, fare e vivere cultura, curarsi, lottare contro gli sprechi, cercare fonti alternative di energia, tutelare l’ambiente, cooperare, la pace e il lavoro per tutti e tutte. Questi, ed altri, sono diritti che se salvaguardati non possono non favorire ulteriori sviluppi del nostro stesso processo di umanizzazione. Come si può concepire un presente che ci vede protagonisti di viaggi su Marte e capaci di uno sviluppo tecnologico incredibile che convive con analfabetismo e analfabetismo di ritorno? Con il saccheggio verso nazioni libere e processi migratori distorti? Con la pratica della tortura come a Guantanamo e il lusso che condanna alla morte per niente milioni di essere umani? Come è concepibile non avere mai realizzato compiutamente una riforma agraria su scala planetaria e il non aver messo tutti come uguali dinanzi ai fatti di cultura? Come è possibile spendere per cosmetici una cifra pari alla risoluzione di drammi inconcepibili e dover essere costretti ad ipotizzare che le prossime guerre non saranno per il petrolio ma per l’acqua? Solo una nuova concezione del mondo e della vita ed un piano adeguato a realizzarla possono darci opportunità per credere in un passaggio dalla “sopravvivenza” della specie alla qualità dell’esistere, all’etica dell’essere contro quella dell’avere o peggio dell’apparire. Guarda in Italia: una penisola che non vede i politici impegnati a parlare di mare, di turismo razionale, di sviluppo del Sud. La patria di Leonardo e Galileo che mortifica l’istruzione e vede intrecciarsi la mafia con la politica. Enolia che non ha un piano per la nostra vocazione collegata alla terra e dove beni paesaggistici o ambientali, storici e culturali vengono mortificati anche da una base NATO o da speculazioni senza freno sottoponendoci anche a calamità non imprevedibili. Siamo una sorta di carciofo al quale quotidianamente potenze europee e d’oltreoceano prendono le foglie. Per non parlare poi del parassitismo dilagante e della totale mancanza di una autonoma e concreta politica estera (sul Mediterraneo, in Europa e verso altri continenti). Naturalmente nel rispondere alle tue domande, sintetizzando al massimo, sto cercando anche di evitare di ripetere cose che nel libro sono memorizzate e mi prende anche una riflessione ingenua: il linguaggio: dobbiamo farci capire, comprendere e, insieme, imparare ad ascoltare.

 

Cosa intendi quando parli di lotta per un “socialismo originale”?

Va precisato: chi è che fa la storia o la politica? La religione eccetera? Gli uomini e le donne. Quindi il fallimento o la vittoria di una idea non dipendono dalla stessa ma da chi se ne rende portatore: rispettandola, mistificandola, opponendovisi o tradendola: non è forse stato così per il cristianesimo? Ha visto i martiri e l’assassinio di Giordano Bruno, i crociati alla ricerca di nuove vie commerciali e le grandi biblioteche lasciate ai posteri e scritte a mano, i teologi della liberazione e gli inquisitori, i papa-re e i preti-operai. Il socialismo è un’idea alta di società e invita a “dubitare di tutto”, a penetrare la realtà, a creare le condizioni concrete per l’emancipazione delle (non sulle) masse. Dicevamo che non esistono modelli e per quanto si voglia essere internazionalisti dobbiamo sempre fare i conti con la nostra storia. La neo-globalizzazione, che segue quella che da cinquecento anni il latinoamerica ad esempio subisce, accentrata e governata da un imperialismo essenzialmente statunitense che agisce in superficie ed in profondità, è un fatto quanto l’esistenza di nazioni e continenti e, quindi pluralità. In Occidente è pensabile un socialismo che non sia creativo, il trionfo delle libertà e, dunque, di ogni diversità? E’ possibile un socialismo distaccando gli accadimenti della struttura da quelli della sovrastruttura? E’ possibile un socialismo che non sia filosofia consapevole valorizzata nell’agire, nell’esempio di chi lo propone? La lotta per l’egemonia, tra il bene (quello vero) e il male (altrettanto vero), lo scontro di classe richiede volontà ma, parallelamente, scienza e rifiuto di ogni spontaneismo che è tuttavia direzione consapevole. Un socialismo originale in Occidente è, in una via democratica, un lungo lavoro per conquistare masse apatiche ed indifferenti ad un’alternativa di società, è non trascurare le grandi tematiche della gioventù e delle donne, il diritto in genere, è un nuovo internazionalismo anti-crociano che sappia rendere protagonista e dirigente un popolo intero. Ecco perché è importante parlare di comunicazione, di informazione, di sapere e saperi, di ogni aspetto della vita fino ai rapporti più intimi. Una nuova società non è riconducibile ad una momentanea vittoria elettorale e per sconfiggere le destre eversive e reazionarie devi saper proporre un piano contro la cultura delle destre ovvero una nuova tappa della rivoluzione democratica ed antifascista ovvero il contrario di quanto l’attuale centro-sinistra (governando o all’opposizione) ha realizzato. Non, perciò, un partito nuovo ma un modo nuovo di essere dell’organizzazione che non pretende essere di massa ma deve scegliere di stare tra le masse consapevolmente per una grande e necessaria riconversione economica e culturale…

 

Dunque condividi il concetto gramsciano di “intellettuale collettivo”?

Forse tra le tante cose superate del secolo breve che ci siamo lasciati alle spalle questa è la proposta più avanzata per il millennio che abbiamo davanti e lo è in un valore che va oltre i nostri stessi confini. Una nuova Comune. E proprio quella Comune di Parigi forse è uno dei pochi esempi di rivoluzione vera che la storia ci ha consegnato, insieme alla grande rivoluzione francese, alla rivoluzione di Ottobre e alle lotte per conquistare la propria terra come sovrana e libera. Ma cos’è l’intellettuale collettivo? Non certo la somma di una serie di tecnici o specialisti o intellettuali appunto più o meno organici ad una classe sociale. Qui Gramsci guarda anche alle prime comunità cristiane ovvero alla possibilità di unire un operaio con uno studente, una ragazza con un bracciante, un professionista con un disoccupato per una lotta oltre corporativismi ed egoismi: per un fine collettivo che veda trionfare il rispetto di bisogni ed esigenze… niente di utopistico perché sostenuto da una filosofia e da una politica adeguate, perché nasce dall’analisi del presente, perché vive di “persuasione” e organizzazione, perché si sostiene sul formare e l’informare, perché cerca i tratti distintivi della società nuova nell’essere delle lotte di oggi e dei suoi proponenti.

 

Come concepisci la società socialista?

Se avessi formule precise il solo ammetterlo sarebbe una presunzione. So che bisogna percorrere vie anche sconosciute e so che già da oggi chi ambisce a tale obiettivo deve comportarsi conseguentemente nonostante i tanti limiti, difetti e contraddizioni che ci appartengono. Un’altra presunzione sarebbe non riconoscere esperienze passate e recenti da considerare seriamente. Vi è la necessità di proporre un “socialismo pratico” ed “inedito” che veda la “comunità” non vivere interessi particolari. Chi ha individuato il marxismo come una bussola che deve orientarlo non può non constatare che pochi (Lenin o Gramsci, Luxemburg o Mariategui, l’esempio del CHE nel latinoamerica o di Sankara in Africa) hanno oggettivamente realizzato (oltre Marx ed Engels) veri trattati sul che fare e precisato (in parte o compiutamente) quale è la società nuova alla quale si ambisce, come organizzarla, come garantire ed ampliare le libertà e la partecipazione ad ogni scelta ecc. Le vecchie classi dirigenti (a destra e a sinistra) hanno esaurito la loro funzione e si sono adagiate sull’inevitabilità di guerre o ineguaglianze mentre Pizarro ha solo cambiato nome ma continua a spadroneggiare per il mondo intero. Nel rispetto della “memoria” dobbiamo avanzare verso l’evolversi della specie e non del suo mero divenire e, quindi, verso il riscatto delle masse affinché chi dirige sia anche diretto e chi è diretto divenga dirigente. Un “socialismo pratico” che implica combattenti pratici anche perché non è possibile, a meno di non umiliare gli stessi semplici elementi della politica, oggi, dopo le esperienze “conosciute” e spesso mistificate di socialismo, una mutazione definitiva del presente senza un progetto, in primis, che determini la “cristallizzazione” di un uomo (di una donna) nuovo e neppure senza specificare cosa si intende per “umanesimo nuovo in una società nuova” sapendo che il governo del futuro dalla parte della ragione non può appartenere ad un partito ma al popolo anche per conquistare la stessa abolizione delle classi impostando correttamente il concetto di egemonia e per evitare la nascita di Stati borghesi senza la borghesia. Ecco perché la filosofia (una filosofia della conscentia e della praxis) non può più interpretare la realtà ma deve diventare l’ideologia per cambiarla. Condivido un appunto di Kant: “opera in modo che la tua condotta possa diventare norma per tutti gli uomini in condizioni simili”. Ho affrontato tale tematica in due libri precedenti “il partito necessario”, scritto insieme ad Ines Venturi, presidente dell’Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli e del comitato di solidarietà con Cuba Fabio Di Celmo, e “filosofia della conscentia per il socialismo” con contributi di tanti e tante e del professor Nestor Kohan dell’Università delle Madri Piazza di Maggio, editi dalle dizioni Solaria/Politica il primo e dalle edizioni “La Comune – l’informazione di Democrazia Popolare” il secondo. Negli stessi si precisa su ogni argomento (dal più piccolo al più esaltante) un percorso e una proposta fino a produrre un “manifesto per una sinistra alternativa” nel nostro cortile di casa e per un sud a sud di nessun nord.

 

E’ riformabile, a tuo avviso, il sistema liberista?

Il capitalismo non è mai riformabile. Hitler era un rappresentante della società capitalistica quanto un bravo socialdemocratico. Il Capitale utilizza, a seconda delle fasi, diversi rappresentanti per un identico ed unico scopo: il proprio profitto. Può garantire il benessere in una nazione ma inevitabilmente deve realizzare il peggio da una altra parte, può illuderci su sentimenti buoni ma poi ci risveglia il rombo di un cannone, può darci la sensazione di una discreta qualità della vita per poi toglierci la stessa ecc. Può farci cullare nell’idea che tutti si possa dire la propria per poi criminalizzare ogni contestazione e via elencando. Il socialismo è sempre riformabile e il non averlo fatto ha penalizzato oltre misura quelle società che erano all’avanguardia nella storia dell’umanità. Il neo-liberismo è con il suo fallimento sotto i nostri occhi senza elencare i tanti fatti che lo dimostrano e come i suoi gestori (gestori della crisi strutturale del sistema) riconoscono. Il presente sembra un incubo, anche se rifiutiamo logiche catastrofiche, concepite dalla mente sapiente di un fumettista geniale. Non ho necessità di affermare l’impossibilità riformabile del sistema liberista (anche se è enorme la capacità dei profittatori di perpetuare se stessi) in quanto esso stessa lo evidenzia ogni giorno.

 

Per quanto riguarda il sindacato, il gradualismo riformista, quale minaccia può portare al movimento operaio ed antagonista?

Anche su questo tema ho avuto modo alcuni anni fa di scrivere un piccolo opuscolo poi discusso collettivamente in una serie di convegni pubblici presso la Casa dei Popoli di Roma. Riprendo alcune idee. In Italia, e nel resto del pianeta, la neo-globalizzazione, il neo-liberismo, la stessa gestione della crisi del  “vecchio” capitalismo da parte dei “profittatori” hanno, ormai, fatto cadere all’imperialismo la sua ultima “maschera riformista” nonostante sia assente, in generale, nel popolo (e tra gli oppressi in particolare) una “volontà collettiva” antagonista e una strategia rivoluzionaria e nonostante la “non-storia” di gran parte della sinistra. Si è dimenticato, infatti, che non solo bisogna avere un piano chiaro e coinvolgente ma che prospettiva e coscienza, per i soggetti rivoluzionari, sono un’unica cosa per “universalizzare” la necessità del socialismo o di società migliori oltre i bisogni immediati. La possibilità, tutta da conquistare, di inserire “elementi di socialismo” nella società è data, essenzialmente, dalla coscienza (storica, sindacale, sociale, di classe) da vivere in “movimento” e contaminandola con una lotta tenace per l’affermarsi di una “riforma intellettuale e morale” fino a valorizzare la “memoria” come elemento insostituibile e capace di “conservare” per generare mutazioni stabili e durevoli. La coscienza storica non implica “nostalgie” ma considerazione delle lezioni (vissuti, esperienze, conoscenze) per avanzare ed invita a diffidare della buona fede di chi ripropone un “ritorno a Marx” che in realtà sconfina con l’apoliticismo e si esterna, tra demagogia e passionalità sterile, unicamente in comizi che ritengono i partecipanti una massa impreparata e da entusiasmare con la retorica. E’, questa, semplicemente, una contraddizione ed una strumentalizzazione ideologica, una sorta di “revisionismo ortodosso”, un limite teorico che ne nasconde altri, una furbizia di “capi non organici”, un impedire l’affermarsi di una coscienza critica che si misuri con il passato e con il presente per costruire futuro. E’, inoltre, l’accettazione di una visione meccanicistica, fatalistica ed economicistica degli accadimenti, una mistificazione. Un pericolo che allontana qualsiasi organizzazione di classe dal ragionarsi e dal comprendere lo stesso sviluppo del marxismo che lo rende attuale anche in un’epoca di massacro alle ideologie, di neo-corporativismo, neo-individualismo ed in piena frammentazione e settorializzazione sociale, smisurata e sostanziale crescita del parassitismo, dell’area del terziario, determinante ruolo della finanza, delle lobbies, dei gruppi di pressione, di pratiche neo-colonialiste mentre vi è uno straripamento dei ceti intermedi, un’espansione della sfera burocratico-amministrativa e, favorita dal carattere trasformista ed opportunista di gran parte della popolazione, l’affermazione di una destra non solo sociale ma anche eversiva, rappresentata dai possessori dei mezzi di produzione, della finanza e della stessa società illegale organizzata, tutelata, nella “presa del potere”, da logiche bipolari corrispondenti fortemente agli interessi dell’imperialismo. Le contraddizioni del sistema capitalistico, pertanto, e la “logica” odierna delle forze produttive non spingono “spontaneamente” in direzione del socialismo ma, in forme sempre più laceranti, si consolida il neo-imperialismo che obbliga a ridisegnare, senza togliere le ancore del marxismo-leninismo per non andare alla deriva, la tattica e, più necessariamente, la strategia di un’organizzazione rivoluzionaria. Assistiamo, non va sottovalutato, a lotte oscillanti tra difesa corporativa e contestazione generica mentre è sempre più evidente il distacco tra popolo e politica, masse ed istituzioni e, all’opposto, sempre più saldo il rapporto tra politica ed affari, capitalismo legale e capitalismo illegale, oppressione con utilizzo del carro armato di una informazione portatrice di falsa coscienza sociale o il carro armato di fatto. Incredibilmente non possiamo accodarci alle ribellioni spontanee o all’agire dei movimenti ma neppure dobbiamo rifiutarli. Non considerarli o subirli sono errori ma lo è, maggiormente, non attivarci per “costruire una direzione consapevole” agli stessi, democratica, palese, dichiarata e rispettando pluralismo, autonomia e diversità. Una direzione consapevole non è una prevaricazione ma un atto di libertà. Il distacco tra movimenti di lotta in generale e i lavoratori è di per sé una sconfitta e un’ulteriore accelerazione del più ampio allontanamento delle masse dalle Istituzioni lasciate totalmente alla gestione delle forze più retrive della società e dei suoi apparati repressivi. Del resto questo è ancora più drammatico dinanzi ad una sinistra che vive un “parlamentarismo esagerato” (per usare un termine non denunciabile) che va oltre lo stesso “cretinismo”: questa sinistra si rende protagonista di una strategia suicida e fallimentare anche nel medio periodo che implica, inevitabilmente, un isolamento non nuovo per chi vive ed interpreta l’agire politico come qualcosa che “cala e viene dall’alto”, come processo impositivo (e di fatto parziale) fino a far dimenticare che il centro della lotta, di ogni lotta, anche di quella non immediatamente rivoluzionaria, è il contesto sociale, è il faticare per una trasformazione progressiva delle strutture, dei valori, delle coscienze, delle stesse relazioni fra gli esseri viventi senza confondere la realtà con la personale (o di gruppo) idea della stessa. Gran parte del nuovo movimento antagonista (tute bianche, centri sociali, molte associazioni ecc.) è composto in maniera considerevole da giovani e ragazze, una parte della generazione degli anni 70 o della nuova autonomia sindacale. Si manifesta in esso anche una creatività particolare ed invidiabile. La stragrande maggioranza dei suoi protagonisti è lontana dai partiti (o con essi, come ad esempio il PRC, vive un rapporto di tolleranza o di utilità) quando non è schifata dall’agire degli stessi (simbolo di un vuoto ormai consolidato anche a sinistra e di una frattura faticosamente colmabile). L’incomprensione della società adulta verso i bisogni delle nuove generazioni (e stiamo evitando di parlare di quelle che vengono “manipolate” ed ingannate dalla Chiesa che pure cercano dei valori in cui credere o che non li hanno mai cercati per il loro forte carattere reazionario come Comunione e Liberazione) ne sostanziano un conflitto che viene tranquillamente sollecitato dalla società neo-liberale contro un “vecchio” che non si conosce bene alla ricerca di un futuro che si conosce ancora meno. A questo collabora una celerità dello sviluppo tecnologico che determina distacchi generazionali, diversamente dal passato, compressati in pochi anni. Non esiste una questione giovanile ma una condizione giovanile dove la parte cosciente ed impegnata per un mondo migliore è, senza errore, minoritaria. Anche queste riflessioni parzialmente introdotte ci obbligano a ripensare la tattica e la stessa strategia rivoluzionaria.  Per colpire, infatti, efficacemente “il padrone” serve l’articolazione di lotte e programma diversamente si rischia, alimentando oltre misura forme repressive, di alzare grandi polveroni che alla fine non intaccano né i rapporti di produzione né la realtà sociale. L’alternativa nasce nella società e deve creare poteri nuovi contrapposti a quelli del sistema capitalistico oltre le elezioni o piccoli quanto pericolosi “complotti insurrezionali”. Il primo organizzatore di “complotti insurrezionali” è il potere stesso. Il problema che si pone è anche, dunque: come utilizzare le istituzioni? Non certo per “buone gestioni” ma per costruire l’alternativa e, a maggior ragione, il quadro di un partito non può corrispondere a quello istituzionale. Lo sciopero, il grande corteo, il consiglio sindacale non perdono mai il loro valore “storico” ma si presentano oggi come “strumenti” insufficienti. Né è sufficiente “occupare uno spazio” o, esagerando, “impossessarsi con un gruppo di avanguardie del Palazzo”, meno che mai contestarlo tra una manganellata e l’altra. Anche se ottenessimo un “potere” (premesso che questo potere sia nelle mani di chi non deluda le aspettative dei soggetti coinvolti: oggi è sempre meno raro che accada anche se limitatamente ad amministrazioni locali e meno che mai nel Parlamento) dobbiamo convincerci che è un’altra la meta a cui aspiriamo e che non è garantita da nessuna maggioranza parlamentare: l’emancipazione ed il potere popolari! La tua battaglia non consiste, infatti, nel sostituire un “potere” con un altro ma una società nel suo insieme con un’altra organizzazione sociale, economica, culturale…  Non va mai sottovalutato: tra vita economica e vita politica vi è una fitta rete di relazioni e di reciproca dipendenza (come vi è tra struttura e superstruttura, tra neo-globalizzazione e neo-regionalizzazione, tra neo-colonialismo e processi migratori, tra vita pubblica e vita privata, tra prodotti alimentari geneticamente modificati e carestie e fame, tra ricerca scientifica e guerre, ecc.) che condizionano ogni processo rivoluzionario fino a fargli assumere “forme” nuove (che coinvolgono la stessa organizzazione che se ne rende protagonista). Il socialismo non è, dunque, la conquista del Palazzo (magari con la maggioranza parlamentare del 51% ammettendo l’esistenza di un sistema elettorale proporzionale) ma, nelle mutate condizioni, un lungo “viaggio”  che vive di stazioni, piccole soste ovvero lotte per continue trasformazioni (anche parziali) oltre la loro riduzione gradualista e un incosciente determinismo. E, ancora, i Soviet o il semplice riproporre consigli di fabbrica (grande fu il loro ruolo storico ed averli realizzati) sono una “ortodossia” in una società diversamente strutturata ed in condizioni profondamente diverse mentre i rapporti di produzione invece di “rompersi” si adattano fino ad avere una grande protesta dei metalmeccanici per interessi esclusivamente corporativi o esasperate battaglie dopo un licenziamento o la chiusura (trasferimento) di una fabbrica dopo che “integrazione” e cultura piccolo-borghese o del “consumismo” hanno spadroneggiato. Il socialismo o è anche  un progetto di liberazione “partecipato” e di riumanizzazione dell’uomo o è semplicemente una “rivoluzione tecnica”. La lotta per avanzare nella sua direzione impone, allora, un radicamento profondo nella società, la ricerca di un linguaggio comprensibile, contenuti leggibili e da verificare immediatamente e continuamente ma, soprattutto, l’esempio coerente di chi lo propone: il suo rispettare nell’agire pratico le cose che si teorizzano. Viviamo il tempo in cui le cose prima accadono e solo dopo bisogna parlarne. Un tempo in cui il vento di destra, mentre solo ieri manifestavi contro il razzista Haider eletto in Austria o il fascista Pinochet, che non viene ancora processato per gli inauditi crimini commessi, o per i tanti “desaparecidos” dell’America Latina e del mondo, è il tuo Governo e la cultura di destra pervade il Paese intero. Giorni, dopo la sconfitta del centrosinistra (che pure si è fortemente impegnato a privatizzare, smantellare parte dell’istruzione pubblica verso i privati, fare guerre, ascoltare con attenzione le direttive USA o della Confindustria), nei quali l’opposizione è delegata a Rutelli o ad un PRC che insegue il No al G8 o un corteo metalmeccanico da altri organizzati o lotte all’Ansaldo che ha visto solo nelle sue crude immagini dopo l’aggressione poliziesca. In un periodo in cui, tra una bomba e l’altra, trionfano uno stato sociale per poveri, si calpestano diritti consolidati o da rispettare e la ricerca dei profitti sconfina nell’illegalità protetta. Anche per questo una nuova organizzazione “a sinistra” è un obbligo che va oltre qualsiasi analisi sulla frammentazione o il continuo declamare la nascita di ipotetici partiti comunisti. Mai, come ora, sono state tanto grandi le contraddizioni non solo in seno alla società ma in seno alla stessa sinistra in genere fino a confondere con la solidarietà il sostegno alla lotta di classe internazionale, la lotta al nuovo schiavismo e al nuovo colonialismo, la difesa dei diritti dei migranti, la battaglia contro la fame o il nucleare, contro la guerra o le dittature, dalla parte degli indios o dei senza terra e in un’altra serie innumerevole di accadimenti.  La sconfitta dell’EZLN nel Chiapas, dei curdi o dei lavoratori in Corea è la nostra sconfitta! Dobbiamo saper distinguere il perché ed il fine dei diversi avvenimenti ma non possiamo esprimere solidarietà come se non fossimo in presenza dell’organizzazione mondiale delle disuguaglianze generata dall’imperialismo: le favelas in Brasile o i drammi africani, il furto di risorse umane e naturali e i disastri ecologici non stanno accadendo nel Terzo Mondo, nei paesi poveri, nei paesi in via di sviluppo ma all’interno della società capitalista! E questo non può distrarci dalla comprensione di una lotta nazionale che non va elusa e che è essenziale alla più ampia Resistenza internazionale. Ogni limitazione della democrazia è una limitazione del socialismo - diceva Lucio Libertini e aggiungeva - … il capitalismo dell’efficienza, nell’epoca di una grande rivoluzione tecnologica grandiosa, contiene meccanismi di integrazione importanti (consumismo, dinamismo della società ecc.) ma lascia allo scoperto zone larghissime della società: crisi agraria, disoccupazione, condizione operaia in fabbrica, crisi della scuola, contenimento delle spese sociali, autoritarismo”. Eravamo nel 1969. Quegli appunti, oggi, hanno assunto proporzioni ancora più ampie e ci invitano a precisare come andare avanti, quale vie percorrere e con quali “mezzi”. Nel rapporto al II congresso dell’Internazionale Comunista Lenin comunica “che la borghesia si comporta come un ladrone sfrontato… ma non si può dimostrare che essa non ha nessuna possibilità di addormentare gli sfruttati per mezzo di concessioni e che non riesca a schiacciare movimenti ed insurrezioni di una parte degli oppressi e degli sfruttati”. L’opportunismo tattico della sinistra istituzionale non solo ha reso possibile che questo avvenisse tranquillamente, in Italia e non solo, ma si continuano a spendere non poche energie per evitare che nasca o si affermi una sinistra di classe coerente e organizzata. E’ tatticamente indispensabile rinnovarci nella continuità e determinare un “senso comune collettivo e nuovo” tra la gente misurandoci con ogni problema per un’unità d’azione che non può ridursi alle sole forze rivoluzionarie, soprattutto dopo un’ennesima sconfitta, anche perché “proprio la grande sconfitta è, al tempo stesso, per i partiti rivoluzionari e per la classe un’effettiva ed utilissima lezione, una lezione di dialettica storica, di comprensione, di capacità nel condurre la lotta politica. Gli amici si conoscono nella sventura… sapendo che bisogna, anche, imparare a ritirarsi, che bisogna imparare, in determinate occasioni, a lavorare legalmente e nelle più reazionarie istituzioni ed organizzazioni… ecco perché negare per principio i compromessi, negare ogni ammissibilità di compromessi è una puerilità che è difficile prendere sul serio” (Lenin). Il problema, dunque, non è “il compromesso” ma il modo di realizzarlo, oggi verso il fine. Il socialismo è un orizzonte di vita, una scelta di civiltà, e non è Marx ad aver inventato il proletariato: il marxismo ha individuato nel “mondo del lavoratori” la modernità per eccellenza e la storia come processo “liberatorio” verso una società migliore e regolata nel rispetto degli esseri viventi e della natura: il vivere, appunto, rispetto il sopravvivere, la certezza del futuro rispetto il permanere di un primitivismo basato sulla vittoria del più forte contro le moltitudini e, inevitabilmente, responsabile di catastrofi imminenti o già in atto. Contrapporsi al G8, al Fondo Monetario Internazionale, all’OCSE e in generale ai potenti della Terra dimenticando l’essenza storica della classe operaia (oltre ogni banale logica operaista) rende inconcludente, una sorta di “sacrificio inutile” pur se eclatante, qualsiasi lotta si realizzi. Altrettanto banale è valorizzare “il mondo del lavoro”, la classe, in maniera dogmatica, fideistica e libresca. Da qui l’esigenza di pensarsi parte dello stato di cose presente prima ancora di proporsi come  protagonisti della sua abolizione. Il marxismo-leninismo si rinnova e deve rinnovarsi nella “critica della politica”! Per cambiare l’uomo non possiamo aspettare che cambi il mondo né confonderci con gli avvenimenti comunque… “La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze e dell’educazione dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato” (Marx oltre centocinquanta anni fa). La maturazione dei soggetti “antagonisti” è una condizione essenziale, al pari dell’autoeducazione e della critica a se stessi, per realizzare qualsiasi cambiamento (piccolo o grande) duraturo. Non ha senso battersi per la libertà se non si lotta per le libertà! Anche perché una società non è libera se non è pensata come un insieme di relazioni, un insieme di donne e uomini che devono viverci liberamente. La socializzazione diviene per questa via la negazione del settarismo e di un anacronistico proporsi, per alcuni, come detentori di “verità assolute” e “avanguardie perenni” mentre l’emancipazione della classe è inevitabilmente intrecciata con quella della società. Dobbiamo condurre una iniziativa contro l’homo economicus ovvero contro una parzialità culturale nello stesso movimento socialista. Engels ammetteva, giustamente, che “il movimento operaio tedesco doveva essere l’erede della filosofia classica tedesca e non il suo carnefice”: i giovani e le ragazze in particolare, le masse, vanno conquistati al cambiamento senza rinunciare ad un rapporto con la nostra storia, senza rinunciare a processi di contaminazione tra culture diverse come realtà nuova e senza rinunciare ad un internazionalismo che rispetti diversità mentre deve rendere “universale” il bisogno di società socialiste. Il compito è arduo quanto faticoso anche perché abbiamo una parte della generazione “anziana” lontana e “vecchia” e una parte della generazione giovane infantile, non raramente pressappochista e altrettanto “vecchia”: trionfo di egoismi generazionali facilmente gestibili dal potere nonostante la mancanza di orizzonti certi e la messa in discussione di diritti conquistati. L’irrequietezza, la contestazione, l’insoddisfazione, la stessa mancanza di lavoro e di prospettive non sono elementi determinanti per qualsiasi progetto di trasformazione e, anzi, possono rendere fertile un terreno contrario. E, comunque, la società non è gestita dagli “adulti” anche se questa sembra la realtà e neppure dai giovani anche quando sembra tutti li rendano responsabili di qualcosa. Le società sono gestite in termini di classe (dominanti e dominati, sfruttati e sfruttatori…) mentre sempre più confuso è il ruolo degli “intellettuali” e sempre più pressante quello dei “senza classe” e del “parassiti”. Il distacco allora non è solo generazionale ma anche tra un vecchio mondo e il nuovo che fatica oltre misura a nascere. Le ideologie sono in crisi? I partiti hanno perso la loro funzione storica? La militanza è anch’essa in crisi? Ammettere che ideologie, partiti e militanza sono in crisi è cadere in un “trabocchetto” utile essenzialmente alle classi dominanti che possono tranquillamente fare a meno dei partiti (hanno ben altri strumenti per realizzare egemonia e potere), delle ideologie e della partecipazione popolare. Segnali di crisi vi sono senz’altro ma non serve ammetterlo quanto trovare soluzioni… Un passaggio reale dalla “filosofia speculativa” alla politica e, quindi, all’azione rivoluzionaria non si è mai completamente compiuto mentre, al contrario, si lavora per umiliare ogni mezzo a tale scopo utile, necessario, adeguato. Pertanto deve ripartire un lavoro per l’egemonia coscienti che l’egemonia della classe anticapitalista non rappresenta l’affermazione di una nuova struttura economica e una nuova organizzazione politica ma un nuovo orientamento culturale, ideale e morale che ci consente di penetrare prima la conoscenza e la filosofia e, poi, il che fare praticamente. Sappiamo che la base economica determina una complessa superstruttura politica, ideologica, che è condizionata dai rapporti di produzione e di scambio e, a maggior ragione, si comprende come la filosofia sta alla politica e l’operare per trasformare una società sia un grande valore filosofico appunto. Pertanto “chi vuol marciare verso il socialismo per un cammino che non sia di grande democrazia politica arriverà inevitabilmente a conclusioni assurde e reazionarie, sia dal punto di vista economico che politico” (Lenin). In Occidente, infatti, la rivoluzione borghese (e non in tutte le società è compiuta) che esprime la necessità di sviluppo del capitalismo e dell’imperialismo, che li allarga e li approfondisce, che opprime e sfrutta senza ritegno (esseri viventi ed ambiente) non può farci dimenticare i principi elementari del marxismo circa l’inevitabilità dello sviluppo del Capitale sulla base della produzione mercantile né, tanto meno, che le libertà politiche, pur nei limiti della democrazia borghese e senza rimanerne coinvolti, sono la condizione stessa per conquistare la democrazia di fondo e per mettere in discussione la proprietà dei mezzi di produzione valorizzando personalità diverse, capacità diverse e giusta considerazione di ciò che deve essere pubblico e di ciò che appartiene, necessariamente, alla “sfera privata” valorizzando intelligenze e risorse. La borghesia, infatti, ha da temere dalla sua stessa rivoluzione e le forze antagoniste dall’incapacità di portare a compimento la tappa della rivoluzione democratica ed antifascista, della rivoluzione culturale per un uomo nuovo, una nuova donna. “Quanto più sarà completa e decisiva la rivoluzione borghese tanto più il successo del proletariato nella sua lotta contro la borghesia sarà garantito” (Lenin). Va riattualizzato, pensato nel presente, il rapporto tra democrazia e socialismo, lotta quotidiana e obiettivi, organizzazione rivoluzionaria e movimenti sociali e via elencando. Ecco perché ci deve essere unità tra pensiero ed azione e praticabilità degli stessi, capacità dirigente della classe (anche verso se stessa), e possedere una prospettiva che superi l’immediatezza empirica individuando ogni specificità nazionale e storica, ogni specificità internazionale. Il riformismo fine a se stesso sconfina con un darwinismo interpretato male e attende tranquillamente un capitalismo umano o lo sollecita dentro una miriade di speranze deluse e con la convinzione non nascosta che si passerà da un regime all’altro (o che forse alternandosi è già accaduto) senza una funzione determinante dei soggetti rivoluzionari e lasciando l’organizzazione nell’ombra riducendo la storia stessa ad un indagine delle leggi della formazione economico-sociale, alle statistiche, alla sociologia, alla continua considerazione dell’erba del vicino, al meccanicismo. Vi sono a sinistra sogni che immaginano un partito alla Sem Terra e altri che lo ipotizzano alla Blair ecc. Poi non mancano quelli che rimangono convinti che la rivoluzione borghese sta al capitalismo come la crisi dello stesso ed il suo andare a destra al socialismo: e li incontri sorridenti mentre fascisti, razzisti e padroni vanno al Governo definendo incoerenti coloro che ritengono che la classe può essere egemone anche di una rivoluzione democratico-borghese in talune situazioni attraverso l’anello essenziale dell’insediamento territoriale e della chiarezza di un programma per l’alternativa socialista. Ecco: ritorna prioritario avere un piano anche per evitare che proposte di sinistra unita, fronti unici, consulte della sinistra critica e antagonista non siano slogan o future “alleanze” vuote, demagogiche, affidate ad una spontaneità che non va oltre il livello della coscienza sindacale, rivendicativa e contestativa. Bisogna fare propria la teoria del movimento tra le masse, dirigere, provare a dirigere, saper ascoltare, organizzarsi nelle forme più diverse, sporcarsi con le diversità tollerandole e rispettandole, rendersi leggibili, elaborare una strategia e condurre una tattica adeguate, non rifiutarsi di condurre iniziative modeste, sapere un po’ di tutto, investire la società con atti pratici e a tutti i suoi livelli e fare politica nel senso più ampio del termine coscienti che l’aggravamento dell’oppressione nazionale si esprime su una nuova base storica: il neo-imperialismo. Con Croce ci perderemmo in un internazionalismo come fuga dalla nostra stessa realtà. Con Lenin, e poi con Gramsci, sappiamo che la questione nazionale assume maggior rilievo  quando l’imperialismo arriva in una fase superiore e che una qualsiasi riforma strutturale si deve ottenere dentro il sistema come conquista contro il sistema. Ciò che va valorizzato è “il senso di un processo” collegandolo alla realtà effettuale e continuamente mutevole e, non casualmente, in Italia ad esempio, la sinistra perde quando si muove in maniera tardiva, confusa, tra orientamenti diversi perennemente in lite, potenziando un’eterogeneità fatta di attriti e “scissioni opportunistiche” che l’allontanano dagli avvenimenti, incalzanti oltre modo, fino a farla diventare preda di avventurieri, burocrati di quarto livello, carrieristi, trasformisti ecc.. La stessa protesta viene subita e non orientata! Abbiamo, senza dubbio, un aumento vertiginoso di notai a sinistra che “registrano” o fatti spontanei o quanto le classi dominanti decidono. La vittoria del centrodestra in Italia, figlia anche delle esigenze del Capitale internazionale e delle grandi Banche, è la cartina al tornasole dei nostri limiti ideali, costituzionali, sociali che maggiormente evidenziano una società in frantumi, comunità in crisi (coinvolgendo la stessa famiglia), scelte scellerate di un centrosinistra piegato ora dagli interessi di Confindustria e di una finanza sempre reazionaria, ora dalla Nato e dal potere imperiale ad egemonia statunitense. Un’opposizione delegata ai Rutelli è la ricerca sbiadita di un tradeunionismo fuori luogo e fuori tempo mentre oggettivamente si può ripartire dal basso e dalle piccole amministrazioni locali per marcare il segno di una differenza che spinga in avanti un processo per l’alternativa. La svolta autoritaria in Italia, dopo i tentativi post-guerra, la proposta di legge-truffa del 1953 (oggi una realtà), il Governo di Scelba e Tambroni (che si riattualizza con Fini e Berlusconi: la rima è casuale), anni di malgoverno democristiano, sogni di Golpe, le stragi di Stato ed il piano di Licio Gelli, oggi si è concretizzata. Passeranno pochi giorni e assisteremo ad industriali che porteranno il conto al nuovo Governo insieme a lobbies, grandi commercianti, poteri “nascosti”, poteri internazionali (FIAT docet)… si ritornerà a parlare con maggiore insistenza di gabbie salariali e meno che mai di qualità del lavoro, licenziamenti anzi esuberi, abolizione della legge sull’aborto, fecondazione assistita, soldi alle scuole private e confessionali, sviluppo finanziato di una sanità privata, attacco allo stato sociale a partire dalle pensioni, soldi all’istruzione privatizzata, ruolo predominante delle assicurazioni per sopravvivere, armamenti, infrastrutture senza altro criterio se non quello speculativo, militarizzazione del Paese e razzismo legalizzato… Il divario tra Nord e Sud aumenterà in maniera considerevole e la stessa carta costituzionale sarà attaccata nei suoi stessi principi con un’informazione sempre più controllata e bigotta. Si è riaffermata una “vecchia” Democrazia Cristiana, ancora più populista, con nicchie dorate per neofascisti e razzisti, destra clericale e faccendieri che rappresentano già l’affermazione di una nuova barbarie. E’ qui, a sinistra, che si pone il problema di “unire quello che il padrone divide” in funzione anticapitalistica: realizzare, cioè, un patto storico, una consulta, non tra partiti e partitini ma tra orientamenti ideali, sociali e culturali affini e diversi, tra condizioni sociali, tra generazioni, verso emarginati vecchi e nuovi, movimenti, associazioni ecc. verso quell’Italia viva che c’è e resiste e senza mai dimenticare la funzione insostituibile dei lavoratori. Senza mai dimenticare l’importanza di una “strategia riformista” in direzione del porre o risolvere questioni nazionali ancora significative e storiche: la questione meridionale e del Sud del mondo, la questione vaticana e la stessa questione religiosa, la questione della grande criminalità organizzata, la questione della comunicazione intrecciata con un analfabetismo di ritorno e la proposta di un nuovo modello di sviluppo, nella pace, a partire dalle condizioni del non lavoro. Mancata riforma agraria, sviluppo distorto del turismo, “patetica” politica dei beni storici ed ambientali ed un altro lungo elenco di tematiche vanno rimesse all’ordine del giorno come contrapposizione necessaria a chi ti vuole sulla difensiva mentre massacra ogni conquista realizzata e normalizza, tra pensiero unico e futuri scudi stellari, la società nel suo insieme. Si tratta, in sostanza, d’individuare i tratti specifici della nostra situazione storica e di ogni processo in atto per un progetto che eviti il tuo isolamento e lo determini per l’avversario. Quando le forze di destra ottengono il potere attraverso “libere elezioni”, abusiamo dei termini, hanno un vantaggio politico (e anche psicologico verso la stessa popolazione) nel fare scelte e leggi per quanto scellerate (alcune tra l’altro neppure immediatamente comprensibili nella loro disuguaglianza ai più: meno che mai se il problema del centrosinistra è constatare se Berlusconi rispetterà il suo programma come se anche il farlo riguardasse gli interessi del Paese)  e tra i loro primi obiettivi vi è quello di condizionare le opposizioni al dialogo, alla semplice critica e alla correttezza definita impropriamente democratica. E, invece, un processo della contrapposizione deve partire dalle grandi città dimostrando la pericolosità del “contratto” delle destre, la loro incapacità e miopia politica, il loro asservimento acritico ai potenti della Terra mettendo in cantiere, altresì, lotte tenaci e coinvolgenti per una “strategia delle riforme” a tutto campo privilegiando le questioni legate al lavoro, alle certezze, al futuro e alla stessa qualità della vita (dalle fonti alternative di energia al tempo liberato, da nuove leggi elettorali proporzionaliste al controllo popolare sull’informazione). La rivoluzione democratica diviene solo così la base per ogni ulteriore avanzamento e la condizione stessa per resistere. La strategia che per un’organizzazione rivoluzionaria si rende nel presente non sostituibile non realizzerà, indubbiamente, un desiderato, repentino ed immediato, rovesciamento dello Stato capitalista (stiamo costruendo l’opposizione di classe) ma mentre intende ostacolare il permanere di una destra eversiva e sociale al potere deve evitare che il centrosinistra la rincorra sul suo stesso terreno e assimilandone parte sostanziale del programma. Chiedere che un Governo cada subito non troverebbe forti consensi ma creare le condizioni per farlo cadere il prima possibile smascherandone le mire antipopolari è una necessità. Va ostacolata, anche, un’ulteriore decomposizione sociale e una decadenza nelle masse in genere. Essenzialmente, in presenza di un piano anti-economico che mantiene disoccupazione anche occupando e disoccupazione di fatto e di un piano anti-sociale che non risparmierà, in nome del profitto, nessun settore della vita civile dobbiamo prestare forte attenzione al rischio di criminalizzazione del movimento antagonista e passare dal terreno delle polemiche e della contestazione a quello della proposta e dell’agire nel profondo e in ogni direzione.

 

Che tipo di rapporto ha Democrazia Popolare con la sinistra istituzionale e con Rifondazione in particolare?

Qui mi è più facile rigirare la domanda: che tipo di non rapporti intendono avere le forze di sinistra con una nuova e modesta organizzazione come Democrazia Popolare? Credo nessuno in generale. Dipenderà soprattutto, nelle difficili condizioni di agibilità politica in Italia, dalla nostra capacità, costruire possibili momenti d’incontro per un’alternativa di società. Noi non esistiamo ma quando a Roma presentandoci alle elezioni abbiamo ottenuto un discreto successo e potevamo essere un piccolo numero utile per la vittoria al ballottaggio del centrosinistra allora improvvisamente c’eravamo. Non esistiamo ma se realizziamo un evento internazionale e partecipiamo alla fondazione di associazioni unitarie allora ci siamo: magari solo per essere ridimensionati e contrastati. Per noi è una scelta faticare per unire quello che il capitalismo divide sperando di non essere solo una testimonianza di un attuale bisogno di socialismo o un piccolo gruppo incapace di proporre lotte per il rinnovamento democratico del nostro paese ancorandole ad un internazionalismo nuovo. E’ infatti possibile che un governo o un partito all’estero ci incontri e che se viene un delegato o un rappresentante di quel governo o partito in Italia ci ignori. In questi primi giorni del 2004 è venuta in Italia una certa Diego Bello del Partito Comunista Cubano che ha incontrato nella sua totalità tutti i partiti e movimenti della sinistra meno noi eppure pochi giorni prima eravamo stati a Cuba vivendo esperienze importanti di interscambio di idee per una nuova solidarietà in nome di un mondo nuovo. Come è possibile? Crediamo non indifferente la capacità di oscurare ogni esperienza nuova nel nostro Paese nel nome di una esclusiva politica delle vecchie classi dirigenti e crediamo, anche, che questo non può non incidere sulla tua visibilità. Sappiamo, però, che l’unica battaglia persa è quella che non si fa e che ci anima il bisogno d’incontro e di confronto e non spiriti settari e inutile presunzione.

 

Infine volevo chiederti: nel libro c’è un capitolo molto interessante e di grande attualità, titolato  “il bisogno di una filosofia creatrice”, lo puoi sintetizzare?

Intanto e prima di concludere volevo ringraziarti di questa intervista che purtroppo mi ha impegnato in risposte un po’ più articolate e mi auguro non noiose. Spero, inoltre, che altri e altre, sollecitati da questi appunti, si sentano incuriositi a leggere il libro e ad aiutarci in questo viaggio per costruire una nuova organizzazione, oltre il bipolarismo, che solleciti e promuova una unità per l’alternativa. Questo capitolo del libro “oltre il popolo di Seattle” non è eccessivamente lungo e credo possa essere ripetuto nella sua sintesi. Tutti sono politici anche quando non ne sono consapevoli e tutti, direttamente o indirettamente, partecipano alle scelte politiche, ne hanno responsabilità, ne sono coinvolti. Liberarsi dall’opportunismo non può essere cadere nella trappola di un antagonismo errato e vuoto ma unirsi attorno ad un piano “marxisticamente” concepito. La borghesia è e rimane un ladro senza regole (irrispettoso anche di quelle da lui imposte o accettate) mentre cerca continuamente di addormentare o cooptare senza paga parte enorme degli oppressi aiutato (inaspettatamente?), anche, da una ribellione che per quanto eclatante non determina nessuna modifica sostanziale del “sistema” fino a fare dell’anticomunismo una sua bandiera spacciata per moderna. Il rivoluzionarismo confusionario e parolaio (spesso di natura piccolo-borghese o dettato da meri bisogni immediati) appare intransigente ma in realtà invita alla continua mediazione e dimenandosi dentro lo status quo alla lunga genera nuova passività, rassegnazione, riflusso. Il centrosinistra, intanto, in Italia e non solo, è ormai un “polo” dove si spartiscono posti fino a marginalizzare l’idea di società che si propone e tra una sbiadita contestazione e l’altra alle forze eversive che hanno occupato il Palazzo rilancia continuamente ipotesi di incontro che non si sa quali mire abbiano e che di fatto liquidano definitivamente la sinistra nei suoi, per quanto precari, valori e consacrano, spacciandolo per riformismo di struttura, il potere del Capitale sul Lavoro, dell’economia sulla politica e dei delegati sulle masse fino ad illuderle. Tutto questo è il contrario di una filosofia creatrice. L’egemonia delle classi dominanti diviene, in mancanza di una opposizione reale e invadendo ambedue i poli elettoralmente in contrasto tra di loro, direzione politica, direzione al livello delle idee, direzione culturale. Il centrosinistra ha relegato le classi popolari (ed i lavoratori in genere) alla subalternità, privandole, inoltre, di un disegno politico e culturale unitario e riducendo le lotte figlie dell’esasperazione alla disorganicità e alla mancanza di una visione coerente e autonoma di società. Siamo, dunque, in presenza di un falso storicismo condito da un’ipocrisia senza limiti. Non siamo quindi tutti filosofi, tutti politici, tutti parte di una società. Criticare la propria storia, “a sinistra”, non ha dunque significato liberarla verso la conquista di una concezione del mondo e della vita coerente ma, al contrario, rinnegarla (e con essa la vita di milioni di combattenti onesti) fino a fare di interessi ristretti e corporativi tutto l’universo. Una filosofia creatrice è, allora, non mantenere le masse nella condizione di subalternità e una fuoriuscita da una filosofia primitiva impersonata da un neo-imperialismo nefasto. La cultura, la consapevolezza critica di se stessi e del mondo circostante (coscienza ed autocoscienza), il conoscersi e l’istruirsi, divenire persuasori permanenti per non essere capi perpetui, organizzarsi per organizzare è una prima fase per unificare diversità, teoria e prassi, per ambire al nuovo. Una filosofia creatrice implica l’affermarsi della battaglia delle idee anche perché ogni passo in avanti non è popolare se non c’è chi si adopera perché ciò avvenga al fine di collettivizzarlo e migliorarlo continuamente…determinando un passaggio dall’essere resistenti all’essere protagonisti responsabili ed attivi per l’avvento di una democrazia di fondo, movimento culturale che intende abolire lo stato di cose presente verso un mondo migliore. Da Hegel ricaviamo i primi passi perfezionati appunto dal marxismo-leninismo e dalla nostra capacità di interpretarlo nelle condizioni attuali. La biblioteca di sinistra non ha nessun rapporto con i piromani e il rogo dei libri ma lo ha con l’atteggiamento critico che non può temere ma valorizzare il diverso da te: solo per questa via è possibile concepire l’uomo (la donna) come una serie di rapporti attivi (non meccanici) dove l’individuo è sempre parte di “organismi” (dai più semplici ai più complessi), della natura, del mondo. Potenzialmente siamo tutti artisti, creatori, scienziati, produttori ecc. ma va compreso che la stragrande maggioranza degli esseri viventi ha smesso di essere nomade non in conseguenza della società agricola ma creandola, non in conseguenza della nascita di agglomerati urbani ma costruendoli e pertanto va compreso che la crisi del socialismo fino a rinnegarlo non è crisi del socialismo stesso ma di taluni portatori del suo progetto. Un atto di libertà, nuovo, parte di un millennio nuovo, essenziale, è darsi la possibilità di edificare un socialismo originale, creativo senza abbandonare, in acque tumultuose, la barca inaffondabile delle lezioni dei più marxismi. Bisogna, cioè, far diventare “senso comune” la conoscenza della realtà, delle condizioni obiettive al fine di rendere non romantico o utopico il bisogno di un mondo nuovo. Bisogna saper distinguere le idee organiche da quelle apparenti e per questa via “impossessarsi” appunto di una filosofia creatrice.  

Editore del libro: EDITORE AIASP - VIALE IRPINIA NR. 50, 00177 ROMA

 

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