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I CINQUE EROI HANNO CANTATO ALLA FELICITÀ IN UNO STORICO
CONCERTO CON SILVIO
I Cinque Eroi cubani Gerardo Hernández, Ramón Labañino,
Antonio Guerrero, Fernando González e René González hanno cantato di
felicità con l’emblematico cantautore Silvio Rodríguez, nel suo 62º
concerto del giro dei quartieri del paese.
Centinaia di persone riunite nel parcheggio dello stadio
latinoamericano di baseball, nella capitale, hanno cantato in coro le
canzoni del fondatore della Nuova Trova cubana, accompagnato da
splendidi musicisti come Jorge Aragón al piano e Jorge Reyes al basso,
da Oliver Valdés che ha portato il suo carisma con la batteria e le
percussioni, e in particolare da Niurka Reyes, che ha interpretato in
modo eccezionale, con il suo flauto, quasi tutte le canzoni ed ha
commosso con un arrangiamento speciale del finale del tema“Mariposas”.
All’inizio del concerto, Silvio Rodríguez ha ricordato
che nelle presentazioni precedenti di questo ciclo iniziato nel 2010,
lui e i suoi accompagnatori hanno sempre reclamato la liberazione dei
Cinque antiterroristi cubani.
“Senza dubbio oggi la felicità è grande, perchè loro sono
a Cuba e sono qui con noi!”, ha detto,
Questi uomini noti internazionalmente come i Cinque,
furono arrestati nel 1998, negli USA e condannati a smisurate reclusioni
per aver avvertito Cuba sui piani dei gruppi violenti radicati nel sud
della Florida.
René González è ritornato nell’Isola nel maggio del 2013,
dopo 13 anni di reclusione, mentre Fernando González è tornato nel marzo
del 2014, anche lui al termine della sua ingiusta condanna.
Gerardo Hernández, Ramón Labañino e Antonio Guerrero sono
stati liberati lo scorso 17 dicembre, in corrispondenza di un accordo
tra i governi de L’Avana e di Washington, con l’obiettivo di avanzare
verso la normalità dei vincoli tra le due nazioni.
“Per un popolo di “sciocchi” canteremo “El necio ( lo
sciocco) “,ha detto Ramón Labañino, indicando la canzone di Silvio che,
ha spiegato Gerardo, era diventata un inno nei giorni più duri della
prigione, quando erano in isolamento in celle oscure e con spazi fisici
molto ridotti, detti “il buco”.
I Cinque hanno cantato con Silvio anche “La era”, la
canzone che Antonio intonava quando alcune volte gli permettevano
d’andare in uno spazio del carcere detto Ricreazione.
Quando Silvio ha intonato “El dulce abisso”, una canzone
che parla del dolore provocato dalla lontananza degli esseri amati, i
Cinque i loro familiari hanno sentito le lacrime agli occhi.
Silvio ha poi cantato “Elpidio Valdés”, “El reparador de
sueños”, “Mujeres”,
“Retrato de mujer con sombrero”, “La maza”, “¿Quién fuera?”,
“Canción del
elegido”, “El Mayor”, “Pequeña serenata diurna” e “Ojalá”,
molti dei suoi grandi successi che fanno parte dell’immaginario dei
popoli latinoamericani.
IL cantautore ha anche reso omaggio al poeta cubano
Rubén Martínez Villena, nel 115º anniversario della sua nascita ed ha
ricordato che morì molto giovane, dedicato alle cause nobili del suo
popolo.
Un altro famoso cantautore, Vicente Feliz, ha raggiunto
il palcoscenico per cantare con i Cinque “Regresaré”, una poesia scritta
in carcere da Antonio Guerrero e musicata dal cantante cubano Polo
Montañez.
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servizio fotografico Hector Planes SxC |
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UN SOLE CHE NON SI SPEGNE
All’alba del giorno 12
settembre del 1998 il FBI (Ufficio Federale di Investigazione) informò
Ileana Ross- Lehtinen e Lincoln Díaz Balart, due leader della mafia
reazionaria e terrorista di Miami che erano appena stati arrestate cinque
supposte “spie” lì residenti. La delegazione del Congresso della Florida è
composta da 25 individui, ma nessun altro dei componenti ricevette la
notizia anticipata. Il FBI in quel momento non conosceva ancora l’identità
di tre dei detenuti e gli altri due avevano cittadinanza statunitense. I
legislatori menzionati non occupano posizioni nel Congresso che abbiano
relazione con la sicurezza e il controspionaggio: perchè vennero
privilegiati? Perchè vennero messi al corrente di un’investigazione ancora
segreta? Le accuse formali sarebbero state pronunciate solamente quattro
giorni dopo, ma sin dal primo istante era già chiaro che si trattava di
un’operazione di carattere politico – repressivo, la cui finalità era
solamente favorire il settore più aggressivo e violento formato da coloro
che hanno convertito la Florida nella base principale della guerra contro
Cuba. I gruppuscoli controrivoluzionari, politici e funzionari strettamente
vincolati a tutto questo, scatenarono immediatamente una frenetica e
isterica campagna per stigmatizzare i cinque giovani arrestati. Lì dove
quasi tutti i mezzi di comunicazione e di stampa vengono controllati dalla
mafia e operano sotto minacce costanti, non ci fu un giorno nel quale non
venne pubblicato almeno un articolo o una nota informativa, con
dichiarazioni di funzionari ufficiali, per calunniare e denigrare i cinque,
presentandoli come pericolosi nemici della società.
Si nascondeva la vera ragione di quegli ingiusti arresti. Non è mai stata
pubblicata nemmeno una parola sulla limpida e nobile esistenza di tutti
loro, sia a Cuba che negli Stati Uniti, come studenti, lavoratori, padri di
famiglia o cittadini; la loro vita esemplare si è svolta sviluppando il
generoso e ammirabile sacrificio per salvare la Patria e il popolo di Cuba.
Non è mai stata scritta una parola nemmeno su tutto ciò che accadde dopo la
mattina di quel 12 settembre, sulle brutali condizioni alle quali vennero
sottoposti in uno dei peggiori regimi carcerari che l’uomo ha mai
immaginato.
Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Fernando González, Antonio Guerrero e
René González sono vittime di un’abominevole ingiustizia e di un trattamento
crudele e degradante che oltraggia brutalmente i diritti umani e che è prova
irrefutabile dell’arbitrarietà e dell’illegittimità dei processi ai quali
vennero sottoposti.
Dal giorno dell’arresto sino al 3 febbraio del 2000, per 17 mesi, sono
rimasti in totale isolamento, senza vedersi tra di loro e senza vedere altri
prigionieri. Sono rimasti tutto il tempo isolati, nel “buco”: questa parola
cerca di spiegare l’infame trattamento che in questo paese viene riservato a
una parte dei detenuti. Il lavoro dei loro avvocati fu tenace per riuscire
ad ottenere che perlomeno ottenessero un trattamento carcerario “normale”.
Il fatto di aver ottenuto questo non cancella però le ingiustificabili
atrocità commesse sui cinque giovani uomini, violando gli stessi
regolamenti statunitensi che ammettono l’isolamento solo come castigo per
infrazioni commesse nelle prigioni. Il limite massimo sono 60 giorni per i
casi più gravi, come l’omicidio. Ovviamente prima di entrare in prigione non
avevano trasgredito nessuna norma carceraria e non avevano mai ucciso
nessuno...
Senza dubbio però per loro l’isolamento - vale la pena ripeterlo - durò
nientemeno che 17 mesi. Durante quel lungo periodo non riuscirono a
mantenere una relazione costante con i loro avvocati e non poterono
preparare la propria difesa con le garanzie necessarie e minime per il
processo. Se a Miami esistesse qualcosa di simile alla giustizia, solo per
questo fatto il Tribunale avrebbe dovuto metterli in libertà e obbligare il
Governo a compiere le pertinenti riparazioni. Ma a Miami - per tutto quello
che riguarda Cuba - non esiste nulla che, nemmeno di lontano, rassomigli
alla giustizia. Va segnalato l’encomiabile operato realizzato dalla difesa,
nonostante tutte le difficoltà. I cinque accusati non avevano avvocati
propri e nemmeno le risorse finanziarie sufficienti per assumerli: hanno
avuto difensori pubblici, di ufficio, con i quali non avevano relazioni.
Questi avvocati, quando li conobbero, seppero apprezzare l’onestà delle loro
motivazioni, la nobiltà e l’eroismo della loro condotta e nonostante le
profonde differenze ideologiche che li separavano - e che segnarono
sicuramente il processo – si convinsero dell’assoluta innocenza dei loro
difesi. Questa convinzione si riflesse nell’impegno personale posto, assieme
a una grande qualità professionale nella difesa. Mentre i cinque eroi
resistevano isolati e nell’ombra i loro vigliacchi nemici occupavano giorno
e notte le televisioni, i microfoni, le rotative, per sputare su di loro,
per minacciare le loro famiglie e i loro amici e... anche per amministrare
la “giustizia nello stile di Miami”. Fu così che si lessero nei libelli
stampati in questa città i dettagli sul cosiddetto processo giudiziario,
includendo nuove accuse che il Pubblico Ministero avrebbe formulato solo
parecchi mesi dopo. In questo modo, per esempio, si conobbe la più assurda,
aberrante e falsa tra le accuse: la “cospirazione per assassinio” presentata
per la prima volta nel maggio del 1999, quando i prigionieri erano isolati
in carcere da otto mesi. Dopo una vergognosa operazione di stampa della
mafia e una serie di riunioni pubbliche e private tra giudici e mafiosi
vennero esposti apertamente i piani per formulare le nuove false accuse.
Era impensabile realizzare un processo che potesse avare uno svolgimento
legale normale. Che era impossibile lo si era constatato pienamente anche
prima della selezione della giuria; le reiterate richieste dei difensori per
trasferire in un’altra città il processo vennero respinte da Joan Lenard, la
Sig. Giudice federale di Miami alla quale venne assegnato il caso.
Parallelamente avvenne qualcosa che ebbe molta notorietà nella stampa
internazionale: preoccupati dalle minacce di azioni violente che si
annunciavano senza mezzi termini, i giurati del premio Granmi Latino
decisero di trasferire la manifestazione a Los Angeles e non più a Miami,
dove non è possibile nemmeno selezionate i migliori artisti cubani che si
esibiscono nei concerti, senza che costoro corrano gravi rischi. Come si
poteva pensare di svolgere un processo limpido e imparziale in questa città,
giudicando persone oggetto della più feroce campagna denigratoria,
presentati come pericolosi “Agenti della Rivoluzione cubana?”
Joan Lenard non diede motivazioni : il processo si sarebbe svolto a Miami e
in nessun altro luogo... però disse alla stampa qualcosa che poteva far
intendere la sua cocciutaggine: “Questo processo sarà più interessante di
qualsiasi programma televisivo!” annunciò dotta e severa il 16 marzo del
2000. La televisione locale sicuramente era imprescindibile per “capire” il
processo. Gli avvocati della difesa non vennero rinchiusi nel “buco” come i
loro difesi e a differenza di quelli potevano leggere i giornali o ascoltare
la radio, ma va rilevato però che era con questi mezzi che la difesa poteva
conoscere le notizie sui passi che avrebbe compiuto l’accusa... così
giungevano “le comunicazioni ufficiali” e le prove che dichiarava di
possedere, i carichi da imputare e persino le mozioni che dovevano
presentare nell’ostinato sforzo di introdurre un’ombra di legalità nel bel
mezzo dell’arbitrarietà e la frode. Come se tutto ciò fosse poco nelle
sessioni in tribunale vennero dimostrate diverse violazioni nei procedimenti
che viziavano un processo illegittimo e nullo sin dalla sua origine. Gli
avvocati difensori non ebbero accesso alla totalità delle “evidenze” che
portava l’accusa, che vennero amministrate esclusivamente dal Pubblico
Ministero, che in diverse occasioni, nonostante le forti proteste, presentò
improvvisamente centinaia di pagine di “nuove prove” o impedì l’esame
completo delle documentazioni.
La difesa chiese inutilmente che venissero considerate prove i documenti
ufficiali che erano fondamentali per il chiarimento delle imputazioni.
Alcuni testimoni vennero apertamente minacciati dall’accusa e dalla stessa
Sig. Giudice Lenard nell’aula del tribunale. Ella minacciò di accusarli se
rivelavano alcune informazioni, il tribunale consegnò ai portavoce della
controrivoluzione più di 1400 pagine di documenti selezionati dalle autorità
che, manipolate volgarmente dalla stampa locale, alimentarono la loro
incessante e vergognosa propaganda per demonizzare gli accusati. I mezzi di
comunicazione e i terroristi di Miami organizzarono manifestazioni pubbliche
per esercitare pressioni sui giurati e sulla stessa giudice Lenard. La mafia
si preoccupò vivamente per il risultato di questo processo. Cosciente
dall’assoluta falsità di tutte le accuse temeva che il verdetto sarebbe
stato sfavorevole ai propositi dei controrivoluzionari... la mafia era
allarmata soprattutto dall’operato degli avvocati difensori che davano
mostra di capacità e di elevata professionalità. I difensori stavano
smascherando le sporche manovre dei fiscali e stavano collocando la mafia
sul banco degli accusati.
Le prove, gli argomenti presentati dalla difesa furono schiaccianti e
dimostrarono che le attività terroristiche contro Cuba si realizzavano da
Miami e la tolleranza complice dell’autorità rendeva necessaria e
indispensabile una difesa da parte del popolo cubano che poteva contare
sullo sforzo eroico di uomini come quei cinque accusati.
Venne messo in chiaro che gli accusati non avevano cercato informazioni che
potessero danneggiare il contro spionaggio statunitense, che non avevano mai
provocato danni di sorta. Ufficiali dello stesso FBI e del Comando Sud
testimoniarono in questo senso, come altri capi militari che avevano svolto
importanti responsabilità nelle forze armate degli Stati Uniti, come il
Generale Charles Wilhelm, ex comandante in capo del Comando Sury; Edward
Atkinson, ex vice capo di stato maggiore dell’esercito per il
controspionaggio; l’ammiraglio Eugene Carrol, ex vice capo delle operazioni
navali; il colonnello George Buckner del comando per il sistema di difesa
aerea del nord - America e persino il Generale James Clapper, ex direttore
della DIA, l’agenzia di controspionaggio del Pentagono parlò durante il
processo come esperto per l’accusa e riconobbe che gli accusati non avevano
compiuto atti di spionaggio contro gli Stati Uniti. Dopo cinque mesi di
battaglia verbale in condizioni molto difficili e ostili, nella sala del
tribunale l’innocenza di Gerardo, Ramón, René, Fernando e Antonio era molto
evidente, com’era evidente la colpevolezza di chi li accusava.
Gli accusati non avevano mai esercitato attività di spionaggio, non avevano
mai cercato o ottenuto informazioni relazionate con la sicurezza, la difesa
o altro interesse degli Stati Uniti. Non avevano mai causato danni a quel
paese o ai suoi cittadini. Non venne presentata alcuna prova contro di loro.
Non apparvero testimoni che potessero sostenere le accuse. Il loro lavoro si
era concentrato solamente ed esclusivamente nel tentativo di infiltrarsi nei
gruppi terroristi, informando le autorità cubane dei piani aggressivi che si
organizzavano. Non lo hanno mai negato. Nel processo venne provato in
maniera dettagliata che dalla Florida si organizzano molte azioni
terroristiche contro Cuba e che le autorità degli Stati Uniti non fanno
nulla per contrastarle. Cuba è obbligata a difendersi di fronte ad attività
che, come è stato dimostrato, hanno provocato perdite di vite e gravi danni
anche alla popolazione degli Stati Uniti.
L’accusa più grave formulata contro Gerardo Hernández: “cospirazione per
assassinare” relativa all’incidente del 24 febbraio del 1996 è un’infamia
colossale e una inaudita scemenza. Sono anche troppi i precedenti di
violazioni ripetute del territorio aereo cubano da parte di piccoli aerei
che partono da Miami e che hanno perpetrato numerosi crimini da quaranta
anni, includendo attacchi armati, sabotaggi, lanci di sostanze chimiche e
batteriologiche. Tutto ciò venne ampiamente dimostrato durante il processo.
Prima di quel 24 febbraio Cuba aveva avvertito che non avrebbe mai più
tollerato incursioni illegali sopra il suo territorio. L’azione difensiva
cubana davanti a coloro che ancora una volta violarono i confini dello
spazio aereo, esattamente davanti alla capitale dell’Isola, erano in
completo accordo con i diritti internazionali.
Indipendentemente da tutti i fatti anteriori Gerardo non aveva nulla a che
spartire con la decisione presa dalle forze aere cubane, non partecipò in
nessuna forma a quanto accade quel giorno. Accusarlo di omicidio di primo
grado e imporre un secondo ergastolo è il colmo dell’infamia e della
stupidità! Mai prima era stato condannato qualcuno così, senza testimoni,
senza una sola prova, senza nemmeno allegare un’evidenza circostanziale.
La mafia terrorista e disperata riconobbe pubblicamente la sua sconfitta ma
intensificò la sua virulenta e stridente campagna per intimidire il
tribunale, mentre si avvicinava il termine del processo. In quell’ambiente
la giuria pronunciò il verdetto.
Dopo aver annunciato con una rara precisione il giorno e il minuto esatto
nel quale sarebbe stato pronunciato il verdetto, con incredibile rapidità,
in poche ore, senza una domanda o un chiarimento, senza dubbi di sorta, il
verdetto fu unanime i cinque vennero dichiarati colpevoli per tutti e per
ognuno dei carichi pendenti.
Si deve aprire una parentesi rispetto alla giuria.
Dal momento del processo di selezione degli integranti la giuria subì le
pressioni e le manovre che formano quell’ambiente di degrado presente in una
città carente di legalità. Nemmeno i portavoce della controrivoluzione
cercano di nasconderlo. Il 2 dicembre del 2000, per esempio, il Nuevo Herald,
in un articolo intitolato “La paura di fare il giurato nel processo alle
spie”, affermava: “La paura di una reazione violenta da parte del detto
esilio cubano se un giurato decide di assolvere i cinque uomini accusati di
essere spie per il regime dell’Isola, ha portato molti potenziali giurati a
chiedere alla Sig. Lenard di esimerli dal dovere civico.” Si citava uno di
questi cittadini che aveva dichiarato: ”Si! Ho paura per la mia sicurezza se
il verdetto non piace alla comunità dei cubani americani...”
La paura non era infondata e i membri della giuria vivevano in una comunità
che aveva vissuto poco tempo prima mesi di violenza e di disordini per colpa
del gruppo di delinquenti che aveva sequestrato pubblicamente Elian González,
un bambino di sei anni, sfidando con le armi le autorità federali, pestando
sotto i piedi la bandiera degli Stati Uniti, distruggendo proprietà,
portando il caos nelle strade, minacciando di bruciare la città... e nessuno
era stato arrestato o portato in un tribunale. Si sapeva degli attacchi
fisici e verbali, dalle minacce alle esplosioni di bombe contro coloro che
avevano osato opinare in maniera differente da quelli che controllano il
detto esilio. Tutto quello avvenne alla luce del sole, davanti alla
telecamere del mondo intero. Quali cose potevano fare privatamente per
ricattare e sottomettere una dozzina di persone terrorizzate?
La festa dopo il verdetto cominciò nella stessa sala del tribunale: baci,
abbracci tra giudici e mafiosi, tutti insieme con gli ufficiali del FBI,
terroristi, andarono nei bar e nelle cantine, nei locali delle
organizzazioni controrivoluzionarie, inondarono le emittenti coi loro
comunicati e, sempre tutti insieme, con le loro vergognose dichiarazioni e
minacce contro tutti quelli che a Miami si oppongono alle loro ignobile
posizione contro Cuba. Lo steso capo locale del FBI ricevette un omaggio
pubblico da parte delle emittenti della “radio cubana” che ogni giorno
invita apertamente ad atti di guerra e di terrorismo, in un perfetto coro
con i più noti criminali.
Dal 26 giugno sino al 13 di agosto i cinque vennero nuovamente rinchiusi nel
buco Non avevano commesso atti riprovevoli di sorta, nulla giustificava
quella nuova violazione ai loro diritti e alla norme carcerarie: era solo un
atto di stupida vendetta per castigare la loro fermezza, ma era anche una
forma di tortura con il deliberato proposito di sfinirli e di impedire loro
di prepararsi per affrontare l’ultima fase, quella finale del processo, la
dichiarazione dei verdetti. I 17 mesi di isolamento iniziale dovevano
rendere impossibile l’organizzazione della difesa; i 48 giorni di nuovo
isolamento volevano impedire che i cinque si preparassero adeguatamente per
la sola opportunità che avrebbero avuto di parlare direttamente in
tribunale, davanti alla giuria. Per questo, quando dopo molti e insistenti
reclami degli avvocati della difesa, vennero riportati in celle
regolamentari le autorità non permisero loro di avere comunicazioni
telefoniche, ritirarono quasi tutto ciò che loro apparteneva e i cinque
ebbero solamente a disposizione una matita per scrivere. Cercarono di
rendere loro impossibile la difesa e non volevano che venissero denunciati i
crimini che si stavano commettendo contro quei cinque uomini.Originalmente
la Giudice Lenard voleva sentenziare nel mese di settembre, ma avvenne il
terribili attacco alle torri gemelle il giorno 11 e forse il suo fiuto la
convinse ad allontanare da quella data quell’omaggio che persino lei,
giudice residente a Miami avrebbe reso comunque ai veri terroristi. Si
sentenziò in dicembre. I cinque uomini vennero condannati alle pene più
severe possibili, non vennero considerate le attenuanti possibili suggerite,
ma vennero accolte tutte le aggravanti proposte dall’accusa; l’eco dell’odio
e i pregiudizi contro Cuba che avevano avvelenato tutto il processo vennero
espressi chiaramente nelle parole pronunciate e nelle pene imposte.
Gerardo Hernández: due condanne all’ergastolo più 15 anni.
Ramon Labañino: un ergastolo più 18 anni.
Fernando González: 19 anni
René González: 15 anni
Antonio Guerrero: un ergastolo più 10 anni.
Le loro voci però non
riuscirono a spegnerle.
Il lungo, brutale e profondamente ingiusto periodo di isolamento non li
indebolì. Nemmeno la tortura, le pressioni psicologiche, l’assenza dei
familiari e degli amici: nulla spezzò il loro spirito indomabile. Carenti
dei mezzi più elementari per organizzare le idee e per ordinarle,
scrivendole, furono capaci di alzarsi al di sopra di tutta quella spazzatura
che cercava di schiacciarli e pronunciarono queste formidabili
dichiarazioni, racchiuse in questo libro. I cinque giovani, assai lontani da
quella filistea tradizione degli USA che offre questa opportunità finale
agli accusati affinché possano elemosinare con il pentimento la clemenza dei
giudici, denunciarono e smascherarono i loro accusatori, misero in luce
tutte le falsità e l’arbitrarietà di un processo manipolato sin dal
principio e riaffermarono la loro assoluta fedeltà alla Patria, al popolo
cubani, ai loro ideali. Gerardo è stato inviato nella prigione di Lampoc in
California; Ramón a Beaumont, in Texas; Fernando a Oxford in Wisconsin;
René a Loreto, in Pennsylvania e Antonio a Florence, in Colorado. Se si
guarda la mappa degli Stati Uniti si comprende che sono stati selezionati
cinque punti molto lontani e dispersi nella geografia di quel paese, per
evitare ogni possibile comunicazione tra di loro, per rendere molto
difficili le comunicazioni con le famiglie che risiedono a Cuba e con i
diplomatici cubani che stando alle norme internazionali possono visitarli,
ma che devono anche obbedire a limitazioni precise per i loro
movimenti. Queste prigioni sono di massima severità e vi si inviano le
persone che hanno commesso i peggiori crimini. Conoscendo la brutalità della
quale sono capaci le autorità in luoghi come i centri federali di detenzione
dove erano stati rinchiusi con altri detenuti in attesa di giudizio, è
facile immaginare le crudeltà che devono sopportare nelle più dure prigioni
degli USA. È particolarmente indignante e si deve denunciare con la massima
energia il fatto che Washington, ignorando principi, norme e pratiche
universalmente accettate, non riconosce lo status di prigionieri politici a
questi cinque Eroi della Repubblica di Cuba. La scandalosa perfidia delle
autorità statunitensi in questo caso pone in luce la loro autentica
attitudine davanti a fatti di terrorismo e la totale ipocrisia dimostrata
dopo l’l1 di settembre. I cinque eroici giovani cubani sono stati castigati
esattamente perchè, al prezzo delle loro vite, avevano lottato contro il
terrorismo. Coloro che li hanno privati della libertà li umiliano e li
denigrano proprio perché i cinque hanno avuto il coraggio di affrontare noti
criminali, creati e ancora protetti dalle stesse autorità. Ogni ora che
trascorrono prigionieri in quell’inferno è un insulto alla memoria di coloro
che perdettero la vita quell’11 settembre, vittime del terrorismo. È anche
un’offesa per tutti coloro che credono nella dignità, nella decenza umana.
Il popolo cubano non smetterà di lottare un solo istante sino a che i cinque
verranno liberati e potranno ritornare alle loro case, nella loro Patria.
Per ottenere questo è indispensabile la solidarietà di uomini e donne di
buona volontà di tutto il mondo. I cinque discorsi riuniti in questo libro
daranno al lettore un’idea dell’abnegazione, della nobiltà d’animo e
dell’idealismo di Gerardo, Antonio, Ramón, Fernando e René. Sono discorsi
che supereranno la prova del tempo. Milioni e milioni di persone leggeranno
tutto ciò con emozione e gratitudine. Al di sopra dei rilevanti meriti di
forma e contenuto, indubbiamente presentano (e divengono così più
ammirabili) i ricordi delle terribili circostanze nelle quali vennero
concepiti. In questi discorsi si trova la parte migliore dell’uomo, di ogni
essere umano. Sono come un sole che nemmeno la nebbia più fitta può coprire.
Un sole che mai si
spegnerà.
RICARDO ALARCÓN DE
QUESADA
Presidente dell’Assemblea Nazionale del Poder Popular della Repubblica di
Cuba
La Habana - 11 febbraio 2002
Per aver agito con dedizione esemplare, con dignità e fermezza il sacro
dovere di difendere la Patria, di proteggerla dal terrorismo correndo grandi
rischi per la propria vita, sopportando enormi sacrifici, nel luogo più
ostile, aggressivo e corrotto, il 29 dicembre del 2001, in sessione
straordinaria l’Assemblea Nazionale del Poder Popular ha deciso, su proposta
del Presidente del Consiglio di Stato e dei Ministri, di consegnare il
titolo onorifico di Eroi della Repubblica di Cuba a
Gerardo Hernández Nordelo - Ramón Labañino Salazar
- Fernando González Llort
René González Sehwerert - Antonio Guerrero Rodríguez.
“Fate passare coloro che non temono la luce!”
il sito ufficiale
approfondimenti
di SiporCuba sui 5
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